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Autore: charliespoems    10/06/2015    5 recensioni
Il dolore e l’odio di Sasuke erano troppi per essere contenuti in quell’esile corpo. Lo spirito combattivo di Naruto, invece, gli lacerava l’anima. Tutte quelle emozioni erano esagerate anche per loro, quelli che sarebbe dovuti diventare gli eroi, ma che morirono da tali, uccidendosi a vicenda.
In una pozza di amore e sangue, con le parole non dette sulle labbra, le lacrime incastrate nelle ciglia e il cuore che, debolmente, batteva. Eppure a tutti è data una seconda possibilità, e Sasuke deve ancora riscattarsi. Deve riscattare lui, gli Uchiha, l’amore del ragazzo che giace al suo fianco.
E tutto si racchiude in un fascio di luce, che lo accoglierà accarezzandolo. Gli ricorda il suo Naruto, e ci si tuffa dentro.
Sasuke sconterà la sua pena, capirà i suoi errori in modo giusto seppur doloroso. Lo stesso dolore che, a causa sua, ha subito Naruto.
Perché nel nuovo mondo - quello di città, dove nessun coprifronte o casata conta - Sasuke dovrà rincorrerlo, e fare di tutto per essere di nuovo suo.
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Storia nata da una fanart trovata su Tumblr. É un esperimento; considerata un AU, ma sempre collegata al mondo del manga.
É la mia prima storia, spero vi incuriosisca!
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Sorpresa | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo terzo.
Sorprendere, stupirsi, è cominciare a capire.
   
   «Sorpresa!» capelli argentati, sorriso storto da idiota di prima categoria, denti appuntiti e braccia conserte. Suigetsu Hozuki lo guardava dall’alto al basso, seduto a gambe incrociate da sopra il bancone, davanti ad una Karin fin troppo agitata e da un Jugo impassibile come suo solito. Sasuke rimase per qualche secondo interdetto, cercando con lo sguardo il fratello maggiore. Cosa cazzo ci fanno loro, qui? Si chiese, sconcertato. Serrò le labbra, non se l’aspettava proprio. Sentiva il cuore stringersi ma non seppe il motivo. Non era poi così bravo a controllare le emozioni: vita nuova o meno, sempre lui rimaneva. Lo sguardo era impassibile come suo solito, appunto – non che gli altri si aspettassero qualcosa di diverso – mentre Suigetsu ciondolava avanti e indietro con la schiena, in attesa di qualche parola, o meglio, monosillabo. D’altronde si sapeva: Sasuke era il tipo più espansivo e assurdamente solare che conosceva. Sì, nei suoi sogni più fantasiosi. Sorrise di più, stirando la coda degli occhi, mentre la battutaccia era pronta ad uscire. «Ti blocco prima» disse atono, guardandolo con quegli occhi che sembravano oscurarsi sempre più.

    Non riusciva a comprendere. Non avrebbe dovuto pagare lui i suoi errori? E allora per quale dannatissimo motivo i suoi compagni di Team- No, loro non erano i suoi compagni. O probabilmente sì. Rimase con le labbra socchiuse. Che rapporto aveva con quei tre? Di nuovo la stretta al cuore si fece più intensa. Odiava sentirsi in quel modo, odiava quel posto, odiava non dover indossare la katana, odiava dover interagire in luoghi e modi di fare che non conosceva minimamente. E odiava loro, perché non sarebbero mai dovuti andare in suo soccorso. Doveva riscattarsi, era in quella dimensione perché era stato lui a sbagliare, e nessun’altro. Nemmeno Itachi avrebbe dovuto essere lì, a guardarlo con gli occhi pieni di sentimento, mentre gli sorrideva come sempre aveva fatto. Gli venne in mente la scena della sua morte, mentre con la fronte scivolava sulla lastra di pietra al suo fianco. Pensò che il cuore stesse per scoppiargli, in quel momento. Strinse forte la mano destra – la sinistra aveva deciso di non funzionare – sentendosi troppe paia di occhi puntati addosso. Era vero, probabilmente doveva cambiare la sua vita in quella dimensione prima di tutto facendosi aiutare. D’altronde era lì per rimediare ai suoi errori, ed uno dei primi era stato proprio quello di prendersi delle stupidissime responsabilità da solo. Ma loro, loro che colpe avevano per essere lì, ad aiutare lui?

     «Oh no, sta cominciando a farsi le seghe mentali» esclamò con falsa agitazione, Suigetsu, ridestandolo dai suoi pensieri. Erano davvero ragionamenti privi di senso? Ma perché in quel mondo pensava così tanto, arrovellandosi il cervello? Che razza di mente malata possedevano gli umani, in quel posto? Probabilmente Suigetsu aveva ragione, stava solo pensando troppo. Avrebbe dovuto affidarsi di più alle azioni ed essere meno calcolatore. Un po’ più impulsivo, forse. E chissà per quale assurdo motivo gli venne in mente una zazzera bionda, seguita da un paio di occhi blu che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Naruto. Ci pensava spesso: dove si trovasse, cosa stesse facendo, con chi fosse. Era da circa un mese in quel mondo, più o meno si era abituato alle strade ed ai luoghi, alla tecnologia, ai mezzi di trasporto con nomi indecifrabili – come si chiamava, merò? – e che raggiungevano distanze incredibili. D’altronde era più semplice, perché il sé di quella vita conosceva già tutto. Era la parte di cervello nata a Konoha a dover fare il doppio del lavoro cercando di ambientarsi.

    «Sa-Sas’ke-kun, ci sei mancato tanto! Questo è un postaccio, niente chakra e niente cure mediche. Però ci sei t-tu, e va bene così. Come stai?» chiese un po’ titubante l’Uzumaki, facendo roteare gli occhi verso il cielo al compagno seduto dinanzi a lei. «Non ti è accaduto nulla di preoccupare, non è vero?» contribuì Jugo, osservandolo attentamente per controllare che non avesse segni di violenza visibili. «Oh, ma cosa siete, sua madre? Per carità, con chi devo condividere l’aria» protestò Suigetsu. «Prima avresti detto l’acqua» lo schernì Sasuke, con il tipico ghigno che non metteva in viso da tempo. «Touché! In ogni caso mi manca essere una pozzanghera. Adesso i pugni di Karin fanno un po’ più male» si grattò la nuca, sorridendo sempre di più. La rossa fece finta di non aver sentito, puntando la sua attenzione unicamente sull’Uchiha. «Si può sapere cosa ci fate voi qui?» chiese lui, guardandoli uno per uno. «Ti pariamo il culo, mi sembra ovvio. Sempre che il biondino non arrivi prim-» un pugno da parte del moro lo fece star zitto, per poi scoppiare a ridere.

     Sasuke guardò Itachi, ripetendo la domanda con lo sguardo. «Tutti hanno una propria vita, in questa dimensione. Ce ne sono diverse per la verità, ma il Sannin ha scelto proprio questa. Avrai potuto notare che qui ci sono molte differenze rispetto a Konoha, anche in base al livello di pensiero» puntò un indice su una tempia, ad indicargli il cervello. Poi continuò: «Non conta che tu sia stato un ex-nukenin nella tua precedente vita, in questa potrai contribuire a migliorare anche per quella appena trascorsa. D’altronde sei morto solo un mese fa, giusto?» «Tu sei qui da molto, Itachi-san?» chiese Jugo, incuriosito dall’argomento. «Da quando sono morto. Ho incontrato i miei genitori per poi cercare un modo per far migliorare il futuro di Sasuke. Ho riposto tutta la mia fiducia su Naruto, e posso dire che non mi ha tradito. È un bravo ragazzo e sono contento che Sasuke possa riscattarsi, soprattutto per lui oltre che per sé stesso» prese una pausa, guardando quegli occhi onice così simili ai suoi. «Inoltre tutti, una volta morti, ci rincarniamo per affrontare una nuova vita. Solamente che la nostra memoria viene cancellata. Quello che io ho chiesto è che nessuno dei tuoi amici, io e te perdessimo la memoria, in modo tale da ricordarci tutto. Potremo aiutarti, ma aiuteremo anche noi stessi per eventuali errori commessi. È una grande opportunità quello che il Sannin ci ha donato» precisò. «Non sei al centro del nostro mondo, Sasuke. Scendi dal piedistallo» Suigetsu gli fece la linguaccia, e giurò di aver visto lo spettro di un sorriso in quelle labbra fin troppo bianche.

     «Ma e cosa avresti fatto tu per volerti riscattare, Itachi-san?» «Puoi anche togliere l’onorifico, Jugo. In ogni caso, non sono stato vicino al mio fratellino, ed è giusto che ora rispetti il mio incarico» rispose, osservano l’imbarazzo divorare poco a poco l’espressione ormai fintamente apatica del fratello. «Ma allora perché mamma e papà sono morti anche in questa vita?» chiese lui, stringendo le dita della mano funzionante. «Questo non te lo so dire, Otouto. Sono morti quando in questa vita avevo dodici anni e tu quasi otto. A quanto pare doveva andare così e basta» rispose, lo sguardo nel vuoto. «Sì, vedo delle immagini, ora che ci penso, e sento dolore» commentò Sasuke, sentendo una strana sensazione alla pancia. Era come se bruciasse. Karin singhiozzò: si era commossa, come suo solito. «Non c’è bisogno di piangere, scema. Allora che farai quando saprai che al tuo amato Sas’ke piace prenderlo nel-» «Suigetsu, giuro che adesso ti strozzo»
 
 
    Aveva preso la passione per la pittura ed il disegno da suo padre. Da quello che Iruka gli aveva raccontato era un famoso artista, mentre sua madre scriveva romanzi fantasy per ragazzi. Non ne aveva mai letto uno per paura di suscitare ricordi e troppo dolore da contenere. Ne sentiva così tanto nel suo petto che rivangare i ricordi avrebbe fatto male, e nonostante fosse maturato in quegli anni non si sentiva pronto. In realtà non si sentiva parte di quella vita. Le dita andavano da sole, puntando il pennello sulla tela e sporcandolo di mille colori. Molto spesso chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare dalla magia di quelle tempere e dal loro odore. Disegnava paesaggi a lui sconosciuti, distese d’acqua, tramonti. Ma mai quel terreno che ogni notte sognava. Più cercava di memorizzarlo e più appariva sfocato nella sua mente, mentre di notte era tutto così chiaro. Sembrava una presa per il culo.

    Non aveva mai fatto vedere i suoi quadri a nessuno, nemmeno al suo tutore. Erano una cosa personale. Lui dipingeva per sé stesso, non per gli altri. Per trovare una pace interiore che sentiva di non avere. Gli sembrava di essere inciampato in quella vita per sbaglio, e ne risentiva parecchio. In realtà una persona che vedeva i suoi quadri c’era: il suo insegnante, Jiraya, che però morì due anni prima. Ricordava poco dei suoi insegnamenti. L’unica cosa che gli aveva affidato era un libro scritto da lui. Diceva che era importante che lui lo leggesse, eppure si trovava ancora dentro all’ultimo cassetto della sua scrivania, gettato al fondo sotto una marea di scartoffie di ogni genere. Non amava leggere, e non la reputava una cosa poi così indispensabile. Anche se Iruka lo guardava con occhi colmi di rimprovero. Si sentiva come se tutti potessero giudicare. Ma che diamine ne sapevano, loro? Sospirò: non doveva avere quel genere di pensieri. Gli volevano tutti tanto bene, lui, Sakura e Jiraya. Pensò che forse quel giorno avrebbe potuto leggere almeno il prologo – sempre se ne aveva uno – di quella storia che, dava per scontato, fosse stramba e contorta.

    Sobbalzò quando vide una figura dai capelli rosa saettare alle sue spalle, con un sorriso imbarazzato nelle labbra. Cercò di coprire la tela alla bell’e meglio, ma Sakura lo bloccò. «Lo so che odi quando qualcuno ti interrompe, scusami. Ero solo curiosa, sono qui fuori da una quindicina di minuti. Sei più lento del solito oggi, tutto bene?» chiese, abbracciandogli la schiena. «Sei una stalker, Sakura-chan. Mi spii sempre?» chiese, e scosse la testa esasperato quando l’altra annuì. «Mi fai vedere qualche tua opera? Per favore, Naru» chiese, gli occhi verdi colmi di speranza. Naruto sospirò ad alta voce, facendole segno di seguirla. Le fece vedere alcuni suoi quadri. Erano tutti paesaggi meravigliosi, frutto della sua immaginazione, ad eccezione di uno: il parco. Sakura sgranò gli occhi quando vide il corpo di Naruto raffigurato disteso, con una sfera blu – luminosa – tra le mani. Lanciava dei lampi e saette azzurre ovunque. Deglutì. «Questo come ti è venuto?» chiese, indicandolo. «Il giorno che mi sono rotto il braccio è successa una cosa del genere. Solo che ho cambiato la palla blu in questa… cosa. Non so come mi sia uscita, sinceramente. È un po’ come questo» le indicò un altro quadro, e Sakura dovette mordersi la lingua a sangue per evitare di cacciare un urlo esasperato.

    Un ponticello che si affacciava al fiume, circondato da erbetta. Riusciva ancora a sentire la solitudine, vedendo la schiena di Naruto affianco dalla sua. Erano seduti, probabilmente con i piedi immersi nell’acqua, mentre le braccine del biondo erano rivolte verso il cielo. Erano bambini, e anche se di schiena la ragazza riuscì ad immaginare benissimo il volto felice di Naruto, affianco a quello latteo e terribilmente serio di Sasuke. Sasuke. Solamente a pensare il suo nome le lacrime minacciarono di traboccare. «I miei complimenti, sono bellissimi, Naru» gli sorrise, commossa. Lui poteva ricordare. Lui infondo sapeva ogni cosa di Konoha, del suo villaggio, del suo Team. Non avrebbe mai potuto resettarlo in quel modo. Si chiese solo perché anche lei non fosse come lui: sorridente, gentile, empatica. Più pensava al passato, ai loro corpi vicini e ormai privi di vita, e più sapeva di star morendo anche lei. Aveva fatto di tutto per fare in modo che si svegliassero, quando Kakashi l’allontanò di forza e Tsunade l’abbracciò con gli occhi velati dalle lacrime. Sasuke, dove diamine sei?

    «Ti ringrazio! Che dici, ti va se usciamo? Iruka mi ha dato due biglietti per lo zoo, pensavo ti sarebbe piaciuto» e ancora una volta le sorrise, sciogliendole il cuore. «Va benissimo» ricambiò lo sguardo affettuoso, per poi seguirlo. Camminarono parlando del più e del meno. Non sapeva nemmeno che ci fosse, il circo. Era l’ultimo dei suoi pensieri. Avrebbe voluto vedere il ragazzo al suo fianco con il tipico andamento scomposto, mentre trotterellava dietro Kakashi e sfidava Sasuke fino alla morte. E non le sarebbe importato se avesse fatto da spettatrice un’ennesima volta. Voleva solamente abbracciarli stretti e portarli a casa. Konoha le sembrava così distante, in quel momento.
«Ho sentito che ci sono tutti i tipi di animali. Non ho mai visto un panda in vita mia, devono essere giganteschi!» alzò le braccia verso l’alto il biondo, enfatizzando la sua curiosità. Le sorrise dolcemente, e Sakura non poté fare a meno di pensare quanto Sasuke si stesse perdendo. Era stata fortunata a crescere insieme a Naruto, alla sua spontaneità e voglia di vivere. Eppure, in un modo o nell’altro, invidiava il suo compagno traditore. Perché stare lì, con gli occhi blu scintillanti di Naruto ad un soffio dal naso, mentre lui non ricordava nulla di quella vita passata fra il dolore delle perdite e la gioia delle vittorie, era doloroso. Faceva così tanto male che Sakura delle volte pensava di morire. E anche se si sforzava di non piangere, le lacrime scendevano da sole, inumidendole il viso senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Si chiese perché fosse da sola. Dov’erano tutti i loro compagni? Perché quel peso doveva portarlo solamente lei? Strinse forte i denti, notando l’insegna dello zoo farsi sempre più vicina.

    Una volta pagati i biglietti e aver sentito ruggire i primi leoni, Naruto l’aveva trascinata di gabbia in gabbia con occhi lucidi di ammirazione. Si erano spostati nella zona acquatica, avevano visto gli ippopotami, erano ritornati dai felini per poi spostarsi alle scimmie. «Contento? Sei fra i tuoi simili» scherzò Sakura, vedendolo emozionato come un bambino. «Quanto sei cattiva, Sakura-chan» mise il broncio, incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance, nella tipica espressione da strapazzare di coccole. E infatti la rosa se l’abbracciò stretto, scoppiando a ridere e stampandogli un bacio nella guancia. La riprese per mano, per poi dirigersi verso gli animali separati dal recinto. Era davvero entusiasta di quella piccola gita. Era solo uno zoo, lo aveva visto parecchie volte con Iruka, eppure si sentiva felice. Aveva messo da parte i sogni, i ricordi, la morte. Tutto andava bene in quel momento e lui si sentiva più leggero, mentre stringeva la mano di Sakura. Sperava con tutto il cuore che anche lei stesse bene, in quel momento. «Sakura» la chiamò, fermandosi poco prima di andare a vedere l’attrazione principale: i panda. «Sì?» «Sei felice? Ora, dico, sei felice?» chiese. La rosa perse un numero di battiti indefinito, prima di specchiare i suoi occhi verdi in quel blu così bello che, sì, la faceva star bene. Si morse le labbra. Forse era meglio così: essere l’unica insieme a lui, per lui. «Certo che sono felice»

     Dentro la recinzione si trovavano varie animali, inutile dire che Naruto diede loro un’occhiata meravigliata anche se piuttosto veloce, poiché sfrecciò verso i tre panda che sostavano vicino ad una gabbia. Due erano piccoli, mentre uno era grande, anzi, enorme. Sembravano così teneri che al biondo venne un’insana voglia di scavalcare il recinto e abbracciarli tutti. I cuccioli giocavano tra loro, emettendo strani versi che lo fecero sorridere. Sembravano arrabbiati, ma era visibile quanto stessero giocando. La loro espressione, per quanto lui poteva capirci qualcosa, era rude. Eppure sembravano particolarmente affiatati. «È probabile che più avanti diventino amanti, soprattutto se continueranno a stare qui» Naruto sobbalzò alla voce che da dietro le spalle richiamò la sua attenzione. Un ragazzo in divisa, con un’espressione serena ma professionale in volto ricambiò il suo sguardo. Era in divisa, quindi quelle erano informazioni utili. «Scusami, non volevo spaventarti» disse poi, imbarazzato. «Naru?» Sakura lo chiamò, per poi bloccarsi per qualche attimo sul posto, una volta vista la chioma rosso fuoco dell’altro ragazzo.

    Gaara era particolarmente diverso in quel mondo: i capelli lunghi sino alla base del collo, il tatuaggio della fronte sparito, le occhiaie erano diminuite e il suo viso era così sereno da non sembrare lui. Gli sorrise calorosamente. Non era certa che il rosso sapesse qualcosa della nuova vita, ma non le importò. «Scusa l’interruzione. Continua pure» Gaara l’osservò, sorridendo di circostanza. «Era solamente un’informazione, niente di più. Scusatemi voi. Da questa parte potete trovare anche le volpi, di cui una particolarmente vivace. È l’attrazione per i bambini» sorrise apertamente, in quel momento. Mentre si spostavano, Sakura gli poggiò una mano in una spalla, ricambiando il sorriso. Nel frattempo, quella fredda del ragazzo si era già posata sulla sua. «Ci vediamo» le sussurrò, mentre Naruto le gridava di raggiungerlo.

    Le volpi erano cinque, ognuna per conto proprio: chi beveva, chi si lavava, chi restava all’ombra e sonnecchiava. Una, invece, prendeva a ringhiare contro dei ragazzini che si avvicinavano. Uno provò a mettere una mano, ma un accompagnatore lo esortò immediatamente a smetterla: avrebbe potuto sbranarlo. Spiegò inoltre che non era stata educata a dovere, poiché presa da poco e quindi ancora selvatica. Eppure non doveva essere così complicato addomesticarle, o no? Si chiese Naruto, ascoltando da lontano la conversazione. Dopo un po’ si avvicinò, inginocchiandosi proprio di fronte alla volpe, mentre quello stesso operatore gli pregava di stare indietro. «Voglio solo vederla da vicino» gli disse poi, assicurandogli di non fare niente di sbagliato. La guardò negli occhi continuamente, perdendosi in quel castano misto all’arancione del suo pelo. Era grande, sembrava quasi più importante rispetto alle altre. E continuava a ringhiargli addosso.

     Naruto si sedette a gambe conserte, mentre Sakura da una parte rimaneva a guardare con un sorriso dipinto in volto. Dovette lottare per non emozionarsi, nel vedere quanto il suo amico fosse naturale con l’animale. Tutto si ricollegava così bene. Inoltre vedere Gaara le aveva dato sicurezza. «Ne Sakura-chan, dici che mi odia?» le chiese, mentre altre persone si avvicinavano un po’ impaurite. «No, Naru. Secondo me non ti odia per niente» «Ha un nome?» chiese poi all’operatore. «Kurama» Naruto dovette tenersi al pavimento per non cadere, in preda ad un capogiro. Guardò gli occhi della volpe, mentre la sua vista gli si offuscava. «Tutto bene?» gli chiese l’operatore, mentre delle persone lo guardavano preoccupate. «Aspetti, non lo tocchi» sussurrò Sakura, sperando vivamente di essersi fatta sentire. Naruto si rialzò, mantenendo sempre lo sguardo sulla volpe. «Kurama, eh?» sorrise, poggiando una mano aperta sulle sbarre della gabbia, e rise più forte quando la zampa della volpe si appoggiò alla sua stessa mano.









Angolo autrice:
premetto dicendo che il titolo di questo capitolo è una citazione di 
José Ortega y Gasset.
Venendo al capitolo. So che non è esattamente l'ora adatta per pubblicare, ma pazienza, quando c'è l'sipirazione non si può far niente.
Allooora, diciamo che cominciano a venir fuori i personaggi. Sto cercando di renderli il più ic possibile - nonostante quello di Sakura oramai non lo è per niente - ma in tal caso non fosse vi pregherei di segnalarmelo. So che può dar fastidio. In ogni caso, se devo essere sincera credo che le figure del Team Taka (e soprattutto fdi Suigetsu) siano importantissime per Sasuke. Devono aiutarlo a ragionare, a gestire le sue azioni nel modo migliore e, soprattutto, a sfotterlo (grazie Suigetsu).
Per quanto riguarda Naruto, comincia a vedere sempre più chiaro. O almeno, questo è quello che intende Sakura. In questo capitolo abbiamo la figura di Gaara e di Kurama. É una volpe normalissima, forse un po' più egocentrica e rumorosa, ma non cattiva. É pur sempre Kurama, dopotutto. Credo che queste due figure siano ugualmente importanti per il biondo. Più avanti si vedranno per bene tutti i personaggi e il loro aiuto verso i due strambi protagonisti.
Bene, in pratica non ho detto niente di sensato come al solito.
Ribadisco che se per caso troviate errori devono essermi sfuggiti, scusatemi. Al prossimo capitolo!
Un bacione,

Charlie;
   
 
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