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Autore: Tota22    09/06/2015    1 recensioni
Una panchina verde e scrostata in un parco giochi di periferia testimonia l'incontro tra due sconosciuti. Nonostante abbiano in comune ben poco, i due ragazzi si ritrovano a intraprendere un viaggio che ha come complice la notte. Il sorgere del sole è il traguardo della gara, la sfida è vivere come se fosse l'ultima notte sotto il tetto del mondo. Sarà l'alba a decidere se sciogliere o saldare per sempre un legame inaspettato.
[Momentaneamente sospesa]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

Confessione

Oliver


Oliver aveva guidato tutto il pomeriggio a vuoto per la città, senza fermarsi, senza appoggiare le suole delle scarpe a terra.

Non voleva altra compagnia a parte quella dell'asfalto consumato di incroci e rotonde, il vento freddo che toccava la pelle burlando i vestiti, quella della sella solida della sua moto e il rombo gracchiante del motore.

Alle quindici di quel pomeriggio era uscito dalle porte automatiche dell'ospedale in uno stato di trance, da quel momento in poi non ricordava nulla a eccezione della sensazione delle chiavi fredde tra le dita e la familiare percezione del suo corpo che si fondeva con ogni spigolo e curva della sua Kawasaki Ninja H2; la vibrazione della marmitta attraverso la carne, come se anche lui fosse fatto di valvole, pistoni e lucida carrozzeria nera. Era partito a fuoco e aveva attraversato il parcheggio in contromano, il cuore a mille.

Quattro ore di solitudine, libidine adrenalinica, sospensione in un mondo fatto solo di spensierata e incosciente velocità, l'avevano salvato momentaneamente dal peso di quella notizia che non avrebbe mai voluto sentire, ma che alle quattordici e quarantacinque di quel dannato pomeriggio gli aveva cambiato la vita.

La sua Odissea senza meta si era arrestata in un quartiere popolare, da qualche parte nella periferia sud della città, quando il serbatoio della moto era rimasto più secco di una gola arida.
Sceso dalla sella già si sentiva peggio. Tolto il casco un nodo gli attanagliò la trachea rendendo impossibile respirare. Fatti due passi sulle gambe malferme tutto quello che avrebbe voluto fare era sparire di nuovo nel il vento e non fermarsi mai più.

Così preso dalla guida non si era reso conto di dove fosse finito e l'ultimo distributore l'aveva passato mezz'ora prima. Guardandosi intorno vedeva solo squallide borgate, qualche negozietto con le saracinesche abbassate, strade trascurate poco illuminate.

Indeciso sul da farsi aveva fatto vagare lo sguardo, finché un tenue bagliore rosso  gli aveva ferito la retina e attirato l'attenzione. Strizzando gli occhi, nella penombra della sera giovane, scorse due altalene uno scivolo e una giostra piuttosto malridotti, cacciati dentro a un piccolo parco giochi. Muovendo passi incerti verso la luce rossa, così simile a un fuoco fatuo che richiamava sventurati viandanti nei recessi di un bosco incantato, Oliver distinse la figura di un ragazzo sdraiato mollemente su una panchina intento a fumare.

Dopo qualche tentennamento decise di avvicinarsi, non se la sentiva di star solo in quel postaccio, magari avrebbe potuto chiedergli una sigaretta e qualche indicazione stradale.
Mentre attraversava zoppicando il piccolo parco, la cenere brillante della sigaretta tracciava strani simboli nell'aria mentre veniva agitata dalle dita sottili del ragazzo sulla panchina... messaggi criptici e ipnotizzanti venivano riprodotti da quella luce danzante.
Oliver notò che il ragazzo stesso aveva un ché di fatato, elfico, sensazione suggerita dai lineamenti affilati, dal corpo snello ed etereo.
 Quella strana creatura di periferia era così persa nei suoi pensieri, gli occhi fissi sulla trapunta stellata del cielo, che nemmeno quando Oliver si era ritrovato a pochi passi aveva dato cenno di averlo notato.

Oliver fece un respiro profondo e si decise a chiedergli una sigaretta. La sua voce era uscita dalla gola distorta e ruvida che quasi non la riconobbe.
Poi seguì un minuto di silenzio, il minuto più lungo che Oliver avesse mai vissuto. Al suono della sua voce il ragazzo-elfo aveva chiuso gli occhi e le labbra erano rimaste serrate come se volesse chiudersi dentro di sè, eliminando ogni contatto con il mondo esterno.
Il ragazzo in piedi sentì uno strano senso di colpa per aver disturbato il deliquio mistico in cui lo sconosciuto sembrava essere caduto. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto riuscirci anche lui a estraniarsi da tutto.

Dopo quei sessanta secondi interminabili, ragazzo-elfo si era tirato su e gli aveva passato sigarette e accendino, lasciandogli posto al suo fianco nella maniera più naturale del mondo.
Sollevato Oliver gli si era seduto accanto dedicandosi alla sua sigaretta.

Tuttavia era nervoso, quello sconosciuto gli metteva inspiegabilmente molta soggezione. Non sapeva se rompere il ghiaccio chiedendogli qualche informazione o lasciare che il tempo si consumasse, come la sigaretta che aveva tra le labbra, in assoluto silenzio.
Automaticamente la sua gamba buona aveva iniziato a muoversi su e giù. A ogni battito sul terreno secco sotto i piedi, Oliver ringraziava che ancora funzionasse, che quell'ammasso di muscoli ossa e fibre nervose rispondesse ai suoi comandi. Il solo pensiero che la sicurezza di poter compiere quella semplice azione, naturale e scontata, si sarebbe infranta nel giro di qualche anno gli faceva piombare un peso sul petto che gli bloccava il respiro.

Poi ragazzo-elfo aveva parlato e lui era andato in panico.
All'inizio era solo confuso dalle sue strane domande, ma poi il significato di quelle parole era stato assorbito dalla mente e aveva scatenato in lui il terrore più nero.

Lui sapeva? Come aveva fatto? Alzò lo sguardo inebetito per incontrare gli occhi verdi di ragazzo elfo, erano di un verde fangoso e oscuro. Pensieri irrazionali e fuori da ogni logica gli attraversarono la mente, quello sconosciuto aveva poteri magici, sapeva leggere il pensiero?
Gli aveva risposto velocemente, nervoso, dicendo che stava benissimo e aveva smesso di muoversi. Il ragazzo al suo fianco sembrava soddisfatto della risposta e si era limitato ad accendersi un'altra sigaretta, con un ghigno beffardo dipinto sulla sua faccia da folletto.

Il silenzio si era fatto strada di nuovo fra di loro, mentre la coscienza in subbuglio di Oliver tornava ad acquietarsi. Dopo qualche secondo ripudiò i pensieri stupidi che gli avevano incasinato la testa. Altro che poteri magici, quello era solo uno stronzo con un pessimo senso dell'umorismo. Una rabbia stranamente controllata  e calcolatrice cominciò ad offuscargli il giudizio. Che diritto aveva quello sconosciuto di farlo sentire così male? Renderlo insicuro e ferito, chi gli dava il diritto di prenderlo in giro? Era scappato dalla sua famiglia e dai suoi amici quel giorno proprio per non doversi sentire così e il primo passante di turno gli faceva mancare la terra sotto i piedi? Oliver sentì il bisogno di ferirlo con le parole ripagandolo con la stessa moneta, per quanto l'offesa fosse stata involontaria. Voleva farlo sentire una merda come si sentiva lui. Perlomeno si sarebbe sfogato.

- In realtà ti ho detto una bugia -

Il ragazzo lo guardò confuso, incatenando i suoi occhi verde palude con quelli Oliver che prese il suo gesto come un segnale per continuare. Allora puntò il naso verso il cielo e un fiume di parole sgorgò dalle sue labbra alla nicotina.

- Tutto è iniziato tre mesi fa, solita corsa serale. Sono inciampato tre volte nel giro di cento metri. Forse sei stanco, mi sono detto, non è niente.. una dormita e passa tutto.
Non è stato così, ho iniziato a inciampare più spesso. La gamba sinistra non rispondeva più ai miei comandi, un ingranaggio arrugginito che ogni tanto salta un dente. -

Il ragazzo inspirò pesantemente per poi tirare una boccata di fumo, la sigaretta ormai al filtro, la brace rossa destinata ad estinguersi in pochi secondi. Ragazzo-elfo lo ascoltava in silenzio, inquadrandolo nella sua visuale periferica, immobile e attento ad ogni parola, come se stesse bevendo quella voce roca, toccando quelle emozioni complicate che lo investivano, impastate nelle parole del suo compagno di panchina.

- Dopo un po' ho capito che non era stanchezza o stress. Così sono andato dal dottore.
Due mesi di esami clinici del cazzo da mezza dozzina di specialisti per dirmi che non sapevano niente. Finché non hanno deciso di staccarmi un pezzo di midollo e studiarlo.

 Allora BOOM, si viene a sapere che sono fottuto.

 Manco sapevo esistesse questa malattia, ma quando il Dottor Millelauree l'ha detto ad alta voce davanti a mia madre e mio padre... da come si sono messi a piangere ho capito che era grave.
I dottori hanno cercato di spiegarmelo, con quei loro paroloni da medici, che ci si può convivere, il processo degenerativo si può rallentare, ci sono cure sperimentali... Non ci ho capito molto in tutto quel parla parla, continuavano a dire che non erano sicuri, che c'era ancora la possibilità che fosse altro... ma se così non fosse comunque per loro sono fortunato. Pare sia raro che si manifesti alla mia età e una diagnosi nella prima fase della malattia può far guadagnare del tempo.

Gli avrei voluto chiedere qual è il loro concetto di fortuna.

Alla fine ho scritto SLA su Google. 

Attacca il sistema nervoso che controlla i muscoli, piano piano questo si spegne e tu rimani intrappolato nel tuo corpo, immobile, finché non ti cedono i polmoni o il cuore. Il tuo corpo diventa la tua stessa bara, una fossa da morto.

Quindi sì... in effetti ho una patologia, ma è tutto il contrario di quella che hai suggerito tu. Ti giuro che pagherei per fare cambio ed essere costretto ad agitare la gamba tutta la vita. -

Oliver buttò fuori l'ultimo sbuffo di fumo prima di scagliare il mozzicone lontano. Una parabola vermiglia nel buio della notte.
Si girò verso il suo vicino di panchina che lo stava guardando come se avesse appena ricevuto uno schiaffo, le labbra premute una sull'altra, allo stesso modo di quando prima sbirciava nell'abisso del cielo, mentre la luce rossa della sua seconda sigaretta, ancora a metà, brillava immobile.

 
  
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