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Autore: charliespoems    26/06/2015    5 recensioni
Il dolore e l’odio di Sasuke erano troppi per essere contenuti in quell’esile corpo. Lo spirito combattivo di Naruto, invece, gli lacerava l’anima. Tutte quelle emozioni erano esagerate anche per loro, quelli che sarebbe dovuti diventare gli eroi, ma che morirono da tali, uccidendosi a vicenda.
In una pozza di amore e sangue, con le parole non dette sulle labbra, le lacrime incastrate nelle ciglia e il cuore che, debolmente, batteva. Eppure a tutti è data una seconda possibilità, e Sasuke deve ancora riscattarsi. Deve riscattare lui, gli Uchiha, l’amore del ragazzo che giace al suo fianco.
E tutto si racchiude in un fascio di luce, che lo accoglierà accarezzandolo. Gli ricorda il suo Naruto, e ci si tuffa dentro.
Sasuke sconterà la sua pena, capirà i suoi errori in modo giusto seppur doloroso. Lo stesso dolore che, a causa sua, ha subito Naruto.
Perché nel nuovo mondo - quello di città, dove nessun coprifronte o casata conta - Sasuke dovrà rincorrerlo, e fare di tutto per essere di nuovo suo.
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Storia nata da una fanart trovata su Tumblr. É un esperimento; considerata un AU, ma sempre collegata al mondo del manga.
É la mia prima storia, spero vi incuriosisca!
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Sorpresa | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo quattro.

Non scordarti di me anche se ti giudico; senza di te non sono capace di nulla.
 

    
      «Da quanto tempo sono sulla Terra, padre?» chiese, mentre giocava con le sue dita. Tutti i mondi erano strani, visti da lì sopra. Eppure lui si concentrava solo su quella sfera colorata di blu, verde e marrone scuro. Lo incuriosiva. Si avvicinò cautamente, andando a posizionare l’indice su Tokyo, in modo tale da scrutare le vite dei suoi successori. Si divertiva nel vedere la reincarnazione sua e del suo fratello maggiore in ambiti così diversi dal loro. Essere il figlio di colui che comandava lo spazio ed il tempo non era roba da poco, eppure si sentiva così inutile. Rimaneva semplicemente a guardare come funzionavano le vite degli altri. L’unica cosa divertente era che, se avesse voluto, avrebbe potuto cambiarne il corso a suo piacimento. «Da quasi tre mesi, Ashura» rispose il vecchio, con fare stanco. Quella situazione lo stava facendo diventare matto. Aveva dato l’opportunità all’Uchiha di riscattarsi. Dopotutto era la reincarnazione del suo primogenito, ma quel ragazzo ci stava mettendo decisamente troppo.

     Indra sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Padre, non farò da balia a dei mocciosi» mise in chiaro. Il suo tono di voce era sempre piatto, come se non gli interessasse niente della vita eccetto della sua. Ashura si dispiaceva spesso per questo, perché era convinto che suo fratello potesse dare tanto. Nonostante le cose fra loro non fossero mai andate perfettamente, sentiva che magari quella vita avrebbe potuto aiutare anche loro due. Si alzò in piedi dal suo cuscino, sgranchendo le gambe. Notò lo sguardo di suo fratello e la lingua gli si impastò: era sempre un’ansia vedere quegli occhi su di sé. Sembrava lo giudicassero sempre e comunque. «Mi chiedevo se dovessimo intervenire. Non era previsto tutto questo tempo, giusto?» chiese, leggermente titubante. «Questo perché quell’idiota dell’Uchiha è solo un cretino che se la fa addosso, niente di più. Non ci vuole chissà quale indole divina per raggiungere un ragazzo biondissimo e con gli occhi azzurri, in Giappone. O mi sbaglio, padre?» ribatté il maggiore, l’espressione contrita che si faceva largo nel suo volto. Odiava tutti quanti di quel postaccio, non c’era niente da fare.

    Hagoromo li guardò con il velo di un sorriso fra le labbra. Adesso Ashura avrebbe risposto mantenendo i suoi ideali, Indra lo stesso e il solito battibecco si sarebbe presentato con tanto di cappello. Poteva notare già il più piccolo stringere forte i denti. Probabilmente si stava trattenendo. Sospirò, notando quanto i suoi figli non fossero cambiati poi così tanto. E dire che portarli con lui era stato così faticoso: uno così contento di vedere l’altro, e l’altro così ostile nei suoi confronti. Li guardò attentamente: così diversi ma al contempo così simili. Si ricordò della situazione più importante, ovvero quella dei due disgraziati e della loro nuova vita. Avrebbe potuto controllare i pensieri di Naruto, fargli vedere qualcosa di più chiaro, ma non sarebbe stato giusto. In primis perché l’Uchiha doveva darsi da fare, e in seconda cosa perché lui aveva già fatto abbastanza per loro. «Se la situazione peggiorerà andrete entrambi dall’Uchiha. Spero non sarà necessario» rispose. «A me sarebbe piaciuto andare da Naruto, in realtà» tentennò Ashura, guardando il padre. «Piantala di fare il marmocchio e accontentati. Almeno tra i due il traditore è il più sano di mente» si sedette di fianco al padre, Indra, non ammettendo repliche. Tanto che anche Ashura andò a sedersi, rimanendo in silenzio.
 
 
   Affannava fra le coperte che gli avvolgevano buona parte del corpo. Si disse che era impossibile continuare in quel modo, forse ne avrebbe dovuto parlare con qualcuno. Quelli erano ricordi suoi, ne era sicuro. Ma con chi avrebbe potuto parlarne? Chi gli avrebbe creduto fino a quel punto? Lo avrebbero spedito da uno strizzacervelli in una clinica sepolta chissà dove, lontano dalla luce del sole e dalle persone. E lui con la solitudine non andava proprio d’accordo. Urlò sul cuscino, liberandosi almeno in parte di quel gran peso. La terra era sempre la stessa, il sangue il suo e di quell’altro, la figura nera che si scagliava contro di lui. E quella volta persino la palla blu nelle sue mani che scintillava, mentre dall’altra parte saette blu e viola si avvicinavano verso di lui. Continuò a respirare forte, cercando di calmare il battito del suo cuore che andava sempre più veloce, mentre ricordava. Ogni scena gli passava nella mentre sempre meno chiara. Succedeva così ogni qualvolta decidesse di ricordare il sogno, anche se si era appena svegliato.

    Si alzò, cercando un bicchiere d’acqua. Aveva bisogno di sciacquare il viso e di decidere cosa fare. Chi diamine era quella persona che lottava contro di lui? Sentiva una strana adrenalina addosso, quando lo affrontava. Le vene vibravano dentro di lui, il sangue pompava così a fondo che pensava di scoppiare. Si guardò le mani: tremava. Il mal di testa non si decideva a passare e si ritrovò a sospirare frustrato. Passò una mano tra i capelli, guardandosi allo specchio. «Non hai una bella cera, Naruto» Iruka lo fece sobbalzare sul posto, non permettendo al suo cuore di calmarsi ma anzi, di peggiorare notevolmente. «I-Iruka-sensei! Mi hai fatto prendere un colpo!» si lamentò, gli occhi sgranati e le occhiaie che gli solcavano gli zigomi. Il tutore gli sorrise amorevolmente, chiedendogli cosa ci fosse di sbagliato. Il biondo scosse la testa, abbassando lo sguardo sul pavimento. «Se non ne vuoi parlare con me prova a farlo con Sakura, lei potrebbe aiutarti di sicuro, no?» e uscì dal bagno con un leggero sorriso in volto.

     Sakura. Quel nome gli vorticava in testa da un po’, chiedendosi cosa fare. Era di nuovo disteso sul letto con la canottiera che gli scopriva la pancia, e l’intimo. Non era proprio un bello spettacolo, anzi. Eppure, quando sentì un grido disumano «STUPIDO DI UN UZUMAKI, VEDI DI METTERTI QUALCOSA DI DECENTE ADDOSSO E SEGUIMI» capì che il tutore aveva chiamato la rosa per lui. Non seppe come iniziare il discorso, aveva troppe cose per la testa, e si sentiva stanco. Voleva solamente poggiare la testa sul cuscino e dormire per giorni, se poi sarebbe morto in quel modo non era un problema. Continuò a guardare il soffitto. Per quanto gli riguardava non aveva nemmeno la forza di poggiare i piedi a terra ed alzarsi, quindi come poteva raccontare il tutto alla sua migliore amica? Era richiedere troppo. Si era scocciato di quella situazione, avrebbe preferito prendersi la testa e spaccarla a sangue nel muro. Anche perché da quel sogno non ne avrebbe ricavato niente, se non le occhiate stranite di Sakura ed il suo sopracciglio destro alzato. Che situazione del cazzo.

     All’ennesimo grido da parte dell’amica si alzò, non volendo morire per causa sua. Forse gli avrebbe fatto un favore, ma prima doveva schiarirsi le idee. Decise di parlargliene, mentre si vestiva. Prese qualcosa alla bell’e meglio, tentando di prepararsi un discorso. Guardava in qualsiasi punto della stanza ma non negli occhi della sua amica che lo aspettava nell’uscio della porta. E quando lei chiese quale fosse il problema, lui inciampò sui suoi stessi piedi, andandole addosso. «Lo so che mi vuoi tanto bene, Naru, però piuttosto che saltarmi in braccio mi dovresti dire che ti prende» rise, prendendolo in giro. «Iruka-san mi sembrava un po’ preoccupato» continuò, cercando un’espressione nei suoi occhi che in quel momento guardavano il nulla, persi nel vuoto. Si chiese a cosa stesse pensando così intensamente. «Io non so come parlartene senza sembrare psicopatico o depresso. Perché se ti dicessi che sogno cose appartenute ad una vita che non è questa sembro la prima opzione, mentre se ti dicessi che io non mi sento parte di questa vita sembrerei la seconda» incespicò, non facendo capire molto alla rosa, che infatti lo guardò accigliata. «Non ti senti parte di questa vita?» chiese, poi. I suoi occhi si dilatarono quando capì cosa voleva dire quella frase che apparentemente era senza secondi fini. Eppure per lei ne aveva, e non solo secondi, ma terzi, quarti e via dicendo. Che fosse accaduto qualcosa in sua assenza e lui avesse ricordato qualcosa di più? Gli chiese di raccontarle chiaramente, in modo da poterlo aiutare. «Non ti giudicherò, ascolterò e basta, promesso» lo rassicurò, cercando di essere il più seria possibile.

      Naruto cominciò a parlarle del sogno, prima vagamente e poi scendendo nei dettagli. Come si sentiva, quello che provava verso la persona che si trovava di fronte, quei sentimenti che si sovrapponevano fra paura, dolore, adrenalina e forse amore? Non riusciva a ricordare nemmeno il volto di quella persone, eppure quelle emozioni erano così forti che gli pareva impossibile. E l’odore del sangue che gli colava ovunque lo sentiva come se lo avesse addosso davvero. La situazione lo spaventava tanto, era una cosa nuova, non riusciva a capire il motivo di quei sogni, o visioni, o come le si vogliono chiamare. Lo sguardo di Sakura poi lo fece sentire ancora più fuori posto. Sembrava pietrificata, mentre guardava le sue labbra muoversi e raccontare il tutto. Proprio quando volle chiederle se lo stesse ascoltando, Sakura respirò a pieni polmoni. Dentro sé la ragazza pensava che doveva calmarsi, o l’impegno di quei tre mesi non sarebbe servito a niente. Eppure tremava un po’ ovunque, anche all’interno: i vari organi, ma soprattutto il suo cuore, niente riusciva a star fermo.

     Stavano lottando, si stavano uccidendo, mentre lei non c’era. Proprio quando lei avrebbe potuto evitare il trambusto, non c’era. Si era sentita in colpa ogni giorno della sua vita, a Konoha, anche quando Kakashi tentava di rassicurarla e Tsunade la spronava ad andare avanti. L’avevano lasciata indietro, era vero, ma una parte di lei era sempre e comunque con loro. Quel giorno, in un modo o nell’altro, era morta nel loro campo di battaglia, e quel racconto non poté far altro se non risvegliare tutti quei pensieri tristi che le vorticavano in mente. «Mi dispiace così tanto» sussurrò, senza nemmeno accorgersene. Subito dopo sbarrò gli occhi, tappandosi la bocca con una mano. «Per.. quello che ti sta accadendo, intendo. Certo, mi dispiace» cercò di essere il più convincente possibile, guardandolo negli occhi. Lo vide sorridere tristemente e sospirare. «Io lo so, Sakura. Conosci qualcosa di me che io ancora non ricordo, ma vorrei scoprirlo, davvero» giocava con le sue dita, mentre lo diceva, stringendole l’una con l’altra. Lei lo abbracciò, lasciando scivolare un’ennesima lacrima. Era così debole, ma allo stesso tempo così stanca, che piangere le sembrava l’unica soluzione. Se al posto di Naruto ci fosse stato Sasuke, a quest’ora l’avrebbe spinta via. Ma sorrise fra le lacrime, sentendo le braccia di Naruto circondarle i fianchi. «Che dici, usciamo?» gli chiese poi, asciugandosi gli occhi.
 
 
      Imprecò Jashin quando vide l’ennesima tazzina cadere a terra. Era la quinta solo quel giorno. Di quel passo le avrebbe rotte tutte prima ancora di utilizzarle per i clienti. Aveva le mani di burro quel giorno, non riusciva a combinare proprio niente. Era il terzo mese che lavorava ininterrottamente, chiedendo di tanto in tanto a suo fratello se avesse potuto cercare Naruto. Non poterlo vedere lo stava facendo impazzire. E i ricordi erano dolorosi. La promessa in punto di morte, quella di amarlo e basta, lo faceva sentire male ogni volta che ci pensava. Lui era anche disposto a farlo – ovviamente secondo i suoi criteri – ma quando diamine si decideva ad arrivare, il biondino? Non avrebbe potuto aspettare tutta la vita, anche lui aveva una sanità mentale da difendere. Raccolse i cocci, sotto lo sguardo divertito di Suigetsu che come al solito non faceva niente se non spronare gli altri a lavorare, seduto con le gambe conserte sul bancone. «Lì i clienti ci mangiano, scendi» Jugo lo prese sotto le ascelle, facendolo scendere giù con poca grazia. Infatti l’albino imprecò per il dolore al fondoschiena, inveendo contro il maggiore.

    Ci aveva messo secoli ad imparare come fare un cappuccino, una brioche, il caffè o chissà quale americanata. Ma i suoi genitori dovevano essere così tanto fissati con la cultura occidentale, quando erano in vita? Sospirò, buttando i pezzi della tazza nella spazzatura. Itachi gli aveva raccontato che era una cosa tutta familiare, la loro. Infatti sua madre era specializzata nella cultura occidentale dato che la loro nonna aveva vissuto in America ed Europa per parecchio tempo. Lui non sapeva nemmeno come fossero fatte, invece. E francamente nemmeno gli interessava, lui era lì solamente per vedere Naruto, nient’altro. Il punto era che, una volta visto, cosa avrebbe fatto? Gli sarebbe saltato addosso prendendolo a pugni per averci messo così tanto tempo? No, non sarebbe stato per niente da lui. Quella vita gli stava facendo avere crisi d’identità. Che razza di persona era il Sasuke Uchiha di quella terra? Lui oltre alla sanità mentale aveva anche l’orgoglio, da difendere. E tutte quelle che per Naruto e Suigetsu erano cazzate.

     «Abbiamo aperto da un mesetto però stiamo già facendo un bel lavoro, eh?» sorrise l’albino, risedendosi sul balcone e facendo alzare gli occhi al cielo a tutti quanti. Karin però non prese molto bene la domanda, e gli diede un colpo di manico di scopa sulla nuca. «Abbiamo? Stiamo? Mi viene così tanta voglia di prenderti a calci in culo che nemmeno t’immagini» urlò, tornando a pulire con forza, probabilmente anche troppa. Come se il povero pavimento avesse fatto qualcosa di male. «Stronza, ci sei andata pesante» la rimproverò l’altro, massaggiandosi la parte dolente. «Vai a fare in culo, Suigetsu» ribatté la rossa, in preda ad un attacco nevrotico. Il fatto di dover lavorare così sodo le metteva agitazione. Non era abituata ad interagire con la gente, ad essere gentile, ad offrire le cose. E soprattutto, trovava insopportabile portare il cibo o le bevande alle altre persone. Ma che andassero a prenderle da soli. Era un medico, specializzata nel combattere, il cui chakra importantissimo. Era un’Uzumaki, diamine! Non poteva servire ai tavoli agli stupidissimi civili. Per non parlare di Suigetsu che, nonostante tutta la buona volontà, la faceva impazzire. Gli lanciò uno strofinaccio in testa, prendendogli una mano e portandolo a pulire il bancone su cui per la maggior parte del tempo rimaneva seduto. «Dai, piantala di fare il nullafacente e diamoci una mano» gli soffiò esasperata, nonostante il tono fosse tranquillo.

      Itachi controllava che i conti della cassa fossero apposto. Il cellulare sempre accanto per eventuali chiamate – era pur sempre un medico, e i pazienti potevano aver bisogno di lui – mentre Sasuke tentava di sistemare le tazzine non poco distante. Il maggiore lo guardava, un po’ divertito e un po’ con estrema tenerezza. Stava penando, lo sapeva, nonostante avesse la tipica faccia di bronzo. A suo parere dormiva male la notte e aveva la testa colma di pensieri. Ma era pur sempre Sasuke, il suo fratellino, per cui era una cosa normale il fatto che non dicesse nulla. Gli sarebbe servito, però, parlare con qualcuno. Si era tenuto l’odio e la vendetta per così tanto tempo addosso, non aveva vissuto un’adolescenza, una sua vita, preso dalla voglia di ucciderlo. Alla fine era colpa sua, lo aveva lasciato in vita, aveva cercato di proteggerlo in tutti i modi, ma rovinandogli l’esistenza. E meno male che c’era Naruto. Non si era mai pentito di tutto quello che aveva fatto, poiché il Villaggio andava protetto sempre. Ma così anche lui. Vederlo così cresciuto lo aveva lasciato senza parole. Era diverso da lui, con i capelli leggermente più lunghi del solito e lo sguardo sicuro. Il corpo era tonico e lui sempre più alto. Se solo non fosse capitato a loro.

      «Itachi, ti sei incantato» lo avvertì l’altro, mentre puliva con delicatezza una tazzina in mano. Il più grande si ridestò, sorridendogli per poi terminare i suoi conti. Era un lavoro stancante, connesso a quello del medico, ma vedere le persone stare bene grazie a lui era un’emozione bellissima. Aveva deciso di studiare ed intraprendere quel mestiere appositamente per quello. Lo scopo di quella sua vita era quello di migliorare, facendo del bene agli altri e stando insieme al suo fratellino. Era felice del risultato. Avrebbe voluto solo che, finalmente, Sasuke potesse essere felice. Eppure gli incarichi erano stati chiari: lui non doveva cercare Naruto per nessun motivo. Gli unici che aveva visto erano Sakura, che faceva i tirocini insieme a lui come aspirante dottoressa, e Gaara, che aveva incontrato per strada. Lavorava in uno zoo, da quello che si ricordava. Per il resto era contento che i vecchi compagni di Sasuke stessero con lui. Almeno era circondato da facce che conosceva e che conoscevano lui, per cui avrebbero potuto aiutarlo in qualsiasi momento. Se solo lui si facesse aiutare.

       Vide un’altra tazzina cadere per terra, e Sasuke tremare. «Mi sono rotto il cazzo, Nii-san. Vado a buttarle, prima che mi metta a spaccare qualsiasi cosa» lo disse con il solito tono lugubre, tanto che si mise a sorridere. Decise di aiutarlo, raccogliendo gli ennesimi cocci e gettarli dentro ad una busta che Sasuke gli stava tendendo. Nonostante tutto aveva un’espressione contrita. Era quasi sicuro che ci fosse rimasto male. Gli accarezzò la testa, ma quello si scansò velocemente, dichiarando che non era un cagnolino e di lasciarlo in pace. A quel punto Suigetsu scoppiò a ridere, cominciando a prenderlo in giro. Itachi alzò gli occhi al cielo, rimanendo sempre sorridente. Quei piccoletti lo avrebbero fatto impazzire, erano proprio delle pesti.

      Uscì per raggiungere Sasuke, in modo tale da buttare la busta con i cocci, quando vide suo fratello immobile, la busta per terra con tutte le altre tazze frantumate sparse per l’asfalto. Guardava dritto dall’altra parte della strada, con un’espressione incredula. Dal canto suo, il minore degli Uchiha sentì il cuore stringersi in una morse tremenda. Le gambe erano immobili, tiravano così tanto che volle imprecare dal dolore. Tentava di muoversi ma, no, ogni cosa lo attirava in quel posto che puzzava di pesce morto a causa dei vari cassonetti. Quando era uscito l’aveva vista di sfuggita, ma non pensava fosse lei. Eppure quel colore di capelli lo conosceva bene, e non era così usuale. D’altronde il rosa di Sakura ricordava il suo nome: i petali di ciliegio che da bambino si divertiva a veder sbocciare. Lei aveva gli occhi sgranati, non una lacrima a rigarle le guance. La vide attraversare di corsa, come una furia, e poi dolore.

       Il viso era rivolto verso la parte opposta. Quello schiaffo aveva fatto parecchio male, per uno che a lottare non c’era più abituato. E poi si parlava di Sakura, che in qualche modo la sua forza bruta l’aveva mantenuta. Ora le lacrime le aveva, e quasi brillavano. «Scusi l’irruenza, Itachi-san» si rivolse verso suo fratello, facendo un piccolo inchino, mentre l’altro le sorrideva calorosamente. Probabilmente era più contento di vederla lui che Sasuke stesso. E anzi, si trovava in questo vortice di emozioni che proprio non riusciva a comprendere. Era contento di vederla? Non lo era? Perché? E Naruto? Come mai si trovava proprio lì? Nelle sue iridi la confusione era più che visibile. Avrebbe così tanto voluto sedersi, in quel momento. Eppure non riusciva a muovere un muscolo. Sentiva la testa che per poco gli esplodeva sopra il collo. E poi sì che Naruto avrebbe dovuto attaccarsi al caz- «Tu» lo disse in modo minaccioso, Sakura. Non seppe il motivo ma in quel mondo era leggermente più temibile. Ma sarebbe bastato poco per metterla a tacere anche in quella vita. «Se potessi, se ne avessi la forza, ti prenderei a calci in culo da qui sino all’Hokkaido» poi si voltò di nuovo verso il maggiore, chiedendo nuovamente scusa per l’espressione colorata. Prima che potesse continuare, però, Itachi decise di andarsene.

«Io sto dalla parte del fiorellino, comunque» sussurrò Suigetsu, da dietro la porta finestra che si affacciava alla strada. Vedevano solamente una piccola parte dei due, ma le voci si sentivano dignitosamente bene. «Vuoi stare zitto? Ci sentiranno» sputò velenosa Karin, tappandogli la bocca con una mano.

      «Non-Non so dove sia l’Hokkaido, Sakura» dire il suo nome gli fece provare una strana sensazione a livello dello stomaco. Sembrava volesse vomitare ogni briciola della sua anima, in quell’istante. Si sentiva malissimo ma non capiva il motivo. Perché tutte quelle sensazioni che si mischiavano? Era peggio che ricevere un pugno in pieno stomaco, di quelli che mozzano il respiro in due. «Come biasimarti, te ne sei rimasto rintanato qui» alzò la voce lei, stringendo forte le mani. «Credi che io stia bene, Sasuke? Credi sia facile? Questo è il tuo compito, non il mio. Io sono quella che sta a guardare, giusto? Sono quella inutile, giusto? Ho pensato mi facessi schifo, una volta morto. Non hai aspettato, non mi hai aspettato. Come sempre del resto. Potevo salvarvi, potevo fare in modo che viveste insieme a Konoha, e non in questo posto» gesticolò, indicando tutto quello che la circondava. Stava liberando ogni suo pensiero. Credeva che una volta visto lo avrebbe abbracciato, e avrebbe pianto tanto per tutti i ricordi che entrambi sapevano di avere. Ma no, alla fine la colpa era la sua, e doveva prendersi le conseguenze. Non si era mai sfogata, era arrivato il momento di farlo.

      A quel punto Sasuke capì tutto quel trambusto nella sua mente e nel suo corpo. Senso di colpa. Ecco, cosa. Il senso di colpa per aver annullato tutto così, in un soffio. Da quando il Sannin gli aveva assicurato quell’opportunità, la nuova vita, il nuovo sé, la redenzione e tutto il resto, non aveva mai pensato a quello che in realtà aveva lasciato una volta morto. Aveva ucciso l’eroe di tutto il villaggio, che a sua volta aveva ucciso sé stesso. Aveva fatto in modo che Naruto accogliesse davvero il suo dolore ed il suo odio per poi morire insieme a lui. Sino alla fine. Strinse forte le labbra, non sapendo cosa dire. Gli occhi umidi di Sakura sempre puntati nei suoi. «Sasuke» sussurrò lei, in preda ad un singhiozzo. Non le fece pena, ma nemmeno quella tenerezza che sapeva di affetto. Probabilmente era lui, quello pietoso. Avvertì le braccia di Sakura ed il suo corpicino stringersi al suo in un secondo, come quando gli era arrivato il suo schiaffo. Le sembrava davvero piccola, in quel momento, mentre piangeva nella sua spalla. Poggiò le braccia alla base della sua schiena, sospirando. «Mi sei mancato, anche se ho voglia di darti un pugno in testa, seguito da tanti altri» sorrise poi, fra le lacrime. In compenso lui la strinse un po’ di più. Era il suo modo di scusarsi. In un modo o nell’altro glielo doveva.

      «Naruto.. Naruto sta per arrivare. È andato a prendere non so cosa, era tutto agitato all’idea» sorrise ancora più, radiosa. Naruto. Sentì il cuore perdere un battito, a quel nome. «Lo porterò qui, Sasuke. Ma non oggi. Adesso devo riprendermi e aspettarlo. Non gli dirò niente di te, è bene che lui scopra le cose pian piano. E, Sasuke» si fermò un secondo, prima di dirgli quello che pensava. Si fermò perché, no, non glielo avrebbe più detto. Doveva ancora lasciarlo sulle spine, fare finta di nulla, che il biondo in realtà non sapesse niente della loro vita passata. Glielo doveva. «Vedi di riprendertelo, capito? Altrimenti me lo tengo stretto io» gli fece una piccola linguaccia, per poi avvicinarsi a salutare Itachi con uno dei suoi ennesimi inchini e stampare un bacio nella tempia del più piccolo. «Mi piacerebbe potertelo portare via, sai? Ma lui è cosa tua» rise, prendendolo in giro. L’aveva trovata più bella del solito. Fragile come al solito, con i suoi tipici cambi d’umore, un po’ pazza, ma era comunque Sakura. Forse era anche maturata. Ed è per colpa tua, lo rimproverò la coscienza.

       La vide attraversare la strada di fredda, salutandolo velocemente e poi dirigersi verso una panchina. «Non starai qui ad aspettare? Potresti vederlo» gli consigliò Itachi, mettendogli una mano sulla spalla. Era visibilmente felice per lui. Sasuke prese i cocci per terra e finalmente li gettò nella spazzatura, dopo di che entrò dentro al locale seguito dal maggiore che sospirante accettava tutto quello che l’altro decideva. «Ne hai prese, eh?» lo schernì Suigetsu, ciondolando avanti e indietro dall’ormai suo posto riservato. «Scendi da lì, Suigetsu» Sasuke gli sorrise. Un leggero stiramento di labbra, ma che all’altro fece capire parecchie cose. «Oi, Itachi-san, ma quindi il nano biondo sta arrivando a portarcelo via? Darò una mega festa, quel giorno» continuò a ciondolare avanti e indietro, facendo venire il mal di mare a Jugo che si era già alzato per buttarlo da qualche parte, magari nel cestino insieme a tutte le tazzine rotte. «Allora spero che questa festa avvenga il prima possibile» Itachi compilò alcuni moduli, dopo di che vide suo fratello fargli cenno che tornava a casa. Aveva bisogno di una doccia, immediatamente.









Angolo autrice:
sono in un ritardo mostruoso, lo so. Spero che questo non incida con l'andamento della storia, che comunque credo stia andando bene. E voglio ringraziare tantissimo le 33 persone che hanno messo questa storia tra i preferiti, le 2 che l'hanno messa nella ricordate e le 12 nelle preferite. Non dimentico, ovviamente, coloro che recensiscono. Un grazie infinite a tutti quanti. Per essere solo tre capitoli (con questo quattro), devo dire che sono molto soddisfatta.
Venendo a questo aggiornamento, devo dire che succedono parecchie cose. Oltre al fatto che Naruto stia letteralmente impazzendo, diciamo che ci sono delle novità per quanto riguarda i caratteri.
Sakura sembra cambiata notevolmente, e da adesso lo sarà ancora di più. Diciamo che sto prendendo in considerazione maggiormente i punti di vista di Naruto e Sasuke. Ogni tanto cerco di entrare nella focalizzazione di qualcun altro, ma credo di dover imparare ancora di più.
Spero che l'abbraccio non abbia reso Sasuke troppo OOC (sì, sono fissata. I personaggi devono restare IC), solo che il fatto della nuova vita incide molto con i loro caratteri e via dicendo.
E niente, non so che altro dire. Questo capitolo è stato un vero e proprio parto da scrivere, per questo ho impiegato così tanto.
Non ho riletto l'ultima parte, quindi se dovessero esserci errori perdonatemi.
Scusate ancora per il ritardo. Spero di ricevere qualche vostro commento, anche le critiche sono ben accette.
Un bacio,
Charlie;

P.S. Il titolo della canzone è ispirato dalla canzone "Doubt" dei Twenty one pilots - che consiglio a tutti di ascoltare - da cui la seguente frase:"
Don't forget about me, even when I doubt you, I'm no good without you".
   
 
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