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Autore: Bloody_Schutzengel    11/06/2015    1 recensioni
[Primo capitolo della serie: Sotto mille ciliegi]
Anno ****, mese di Agosto, quindicesimo giorno.
Lo stato di Kintou viene stravolto da un violento colpo di stato da parte di estremisti detti Rivoluzionari, che attuano un macabro e violento regime di ferro nella parte orientale del paese. La parte occidentale, invece, è popolata ancora da creature magiche, sacerdotesse e dalla natura. E' chiamata Terra Pura ed è sotto tiro dal generale salito al potere che vuole emulare violentemente i costumi delle popolazioni d'Oltremare, industrializzate e moderne all'esterno ma sanguinose e ingiuste all'interno.
Yoko è una semplice ragazza di Kintou Shuto, la capitale di Kintou Est, che a causa di vari eventi, si troverà ad entrare nell'esercito della morte della città, pur di sfuggire all'esecuzione pubblica. Tra le file, Yoko dovrà affrontare i suoi compagni, tutti uomini, le battaglie, le campagne militari ma soprattutto il vero e proprio generale, del quale è oggetto di desideri perversi e omicidi allo stesso tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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• Capitolo 23 •
Chiarore di mezzanotte


 



 
Era tardo pomeriggio, forse, quando ieri, il vice generale Liang Tian ha fatto la sua orrida scoperta nelle viscere del palazzo del governo di Kintou Shuto. Era in una stanza segreta, racconta, in stato di shock, davanti ai giornalisti del quotidiano della capitale; una stanza che gli era sempre stata nascosta, non dice da chi o da cosa e neppure da quanto tempo. Della tragedia non si conoscono né colpevole, né quando e neanche il perché, ma ne si può solo raccontare il macabro esito finale. “Erano una ventina di corpi” continua il vice generale, sembrando anche piuttosto sospetto se si considerano i trascorsi violenti tipici della capitale dell’isola, “Erano tutti ammassati l’uno sopra l’altro, buttati come carne da macello, mutilati, inzuppati di sangue e senza divise. Non so il motivo per cui li abbiano spogliati, ma non è quello di cui ci si deve preoccupare al momento. E’ tutto troppo strano…” E’ vero: è tutto avvolto in un macabro mistero, come l’allarme che ha lanciato Liang Tian alla stampa una volta scoperti i cadaveri. Una mossa davvero inusuale ed atipica per la dittatura di Kintou Shuto, a quanto dicono i rappresentanti della Terra Rossa. Fatto sta che ogni dettaglio dell’assurda vicenda è coperto da una cortina oscura, ogni particolare è stato volutamente soffocato da quell’orrida immagine di morte. Adesso, le domande sono parecchie, a cominciare da chi abbia commesso tale crimine. Le ipotesi non sono molte, se non assolutamente nulle e…
 
Qui il  foglio di giornale era troppo inzuppato d’acqua per permettere ad Hatori di continuare a leggere l’articolo. I suoi occhi erano sgranati, persi davanti ad un tale racconto dell’orrore e cercavano di negare che fosse veramente accaduto. Sulla pagina non vi era alcuna foto, nemmeno quella del vice generale. Per i lettori, sarebbe stato solo peggio vedere immagini della tragedia oppure delle sue ripercussioni sull’uomo. Hatori decise di non buttare quel pezzo di cronaca nera, ma, semplicemente, lo piegò e se lo infilò nella tasca dei pantaloni, notando che, ormai, era ai piedi della grande scogliera della Terra Rossa.
Era come una montagna grigia di pietra, tagliata a metà per creare uno strapiombo enorme. Le onde s’infrangevano piuttosto miti contro i grandi scogli appuntiti che si stagliavano davanti al precipizio enorme, anch’essi di pietra scura. La nebbia avvolgeva quel paesaggio, lasciandone intravedere solo alcuni pezzi, poi man mano altri ed altri ancora, mentre la barca s’avvicinava lenta, cullata dal mare e senza l’ausilio del timone. Il ragazzo era con le mani poggiate sulla finestra della cabina, sporgendosi in avanti per ammirare quel paesaggio che gli era mancato fin troppo. Prese un lungo respiro, lasciando che l’aria fredda di mare gli penetrasse nelle narici e che gli facesse venire un brivido d’adrenalina. Scese dalla cabina, mettendo i piedi sul fondo della barca imbrattato di sangue, per prendere le corde che gli sarebbero servite per ancorare la barca al pontile che si faceva via via più nitido davanti agli occhi del ragazzo. Purtroppo, Hatori si era dimenticato che quand’era ancora sotto il telone ormai squarciato, non aveva trovato alcun pezzo di corda. Come fermare l’imbarcazione? Sebbene le onde fossero poche, anche ad una simile velocità, la barca avrebbe subito dei danni e sarebbe stato faticoso riutilizzarla per tornare, poi, a Kintou Shuto. I suoi sforzi per uccidere i due conducenti sarebbero stati del tutto vani, se non ci avesse nemmeno guadagnato una barca. Non sapendo che quell’assassinio gli aveva salvato la vita, pensò di averlo commesso inutilmente. Ormai il pontile era a solo due metri e mezzo dall’imbarcazione, ed Hatori, tentò disperatamente l’impossibile: si diresse a prua, proprio sulla punta della barca, si diede uno slancio e saltò. Un salto eroico, come quelli che vengono ricordati con tanto sfarzo nei libri d’avventura di cui aveva sempre voluto essere il protagonista. Atterrò senza problemi sul pontile, con i piedi ben saldi a terra, poi prese a correre per raggiungere il groviglio di funi che vedeva più in là. Ne prese una bella pesante e, dopo essersi assicurato che fosse priva di tratti mangiati dai topi, la portò con sé, correndo indietro verso la barca che aveva conquistato. La buttò davanti a sé per poi saltare sull’imbarcazione e legarne una parte salda con la corda. Fece più di un nodo, stringendolo tanto forte da tener tesi i propri muscoli inverosimilmente, mentre una goccia di sudore gli rigò la fronte. Saltò di nuovo giù sul pontile e, fermando la barca con le mani protese davanti al petto, si assicurò che fosse ben ferma per poterla ormeggiare lì, ad uno dei paletti. Il pugnale, delle provviste ed una giacca per proteggersi dalle intemperie: quello era tutto l’equipaggiamento di Hatori per affrontare quella che era la scorciatoia dei mercanti. Era una strada scavata della roccia dello strapiombo della scogliera, tortuosa e labirintica, pensata dai ladri in fuga per far perdere le loro tracce. Successivamente, man mano che i mercanti vennero visti come gente povera, disonesta e paragonabile a pirati o peggio, questi dovettero usufruire dei passaggi segreti dei ladri, che da allora furono chiamati “vie dei mercanti” o “scorciatoie dei mercanti”. Erano mal visti dalla gente a causa di alcuni individui che, per ottenere più denaro di quanto ne ricaverebbe un venditore onesto, rubavano monete con dei trucchetti, commettevano truffe e spesso facevano apparire merce di pessima qualità come fosse oro colato. Per tutte queste ragioni, i nuovi imprenditori e venditori di imprese che nascevano man mano, erano visti come gli angeli del commercio, mentre ai mercanti restò il titolo di demoni. Ai tempi in cui Hatori decise di voler intraprendere tale carriera, poteva ancora essere considerato un angelo, ma ormai, anche lui era sceso giù all’inferno per tutti coloro che lo osservavano in quanto mercante, ed era costretto anche lui ad uccidere per primo pur di non morire attaccato dai predoni delle scorciatoie.
Alla fine del pontile, si stagliava una corta lingua di sabbia nerastra, che costeggiava la scogliera, compiendo un percorso impervio che entrava nella pietra e ne riusciva, permettendo ai predoni di nascondersi dietro insenature e promontori. Dietro un pilastro di pietra nera naturale, proprio come ricordava il ragazzo, si apriva l’ingresso della scorciatoia più impervia e più lunga, se non anche più pericolosa. Purtroppo, era l’unica che avesse mai conosciuto e tutte le volte che l’aveva imboccata, erano risalenti al periodo d’oro dei mercanti: non sapeva cosa l’avrebbe aspettato, ma non aveva affatto paura. In fondo, arrivare in città, preparare un piano, prendere soldi e qualche uomo, era l’obiettivo ch’aveva da raggiungere per aiutare Yoko ad andarsene da Kintou Shuto. Sempreché fosse ancora viva…
 
 
Non aveva mangiato molto e per di più, non aveva guardato altro che il suo piatto. Cosa avrebbe dovuto fare altrimenti? Yoko sapeva che il generale s’era in qualche modo preoccupato per lei, ma le aveva sempre stampato un segno rosso della sua mano in faccia con quello schiaffo violento. Si sentiva come una bambina appena sgridata dal padre o da un fratello maggiore cattivo. In ognuna di queste due immagini, chissà perché, dopo tutto quello che aveva detto a Tohma, non aveva dipinto quell’individuo in modo positivo. Allora perché sentiva il bisogno di guardare cosa stesse facendo, cosa stesse dicendo ad Heizo, cosa stesse mangiando… Sapendo che non sarebbe stata una buona idea distogliere gli occhi dalla ciotola di riso illuminata dalle torce dell’accampamento di arancione e di bianco, prese qualche boccone ed aspettò la mezzanotte in tenda per parlare col generale.
Le fiamme ondeggiavano morbide fuori dal suo piccolo spazio privato, dove si sentiva forse più al sicuro che nel palazzo del governo. La tenda era illuminata sia dall’esterno che dall’interno, grazie alla piccola lampada ad olio che Yoko teneva al centro della piccola stanza. Non si spogliò ancora, né mise via le cose che bisognava riporre ancora in ordine: si stese sul futon1 morbido, che non aveva nulla da invidiare al letto del palazzo, e aspettò la mezzanotte, cullandosi col tic tac dell’orologio. Stranamente, infine, il generale non se l’era ripreso: che gliel’avesse regalato? Infondo, lo sperava: era davvero un bell’oggetto, ne era quasi affascinata. Era incantata dal metallo di quel piccolo pezzo di ferro tondeggiante che veniva illuminato di arancione dalla luce della lampada. Che la stesse per ipnotizzare? La lancetta ormai, segnava le dieci: aveva finalmente imparato a leggere quei numeri e, se non andava errata, aveva due ore per riposare e poi svegliarsi. Per come sapeva di essere fatta, probabilmente non si sarebbe più rialzata una volta chiusi gli occhi, quindi decise di intrattenersi in qualche modo ed aspettare che le due ore passassero… L’unica cosa che le venne in mente fu il libro che aveva trovato nel Tempio, ma purtroppo l’aveva rimesso al suo posto, si ricordò. L’unica cosa da fare, era lasciarsi ipnotizzare dalla lampada…
 
 
Le lancette segnavano quasi mezzanotte, sul quadrante dell’orologio appeso nella grande tenda del generale. Quello stava in piedi, leggermente curvo per non sbattere contro il telone, in procinto di sedersi e riporre la katana vicino il futon, nel caso che qualcuno l’avesse attaccato nel sonno. Date le strane circostanze, poteva accadergli di tutto: stava perdendo il controllo del suo stesso esercito: mancavano venti uomini all’appello, venti uomini che fino a qualche ora prima erano perfettamente presenti nella folla generale. E come se non fosse bastato, Heizo gli stava sempre più col fiato sul collo, ma, nonostante tutto, non avrebbe mai avuto coraggio di mandare alla ghigliottina il suo miglior amico d’infanzia… A proposito di Heizo, doveva avere dei chiarimenti.
Uscì con calma dalla propria tenda, indossando ancora l’uniforme e sapendo che il suo sottoposto non stava ancora dormendo. Guardava fisso il suo cammino, con determinazione, perché avrebbe scoperto la verità dietro quei giochetti una volta e per sempre. La katana non l’aveva di certo lasciata nella propria tenda: la impugnava saldamente, come se fosse stato lì per uccidere un intruso, uno sconosciuto. Arrivò in meno di un minuto a destinazione, essendo la tenda del vice generale a pochi passi dalla propria, ma allo stesso tempo distanziata. Era a metà tra la sua e quella dei semplici soldati, era di altezza media e senza rialzo di legno come la propria. Fuori, come una bandiera, era appeso il mantello nero con simbolo del sol levante grigio: vessillo di Heizo. Il generale scostò con delicatezza ed impassibilità la cortina che costituiva la porta di quella semplice dimora, trovando nient’altro che un tappeto, un mobiletto con penna, calamaio e carta, equipaggiamento da guerra e altre cianfrusaglie. Nessuna traccia di Heizo.
Appena cominciò ad allarmarsi, gli occhi gli si spalancarono improvvisamente e con un sussulto si voltò indietro, dove i suoi occhi incontrarono quelli di colui che stava cercando.
“Buonasera, generale.” Disse solamente, mentre l’altro assumeva un’espressione sempre più calma ma sospettosa ed irritata.
“Che ci facevi a mezzanotte fuori dalla tenda?” rispose, freddo ed autorevole.
“Io credevo fosse una buona usanza delle Terre d’Oltremare ricambiare i saluti che si ricevono…” Continuò il vice, vago, mentre s’addentrava nella propria tenda, seguito dall’altro titubante.
“Sta’ zitto e rispondimi. Che stavi facendo?” La katana venne impugnata ancora più forte.
“Se sto zitto, come faccio a rispondervi?” Un sorrisetto beffardo comparve sul suo volto, coperto da un’aura viola e misteriosa, che, come pensò il generale, non prometteva nulla di buono.
“Ne ho piene le scatole dei tuoi giochetti del cazzo, lo sai?” Ringhiò a bassa voce, avvicinandosi a lui con prudenza, senza sedersi accanto a quello sul futon.
“Stavo facendo una passeggiata, ma questi forse non sono affari che vi riguardano, generale, o sbaglio? Da quando vi importa di quello che faccio o di dove sono? E poi, non è neanche mezzanotte: mancano ancora ventidue minuti.” Continuò a parlare, riempiendo quel silenzio pieno di mistero e molto fastidioso, senza guardare mai in faccia chi gli si trovava di fronte.
“Che vuoi dire?”
“Quante cose sapete di me, signor generale?” L’altro rimase perplesso davanti a quella frase, davanti ad una tale domanda. Le sue sopracciglia si avvicinarono, gli occhi si assottigliarono, curiosi di sapere il perché di tale quesito. Vedendo che non rispondeva, Heizo continuò. “Sapete la mia storia, mi conoscete sin da bambino, conoscete alcuni dei miei punti deboli, non tutti, ovviamente, e sapete anche tante e tante altre cose… E tutto questo, perché ne ho sempre avuto il personale piacere di raccontarle a voi, quando sono stato ricambiato con totale assenza, non credete?”
“Che stai dicendo?”
“Io non so nulla di voi, neanche il vostro nome. A chi lo avete detto, per caso, a quella sgualdrina che vi prodigate a proteggere ad ogni costo? E’ patetico.” Sussurrò, seccato.
“Io non proteggo quella ragazza, stupido. Che cazzo vai a pensare…” Egli voltò lo sguardo altrove, per evitare che i propri occhi permettessero all’altro di leggerne i veri pensieri.
“Penso che voi nascondiate qualcosa, signor generale.” Il silenzio tuonò nella tenda appena quello si voltò verso Heizo. Il generale digrignò i denti, senza ringhiare, sentendosi quasi preso in giro da ci che gli stava dicendo l’altro. Era come se volesse domandargli cose che invece sarebbe stato bene chiedere proprio a lui… Ma, in quella domanda, il generale sapeva di trovare un ampio fondo di verità. Decise di non farsi prendere dalla situazione.
“Non sono io, in questa tenda, quello che nasconde qualcosa, Heizo. Lo sai bene.” Cercò di farlo parlare, ma l’altro non ne volle sapere.
“Mi dica, allora, cos’avrei da nascondere, generale.” Quello si alzò e si avvicinò a lui, ad un palmo dal suo naso, fissandolo con mento in alto come per guardare qualcosa oltre l’orizzonte, come se avesse voluto intravedere un segreto nascosto negli occhi neri e profondi dell’altro. Lo guardava dall’alto verso il basso, come se avesse avuto in mano tutta la situazione, ed in effetti, era proprio così. Il generale, si mostrò impassibile e cupo, impenetrabile rispetto a quegli occhi misteriosi che celavano qualcosa di malvagio, sebbene, il cuore gli battesse troppo forte, per la paura che venisse scoperta tutte le verità che lui stesso aveva fin allora nascosto… improvvisamente, digrignò i denti e spinse via Heizo di qualche passo, irritato, per poi guardarlo con un’aria quasi di disprezzo.
“Sei molto diverso da quello che mi ha salvato la vita anni e anni fa, lo sai, vero?” Gli sibilò.
“Non so che dirvi, generale. Del resto, siete voi che avete sempre voluto comandare ed impartire ordini, essere al di sopra di tutto, dico bene?” Cominciò a girargli attorno, mentre l’altro non fece nulla di più che guardare il vuoto per terra. “Voi siete il capo di Kintou Shuto, voi avete messo su il regime ed io sono quello che vi ha sempre seguito e che adesso non può neanche darvi del tu.” Una nota ironicamente malinconica sopraggiunse nella voce di Heizo appena finì sia la frase sia il suo passeggiare in tondo. “Ma, del resto, come potrei darvi del tu, se conosco così poco di voi? Mi siete talmente sconosciuto, nonostante tutto il tempo passato insieme, da essere come un estraneo per me, signor generale.” E la malinconia avvolse il rigido cuore malato del capo del regime, facendolo sprofondare nei suoi stessi pensieri e nelle sue stesse fobie.
“Io non ti conosco più.” Sussurrò infine: le uniche sue parole in propria difesa.
“Io non ho mai conosciuto voi, signor generale, signore.” E detto ciò, rimase a guardare quei lunghi capelli che varcavano la soglia della sua tenda, cercando di dimenticare quella dolorosa conversazione: mancava solo un minuto alla mezzanotte.
Come da programma, prima che entrasse in quella tenda maledetta, il generale posò la katana vicino il letto, si sedette ed aspettò Yoko, sperando che non fosse in ritardo. Guardò fisso l’orologio, mentre la lancetta dei secondi si avvicinava man mano alla sessantesima lineetta del quadrante, mentre col suo ticchettio riempiva la stanza. Appena fu sulla cinquantanovesima, la mano della ragazza varcò la cortina della tenda, ed appena scattò la mezzanotte, mise piede lì dentro.
Sembrava preoccupata per qualche motivo. La luce della luna rischiarava l’interno della piccola dimora, una volta aperta la cortina. Un raggio bianco celestiale illuminò in parte il generale, i cui occhi risplendettero sotto quel bagliore, facendo rimanere Yoko  senza parole. Erano due perle nere spalancate, sorprese, rincuorate, che campeggiavano su un viso la cui bocca era leggermente schiusa, quasi innocente. Una leggera brezza notturna attraversò la cortina e, sebbene fosse una notte d’inverno, i due non sentirono freddo, ma respirarono solo una boccata i quell’aria pulita e pura.
“Siediti.” Non le diede nemmeno il tempo di dargli un saluto degno di un grande generale, ma non le importò più di tanto. Si cercò di pulire bene le scarpe della terra dell’accampamento prima di sedersi, ma con un gesto, l’altro le fece capire che non ce n’era bisogno. Ci fu uno scambio repentino di sguardi avvolti nel silenzio, sguardi che nono sapevano da dove cominciare, che non sapevano cosa dire, come due ragazzini che iniziano a conoscersi proprio in quel momento, timidi ed insicuri. Appena Yoko dischiuse le sue labbra per dire qualcosa, la voce del generale sopraggiunse, vellutata e non troppo bassa, come sempre, che in quel silenzio non cupo ma celestiale, suonava rilassante come la vista di mille e mille stelle. Il cuore le batteva forte, quanto quello dell’altro, ma a differenza di questo, il suo poteva essere udito senza toccarle il petto.
“Non c’è bisogno di essere tanto agitati.” Se n’era accorto. “Volevo parlarti del fantasma che credi di aver visto nella tua camera. Quello che secondo te ti ha avvelenato.” Continuò, calmo.
“Ah…” Cominciò l’altra, alzando lo sguardo verso chi aveva di fronte, illuminato dalla luna. “…In realtà, somigliava molto ad un soldato che la prima… o la seconda notte… non ricordo…” Si sentiva confusa, si mise una mano sulla fronte, credendo di sembrare stupida.
“A chi somigliava?” La invogliò a parlare l’altro, con un temperamento tanto innocuo da non essere adatto a quel corpo riconosciuto per i suoi atti malati.
“Somigliava ad un soldato che ha cercato di uccidermi… Entrò una notte nella mia stanza e provò a… farmi del male… a…” Era troppo da dire esplicitamente per la sua persona tanto minuta quanto timida.
“Ti ha violentato?”
“No… ma ci ha provato, poi ho cercato di difendermi e mi ha preso a calci mentre ero a terra. Tohma mi portò in infermeria. Il mio stomaco era immerso nel sangue, me lo sentivo… Non riuscivo a respirare…” Ma c’era una cosa che le sfuggiva… “Come mai... vi comportate così, signor generale?”
“Cosa vuoi dire?” Iniziò a perdere un po’ di quella calma che gli era penetrata in corpo come per magia.
“Vi state preoccupando per me… vero?” Con che coraggio gliel’aveva chiesto? Sarebbe andata a finire male…
“Qualcuno sta cercando di ucciderti, e contrariamente a quanto stai pensando, non sono io.”
“Ma… voi…”
“Lo so che ti ho portato io in questo inferno, so che sono io quello che ha voluto torturarti. Lo so, non c’è bisogno che tu me lo ripeta.” Fece, irritato. Yoko stette zitta, sperando che non perdesse la pazienza. “Lascia perdere tutto questo per un po’ e ascoltami. Ascoltami bene perché non lo ripeterò più.” La guardò negli occhi. “Qui dentro stanno succedendo cose strane, cose non spiegabili se non usando cose inesistenti come fantasmi e via dicendo, capisci? Qualcuno sta cercando di distruggere qualcun altro, probabilmente te o addirittura me e tu sei l’unico soldato a cui non ho fatto il lavaggio del cervello e che può darmi una mano. Per essere una stupida ragazzina irresponsabile, ragioni e capisci tutto con la tua testa ed è questo che mi serve. Purtroppo, mi sto rivolgendo al mio stesso nemico, perché tu odi quello che sto facendo, vero? Tu mi odi, mi disprezzi, ti faccio talmente schifo che vorresti uccidermi, vero?” La fece apparire tanto come una domanda retorica, tanto che Yoko non rispose perché non sentì di doverlo fare. “C’è qualcuno che ti odia allo stesso modo. Io sono un mostro, tu una stupida ed inutile ragazzina.” Cosa centrasse questo sussurrare cose a caso col discorso del fantasma, Yoko non lo sapeva, ma voleva capire, voleva capire quella mente tanto contorta e quel cuore dilaniato, secondo lei, da mille e mille ferite, pugnalate e sofferenze.
“Cosa sta succedendo…?” Cercò di ricambiare il favore, aiutandolo a parlare.
“Prima che tu arrivassi, facendo l’appello, notavo che mancavano venti soldati che il mattino della partenza c’erano e che, recentemente, ho notato che appena te ne sei andata, avevano dei volti morti, come se fossero dei fantasmi. Sai bene che io odio queste stronzate, queste cose paranormali che nemmeno esistono… Ma non posso fare a meno di dire che sono degli spiriti, perché li ho visti con i miei occhi… Cazzo… Sto diventando uno di loro…” L’ultima parte, sussurrata, impercettibile, fece cambiare espressione al generale: allora sembrò come se l’avessero pugnalato con dei brutti ricordi venuti a galla, con dell’astio antico che allora stava spiacevolmente riemergendo…
“Quindi, vi state preoccupando per la mia vita…?” con lo sguardo basso, Yoko, si sentiva soddisfatta: non era il mostro che tutti, Tohma compreso, dicevano che fosse.
“No. Non farti strane idee.” Le ripose, freddo. “Stupida ragazzina… non sono mica impazzito? Non ho combinato questo gran casino facendoti venire a vivere nell’esercito per salvarti la vita. Se davvero avessi voluto farlo ti avrei lasciato andare. E’…” Titubante, lasciò che l’ultima frase non uscisse mai dalle sue labbra, perché sarebbe stata un vera sconfitta. “Capito? Ora sparisci. Domani, puoi andare ad esplorare ancora il bosco. Ripeto: qui non è sicuro per te.”
“Agli ordini…” Sussurrò la ragazza, facendo sorprendere il generale.
“Cosa hai detto?” Sgranò gli occhi.
“Agli ordini, signor generale.” Si alzò, si inchinò e permise alla luna i illuminare ancora quel volto contornato di capelli nero-verdastri. Sorrise impercettibilmente. “Oyasuminasai2…” sussurrò, chinandosi di nuovo, per poi uscire, delicata, avvolta dalla brezza notturna. Sorrise, perché aveva capito: magari, non era per salvarle la vita, ma perché era lui a voler essere salvato…
“Oyasumi.” Sentì arrivare quella voce dalla tenda come un sussurro di uno spirito e, ad occhi chiusi, non inciampò per la strada verso la sua tenda.


 


 

• Note dell’autrice •
 
 
  1. Il futon è il letto giapponese costituito da un “materasso” bassissimo e delle coperte, tipo sacco a pelo…
  2. Buona notte. Yoko dice “oyasuminasai”, in cui il –nasai è un suffisso usato quando si parla con un registro più formale rivolto a chi è più anziano o, come il generale, più “importante” di te. Il generale dice solo “oyasumi”, usando la versione informale che simboleggia una mancanza di rispetto verso Yoko, in un certo senso.
 
ARGH! E’ stato un parto! Non sapevo cosa scrivere, come iniziare, come finire, ARGH! E’ venuto uno schifo, chiedo venia. No, anzi, chiedo il perdono dei peccati a Papa Francesco… TT___TT Spero non mi lapidiate! Il prossimo sarà decisamente meglio, ve lo prometto… A proposito, ho abbassato il rating perché, calcolando tutte le fasi della storia, non è necessario un rating troppo rosso.
Al prossimo capitolo!
 


-Bloody Schutzengel













 
   
 
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