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Autore: lagunablu    14/06/2015    4 recensioni
Unima. Sono passati tre anni da quando il team Plasma è stato battuto, ma ora una grave minaccia incombe sulla regione e rischia di sconvolgere da vicino la vita di una nuova Touko. La ragazza questa volta non è sicura di potercela fare, o per lo meno non da sola.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Touko, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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                                      Segnali di svolta

La giornata di Adelaide era stata decisamente stressante. Aveva corso da una parte all’altra della città come un’inutile recluta ed ora la sua unica intenzione era quella di rifugiarsi sotto un caldo e rilassante getto d’acqua, cercando un po’ di calma. Aveva l’assoluto bisogno di lavar via tutte le preoccupazioni che le assediavano la mente ed era certa che, riposando un poco a mente sgombra, avrebbe riacquisito quella forza che le serviva per attuare gli ormai prossimi progetti del sommo Ghecis. Ultimamente infatti al quartier generale del Team Plasma il lavoro non scarseggiava affatto, tutti si affannavano per i corridoi, preparando tattiche, allenando Pokémon e recapitando le direttiva del re, mansioni di vitale utilità per la loro prossima mossa. Naturalmente Adelaide non era da meno, come uno dei più importanti comandanti era suo dovere controllare che tutto stesse andando per il meglio e che non ci fossero intoppi di alcun tipo. Ambiziosa com’era teneva particolarmente a quel colpo, ormai programmato da mesi, ed era convinta che le sorti di Unima sarebbero cambiate con il loro successo. Già immaginava la vita da vincente che avrebbe avuto, i riconoscimenti di cui si sarebbe vantata per generazioni e il fascino del combattimento che a breve avrebbero affrontato. Il piano del loro grande re era qualcosa di sublime, degno della mente di un genio e senza dubbio difficile da attuare, eppure lei si impegnava anima e corpo per la sua riuscita.
Tutto quello però l’aveva oltremodo stancata, aveva bisogno di una pausa per riprendere le energie che poi sarebbero state vitali ai fini del prossimo scontro. Così in quel tardo pomeriggio i piedi della bionda svoltavano ad ogni corridoio, perdendosi tra quei grovigli di scale, passando più volte nella stessa stanza, senza riuscire a trovare la giusta direzione. Non si era ancora abituata alla struttura degli imponenti grattacieli di Austropoli, la capitale di Unima, grande e potente città sviluppata solo ed esclusivamente in verticale. Dopo la scomparsa di Touko, Ghecis aveva mirato proprio a quella importante località e così, passando per il deserto di Unima, prendendo le vie più nascoste e pericolose, aveva colto di sorpresa il Capopalestra Artemisio che non aveva potuto far altro che arrendersi di fronte alla potenza nemica. Ora il ragazzo veniva tenuto rinchiuso all’interno della Palestra, così da non poter creare danni o impedimenti, ma Adelaide avrebbe preferito alloggiare in luoghi dove fosse più semplice orientarsi. Più volte anche in città si era persa tra mille vie secondarie, vicoli ciechi e zone poco frequentate, ma quel vagabondare l’aveva portata a toccare con mano una realtà che da tempo aveva voluto dimenticare, forse invano. Proprio tra quelle viuzze infatti si trovavano con estrema facilità piccoli gruppi di bambini, completamente abbandonati a sé che spesso vedevano come unica possibilità di salvezza il rubare. Le cose, con l’avvento dei Plasma, erano certamente peggiorate visto che la città era il loro covo principale ed era di farabutti che si stava parlando. Nessun civile poteva uscire per scampare a quella povertà che dilaniava i cuori degli abitanti e rendeva l’inverno ormai inoltrato più freddo e lungo. Adelaide vedeva quei visini spaventati, famelici o semplicemente morti e cadeva in un vortice di ricordi che più volte aveva imparato a scansare. Non poteva, anzi non doveva far nulla nei confronti di quei poveretti, la sua posizione e la sua attitudine all’indifferenza, allenata con tempo e fatica, non glielo permettevano, eppure poteva capirli meglio di chiunque altro, poteva essere partecipe al loro dolore. Sentiva i loro sguardi seguirla, guardarla con odio, implorare grazia ed ogni volta scappava, prima lentamente ma il più delle volte i suoi passi assumevano l’andamento di una corsa frenetica e sfrecciava finchè il fiato non le mancava, perdendosi ancor di più in quella città che somigliava ad una raccapricciante ragnatela pronta ad inghiottire le anime.
Quando la ragazza svoltò l’ennesimo corridoio però i suoi piedi si fermarono di colpo. Una lenta melodia le arrivò all’orecchio, facendole venire la pelle d’oca. Era una di quelle canzoni malinconiche che portano alla mente momenti nostalgici della propria vita e che riempiono il cuore solo di angosce indistinte e riflessioni, facendoti perdere contatto con la realtà. Una musica così triste da far venire le lacrime agli occhi, note concatenate per creare un concentrato di sentimenti nei cuori straziati degli ascoltatori. Proveniva certamente da un pianoforte ed era facilmente intuibile chi fosse il suonatore dal momento che c’era solo uno strumento in quel grande palazzone. Adelaide venne cullata da quel suono che prometteva un riposo per anime affaticate e così, come attratta da una forza invisibile, la seguì ipnotizzata. La porta della stanza da cui proveniva il suono era socchiusa, come un invito ad entrare per diventare parte di quel sogno, cosa che la bionda non rifiutò. Venne investita da un forte riflesso, il sole stava tramontando e un fascio di luce arancione entrava dalla finestra ed andava a specchiarsi sul liscio pavimento in marmo bianco. Effettivamente l’intera camera era arredata con mobili dalla tonalità bianca, dal letto singolo allo scrittoio semivuoto. L’unica eccezione era il pianoforte a coda proprio al centro della stanza, di un color blu notte che feriva lo sguardo alla vista di un ambiente così immacolato. Seduto sullo sgabello, intento a suonare c’era Natural Harmonia Gropius, volto rilassato ed espressione triste. La bionda notò con curiosità che i suoi occhi non fissavano lo spartito sopra il leggio e le sue mani si muovevano libere, seguendo solo ed esclusivamente i sentimenti del ragazzo. Non era una melodia improvvisata, il suo era un qualcosa dettato dal cuore, un brano da lui tanto conosciuto da essere suonato alla perfezione con il solo ausilio della memoria. Adelaide si chiese quante volte avesse dovuto suonare quel pezzo per essere così sicuro ora. L’aveva composto lui quel motivo tanto dolce quanto malinconico? E soprattutto, pensando a che cosa poteva essere ispirata una melodia di tale spessore? La bionda non aveva dubbi, la risposta era sempre quella.
Questa nuova consapevolezza la portò ad innervosirsi di colpo, non poteva permettere ad un’altra nota di uscire da quello strumento. Si avvicinò così a gran velocità verso di esso e iniziò a scrollare la spalla di N, riscuotendolo dalla trance con cui stava suonando. Le plumbee iridi del ragazzo parvero svegliarsi, rimanendo però cupe e vuote, troppo tempo era passato dall’ultima volta che avevano brillato di luce propria. Adelaide aveva apprezzato il nuovo taglio del Principe, ora i capelli erano molto più corti ma nonostante questo lunghi ciuffi verdi gli andavano a ricoprire la fronte e gli occhi, arrivando sino alle guance pallide. Il ragazzo era totalmente cambiato e di questo la ragazza si sentiva la fiera artefice ma anche la maggior colpevole.
«Ehi Ade…» la calda voce di N la distrasse.
«Scusa non dovevo disturbarti!» si finse dispiaciuta la bionda.
«Non ti preocc…».
«Il problema è che quando suoni sembri una persona così triste, non posso sopportarlo!» doveva subito prendere le redini del discorso, non era facile comportarsi con lui.
N non sorrise, semplicemente sospirò e tornò a sistemare gli spartiti. Quello fu per Adelaide un segnale di via libera. In fondo obbediva solamente agli ordini.
«Era quel pezzo vero?».
«Ti prego Ade, non ricominciare».
«Invece devo! Io vorrei solo vederti sorridere, sai che posso farti dimenticare il passato…» la bionda era brava a fingersi ciò che non era, una ragazza preoccupata per la sorte del suo amato Principe, ma la realtà era diversa. O quasi.
«Lo so, ti devo molto. Se sono qui è grazie a te» lui era sempre così calmo, nella sua voce non c’era mai la minima traccia di convinzione.
«Allora smettila di suonare quel brano, smettila di pensare a…».
«Ti ho chiesto di non parlarne!» il ragazzo non aveva alzato la voce, ma il fastidio si sentiva.
«Scusami, vorrei solo che ti ricordassi chi c’è sempre per te…» miagolò lei da brava gatta morta allacciandogli le braccia al collo «Io ad esempio ci sono…» gli sussurrò all’orecchio.
N si alzò di scatto, lasciando la bionda basita. Le sue mani tremavano leggermente e le sue pupille si muovevano a grande velocità, cercando un appiglio tra tutto quel bianco che alla lunga doveva esaurire una mente fragile come la sua. Il ragazzo traballò incerto su qualche passo e con una lentezza straziante si avvicinò al divano, cadendoci letteralmente sopra senza un minimo di grazia. Poi volse la testa verso l’alto come per richiamare qualche oscuro pensiero ed infine chiuse gli occhi stanco, cercando rifugio in qualche bel ricordo passato. Era così che viveva ormai. Combatteva per Unima, o meglio contro, e poi a fine giornata, dopo aver recitato il ruolo del Principe spietato, si accasciava sul pavimento della sua stanza pregando per la sua anima o si metteva al pianoforte, unico oggetto che lo facesse rimanere in contatto con quella fragile realtà. Ormai non distingueva più gli incubi dalla quotidianità, non era più in grado di capire cosa stesse succedendo intorno a lui. Il suo tempo oltre che da varie lotte era scandito da incontri con il padre per parlare di strategie o nuovi massacri e di altro di cui il ragazzo ricordava ben poco. La cosa che però saltava all’occhio anche a lui era che, settimana dopo settimana, la sua sanità mentale stava risentendo di un male sconosciuto e da un lato spaventoso. Era partito tutto la prima notte che aveva dormito lì, i Plasma gli dissero di averlo soccorso fuori dalla Lega e di avergli curato numerose ferite, salvandolo da morte certa. I suoi ricordi erano completamente offuscati, si sentiva smarrito e non riconosceva nessuno dei volti presenti, il luogo gli era sconosciuto e il suo nome inesistente. Solo una parola era impressa nella sua mente, Touko, accompagnata dall’immagine di una ragazza sorridente di cui però N ricordava ben poco.
L’espressione dei presenti, i suoi presunti salvatori, non sembrava augurare nulla di buono, le facce erano crucciate e preoccupate, tanto da spaventare il ragazzo stesso. Fu in quel momento che fece capolino all’entrata della stanza Adelaide, un sorriso serafico dipinto in volto, che con una calma impensabile gli aveva riferito delle notizie inaspettate. La Touko di cui aveva qualche frammento di memoria altri non era che una ragazza che in passato l’aveva abbandonato con crudeltà, lasciandolo solo al suo destino, e di cui lui era stato profondamente innamorato. Gli venne detto che con molta probabilità era stata proprio lei ad attentare alla sua vita, ferendolo gravemente, senza pietà alcuna. La bionda aveva descritto colei che gli aveva spezzato il cuore come una persona infida, manipolatrice e pronta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi, mentre lui ascoltava rapito tutte quelle parole che lentamente penetravano nella sua mente, cambiando l’immagine della solare ragazza in quella di un mostro. Un giorno, quello che aveva scoperto essere suo padre, l’aveva portato con sé in modo non del tutto inaspettato e lì N aveva avuto modo di vedere con i suoi occhi la Touko di cui tanto sentiva parlare e per la quale aveva sviluppato nel tempo un odio feroce. Gli aveva rivolto parole cariche di rabbia, alcune delle quali suggerite in precedenza dal padre, discorsi che avevano sortito l’effetto voluto nella mente fragile della ragazza. Eppure in quella precisa situazione il Principe ebbe la capacità di accorgersi che qualcosa non andava. La brunetta, esile e pallida che aveva avuto di fronte era completamente differente da quella dipinta dai racconti che gli venivano inculcati da tutti gli alti membri del Team.
Era ormai sempre più confuso non solo riguardo a Touko ma soprattutto verso sé stesso e verso il passato di cui non aveva assoluta memoria. Obbediva agli ordini del padre e c’erano momenti in cui amava essere spietato, si inebriava del sapore delle lotte, faceva sfoggio e si vantava delle conquiste fatte, comportandosi da vero e proprio figlio di un uomo come Ghecis. In quelle situazioni sentiva divampare tutto il disgusto che provava per quella mostruosa ragazza, era come una continua spinta verso un baratro oscuro, si sentiva in dovere di odiarla ed era una sensazione di cui non poteva fare a meno. A volte però era la parte opposta a prendere il sopravvento anche se più raramente e con meno forza. Erano quelli i momenti in cui preferiva la solitudine e la pace della sua stanza, posto nel quale purtroppo si sentiva un prigioniero sporco, in netto contrasto contro tutto quel bianco accecante e allora si dibatteva per cercare di raccapezzarsi e trovare la luce nel labirinto oscuro della sua mente. Eppure c’era un muro, un freno che lo bloccava e non riusciva a trovare lucidità, sottostava ad un giogo che solo in quegli attimi sentiva davvero reale. Era succube di un qualcosa che non riusciva a riconoscere. Allora pur di sfuggire allo stato di terrore in cui versava la sua mente suonava quel brano che più fra tutti ricordava, una melodia appartenente alla vita dimenticata e pensava che sicuramente sarebbe dovuta essere migliore della presente. E Touko gli sembrava solo un angelo, l’unico appiglio per poter capire, per poter sperare di vivere, per poter tornare ad essere ciò che non ricordava.
Ma era così frustrante essere costretti a subire ciò quando da una parte era proprio lui a compiacersi della sua cattiveria. Cosa gli stava succedendo non lo capiva, era però chiara la sofferenza che provava a volte, il disgusto verso sé che si manifestava in raptus di follia durante i quali il suo corpo tremava e la sua testa esplodeva, rendendolo impotente e debole. Attimi ai quali anche Adelaide a volte assisteva e che anche sulla sua anima, sporca e corrotta da tempo, sortivano un effetto che non riusciva a spiegarsi. Non era certamente una cosa piacevole vedere N in quelle condizioni, conosceva anche i rischi che potevano manifestarsi in quelle occasioni e perciò era più che necessario un suo intervento. Si avvicinò dunque con decisione al ragazzo e gli si sedette affianco, poggiandogli le mani sul viso, facendo in modo che si voltasse verso di lei. Il suo volto aveva ricevuto vari interventi ed ormai era poco riconoscibile la protesi che aveva al posto della cicatrice che mesi prima l’aveva sfigurata.
«Calmati N, tu meriti di più» gli sussurrò puntando i suoi occhi azzurri verso quelli del Principe, dai quali traspariva solo una lacerante agonia.
«Io…io…non…» balbettò lui incerto.
«Sono qui, lo sarò sempre…» mormorò portando la testa del ragazzo sul suo petto, carezzandogli dolcemente i capelli.
Non era esattamente la prassi comportarsi in quel modo e questo la bionda lo sapeva bene, ma doveva difenderlo in qualche modo, fingendo o meno. Restarono dunque così per un tempo che parve eterno, ognuno perso nei più reconditi antri dell’anima a fare i conti con i peggiori nemici interiori. E così mentre N cercava di calmarsi e ritrovare il controllo, Adelaide sentiva smuovere nel petto quella sensazione che ormai da qualche tempo non poteva più celare. Non era il dovere che l’aveva mossa per far smettere N di suonare. Non era il possibile fallimento del loro piano a portarla a cercare di cancellare Touko dalla mente del ragazzo. Non era nemmeno la pietà che la portava a star male ogni qual volta il Principe entrava in una delle sue crisi. Mettendo la sua situazione su un piano reale probabilmente ciò che provava non poteva neanche, o perlomeno non ancora, trattarsi di amore verso qualcuno, troppo freddo e ferito era il cuore della bionda. Una sola frase però, incompiuta e senza senso, veniva ripetuta come un mantra nella sua mente mentre il giovane iniziava ad addormentarsi e lei decideva di rimanergli vicino. “Non lo permetterò”.

 

Touko si rese conto che il mare dall’alto poteva essere davvero monotono. Erano ore che lei e Red volavano in quel vecchio aereo dall’aria traballante, unico passaporto sicuro che avevano per Unima, e quella grande distesa d’acqua che inizialmente l’aveva colpita stava diventando ora un panorama soffocante. O forse era altro a soffocarla? Per la brunetta non era stato affatto facile scegliere di salire sopra quel trabiccolo e per di più andando incontro proprio al suo peggior incubo, ma non aveva avuto scelta: alla domanda che aveva rivolto al corvino, ossia un semplice “dove si trova Camilla?” lui aveva ovviamente risposto come solo i pensieri più pessimistici della ragazza potevano fare. A dire il vero poi una possibilità di scelta l’aveva avuta, poteva starsene tranquilla a Mogania facendo passare gli anni, seduta su una poltrona di terza mano e con la morte appresso, mentre assisteva alla lenta e definitiva vittoria del male. Si odiava per il tentativo che stava facendo che rendeva inutili e vuoti i suoi gesti precedenti, per non parlare di come l’avrebbero accolta dopo tutto ciò che aveva deciso e dopo l’imperdonabile atto di codardia, ma da un lato si sentiva in qualche modo costretta. Forse se avesse avvisato Red, che al momento era alla guida del mezzo, avrebbero potuto fare marcia indietro e col passare degli anni magari i suoi deboli rimasugli di coraggio sarebbero spariti definitivamente. No, era decisamente meglio non pensarci visto che lei in teoria non stava facendo nessun grande ritorno. Aveva solo un urgente bisogno di parlare con qualcuno e la persona più indicata le era parsa proprio la stessa donna che le aveva tirato uno schiaffo a Spiraria, l’unica che aveva tentato in passato di svegliarla dal suo torpore mentale. Al solo pensiero del nome di quella maledetta cittadina che le portava alla luce avvenimenti ben poco felici, una stretta al cuore le fece abbassare lo sguardo ormai da troppo tempo fisso sulla monotona distesa azzurra. Perfetto, se le bastava quello per buttarla giù tanto valeva si consegnasse direttamente a Ghecis con tanto di carta da regalo. Doveva semplicemente smetterla di fare pensieri così pessimistici, stava ingigantendo la cosa, era solo un consiglio, una consulenza superficiale quella che stava per richiedere, poi avrebbe pensato al resto. “Ma tanto non ci sarà nulla da pensare” sempre quella vocina fastidiosa, “già probabilmente mi ammazzeranno appena messo piede fuori da questo coso… sempre che non cada di suo”.
Sbattè irritata i piedi sul pavimento e si alzò di scatto. Possibile che le fosse così complicato prendere una stupida decisione? Conseguenze o meno, farsi problemi prima del tempo per una persona come lei era controproducente, affidarsi al caso sarebbe stata paradossalmente la via migliore. Tenendosi ad ogni minimo appiglio che potesse offrire quel trabiccolo raggiunse Red, stipato nella piccola cabina di comando.
«Mi sembra stupendo che tu sappia pilotare anche gli aerei… sempre che “aereo” sia il termine adatto per questo aggeggio!» iniziò Touko alzando la voce per sovrastare il rumore del motore.
«Mi spiace signorina, la prima classe era già occupata» sorrise ambiguo lui.
«Mhm… è di Anemone…?» chiese osservando il piccolo stemma della città di Ponentopoli dipinto sulla porta scorrevole.
«A quanto pare quando il temuto Red di Biancavilla si muove può chiedere qualsiasi cosa».
La brunetta non potè far a meno di accorgersi della nota amara nel tono del ragazzo. Aveva avuto modo di pensarci di recente, prevalentemente durante le sue lunghe passeggiate al lago, e aveva dovuto ammettere a sè stessa che loro due si assomigliavano più del previsto. Certamente non riguardo alla forza, lei nonostante l’orgoglio era conscia di avere ancora molta strada da percorrere per arrivare al livello del corvino, eppure avevano lati simili. Entrambi non avevano vissuto felicemente la situazione da Campione anche se il ragazzo l’aveva indubbiamente gestita meglio. Poi, come aveva detto lui tempo prima, la sua fuga sul Monte Argento non era poi tanto diversa da quella di Touko e nemmeno le sue relazioni con vari amici. Sorrise la brunetta, era consapevole del fatto che Red fosse il suo aiuto più grande, non solo fisico ma anche a livello empatico. C’era sempre stato e nonostante i suoi modi non del tutto consueti aveva provato ripetutamente ad aiutarla, forse un giorno sarebbe arrivata addirittura a ringraziarlo, probabilmente in un momento di pura follia.
«Gioisci ragazza, stiamo per atterrare!» esclamò lui riportandola alla realtà.
«Prendo la parrucca e lenti… ricorda che per tutti io sono Gloria…» si affannò a urlare nonostante sapesse di averlo ripetuto una cinquantina di volte.
Eccolo il momento che avrebbe voluto evitare. Non poteva dir nulla, era stata una sua scelta, ma a dire il vero la prospettiva di un incontro con Camilla ora la spaventava più che farla sentire meglio. Sentiva il cuore gonfio di trepidazione, batteva forte ma anche impaurito e sembrava pronto a scoppiarle in petto, futuro senza dubbio più allettante rispetto a quello che l’aspettava. Non nascose il tremore che ebbe non appena l’aereo toccò il suolo e si preparò a scendere, rivolgendosi mille domande che sarebbero destinate a rimanere senza risposta.

 
Non era certamente la prima volta che Touko entrava nella palestra di Ponentopoli. La prima era stata durante il suo percorso di Allenatrice, aveva sfidato Anemone totalmente impreparata e stava per uscire sconfitta vista la debolezza dei suoi Pokémon contro i tipi Volante quando il Leafeon appena catturato si era rivelato la sua carta vincente. Poi aveva dovuto ricorrere all’aiuto della Capopalestra altre volte in qualità di Campionessa, la maggior parte per il noleggio dei suoi preziosissimi aerei, ma per il resto non poteva dire di conoscerla. L’interno della Palestra era esattamente come lo ricordava ossia un complicato groviglio di passaggi, fattibili solo grazie all’ausilio di enormi cannoni, usati da ogni sfidante. Ponentopoli non era stata ancora raggiunta dei Plasma quindi Red le aveva detto che non c’era nulla da temere e che nemmeno Anemone l’avrebbe riconosciuta. La ragazza ammise fra sé che aveva avuto ragione, la Capopalestra infatti si limitò a scortarli in una stanzetta al piano terra, dicendo loro di aspettare.
«Questo deve essere il suo studio, Anemone progetta aeroplani…» disse Red più per spezzare il silenzio creatosi che altro.
«Già…» non era esattamente in vena di parlare.
«Cosa ti ha fatto di male quel povero elastico per essere maltrattato in modo così brutale?».
Alla domanda sarcastica del corvino, Touko gli rivolse uno sguardo interrogativo, poi si volse verso il basso e vide le sue mani che tiravano senza sosta il fermaglio che portava al polso. Era davvero così nervosa?
«Non sono più tanto sicura che incontrare Camilla mi possa far poi così bene» disse tutto d’un fiato.
«Non me lo sarei mai aspettato!».
«Sappi che ti sto detestando…».
Red rise, una risata liberatoria. Era davvero contento di aver trascinato Touko fuori da Mogania e sperava con tutto il cuore che l’incontro con la bionda potesse andare a buon fine. La brunetta, a suo parere, era la sola in grado di migliorare le cose e avrebbe dato di tutto pur di vederla tornare quella di un tempo.
«Se non ti dispiace vado a prendere una boccata d’aria!» esclamò lei supplicandolo con gli occhi.
«Ma…».
«Venti secondi e torno, Camilla non si è ancora fatta vedere in fondo!» continuò imperterrita già con un piede fuori dalla stanza.
«Fai in fretta almeno!» cercò di farsi sentire lui ma la brunetta era già partita.
Red normalmente non era il tipo da farsi tante domande riguardanti altre persone. Seguiva una precisa filosofia di vita che si poteva riassumere in un semplice “pensa per te”. Non sprecava forze per cercare di capire gli altri e aveva sin da piccolo preferito la solitudine all’amicizia. Eppure non riusciva a fare a meno di interrogarsi sul carattere di Touko. Era una specie di equilibrista quella ragazza, viveva in modo precario prendendo decisioni talvolta estreme e dettate da un carattere impulsivo. Per un tipo riflessivo come lui era inconcepibile l’idea di una esistenza vissuta in quel modo, il ragazzo preferiva programmare ogni sua mossa e gli era sempre importato poco del giudizio altrui. La brunetta invece sembrava strettamente vincolata a questo aspetto e talvolta gli era sembrata come una dipendenza la sua, un voler sentirsi elogiata. I suoi pensieri vennero interrotti quando all’ingresso fece la sua comparsa Camilla con addosso una giacca lunga invernale e una pesante sciarpa di lana.
«Deduco faccia freddo fuori…» sorrise sbieco Red.
«E il premio per l’affermazione più intuitiva di sempre va al nostro Campione solitario!».
Nonostante l’ironia espressa il corvino capì che la ragazza aveva passato periodi migliori e si appuntò mentalmente un modo per calmarla dopo l’incontro con… Touko. Fu in quell’istante che realizzò che la brunetta non era ancora tornata e questo non era affatto un bene, erano già passati parecchi minuti in fondo.
«Beh vuoi dirmi perché mi hai chiamata o restiamo tutto il giorno a guardarci negli occhi?».
Male, molto male. Tra una Camilla irritata e una Touko scomparsa il Campione non aveva la più pallida idea sul da farsi. Ci voleva una scusa improvvisata, una di quelle trovate geniali che a volte lo avevano caratterizzato. Poteva farcela, doveva solo scampare all’ira della bionda accampando un motivo qualsiasi e poi avrebbe cercato la fonte dei suoi problemi. “Inventa, forza Red” si disse raccogliendo la concentrazione.
«Ti ho fatta venire qui perché c’era una persona che doveva parlarti» mormorò tutto d’un fiato.
“Geniale, continua così che ti prendono per i servizi segreti” pensò ironicamente mentre desiderava sprofondare in qualche abisso di vergogna. Stare da solo per così tanto tempo non aveva affatto giovato alle sue abilità comunicative. La ragazza sbattè le palpebre per qualche secondo per poi guardarsi intorno spaventata.
«Sai… qui non c’è nessuno…».
«Non parlarmi come se fossi un pazzo!» sbuffò indignato e imbarazzato dalla situazione senza senso in cui si era ritrovato.
“Perché non torna, l’hanno rapita?” urlò una voce nella sua mente che lui represse rapidamente. Si stava alterando, Touko gli stava facendo fare una pessima figura e la situazione stava degenerando. Aveva detto che sarebbe tornata subito ma non c’era da fidarsi di quell’impulsiva testa calda.
«Credo si sia persa. Sai non era mai stata qui e io l’ho lasciata… andare giù in città…».
«Direi un’ottima presa in giro Red di Biancavilla!» tuonò lei con spregio «ora se non ti dispiace ho cose più importanti da fare, la prossima volta vedi di essere più serio!» sbuffò lei. Stupendo, ora credeva che tutto quello fosse uno scherzo.
La bionda alzò gli occhi al cielo disgustata e guadagnò velocemente l’uscita. Red di fronte alla Campionessa di Sinnoh stava perdendo vertiginosamente credibilità e ciò non giovava di certo alla sua posizione. Non solo non aveva contribuito alla difesa di Unima, ma ora si metteva pure ad inventarsi storie. Forse l’aria del Monte Argento non era delle più salutari e lei certamente non voleva aver nulla a che fare con gente così sciocca. Il corvino dalla sua non passava una delle migliori situazioni, aspettò qualche altro minuto il ritorno di Touko ma finì per spazientirsi. Uscì correndo senza neanche salutare l’ospitale Anemone e si diresse verso l’aereo che aveva guidato fino a poco tempo prima, magari la brunetta era rientrata. Nulla.
Il cuore iniziò ad accelerare mentre svoltava l’angolo del capannone sperando di vedere l’amica comparire da qualche parte, ma la fortuna non sembrava essere in suo favore. Fece per uscire dal piccolo aeroporto quand’ecco un dettaglio catturare la sua attenzione: proprio vicino al cancello giaceva a terra una Pokéball. All’apparenza non doveva esserci nulla di strano, qualcuno avrebbe potuto semplicemente smarrirla ma la prova finale fu la borsa appartenente a Touko buttata qualche metro più in là. Per qualche secondo l’aria gli venne a mancare. Tutto ciò non era possibile, che stava succedendo? Nessuno l’avrebbe potuta riconoscere eppure gli indizi non facevano presagire nulla di buono. Lo ammetteva, era spaventato, temeva per la ragazza per la quale provava ancora qualcosa e non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa. Era colpa sua, l’aveva portata lui lì e ora lei era scomparsa. Svanita.
Alzò gli occhi al cielo pregando con tutto sé stesso. Nonostante l’ottimismo e i pronostici fatti dentro di sé lo sapeva bene, nulla poteva essere escluso. Nemmeno l’ipotesi di un rapimento.

 

La cioccolateria di Guna
Che torna dopo un mese e una settimana, meglio della scorsa volta direi no?
Suvvia che con le vacanze spero di sveltirmi, pregate per me. Nulla da dire, capitolo statico, un po’ come lo scorso, scusate davvero ma dovevo. Dal prossimo vi prometto azione a palate, spero di saper ancora descrivere una lotta. Pregate ancora. La NxAdelaide mi è uscita così, forse chi me la consigliò se lo ricorda ma ne dubito. Touko è andata a “chi la visto” e Red si è dato al cabaret in questo capitolo. Robe insomma, ma io sto parlando a vanvera quindi la finisco.
Ringrazio come sempre Allys, Zoichi, Rovo, Momo e “la voce dei calamari (tié)” per le bellissime parole e il grande sostegno. Ormai avete tutti dei diminutivi, cose importanti insomma. Un grosso “grazie” anche a chi continua a leggere, spero che la storia continui a piacervi.

  
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