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Autore: Asuna_Yuuki    11/06/2015    2 recensioni
"I Ragnarǫk indicano, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato."
Come potete ben immaginare, la storia sarà basata sulla mitologia nordica, in particolare quella vichinga. Mi sono documentata prima di iniziare a scrivere, ma naturalmente non sarà perfettamente coerente con la vera e propria tradizione scandinava.
La storia è incentrata sulle vicende di Rena, una giovane elfa delle tenebre, che dopo un gesto eroico verrà esiliata dal suo regno di origine e si ritroverà obbligata a iniziare una nuova vita, o meglio, a sopravvivere nel regno dei suoi nemici: gli elfi della luce. L'esilio di Rena si rivelerà in realtà una fortuna inaspettata per tutti e nove i mondi, in quanto detentrice di un oscuro segreto, di cui sono al corrente solo gli abitanti della sua terra e altri popoli altrettanto malvagi e subdoli, che si ritroveranno allo stesso tempo ingannatori ed ingannati.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi auguro una buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

-Andiamo Gymir, uccidiamo anche i bambini adesso?-.

Il gigante seduto sul trono di fronte a me trattenne l’impulso di alzarsi con evidente sforzo e strinse ulteriormente le tozze dita sui braccioli del suo sontuoso seggio, decorato con pietre di ossidiana e diamanti, prelevati con fatica dai nani dalle miniere.

-Non era una semplice bambina, Rena. Era una di loro, e presto diventerà un’ulteriore minaccia per Svartalfaheim, una volta che avrà imparato ad impugnare un’arma.- replicò Gymir, con la sua tipica voce profonda e lugubre.

Il fatto che accusasse una bambina di essere una potenziale minaccia era paradossale, dato che a complottare affinché avvenisse il Ragnarok fosse proprio il mio popolo e non quello dei Liosalfar.

-Non sono loro a volere la battaglia, ti ricordo.- dissi io, sapendo che presto la pazienza del gigante avrebbe raggiunto il limite e ciò avrebbe portato considerevoli guai alla sottoscritta. Poco male. A quel punto il viso di Gymir divenne rosso per l’ira e si alzò dal trono, agitando il grassoccio pugno verso di me:

-Ora basta, Rena. Sei diventata oltremodo sfrontata. Certo, lo sei sempre stata, sin da bambina, ma non posso tollerare ulteriormente questo tuo atteggiamento. Posso chiudere un occhio di fronte a una bravata, a due, ma questo! Ti rendi conto che hai salvato la vita ad uno dei Liosalfar?-.

Ripercorsi a quel punto ciò che era avvenuto la mattina stessa: mentre ero di guardia all’accesso dell’Yggdrasil, trovai una bambina che avrà avuto più o meno quattro anni intenta ad inseguire una farfalla, ridendo ingenuamente e sembrava inconsapevole del pericolo in cui si fosse cacciata. Era evidente che non fosse una di noi, i suoi capelli biondi e i suoi occhi color ghiaccio segnalavano la sua appartenenza alla stirpe degli Liosalfar, gli elfi della luce, nostri acerrimi nemici. Ero conscia del fatto che aiutandola avrei istigato la furia di Gymir, il gigante che regna nella regione di Svartalfaheim in cui risiedo, ma non avevo alcuna intenzione di lasciare che quella bambina venisse trovata da un altro dei Dokkalfar e da lui brutalmente trucidata, così la scortai dall’altra parte di Yggdrasil. Non fu difficile conquistarmi la sua fiducia, dopotutto i bambini non hanno la cognizione di cosa sia pericoloso e cosa non lo sia, perciò mi seguì senza problemi fino ad Alfheim, il regno degli elfi della luce. E’ un luogo completamente diverso da Svartalfaheim, in cui il buio e il freddo sono sovrani, ma è avvolto dal caldo tepore e dal bagliore del sole. Dopo aver lasciato lì la bambina, questa mi sorrise in maniera riconoscente e mi rivolse per la prima volta la parola:

-Grazie.-

Rimasi leggermente stupita dal fatto che dimostrasse già a quella tenera età un nobile sentimento come la gratitudine, di cui in molti sono sprovvisti, persino gli adulti. Risposi al suo sorriso e nel sentirla biascicare parole incomprensibili rimasi in attesa, finchè non notai tra le sue mani minute e paffutelle un barlume rosato, che diradandosi rivelò un piccolo fiore del medesimo colore.
-Per te.- disse timidamente la bambina, porgendomi il fiorellino.
Le sorrisi ancora una volta, non sapendo che altro dire. Mi chiese se avessi intenzione di rimanere là per aiutarla a cercare la sua mamma, però se lo avessi fatto, non avrei più fatto ritorno: sarei stata immediatamente imprigionata e forse giustiziata, nel caso fossi stata accusata di rapimento. Che avrei fatto? Avrei raccontato di aver visto la bambina rincorrere una farfalla a Svartalfaheim? Le spiegai che dovevo tornare urgentemente a casa, così lei senza replicare si addentrò nella foresta.
“Dai Rena, cosa stai facendo? Le salvi la vita riportandola qui, ma la lasci entrare in una foresta DA SOLA?” pensai tra me e me, ed in effetti non avevo tutti i torti. Feci l’unica cosa che mi venne in mente, anche se probabilmente poteva essere visto come un gesto ostile da parte della mia gente: tesi la mano libera dalla spada che portavo e lanciai un incantesimo verso il cielo, rendendone una piccola frazione di colore rosso sangue. Era un tipico segnale che segnalava dopo una battaglia il dominio dei Dokkalfar in quella determinata zona. Sicuramente alcuni dei Liosalfar sarebbero a breve accorsi per cercare di capire l’accaduto e avrebbero quindi trovato la bambina. Soddisfatta e spaventata al tempo stesso dal mio operato, rientrai nell’Yggdrasil, l’enorme albero sacro che tiene connessi tutti e nove i mondi. Quando feci ritorno a Svartalfaheim venni nuovamente avvolta dal freddo pungente e dalle tenebre tipiche di questo luogo, tanto graditi agli altri Dokkalfar ma non a me. Ciò che avevo fatto arrivò non si sa come alle orecchie di Gymir che, infuriato, mi convocò la sera stessa nella sua modesta reggia. Non era la prima volta che mi capitava di essere convocata a corte, sono da sempre stata giudicata una “testa calda da tenere d’occhio”, ma stavolta la motivazione era ben più grave di una scorribanda qualsiasi con i miei amici: potevo essere accusata di alto tradimento ed essere condannata a morte o all’esilio.
Ed ero lì, consapevole delle mie “colpe” e in attesa di un verdetto da parte di Gymir e dei suoi consiglieri. Rimasi per ore in piedi, ad ascoltare le accuse rivoltomi, che alle mie orecchie parevano ingigantite e ripetitive, ma a cui prestai comunque attenzione. La schiena cominciava a dolermi a causa dell’onere causato dall’equipaggiamento e dalla posizione in cui l’avevo costretta: leggermente inclinata all’indietro.

-Teoricamente non dovrebbe essere presente anche Lord Einar?- domandai, osservando i tre che si scambiavano parole all’orecchio in massima segretezza, mentre mi lanciavano sguardi torvi.

-Stai quindi dando per scontato che verrai esiliata o giustiziata?- chiese Gymir, sogghignando beffardo dopo essersi allontanato dall’orecchio di uno dei suoi viscidi consiglieri.

Alzai le spalle con noncuranza, rivolgendo altrove lo sguardo e, senza far trasparire alcun sentimento, aggiunsi: -Semplicemente non credo che tu sia abbastanza imparziale, vorrei che il mio destino venisse deciso in presenza di una persona giusta e obiettiva come Lord Einar.-

Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso: Gymir detestava il fatto di detenere un potere decisamente ridotto e che esso gli fosse stato concesso direttamente da Lord Einar, sovrano di Svartalfaheim, elfo dell’oscurità famoso per il suo sangue freddo e la sua crudeltà nei confronti dei nemici. Il gigante si alzò nuovamente e mi gridò contro la sentenza, sotto lo sguardo ammirato e ricco di approvazione dei suoi consiglieri. Ciò a cui mi condannò fu indubbiamente una pena piuttosto pesante, ma mi rese inspiegabilmente quasi felice: ero stata esiliata da Svartalfaheim.
   
 
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