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Autore: amy holmes_JW    09/06/2015    1 recensioni
la serenità è qualcosa che bisogna conquistare, qualcosa che si guadagna con fatica e si perde con estrema facilità.
Basta una visita per far crollare la bolla della vita perfetta di Sherlock e John, fatto di casi, di tazze di tè, di amicizia, di amore.
dal prologo:
" Il mondo crolla: basta una frase detta di getto freddamente a rallentare il tempo nell’appartamento e a rimischiare le carte del destino. [...] John non credette alle sue orecchie. I suoi incubi si stavano per avverarsi. "
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non uccidetemi


Era giunto l’ultimo giorno, l’aria che si respirava era pesante e densa.
la sveglia suonò poco prima dell’alba.
Sherlock si era scoperto addormentato dopo aver passato maggior parte della notte ad imprimersi nella mente ogni singolo dettaglio di John dal piccolo neo sulla guancia alla cicatrice della spalla.
John, d’altro canto, quella mattina non volle vedere se stesso riflesso da nessuna parte, girava lo sguardo ogni volta che si imbatteva in uno specchio.
Non c’era spazio per troppe parole, e i due avevano quasi paura di parlare, di calcolare quali sarebbero state le ultime cose dette all’altro.
In un attimo arrivò il momento per il soldato di indossare l’uniforme e solo allora alzò lo sguardo verso il suo riflesso concentrandosi sui bottoni della camicia, quando fu tutto vestito si fissò e vide quello che non avrebbe voluto vedere: i suoi occhi erano duri, freddi,calcolatori e guardinghi. Erano gli occhi del soldato, anche Sherlock li notò e fu certo di non volerli imprimere nella memoria, perché quella era solo una mera semplificazione del suo medico.
La sig. Hudson bussò facendosi largo nel silenzio assordante e spezzandolo quasi con sollievo dei coinquilini.
- Cari, noi saremmo pronti per andare. – poi si ritirò di sotto.
John e Sherlock si guardarono ed annuirono.
Nella cucina della padrona di casa c’erano tutti gli amici che giorni prima si erano riuniti ed avevano appreso la notizia dell’imminente partenza.
Lestrade,Molly,la signora Hundson e Standford andarono in macchina dell’ispettore  mentre il detective e il medico militare presero un taxi.
La strada che li portò all’aeroporto fu troppo breve, ma in parte ne furono sollevati, nessuno dei due se la sentiva di aprire bocca per primo, si continuavano solo a guardarsi senza perdersi nemmeno il minimo movimento dell’altro.
John, seguito da Sherlock e gli altri di due passi indietro, si diresse verso l’entrata e appena vide che di fronte a lui un uomo alto vestito elegante e coll’immancabile ombrello a cui si appoggiava lo attendeva gli venne automatico alzare gli occhi al cielo e sbuffare silenziosamente.
- Mycroft. – disse atono passando oltre.
- Se vuoi arrivare al gate insieme a lui, ti servirà la mia presenza. – rispose guardando prima il fratello, poi John.
- Prego, allora. – gli fece cenno di precederlo.
Mentre gli altri erano pubblico silenzioso Sherlock non era particolarmente sconcertato della presenza del maggiore Holmes, ma bensì per la freddezza del compagno, ora mai era tornato il soldato che non avrebbe mai voluto conoscere.
  
Arrivati al gate passi di corsa giunsero fino a loro, poi una voce che si lamentava con i controllori, allora Mycroft andò a controllare e dopo poco correndo senza volersi fermare Harry si gettò fra le braccia del fratello stringendolo forte, quasi da non volerlo più lasciare.
- Harry. – John annusò affondo il profumo della sorella.
- Non puoi partire senza salutarmi, scusa, scusa se sono arrivata ora, scusa se ti ho dato tanti problemi. Ti voglio bene, ti prego torna. – disse la ragazza con voce spezzata dal pianto.
- Te ne voglio anch’io e farò il possibile. – le alzò gentilmente la testa e le diede un bacio sulla fronte. Le sorrise rassicurante aspettando di essere ricambiato e così fece.
- ciao. – gli diede un bacio sulla guancia, poi lasciò agli altri la possibilità di salutarlo.
toccò a Mike con pacche fraterne ed occhi lucidi, Mycroft giusto una stretta di mano.
Fu la volta di Lestrade che tra altrettante pacche sulle spalle e un abbraccio John lo pregò di trovare per Sherlock più casi possibili che fossero facili o complicati e  non lo lasciò andare finchè non gli avesse confermato.
poi arrivò Molly con cui scambiò un lungo abbraccio e, anche a lei chiese, di proporre degli esperimenti, o comunque tenerlo occupato.
- Siate felici insieme. – disse alla ragazze e Lestrade quando li vide prendersi per mano e poi stringersi uno all’altro.
La signora Hudson era in lacrime già da quando era arrivata Harry, perciò John si curò di rassicurarla e tranquillizzarla, le sarebbe mancata davvero,  per farla sorridere le disse che lei era la miglior padrona di casa che potesse mai avere.
Infine Sherlock si avvicinò titubante al ex-coinquilino.
- Ricorda, abbiamo un patto. – disse con la voce tremante.
- Certo, ti dirò di più, se ce lo permetteranno lo faremo sul tetto del Bart’s – il soldato riucì a strappare un sorriso amaro ad detective che notò tornare per un attimo il suo John e questo lo portò al limite.
c’era un solo modo per salutarsi e il medico militare lo sapeva e ne sentiva quasi il bisogno. Attirò a se Sherlock e lo baciò facendogli sentire quanto lo amasse, quanto sarebbe stato difficile vivergli lontano e quanto fosse importante per lui. Il moro rispose con la stessa intensità e sentì la guancia bagnarsi da una solitaria lacrima mentre con una mano sul viso dell’altro raccoglieva col dito la stessa lacrima.
Non esistevano che loro, non interessava che li stessero vedendo.
Solo quando non ci fu più fiato si staccarono.
- Torna. –
- Aspettami. -

furono le ultime parole perché poi John sentiva diventare tutto impossibile da sopportare e decise di avviarsi all’aereo poco lontano dove due militari erano schierati da ambo le parti.
Con un ultimo sguardo ai suoi amici si avviò alla guerra.

Quando l’aereo prese quota nessun riuscì più ad aprir bocca, solo i singhiozzi sommessi delle donne.
Mycroft pose una mano sulla spalla del fratello,ma questo lo scrollò via malamente e a passo troppo svelto si avviò all’uscita così da riuscire a prendere un taxi in solitudine. Gli altri accettarono comprensivi, solo Harry ne rimase al quanto risentita, così, prese la macchina per raggiungerlo.
Quando Sherlock andò da lei per pregarla di presentarsi a una piccola riunione al 221B, le raccontò tutto ciò che si era persa della vita di John e le disse anche della finta morte; quel giorno Harry aveva fatto tardi perché si era fermata a cercare il cimitero e, una volta trovata la tomba fasulla, si era soffermata ad osservarla. Mentre guidava sapeva che non avrebbe trovato il detective tra le mura di casa ma in quel cimitero.
Arrivata si avvicinò con cautela affiancandolo, avrebbe voluto prenderlo a male parole come aveva già fatto una volta, invece prese a raccontare qualcosa che probabilmente Sherlock non sapeva.
- A diciassette, un giorno ho fatto accomodare i miei in soggiorno e con l’aiuto di John ho detto loro della mia omosessualità. Mia madre lo prese come un semplice dato di fatto, mentre mio padre non mi parlò per diverse settimane, ma John intercesse per me e pian piano tornammo alla normalità. Mio fratello aveva due anni in più di me e nello stesso anno, qualche giorno dopo che papà accettò il mio orientamento, John ci fece accomodare tutti e tre sul divano e iniziò a parlare in modo vago, ma poi di colpo sganciò la bomba e disse che voleva partire per fare il militare. Fu mia madre a non prenderla dal verso giusto, in fondo io le sarei stata affianco, mentre lui poteva non tornare. Provai a parlarle a farla ragionare ma non ne fui in grado, l’unica cosa che rincuorò la mamma fu che la leva da medico militare durava sei anni. Non ci abituammo mai alla sua assenza, quando un generale si presentò alla porta pensammo subito al peggio, invece lui era lì per avvisarci che John era tornato in patria con una ferita da arma da fuoco e una medaglia al valore. Non ci è mai fregato della ferita, ci bastava saperlo a casa, ma in fondo ce lo aveva promesso.- il moro l’aveva lasciata parlare, senza interromperla, guardando la lapide nera con le scritte oro con aria crucciata.
-Non sei d’aiuto Harry e Irene ti starà aspettando. -
- Volevi che ti raccontassi di almeno una volta in cui, durante la nostra infanzia, mi abbia promesso una cosa e poi l’abbia mantenuta? Irene aspetterà. -
- Non volevo proprio che parlassi, anzi che venissi qui. La gente crede di aiutare raccontando piccoli aneddoti, quando magari l’interlocutore vuole restare solo. – si voltò per guardarla in faccia e rimase colpito da quanto gli occhi di lei fossero simili a quelli del suo medico. Harry non ci pensò due volte e con la mano aperta schiaffeggiò Sherlock.
- John non è morto, John tornerà e di certo tu non vuoi stare solo: sei venuto in un cimitero per circondarti da gente che si porta una ferita che non è detto avrai anche tu, tu vuoi sapere cosa proveresti se non tornasse. John è caro a te quanto a me, siamo suoi famigliari e se sarà ci dovremmo sostenere a vicenda. Torna a casa. – Harry se ne andò,non aveva senso continuare, non l’avrebbe ascoltata, non quel giorno.

Una volta giunto in Baker Street Sherlock entrò in casa e vide uscire dalla porta interna la Sig. Hudson con gli occhi ancora gonfi di pianto, contro ogni aspettativa le diede un bacio sulla guancia e poi salì le scale.
L’appartamento non era vuoto, dalla cucina arrivava rumore di stoviglie e poco dopo uscì Molly con due tazze di tè.
- Non sono qui per tirarti su, ma soltanto a prendermi cura di te. Credo che questo faccia al caso nostro, ora mi offri di bere questo ottimo infuso preparato da me qui con te, in silenzio; poi me ne andrò. – disse allungando una tazza verso l’uomo che l’accettò e si mise a sedere sulla sua poltrona, mentre la ragazza si posizionava comodamente sul divano.
Il silenzio era assoluto tra le mura, le tazze arrossavano le mani dei due, mentre lentamente sorseggiavano il liquido ambrato. Una volta finito Molly si alzò ma Sherlock la prese per il polso.
- Non andartene, non ancora. – la implorò con gli occhi.
- E che ci sto a fare qui? – chiese mentre prendendo le tazze si dileguava in cucina, dal suo canto Sherlock si sdraiò sul divano a pancia in su.
Tornata in salotto la ragazza decise di sedersi a terra con la schiena appoggiata al mobile in corrispondenza della testa del moro.
- Potresti rimanere qua, almeno finchè non torna. – ad ogni parola si ripugnava, non aveva mai avuto così tanto bisogno di qualcuno, figuriamoci Molly.
- Anni fa avrei preso la palla al balzo, ma credo di essere abbastanza cresciuta e so, credimi, che non è la soluzione più adeguata. Anche perché dovresti vedere Greg anche fuori dal lavoro. – la ragazza riuscì a strappargli una lieve risata.
- Forse hai ragione, non ci tengo vederlo gironzolare per casa alle prime ore del giorno alla ricerca degli abiti della notte prima. – disse facendola arrossire.
Dissimulando il rossore sulle guance Molly si girò per riuscire a guardare il detective in faccia: era distrutto, si vedeva, ma c’era anche una luce di forza nei suoi occhi. Forse il sapere che poteva continuare a comunicare con John.
- Facciamo così: io rimango qui finchè non dormi e mi assicuro che sei tranquillo. Hai bisogno di riposo. Riprenderai la tua rutine appena te la senti, prendi del tempo per riordinare il tuo Mind Palace. – gli disse sorridendo ed accarezzandolo maternamente tra i ricci ebano.
- A presto, Molly. Quando esci, chiudi la porta. – si congedò da lei chiudendo gli occhi e cercando di dimenticare ogni cosa attorno, senza però riuscire a scacciare un brutto pensiero che gli diceva che quella era la fine …
 
 
… O forse no.
Quando aprì gli occhi il campanello suonava e oltre la porta si intravedeva l’ombra di un uomo.
era passato un anno da quando John era tornato in guerra e con cadenza settimanale Sherlock riceveva lettere dal suo medico che gli raccontavano delle giornate nel deserto immobile, piuttosto che le perlustrazioni col cuore in gola e finivano sempre con la rassicurazione sulla sua salute e le raccomandazioni per quella del detective.
Inoltre una volta al mese avevano la possibilità di chiamarsi, per pochi minuti che servivano loro a ricordare cosa li aspettasse e la promessa fattasi; infondo c’era un matrimonio da celebrare.
A metà anno le lettere si fecero più rade e Sherlock ne fu allarmato finchè, dopo settimane di silenzio, John gli scrisse dei problemi che avevano avuto al campo pregandolo di scusarlo e di non preoccuparsi.
Così erano passati 365 giorni con Sherlock e i suoi casi tutti sotto il 6, le lettere e le visite degli amici per assicurarsi che stesse bene.
Sherlock sentiva che l’ombra che attendeva che gli venisse aperto poteva significare o la fine definitiva, o un nuovo inizio.
così aprì con la stessa rapidità con cui si strappa un cerotto.  



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e con questo capitolo si conclude la storia, vi chiedo umilmente perdono per il ritardo clamoroso.
spero che vi convinca come finale (*a me particolarmente*).
Ringrazio : chi segue, chi recensisce,chi legge,chi l’ha messa tra i preferiti e i ricordati… ma soprattutto grazie a Xaxi che beta in modo rapido, conciso e chiaro. (*ti ringrazio infinitamente ed in bocca al lupo per gli esami!*)
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D  
 
  
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