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Autore: Asuna_Yuuki    11/06/2015    1 recensioni
"I Ragnarǫk indicano, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato."
Come potete ben immaginare, la storia sarà basata sulla mitologia nordica, in particolare quella vichinga. Mi sono documentata prima di iniziare a scrivere, ma naturalmente non sarà perfettamente coerente con la vera e propria tradizione scandinava.
La storia è incentrata sulle vicende di Rena, una giovane elfa delle tenebre, che dopo un gesto eroico verrà esiliata dal suo regno di origine e si ritroverà obbligata a iniziare una nuova vita, o meglio, a sopravvivere nel regno dei suoi nemici: gli elfi della luce. L'esilio di Rena si rivelerà in realtà una fortuna inaspettata per tutti e nove i mondi, in quanto detentrice di un oscuro segreto, di cui sono al corrente solo gli abitanti della sua terra e altri popoli altrettanto malvagi e subdoli, che si ritroveranno allo stesso tempo ingannatori ed ingannati.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi auguro una buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
Quando udì la sentenza mi sentì quasi sollevata dal fatto che non fossi più obbligata a vivere in mezzo a quella gente macabra, assetata di sangue e spietata, dal cuore corrotto dall’aria rarefatta e dall’atmosfera tetra in cui si trovavano. Tuttavia, quando venni scortata da una piccola guarnigione di dieci uomini, dotata solo di una spada e di alcune vesti (non mi fu infatti concessa la mia armatura), capì che non avevo molte speranze di sopravvivere in altri luoghi. Mi voltai per osservare un’ultima volta il macabro castello in cui risiedeva Lord Einar, strategicamente posto su un’elevatissima montagna al centro del regno. Mi chiesi se mi stesse guardando e cosa stesse pensando. 

-Avanti, entra nell’albero, prima che ti costringa a farlo.- disse uno dei soldati con tono rude, sollevando la spada all’altezza del mio viso. 

Prima che potesse avvicinarla eccessivamente a me, sollevai d’istinto la mia e la feci strusciare contro la sua, provocando un fastidioso rumore metallico. Istantaneamente tutti gli altri dieci uomini mi minacciarono con le loro armi, chi con arco e frecce e chi con mazze chiodate. 

-Stiamo calmi, cercavo solamente di ricordare al vostro amico che sono stata condannata all’esilio e non a morte.- dissi, riponendo la spada nel fodero.

-Non farei tanto la spiritosa, signorina. Nessuno avrebbe pena per la morte di una pseudo eroina reietta, a Svartalfaheim.- replicò un altro, causando le risa dei suoi compagni. 

Le loro risate istigarono un sentimento di pura collera nei loro confronti, impulso che purtroppo non sono mai riuscita a controllare: con uno scatto rapido allungai un braccio e provocai con la lama della mia spada un profondo taglio alla gola del guerriero che aveva parlato prima. Istantaneamente dalla ferita, zampillò un rivolo di sangue denso e torbido, che gocciolò a terra, rendendo il suolo ancora più scuro.
“Mio dio, non riesci proprio a tenerti fuori dai guai, eh?” pensai, mentre osservavo il resto degli uomini accorrere per cercare di chiudere la mortale ferita sul collo dell’uomo che avevo colpito. Approfittai di quell’attimo, l’unico che avrei avuto, per fuggire all’interno dell’Yggdrasil. Sapevo che non mi avrebbero seguita, non avevano l’ordine di uccidermi: mi avrebbero lasciata scappare, ma avrebbero sicuramente riferito a Gymir ciò che avevo fatto. Perlomeno avevo lasciato Svartalfaheim in un modo che non avrebbero sicuramente dimenticato. Quando fui nei pressi dell’ingresso di Alfheim, mi sedetti con le ginocchia al petto contro la parete lignea dell’interno concavo dell’Yggdrasil, riprendendo fiato per la corsa e per cercare di escogitare un piano per evitare di farmi massacrare da qualche Liosalfar di guardia. La miglior cosa da fare, pensai, sarebbe stata quella di improvvisare a seconda della situazione. Dopo aver preso ogni briciola di coraggio di cui disponevo, mi alzai da terra con l’aiuto della mano destra e mi diressi verso l’ingresso di Alfheim, sentendo la morte sempre più vicina ad ogni passo. Un conto era quello di entrare per qualche minuto, un altro quello di rimanere là in eterno, nascosta clandestinamente in qualche foresta, da sola in territorio nemico. La prospettiva dell’esilio, che mi sembrava molto più allettante appena dieci minuti prima, si trasformò in un incubo inaspettato, dal quale non sarei stata però in grado di svegliarmi. Fortunatamente non trovai nessun elfo di guardia, evidentemente non erano soliti come noi a sorvegliare i confini. 

-E ora? Da dove inizio?- chiesi a me stessa, sentendomi un po’ una sciocca a parlare da sola. Mi ci sarei dovuta abituare, in ogni caso. L’unica speranza, sarebbe stata quella di trovare altri esiliati, ma dubitavo che fossero sopravvissuti alle preparatissime e sorprendentemente sveglie guardie Liosalfar. Mi addentrai nella foresta nella quale avevo lasciato la bambina una manciata di ore prima, rendendomi conto di quanto fosse diversa rispetto a un tipico bosco di Svartalfaheim: gli alberi rinsecchiti e apparentemente morti erano sostituiti da arbusti frondosi e ricolmi di frutta, al posto del terreno nero e brullo c’era un morbido terriccio dal quale spuntavano fiori delicati, colorati o meno e gli animali non erano corvi minacciosi o gufi inquietanti, bensì graziosi uccellini e adorabili scoiattoli.  Alla vista di uno spettacolo così gradevole, la paura andò mano a mano a scemare, rimpiazzata da un’inspiegabile gioia. Probabilmente il buio in cui ero cresciuta mi aveva abituata a vedere sempre il mondo da una triste e cupa prospettiva. Ero rapita a tal punto da non sentire i passi di alcuni elfi alla mia destra, che mi studiarono attentamente per qualche secondo, indecisi se abbattermi o meno. Mi accorsi della loro presenza solo quando captai le loro voci grazie al mio finissimo udito, il senso più sviluppato di cui disponiamo per bilanciare la vista un po’ debole (causata dalle tenebre che gravano su Svartalfaheim).

-La portiamo a palazzo?- chiese uno.

-Io dico che potrebbe scapparci, meglio se l’abbattiamo subito e portiamo il corpo a Dain.- rispose l’altro.

-E se ci rimproverasse per non averla portata viva?- 

-Vuoi davvero lasciare i tuoi figli orfani di padre? I Dokkalfar sono viscidi e non ci metterebbe nemmeno un secondo a disfarsi di tutti e due per fuggire.- 

L’altro esitò un po’ prima di rispondere e poi sospirò: -Hai ragione, ma colpiscila prima tu. Non c’è onore nell’uccidere una donna sola, per di più alle spalle.- 

Capì che dovevo fare qualcosa prima di venir trafitta da una freccia, così alzai le mani e gridai: 
-Non ho cattive intenzioni, vorrei parlare con Lord Dain.-

Percepii una certa esitazione da parte dei Liosalfar, così aggiunsi dopo qualche secondo, nella speranza di persuaderli: -Sono stata esiliata.-

I secondi successivi furono interminabili, durante i quali trattenni il respiro con ansia e paura per la mia vita. Rimasi con le mani alzate, mostrando in questo modo di non tenere nessuna arma, se non la spada legata alla cinta. Tirai un sospiro di sollievo quando i due elfi si fecero avanti, uscendo dal loro nascondiglio: erano appollaiati su un ramo, perfettamente mimetizzati grazie alla loro armatura leggera dello stesso colore delle foglie. Uno dei due mi tenne puntato contro l’arco con una freccia incoccata, mentre l’altro si avvicinò cautamente per sfilarmi l’arma dal fodero. Lo lasciai fare, senza interrompere un attimo il contatto visivo con quello che mi minacciava a distanza, dimostrandogli di non avere intenzione di reagire o scappare. Approfittai dei pochi secondi che il compagno impiegò per perlustrare rapidamente con lo sguardo il mio povero equipaggiamento per osservare le fattezze di colui che avrebbe potuto senza problemi uccidermi seduta stante. I capelli erano di un biondo miele dai riflessi dorati, che si rivelavano ogni volta che il sole batteva sopra di essi, gli occhi grandi e blu e le labbra carnose e rosate. Niente al che vedere con i visi un po’ grotteschi e minacciosi dei maschi della mia gente. 

-Come vi chiamate?- chiese l’elfo, quando il suo compagno si riavvicinò a lui con la mia spada in mano. Dalla voce intuì che si trattava di quello che aveva suggerito la mia immediata uccisione. 

-Rena.- risposi, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e continuando ad indagare con lo sguardo la sua figura. 

-Dopo di voi, Rena.- disse il ragazzo, facendo un cenno verso il sentiero che stavo percorrendo prima di venire intercettata da loro –Vi scortiamo da Lord Dain.-
   
 
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