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Autore: Asuna_Yuuki    12/06/2015    2 recensioni
"I Ragnarǫk indicano, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato."
Come potete ben immaginare, la storia sarà basata sulla mitologia nordica, in particolare quella vichinga. Mi sono documentata prima di iniziare a scrivere, ma naturalmente non sarà perfettamente coerente con la vera e propria tradizione scandinava.
La storia è incentrata sulle vicende di Rena, una giovane elfa delle tenebre, che dopo un gesto eroico verrà esiliata dal suo regno di origine e si ritroverà obbligata a iniziare una nuova vita, o meglio, a sopravvivere nel regno dei suoi nemici: gli elfi della luce. L'esilio di Rena si rivelerà in realtà una fortuna inaspettata per tutti e nove i mondi, in quanto detentrice di un oscuro segreto, di cui sono al corrente solo gli abitanti della sua terra e altri popoli altrettanto malvagi e subdoli, che si ritroveranno allo stesso tempo ingannatori ed ingannati.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi auguro una buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.
 
-Si, sono molte scale.- disse l’elfa alle mie spalle, e mi chiesi se fosse anche lei in grado di leggere nella mente altrui.
 
-Per un momento l’ho pensato, si.- mormorai io, allungando una mano per sfiorare con le dita le pareti in pietra arenaria, intrise di freddo come la sala del trono e questo lungo corridoio. Ad illuminare la via, vi erano degli smeraldi che emanavano una luce soffusa, dello stesso verde della pietra.
 
“Almeno qui le pietre preziose sono usate anche per scopi utili, non solo per decorare oggetti e dimore dei potenti” pensai, e attesi una reazione della guardia. Dato che rimase in silenzio, capii che non era dotata dello stesso potere del sovrano. Probabilmente era una capacità riservata solo ai nobili e si trasmetteva da padre in figlio.
 
-Se non sono troppo indiscreta, posso chiederti - - iniziai a domandare, ma mi interruppi quando arrivammo alla fine della scalinata e ci ritrovammo in un altro corridoio, perpendicolare alle scale e illuminato con lo stesso sistema. Vi si affacciavano una serie di porte, ognuna sorvegliata da un elfo diverso, che reggeva una lancia con la mano destra. Venni condotta dall’elfa fino a una porta, situata quasi all’estremità del corridoio, e ogni volta che passavamo davanti a una guardia carceraria, questa portava una mano alla fronte in segno di rispetto.
 
-Perché proprio in questa?- chiesi quando arrivammo davanti alla porta.
 
-Tu fai troppe domande.- commentò l’elfa, facendo un cenno al carceriere accanto alla porta della mia presunta cella.
 
Quando la porta si aprì, vidi che all’interno c’era un uomo seduto a terra in un angolo con le braccia incrociate all’altezza del petto. L’espressione del suo viso non era delle più amichevoli o delle più felici.
-Come te la passi, Adrian?- domandò la donna, entrando insieme a me nella cella e richiudendo la porta alle sue spalle.
 
Quello per tutta risposta emise una sorta di grugnito di disapprovazione, girando la testa verso la parete, rivelando le orecchie a punta che denotavano la sua appartenenza alla razza elfica. I capelli corvini e la carnagione pallida mi fecero intuire che appartenesse al mio popolo. Il nome Adrian non mi era del tutto nuovo, perciò pensai di averlo conosciuto da qualche parte, magari durante un turno di guardia.
 
-Sempre molto amichevole.- borbottò l’elfa, facendo poco dopo un cenno verso di me e aggiungendo: -Lei è Rena, sono certa che diventerete ottimi compagni di prigionia.-
 
Girai di scatto lo sguardo verso di lei, un po’ preoccupata dalla sua affermazione: che la promessa di Lord Dain fosse solo una menzogna perché mi lasciassi condurre in prigione senza ribellarmi? Lei mi rivolse un’occhiata fredda ma allo stesso tempo rassicurante: evidentemente la mia posizione era ben diversa da quella del misterioso Dokkalfar incarcerato. Mi voltai di nuovo a guardare l’uomo: aveva un aspetto malconcio, triste e abbandonato. Non emanava nemmeno un odore gradevolissimo a dirla tutta, ma mi sarei dovuta adattare. In fondo dopo una manciata di giorni avrei avuto più o meno lo stesso sgradevole aroma. Poco prima di lasciare la cella, l’elfa mi rivolse un ulteriore sguardo, distaccato ma allo stesso tempo eloquente. Quando la porta ferrea sbatté, mi avvicinai lentamente al mio compagno e mi sedetti accanto a lui, avvicinando le ginocchia al petto e cingendole con entrambe le braccia. Rivolsi il volto verso di lui dopo aver poggiato il capo sulle ginocchia e mugolai, un po’ per l’insicurezza e un po’ per la posizione non eccessivamente comoda:
 
-Come mai sei finito qui?-
 
L’uomo accanto a me si alzò da terra lentamente, aiutandosi con una spinta delle visibilmente possenti braccia e si passò una mano tra i capelli neri, tenendo lo sguardo basso. Io rimasi seduta a terra, con il capo leggermente inclinato per osservare i suoi movimenti, picchiettando nel frattempo le dita sulle ginocchia. Si sentivano indistintamente i rumori provenienti dalla cittadella: donne che richiamavano i figli, nitriti di cavalli e grida di mercanti che si sovrapponevano per prevalere l’una sull’altra. L’elfo si avvicinò alla stretta finestra della cella e osservò al di fuori di essa, sospirando in maniera silenziosa. Nel momento in cui la luce colpì il suo viso, fui in grado di osservare più facilmente il profilo del giovane. I suoi lineamenti erano particolari, gradevoli e un po’ forti, e ciò che mi colpì specialmente era una fossetta appena accennata sul mento.
 
-Sono fuggito.- disse dopo un po’, voltandosi di scatto verso di me, come se avesse udito la mia domanda solo in quel momento –Mai sentito parlare di Adrian “il folle”?-
 
Eccome se ne avevo sentito parlare. All’incirca un anno prima del mio esilio, sulla bocca di tutti era presente il nome di Adrian, detto “il folle”. Era famoso per i suoi incontrollabili attacchi d’ira, che sfociavano irrimediabilmente nella violenza. A causa di essi, Adrian cercava di mantenersi a distanza dai compagni più petulanti e di evitare qualunque cosa potesse rivelare il suo istinto quasi animale. Nonostante i vari tentativi per evitare di nuocere ai suoi stessi concittadini, una volta qualcosa andò storto. Nessuno sa come sia andata esattamente la vicenda, ma la fine di essa fu decisamente tragica: tutti e dieci gli uomini che erano in servizio con lui vennero ritrovati morti o mortalmente feriti, mentre di Adrian non v’era alcuna traccia. Uno dei soldati in fin di vita riuscì solo a pronunciare il nome del carnefice. Da quel momento in poi, nessuno seppe più nulla di lui e il motivo in quel momento mi apparve più che evidente.
 
-E’ da un anno che sei qui?- chiesi, un po’ intimorita a causa della scoperta dell’identità del mio compagno di cella.
 
-E chi lo sa? Ho perso la cognizione del tempo.- sbuffò lui, osservandomi subito dopo –L’unica cosa buona, è che ho imparato a controllarmi. Un po’.-
 
Accennai un sorriso e feci per proferire parola, ma decisi di restare in silenzio, per evitare di risultargli fastidiosa: di certo non avevo voglia di ritrovarmi col cranio frantumato contro il muro per la mia curiosità talvolta inopportuna. Nonostante fosse una personalità interessante, speravo che la mia prigionia durasse il meno possibile, specialmente per l’angoscia che mi provocava la presenza di Adrian. 
   
 
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