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Autore: Writer_son of Hades    12/06/2015    2 recensioni
In un passato lontano, gli uomini stavano distruggendo la terra. Gli dei, vedendo queste atrocità, scesero nel mondo e devastarono l'umanità. Solo un uomo e una donna, per ognuno degli dei esistenti, vennero salvati per diventare figli del dio che li aveva scelti.
Nel loro sangue di mortali, scorreva anche una parte dell'icore dorata degli dei. Generazioni e generazioni di discendenti si precedettero, portando pace e rispettando per gli dei e per la terra dove vivevano.
Mille anni dopo, una ragazza mortale, discendente di nessun dio, si ritrova a dover affrontare il suo destino.
Sarà veramente pronta ad abbracciare il ruolo così importante che le spetta?
(per questa storia ho preso spunto da alcuni aspetti della saga di "Percy Jackson")
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VII









Dopo le continue lamentele di Aiden, siamo riusciti ad uscire dalla miniera da un passaggio segreto che ci ha indicato Michael.
               – Conoscevi questo posto? – chiesi a mio fratello.
               – Sono stato qui per molto tempo. – mi rispose con lo sguardo concentrato su qualcos’altro. – Appena torniamo, ti devo mostrare delle stanze nascoste.
Ero eccitata all’idea, ma era ancora strano parlare con lui dopo tutto quel tempo.
Camminavamo spediti fra la periferia a est del centro di Nuova Roma. Arcadio era in testa con Aiden, Achlys, Elai e Samuel subito dopo e infine io e Michael. Arcadio aveva detto che il posto era nella periferia ovest, vicino al mare. Avremmo dovuto passare per il centro, facendo attenzione a non essere presi.
                – Cosa dovevi dirmi dei nostri genitori? – domandai a Michael.
Lui abbassò lo sguardo e subito non mi rispose.
                – L’Oracolo ti dirà tutto. – rispose evasivo.
Non volevo sapere più. Se Michael era ridotto così, non volevo sapere.
Era quasi mezzogiorno quando arrivammo nel centro. Arcadio e Aiden si fermarono dietro ad un angolo e sbirciarono sulla piazza principale.
                – Problemi? – domandò Michael avvicinandosi ai due.
                – L’Armata. – mormorò Aiden a denti stretti.
                – Non possiamo passare. Riuscirebbero a vederci. – continuò Arcadio.
                – Possiamo passare a nord e sorpassiamo la piazza. – disse Aiden cercando una soluzione.
                – Ci sono sicuramente truppe per l’intero centro, siamo stati solo fortunati a non beccarli prima. – spiegò Michael.
Il discendente di Apollo gli lanciò un’occhiataccia: – Oppure non ci sono.
                – Senti, novellino. – cominciò Michael, sfacciato. – Conosco l’Armata molto meglio di te, per cui se ti dico che ci sono truppe per tutta la piazza e nei dintorni, ho ragione.
                – Novellino? – ringhiò di risposta Aiden. – Ci sono dentro da più tempo di te.
                – Oh dei, ma faranno tutto il tempo così? – mormorò stancamente Achlys con una mano davanti alla faccia. Elai ridacchiò.
                – Smettetela di litigare e cerchiamo di decidere cosa fare. – prese in mano la situazione Arcadio.
Quella è l’ultima cosa che ricordo, perché dopo divenne tutto buio.
 
   
 
Quando mi risvegliai avevo male alla testa. Dei se faceva male. Le orecchie mi fischiavano e non riuscivo a mettere insieme un pensiero sensato. La vista era completamente offuscata. Delle macchie indistinte si muovevano davanti a me.
Chiusi gli occhi. Respirai lentamente per riprendere il controllo del mio corpo. Cercai di pensare all’ultima cosa che ricordavo. Ah, giusto: mio fratello e Aiden che litigavano… Nulla comunque che mi sarebbe servito per capire dove mi trovassi.
La testa cominciò a farmi meno male nel giro di poco tempo. Provai a riaprire gli occhi e mettendo lentamente a fuoco, riuscii a distinguere i miei pantaloni. Alzai la testa e un muro grigio si stagliò davanti a me. Non riconoscevo quel posto.
Ero seduta. Cercai di alzarmi, ma ero legata ad una sedia. Strattonai più forte, ma le corde erano belle strette. Poi sentii qualcosa di diverso dal ruvido della fune. Sembrava pelle umana. Accarezzai quella superficie liscia e morbida con la punta delle dita.
                – Skia? – la voce di Arcadio mi chiamò.
                – Sei tu? – chiesi sorridendo, contenta di non essere sola.
                – Sono qui. – mi disse fermo, prendendomi la mano. Io la strinsi cercando di farmi forza.
                – Dove siamo? Da quanto sono svenuta? Dove sono gli altri? E mio fratello? – domandai a raffica.
                – Siamo al quartier generale dell’Armata. Ti hanno presa alle spalle e ci hanno tramortiti. Io sono riuscito a raggiungerli e a cercare di fermarli, ma hanno preso anche me. – mormorò. – Mi dispiace.
Io non ascoltai quel “mi dispiace”. Aveva cercati di salvarmi, l’importante era quello, non se non c’era riuscito. Almeno non ero sola.
                – Come fai a sapere che siamo nel quartier generale dell’Armata? – chiesi invece.
                – Ci sono già stato.
                – Ma tutti siete stati in prigione almeno una volta? – domandai sarcastica.
                – Lottando contro il potere, ti capita di finire al fresco qualche volta.
Sbuffai. Dovevamo uscire.
                – Okay. Come ce ne andiamo?
In quel momento la porta si spalancò di colpo e entrarono due uomini con la divisa dell’Armata, seguiti da un terzo con un impermeabile scuro.
                – Finalmente conosco la grande figlia di Laudas. – disse l’uomo con fare teatrale. La bocca increspata in un sorriso maligno dava un orribile espressione al viso, percorso da una cicatrice biancastra dalla tempia fino alla mandibola.
                – Oh, ci sei anche tu, Arcadio. – continuò.
                – Ehi. Ci si rivede! – lo salutò il ragazzo con troppo entusiasmo.
                – È sempre un piacere. – mormorò alzando gli occhi al cielo, per poi tornare a puntarli su di me. – Ma siamo qui per te, generale.
                – Generale? – possibile che le persone siano sempre convinte che io sappia tutto?
                – Che carina. Fa’ pure finta di non sapere nulla. – ridacchiò l’uomo rivolgendosi alle due guardie ai suoi fianchi. Poi mi mollò uno schiaffo in piano viso facendomi fischiare di nuovo l’orecchio.
                – Non toccarla! – sento Arcadio dimenarsi dietro di me.
                – Smettila di giocare, stronzetta. – mi minacciò. – Dicci dove sono gli altri e non ti faremo nulla.
Sentivo la rabbia montarmi nelle vene. Giurai che avrei tirato un pungo a quel tizio appena mi sarei liberata.
                – Vediamo se ti è chiaro, stronzetto. – cominciai con la voce più tagliente che riuscivo a fare. – Io. Non. So. Di. Cosa. Tu. Stia. Parlando. – scandii lentamente ogni parola.
                – Testarda come il padre. – disse a denti stretti. – Non ho molta pazienza. Per cui te lo richiedo e questa sarà l’ultima volta. – aveva gli occhi marroni fissi nei miei. – Dov’è il tuo esercito?
Io non resistei all’impulso di sputargli in faccia. Lui prese una fazzoletto dalla tasca dell’impermeabile e si pulì il viso, per poi tirarmi un pugno sulla mandibola. Da tanta forza, per poco non caddi dalla sedia. Sentii il sangue colarmi dal labbro inferiore. Tornai dritta e con sguardo furibondo mi leccai il sangue che usciva dalla ferita, assaggiandone il sapere metallico.
                – Forse hai solo bisogno di un piccolo…incoraggiamento. – disse con un ghigno. Poi si rivolse alle guardie: – Portatemi il ragazzo.
I due uomini si mossero velocemente e presero Arcadio per le braccia. Lui cercava di liberarsi dimenandosi, tirando calci e testate, ma i due non mollavano. Lo portarono davanti a me e all’uomo con l’impermeabile.
Restai con lo sguardo fisso su di lui mentre si avvicinava ad Arcadio e gli mollava un pugno in pieno stomaco. Il ragazzo si piegò in due dal dolore.
Io non parlai e non mossi un muscolo, anche se dentro stavo scoppiando.
                – Oh, devo continuare? – mi chiese sarcastico, per poi tirargli un altro pungo. Arcadio gridò al quarto colpo.
                – Certo che ti piace vedere gli altri soffrire per te. – ridacchiò mollando un pungo in pieno viso al discendente di Pan.
Cercai di non mandarlo agl’Inferi solamente schioccando le dita. Dovevo fare qualcosa, non potevo vederlo così. Strinsi le mani e immaginai di teletrasportarmi davanti ad Arcadio. Non so come, ma mi trovai in piedi davanti ai due uomini.
Il tizio con l’impermeabile mi guardò sbalordito. Io non aspettai a piazzargli un destro sul naso, sentendomi realizzata.
Arcadio colpì la guardia sulla destra e io presi l’altro. Riuscì a metterlo ko in pochissimo tempo e mi misi il braccio di Arcadio attorno alle spalle per sorreggerlo. Immaginai di essere fuori e in uno sbuffo di tenebre eravamo in un campo di grano.
Aprii gli occhi e non ci credei subito. Ero riuscita a portarci fuori. Sorrisi come una scema.
Poi il gemito di dolore di Arcadio mi risvegliò dall’incanto. Il ragazzo si accasciò a terra con una mano attorno al costato.
Mi abbassai e senza nemmeno chiederglielo misi una mano sulle costole. Lui fece un brutto suono quando toccai la parte sinistra. Sentii una costola rotta.
                – Dove siamo? – mi chiese sussurrando.
Mi guardai intorno. – In un campo di grano nella parte sud di Nuova Roma. – annusai l’aria. –  Ma dovremmo essere vicini al mare. – risposi, per poi tornare a concentrarmi su di lui.
Lui fece come me e cercò di capire la nostra posizione. Sorrise. – Che gli dei ti benedicano.
                – Perché?
                – Siamo più vicini all’Oracolo di quanto credi. – poi cercò di alzarsi. Io lo aiutai e lui si appoggiò a me.
                – Dobbiamo trovare qualcosa per curarti prima. Non puoi camminare in queste condizioni. – dissi severa. Mi guardai ancora intorno e non molto lontano vidi che iniziava una foresta. – Se ti portassi in un bosco, staresti meglio?
                – Sì, ma così ci allontaneremmo dall’Oracolo.
                – Smettila di pensare al mio destino per un momento, prima dobbiamo curarti. – lo zittii cominciando ad avanzare verso gli alberi.
Fu una delle cose più difficili che io abbia mai fatto. Arcadio cadeva ogni dieci metri e poi pesava, pure per me. Qualche volta cercai di teletrasportarmi ancora, ma ero troppo stanca per riuscirci. Arrivammo alla base del bosco che eravamo entrambi grondanti di sudore e stremati. Camminai ancora per un po’ addentrandomi fra gli alberi, cercando di farmi forza e, appena trovai un albero bello grosso a fianco di un piccolo fiumiciattolo, mi ci accasciai sotto portando Arcadio con me.
                Ripresi lentamente fiato e lo sistemai sul tronco. Mi sfilai il giubbotto e la felpa, rimanendo in canotta, per fargli un cuscino. Gli aprii il suo di giubbotto e gli alzai il maglione, scoprendo il punto dove si trovava l’ematoma. Aveva un aspetto orribile.
Presi una foglia e la riempii di acqua del fiume per darla ad Arcadio. La bevve velocemente e gliene diedi un’altra.
                – Vado a cercare della legna. Conosci delle piante che possono curarti? – gli chiesi cercando di essere positiva.
                – Certo, ma non riuscirai a riconoscerle. – mi rispose con una smorfia di dolore.
                – Posso provarci. – dissi sicura.
Lui mi fissò serio, ma poi parlo: – Dovresti trovare una Corydalis. Allevia il dolore ed è composta da piccoli fiorellini lunghi viola oppure gialli. Si trova sulle superficie umide. Poi del muschio per cicatrizzare e dell’abete rosso che è balsamico.
                – Va bene. Torno presto. Tu non ti muovere. – gli ordinai.
                – Non ti lascerei mai. – disse con un sorriso.
Io alzai gli occhi al cielo e mi allontanai nel bosco, facendomi però sfuggire un leggero sorriso sulle labbra.
Camminai per un tempo che mi sembrò infinito. Il muschio e la legna per il fuoco furono facili da trovare, ma la Corydalis non la vedevo da nessuna parte. Avanzando verso l’alto trovai degli abeti e ne staccai la corteccia con la resina sopra. Cercai ovunque e, quando credevo di aver perso le speranze, scorsi uno strano colorito violetto non troppo lontano. Mi avvicinai di corsa e riconobbi i fiori lunghi i piccoli che mi aveva descritto prima Arcadio. Ne colsi il più possibile e tornai indietro di fretta, vedendo il sole tramontare.
Nel viaggio di ritorno mi imbattei in un cespuglio di more e ne colsi alcune per cenare.
Tornai all’accampamento e Arcadio era nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato.
Accessi immediatamente un piccolo fuoco e Arcadio mi spiegò come utilizzare le varie piante. Presi la corteccia dall’albero da cui era appoggiato e ci misi sopra la resina dell’abete, sciogliendola. Poi feci la stessa cosa con i fiori di Corydalis aggiungendo dell’acqua per fare un infuso. Mentre aspettavo che l’acqua si scaldasse cominciai a mettere la resina fusa sull’ematoma.
                – Non farti deconcentrare dal mio fisico per.. ah! – gemette dal dolore.
Quando cominciai a massaggiare fece un sacco di smorfie e cercò di trattenere i lamenti. Divenne tutto pallido e cominciò a sudare. Quando misi il muschio sopra, come mi aveva detto, e gli ebbi dato l’infuso, sembrò riprendersi.
Mangiammo le more e ravvivai il fuoco.
Il sole era tramontato da molto e aveva lasciato spazio alle stelle. Il freddo della notte cominciava a farsi sentire e la mia canotta non riusciva a riscaldarmi abbastanza.
               – Vieni qui. – mi invitò Arcadio allargando le braccia.
               – Sto bene. – risposi evasiva. Non volevo dargli fastidio.
               – Lo so. – mi colse di sorpresa. – Ma vieni qui.
Non me lo feci ripetere un’altra volta. Mi misi al suo fianco e lui mi circondò con il suo giubbotto. Emanava uno strano calore.
                – Adesso provo a fare una cosa. – mi disse mettendosi seduto. Alzò le braccia e sentii un fruscio venire dall’alto. I rami degli alberi cominciarono a piegarsi verso di noi e io ebbi paura che si spezzassero. Ma Arcadio li fece semplicemente sistemare a cupola attorno a noi e al fuoco, costruendo così una piccola capanna. Era ancora più pallido quando ebbe finito.
Presi dell’altra resina e gli risistemai il bendaggio di muschio. – Non devi sforzarti.
                Lo vidi sorridere. – Sto bene, grazie a te.
Io non lo guardai e continuai il mio lavoro. Quando ebbi finito lo sorpresi a fissarmi con quegli occhi verde scuro che illuminati dalla fioca luce del fuoco sembravano ancora più scuri.
Sì, era bello. Lo ammetto.
Cominciò a cantare quel motivetto che avevo sentito la prima volta nella grotta delle lucciole.
 
Don't go away,
I need you to stay,
I want to go someplace and find you there...

I want to go someplace and find you there.
 
Io rimasi in silenzio. Sentii il suo cuore accelerare il battito e pure il mio che dava le escandescenze.
La mia mano era ancora sopra il suo petto. Era strano quello che stavo provando, ma non mi sembrava qualcosa di male.
Avevo una voglia matta di toccargli le labbra, di morderle, di baciarle. La sua mano mi accarezzò i capelli per poi finire sulla ma guancia.
Forse non avrei dovuto farlo, forse era sbagliato.
Ma non mi importò molto in quel momento, per cui avvicinai lentamente le mie labbra alle sue e le unii. Sapeva di rugiada e di aria fresca.
Mi aggrappai al suo collo con le mani e lui fece scivolare le sue contro i miei fianchi. Fu un bacio senza senso, forse, nel mezzo di un bosco dimenticato dagli dei, sotto ad una capanna di rami, fra due sconosciuti.
Ma che Zeus mi fulmini ora, se non fu pieno di dolcezza.






Nota dell'autrice: Zam Zam nuovo capitolooooo! Ho deciso che finalmente era ora che si facessero porca mannaggia! Che ne dite? Carini vero? 
In ogni caso? Come sono iniziate le vacanze??? E l'anno è andato bene? Io devo ancora vedere i quadri e temo per matematica (sì insomma....non sono mai stata un vero e proprio genio....)
Bé un bacione a tutti
Silvia

 
   
 
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