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Autore: Manto    11/06/2015    5 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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VII – Nel Labirinto del Cuore




Il Sole moriva all'orizzonte e rinasceva, moriva e rinasceva, senza posa, scandendo il tempo delle nostre vite.
Ogni mattina mi svegliavo con il tintinnare delle armi, tra le voci dei guerrieri che si preparavano ad assaporare nuovo sangue e gli ultimi baci di Aiace, che non si era ancora sciolto dalla stretta delle mie braccia e già il suo gigantesco scudo lo attendeva in fondo alla tenda, come un cupo richiamo. E mentre lui combatteva, io scendevo verso il mare, a fissare l'acqua farsi oro o a passeggiare sulla sabbia bagnata, mentre lasciavo scorrere i miei pensieri verso lidi lontani.
Nessuno mi rivolgeva la parola: le altre prigioniere mi evitavano, mi lanciavano sguardi chi di timore, chi di sfida, e scappavano verso una cala sul mare, dove l'acqua era dolce perché proveniva da un lago poco distante.
A volte raggiungevo il bosco che lo custodiva, da dove potevo vedere tutta la piana di Troia, e fissavo l'orribile strage che vi aveva luogo, guardando con apprensione Aiace, ben visibile nella sua gigantesca armatura di bronzo, affrontare orde di Troiani insieme a suo fratello Teucro; tremavo per ogni colpo che ricevevano, tanto che alla fine scappavo a rifugiarmi nella tenda, dove abbracciavo il mantello del mio guerriero immaginando che tra le mie braccia ci fosse lui, e il mio gesto potesse proteggerlo da ogni pericolo.
Pregavo a lungo che il Sole accelerasse la sua corsa e quando, al tramonto, sentivo il vociare e le risate dei soldati, la mia trepidazione aumentava, finché la figura di Aiace non si stagliava all'ingresso della tenda e il sorriso gli illuminava il volto, dopo che mi aveva vista.
Allora, mentre lui si spogliava e si dirigeva verso il mare perché le onde lo liberassero del sangue non suo – non veniva mai ferito –, correvo al lago con le anfore a prendere l'acqua con cui avrei riempito la tinozza, dove si sarebbe adagiato per ricevere le mie carezze. Non avevo ancora terminato il compito, che Aiace rientrava, mi bloccava la mano e mi trascinava nell'acqua con lui, per amarmi a lungo.
Mi lasciava nuovamente per raggiungere le tende dei capi, e due dei suoi soldati mi accompagnavano da Teucro, al quale mi ero legata come ad un fratello, che passava tutta la sera a narrarmi della loro amata isola natale, Salamina. Infine, venivo riaccompagnata alla tenda di Aiace, e dopo poco lui mi raggiungeva.
Questo agognavo per tutta la giornata: il momento in cui la Guerra avrebbe smesso di chiamarlo, e lo avrei avuto tutto per me; la sua dolcezza e il suo luminoso sorriso avevano vinto sulla mia ritrosia, e desideravo che la notte si prolungasse per altre due, come accadeva nei racconti che spesso lui mi raccontava, dopo esserci ancora amati. Poi lui smetteva di parlare, mi guardava, e mi chiedeva di cantare.
Sì, alla fine imparai ad amarlo, anche se era l'uccisore di mio padre. Ma nell'accordo del nostro amore, che cresceva ogni giorno di più, udivo una nota stridula.
Sentivo che avrei dovuto fare una scelta, una terribile scelta, e da quella sarebbe dipesa la nostra felicità.
Non avrei dovuto attendere a lungo, per scoprirlo.

Quel mattino lasciai la tenda con una strana sensazione sulla pelle e nel cuore. Il campo era stranamente tranquillo, e i rumori della Guerra giungevano attutiti, come se tutto fosse immerso nella nebbia.
Mentre mi recavo alla cala sul fiume per lavare il mantello del mio guerriero, fui certa che qualcuno mi stesse osservando. Mi voltai più volte; non c'era nessuno.
Eppure ero sicura di non essere sola, di essere seguita e spiata, come se qualcuno stesse valutando il momento giusto per ghermirmi.
Cercai di dimenticare quella sensazione impegnandomi nel mio compito, ma mentre sfregavo il mantello vidi l'acqua scorrere agitata: eppure in quella cala, di solito, correva placida.
Cavalli in corsa, verso di noi... e dalla parte non sorvegliata del campo. L'inquietudine mi prese il cuore e mi spinse a lasciare in fretta la cala, senza attendere che il mantello si asciugasse sulle rocce, per correre verso la tenda, dove trovai un po' di pace.
Forse era stata solo una sensazione. Un'orribile sensazione.
Improvvisamente, dal campo e tutt'intorno si alzarono delle urla, e il clangore delle spade riempì l'aria.
Ci stavano attaccando, ed eravamo senza difesa!
Spaventata, frugai tra il bottino di Aiace, e ne trassi una spada. Non morirò senza tentare di difendermi, pensai, mentre contro la tenda si stagliavano ombre orribilmente distorte, come demoni urlanti che fiutavano il sangue dei vivi. Una su tutte, gigantesca, continuò ad aggirarsi intorno, brandendo una grande spada e urlando parole che mi parve di riconoscere, ma che la paura mi fece dimenticare.
Alla fine si fermò davanti alla tenda e tutto oscurò, coprendo il Sole, fino a che lontano non si udì l'urlo dei soldati Achei e l'ombra fuggì, consentendo il ritorno della luce. Quindi udii un pianto straziante e una fanciulla entrò nella tenda, cadendo sull'ingresso.
Mi alzai e corsi al suo fianco, la presi tra le braccia. Era veramente bella, ma i lunghi riccioli scarlatti e la pelle di latte erano intrisi di sangue, una guancia le era stata crudelmente sfregiata e la veste era ridotta a brandelli.
“Non temere. Ora non ti possono più fare del male”, dissi, sperando che le mie parole fossero vere. Piantai vicino a me la spada, e al vederla la ragazza singhiozzò.
“Stavo dormendo, quando ho sentito delle mani che mi strattonavano, mi serravano le caviglie. Ho cercato di urlare, ma un uomo mi è balzato sopra e mi ha serrato la bocca con una mano, intimandomi di non urlare.
Quattro guerrieri mi hanno trascinata fuori dalla tenda, tenendomi una spada alla gola, ma io non volevo calmarmi e ne ho colpito uno con un pugno; questo mi ha preso e sbattuto al suolo, e aggredendomi mi ha inciso una guancia sputandoci sopra, mentre gli altri dicevano ingiurie di ogni tipo.
Si sono dati alla fuga quando hanno udito gli Achei arrivare, e io mi sono trascinata dietro a loro, bloccandone uno per le gambe. L'ho fatto cadere, e gli Achei lo hanno fatto a pezzi sotto ai miei occhi. Sono scappata via, per non vedere altro orrore.”
La strinsi a me, e dopo qualche istante Teucro balzò nella tenda. “Tecmessa! Stai...”, si bloccò, quando vide la ragazza, e si avvicinò.
“Stiamo bene”, dissi, e il giovane arciere prese delicatamente il viso della giovane e fissò la ferita. Strinse i denti, e la presa sul suo arco si indurì. “Cani di Lici”, sibilò alzandosi, “si battevano come leoni, nella piana. Non eravamo in grado di controllarli, e alcuni di loro sono riusciti ad aggirarci e ad arrivare fino al campo, mentre il loro re seminava il panico tra gli Achei... non ho mai visto uno Spirito ardito e furioso come quello tra gli alleati Troiani: perfino Achille gli teneva testa a fatica e, per quanto tentasse, i suoi attacchi si infrangevano come acqua sugli scogli contro quell'essere divino, senza scalfirlo... se non fosse stato per le urla che provenivano dal campo, avremmo trovato solo cadaveri.”
Una fiamma di rabbia si accese nei suoi occhi, mentre rivolgeva di nuovo lo sguardo al volto della giovane. Mi morsi un labbro. “Aiace... è stato ferito?”
Teucro accennò un sorriso. “Lui potrebbe anche scendere in battaglia senz'armi. Non hai da temere niente per mio fratello.”
“Lasciatemi, maledetti!”
Il rabbioso grido ci fece sobbalzare, e ci spinse fuori dalla tenda. Qui vedemmo Aiace d'Oileo, il feroce principe dei Locresi, trascinare per i capelli un giovane guerriero licio; appena ci vide fece un segno a Teucro, che annuì e sparì con altri soldati. Il figlio di re Oilo fece poi scorrere uno sguardo su tutti noi, e infine lo spostò sul licio. A quel punto un ghigno orribile si dipinse sul suo volto, e un tremito percorse anche noi.
“Che cosa gli faranno?”, mi chiese la ragazza, stretta a me.
Io scossi la testa. Temevo di conoscere la risposta, avendo scorto quanto maligno fosse l'animo del locrese.
Quando vidi Teucro tornare con due pali e delle corde, e altri due con un braciere ardente, compresi di aver ragione e chiusi gli occhi, pregando che tutto finisse in fretta.
Ci furono istanti di silenzio.
“Ora vediamo di che pasta sei fatto”, sentii dire da Aiace, e conficcai le unghie nella carne dei palmi.
Un lungo, agghiacciante grido mi fece sfuggire un singhiozzo, e l'odore di carne bruciata mi diede alla nausea. Sentii che la ragazza si scioglieva dal mio abbraccio e correva mia, mentre io non osavo aprire gli occhi. Copiose lacrime iniziarono a rigarmi le guance.
Il secondo urlo fu ancora più terribile del precedente, e mi volsi a rifugiarmi nella tenda.
“Questo è solo un assaggio, se non risponderai alle domande che ti farò. Quindi comportati bene, rispondi alla mie domande e ti concederò una morte rapida.”
La malvagia voce di quell'animale mi raggiungeva anche lì, e tremai di nuovo.
“Dimmi, bel giovane: perché avete attaccato il campo, ben sapendo che qui c'erano solo donne e servi? Cercavate di arrivare alle navi?”
Un rantolio. “La scorsa notte... ci ha raggiunto un gruppo di guerrieri. Non erano... Lici.
Chi li guidava ha parlato a lungo con il nostro principe, e questa mattina lui ci ha guidato in battaglia. Noi avevamo... avevamo...”
Un altro grido, soffocato, e una risata. “Stai andando bene, ragazzo mio. Ma non hai ancora risposto pienamente.”
“Non ci ha detto niente della navi. Noi dovevamo... solo arrivare al campo, e uccidere chiunque avessimo trovato, donne comprese. Dovevamo trovare... trovarne una.”
“Quale donna?”
“Una donna che voi tenete prigioniera, una delle ultime che avete preso. Altro... altro non so.”
Un sospiro, poi il suono della lama che fendeva la carne. E tutto finì.
Attesi qualche istante e poi uscii, e vidi Teucro e gli altri che slegavano il cadavere del povero licio, che aveva ancora la spada di Aiace infilzata nel cuore.
Mi diressi al lago, nelle orecchie ancora le disperate grida del torturato, e qui incontrai la ragazza, seduta sulla riva e con il volto chinato sulle sue ginocchia. Alzò lo sguardo quando mi vide, e io le sorrisi. Mi sedetti al suo fianco, le presi una mano. “Dimmi il tuo nome”, le chiesi, mentre mi strappavo un lembo della veste e lo intingevo nell'acqua per ripulirle il viso.
“Partenia.”
Sorrisi. “Da dove vieni?”
La fanciulla scosse il capo. “Da quando mia madre ha deciso di espormi nella piazza della mia città ad una lenta e atroce morte, ho deciso che non pronuncerò mai il nome di quei luoghi. Io sono nata nell'esercito, perché fu uno dei guerrieri achei ad avere pietà di me e a salvarmi.
L'esercito è la mia famiglia, il mio passato, tutto quello che ho.”
Annuii. Partenia mi guardò con grandi occhi neri. “E tu? Tu chi sei?”
Sospirai, e posai la pezza a terra. “Una donna che aveva tutto quello che si potesse desiderare. Eppure, cercava qualcosa che non riusciva mai a trovare.”
“E ora sai cos'è?”
Sorrisi. Pensai ad Aiace, il mio gigantesco guerriero. “Lo sto imparando”, risposi.
Partenia si appoggiò alla mia spalla. “Quel giovane uomo... quell'arciere. Mi ha guardato in un modo che nessun altro aveva mai fatto, tranne... tranne quel guerriero che mi salvò.”
Sorrisi. “Sei bellissima, chi non ti guarderebbe con piacere?”
Lei chiuse gli occhi. “Lo so bene come mi guardano gli uomini. Io sono una comune prostituta, appartengo a tutti, anche ai capi... e vedo i loro sguardi.
Non c'è affetto, non c'è amore quando mi guardano. Per questo so riconoscere quando essi vi sono.”
La baciai sulla fronte. “Allora, non lasciarli scappare.”
Lei annuì, e sorrise. Ritornò al campo, mentre io rimasi al lago, a fissare le onde lambirmi i piedi e ritirarsi, senza tregua.
Al tramonto, il mio Aiace mi raggiunse, e si sedette accanto a me. “Perdonami per quello che hai dovuto vedere. Se fossi riuscito a fermare quei maledetti... ti avrei risparmiato un tale spettacolo.”
Scossi la testa. “Sono le leggi della Guerra. Dovrò imparare a conviverci.”
Aiace mi prese tra le braccia, cullandomi dolcemente e ricoprendomi di baci, fino a che mi sentii meglio. Tornammo insieme alla tenda, ma sul cammino trovammo re Nestore, venuto per chiamare Aiace alla tenda di Agamennone.
Lo lasciai andare e feci per raggiungere Teucro, ma lo vidi insieme a Partenia, quindi declinai verso la spiaggia. Mi sedetti sulla sabbia e per un lungo tempo osservai con tristezza il cadavere del giovane licio, lasciato in pasto a cani; alla fine non riuscii più a trattenermi, e lo seppellii.
Quindi mi spogliai e mi immersi nel mare, per lavarmi dalla sabbia intrisa di sangue che mi macchiava le mani. Toccai il fondale con la schiena, guardai l'opaca macchia argentata della Luna e risalii, senza fiato. Raggiunsi la riva per rivestirmi, e improvvisamente sentii un respiro sul mio collo. “Solo le Dee sorgono dal mare come fai tu, mia principessa.”
Mi girai pensando di avere a che fare con Odisseo, invece mi trovai davanti gli occhi di Otreo. Balzai indietro per la sorpresa, e lui mi afferrò i polsi e strinse a sé.
“Otreo...”, sussurrai, e il suo bacio mi mozzò il fiato. Sentii la sua bruciante eccitazione premere contro le mie gambe, e mi scostai.
Lui mi tenne ferma. “Seguimi. Tra poco i capi torneranno alle loro tende, e la tua scomparsa verrà notata.” Fece per trascinarmi, ma io rimasi ferma. “Sei stato tu ad ordinare a quei Lici di venirmi a prendere.”
Il re sorrise. “Pensavi che ti lasciassi in mano agli Achei? Sapevo che non ti avevano uccisa, sei troppo desiderabile, e che tu non avevi avuto il coraggio di farlo.”
Corrugai la fronte, infastidita da quelle parole. “Lo stavo per fare. Ma loro sono arrivati prima”, risposi.
Otreo fece un altro sorriso, come di comprensione. “Comunque sia, ora sei libera. Andiamo: non ho l'armatura con me, non so se riuscirei ad affrontare un combattimento.”
Non mi mossi. “Perché, il tuo coraggio non ti basta?”
Otreo mi fissò, sorpreso. Io indietreggiai. “Un giovane guerriero è morto sotto la tortura, oggi. Era uno di quelli che avevi mandato per la tua missione.
Tu non eri con loro. Perché non sei venuto tu in persona a salvarmi?”
“Mi avrebbe inseguito tutto l'esercito! Come avrei potuto salvarti?”
“Hai ragione: non avresti potuto. Perché io non voglio esserlo.”
Gli occhi di Otreo si allargarono. “Sei impazzita? Qui sei solo una schiava!”
Scossi la testa. “No. Non è vero.”
Il re mi prese la testa fra le mani. “Cosa ti hanno fatto, per farti diventare così?
Ti hanno terrorizzato a tal punto da renderti succube?”
Mi liberai dalla sua presa. “Tra gli Achei c'è chi ha mutato il mio cuore, cancellando l'odio e ridandomi il sorriso. Non lo lascerò.”
Otreo mi strinse le mani intorno al collo. “Tuo padre ti rinnegherebbe, se fosse ancora in vita per sentire queste parole. Stai dimenticando chi sei.
Ma io te lo farò ricordare.”
Rantolai, il fiato che veniva a mancare sempre più velocemente, e Otreo lasciò la presa, inorridito dal suo stesso gesto.
Tossii, e lo fissai con rabbia. “Tu non conosci chi mi ha preso prigioniera, ma ti dico che mio padre sarebbe felice sapendomi al suo fianco non come schiava, ma come una moglie.
Gli Dèi mi hanno destinato al suo amore, e non al tuo. Lasciamelo vivere.”
Otreo indietreggiò, rabbioso. “Non ti lascerò andare. Tu mi appartieni!”
“Io appartengo solo a me stessa!”, ruggii.
Il re fece un sorrisetto. “Se questo ti da felicità, allora credici. Ma scoprirai che la realtà è molto diversa.”
“Spero che sia l'ira a parlare per te, e che non sia questa la tua vera indole. Altrimenti, ringrazio di essere stata strappata alle tue mani.”
Otreo mi schiaffeggiò con violenza, e io a mia volta lo colpii; quindi, con la guancia in fiamme, corsi via, verso il campo.
Quando Aiace tornò mi trovò ancora in lacrime, la guancia gonfia. Lui mi alzò il volto, e si imporporò per la rabbia. “Chi ha osato colpirti?”, disse, fremendo.
Io gli presi una mano e la poggiai sulla mia guancia. “Il Passato”, singhiozzai.

   
 
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