Segnali di svolta
La
giornata di Adelaide era stata decisamente stressante. Aveva corso da
una parte
all’altra della città come un’inutile
recluta ed ora la sua unica intenzione
era quella di rifugiarsi sotto un caldo e rilassante getto
d’acqua, cercando un
po’ di calma. Aveva l’assoluto bisogno di lavar via
tutte le preoccupazioni che
le assediavano la mente ed era certa che, riposando un poco a mente
sgombra,
avrebbe riacquisito quella forza che le serviva per attuare gli ormai
prossimi
progetti del sommo Ghecis. Ultimamente infatti al quartier generale del
Team
Plasma il lavoro non scarseggiava affatto, tutti si affannavano per i
corridoi,
preparando tattiche, allenando Pokémon e recapitando le
direttiva del re,
mansioni di vitale utilità per la loro prossima mossa.
Naturalmente Adelaide
non era da meno, come uno dei più importanti comandanti era
suo dovere
controllare che tutto stesse andando per il meglio e che non ci fossero
intoppi
di alcun tipo. Ambiziosa com’era teneva particolarmente a
quel colpo, ormai
programmato da mesi, ed era convinta che le sorti di Unima sarebbero
cambiate
con il loro successo. Già immaginava la vita da vincente che
avrebbe avuto, i riconoscimenti
di cui si sarebbe vantata per generazioni e il fascino del
combattimento che a
breve avrebbero affrontato. Il piano del loro grande re era qualcosa di
sublime, degno della mente di un genio e senza dubbio difficile da
attuare,
eppure lei si impegnava anima e corpo per la sua riuscita.
Tutto
quello però l’aveva oltremodo stancata, aveva
bisogno di una pausa per
riprendere le energie che poi sarebbero state vitali ai fini del
prossimo
scontro. Così in quel tardo pomeriggio i piedi della bionda
svoltavano ad ogni
corridoio, perdendosi tra quei grovigli di scale, passando
più volte nella
stessa stanza, senza riuscire a trovare la giusta direzione. Non si era
ancora
abituata alla struttura degli imponenti grattacieli di Austropoli, la
capitale
di Unima, grande e potente città sviluppata solo ed
esclusivamente in
verticale. Dopo la scomparsa di Touko, Ghecis aveva mirato proprio a
quella
importante località e così, passando per il
deserto di Unima, prendendo le vie
più nascoste e pericolose, aveva colto di sorpresa il
Capopalestra Artemisio
che non aveva potuto far altro che arrendersi di fronte alla potenza
nemica.
Ora il ragazzo veniva tenuto rinchiuso all’interno della
Palestra, così da non
poter creare danni o impedimenti, ma Adelaide avrebbe preferito
alloggiare in
luoghi dove fosse più semplice orientarsi. Più
volte anche in città si era
persa tra mille vie secondarie, vicoli ciechi e zone poco frequentate,
ma quel
vagabondare l’aveva portata a toccare con mano una
realtà che da tempo aveva
voluto dimenticare, forse invano. Proprio tra quelle viuzze infatti si
trovavano con estrema facilità piccoli gruppi di bambini,
completamente
abbandonati a sé che spesso vedevano come unica
possibilità di salvezza il
rubare. Le cose, con l’avvento dei Plasma, erano certamente
peggiorate visto
che la città era il loro covo principale ed era di farabutti
che si stava
parlando. Nessun civile poteva uscire per scampare a quella
povertà che
dilaniava i cuori degli abitanti e rendeva l’inverno ormai
inoltrato più freddo
e lungo. Adelaide vedeva quei visini spaventati, famelici o
semplicemente morti
e cadeva in un vortice di ricordi che più volte aveva
imparato a scansare. Non
poteva, anzi non doveva far nulla nei confronti di quei poveretti, la
sua
posizione e la sua attitudine all’indifferenza, allenata con
tempo e fatica,
non glielo permettevano, eppure poteva capirli meglio di chiunque
altro, poteva
essere partecipe al loro dolore. Sentiva i loro sguardi seguirla,
guardarla con
odio, implorare grazia ed ogni volta scappava, prima lentamente ma il
più delle
volte i suoi passi assumevano l’andamento di una corsa
frenetica e sfrecciava
finchè il fiato non le mancava, perdendosi ancor di
più in quella città che
somigliava ad una raccapricciante ragnatela pronta ad inghiottire le
anime.
Quando
la ragazza svoltò l’ennesimo corridoio
però i suoi piedi si fermarono di colpo.
Una lenta melodia le arrivò all’orecchio,
facendole venire la pelle d’oca. Era
una di quelle canzoni malinconiche che portano alla mente momenti
nostalgici della
propria vita e che riempiono il cuore solo di angosce indistinte e
riflessioni,
facendoti perdere contatto con la realtà. Una musica
così triste da far venire
le lacrime agli occhi, note concatenate per creare un concentrato di
sentimenti
nei cuori straziati degli ascoltatori. Proveniva certamente da un
pianoforte ed
era facilmente intuibile chi fosse il suonatore dal momento che
c’era solo uno
strumento in quel grande palazzone. Adelaide venne cullata da quel
suono che
prometteva un riposo per anime affaticate e così, come
attratta da una forza
invisibile, la seguì ipnotizzata. La porta della stanza da
cui proveniva il
suono era socchiusa, come un invito ad entrare per diventare parte di
quel
sogno, cosa che la bionda non rifiutò. Venne investita da un
forte riflesso, il
sole stava tramontando e un fascio di luce arancione entrava dalla
finestra ed
andava a specchiarsi sul liscio pavimento in marmo bianco.
Effettivamente
l’intera camera era arredata con mobili dalla
tonalità bianca, dal letto
singolo allo scrittoio semivuoto. L’unica eccezione era il
pianoforte a coda
proprio al centro della stanza, di un color blu notte che feriva lo
sguardo
alla vista di un ambiente così immacolato. Seduto sullo
sgabello, intento a
suonare c’era Natural Harmonia Gropius, volto rilassato ed
espressione triste.
La bionda notò con curiosità che i suoi occhi non
fissavano lo spartito sopra
il leggio e le sue mani si muovevano libere, seguendo solo ed
esclusivamente i
sentimenti del ragazzo. Non era una melodia improvvisata, il suo era un
qualcosa dettato dal cuore, un brano da lui tanto conosciuto da essere
suonato
alla perfezione con il solo ausilio della memoria. Adelaide si chiese
quante
volte avesse dovuto suonare quel pezzo per essere così
sicuro ora. L’aveva
composto lui quel motivo tanto dolce quanto malinconico? E soprattutto,
pensando a che cosa poteva essere ispirata una melodia di tale
spessore? La
bionda non aveva dubbi, la risposta era sempre quella.
Questa
nuova consapevolezza la portò ad innervosirsi di colpo, non
poteva permettere
ad un’altra nota di uscire da quello strumento. Si
avvicinò così a gran
velocità verso di esso e iniziò a scrollare la
spalla di N, riscuotendolo dalla
trance con cui stava suonando. Le plumbee iridi del ragazzo parvero
svegliarsi,
rimanendo però cupe e vuote, troppo tempo era passato
dall’ultima volta che
avevano brillato di luce propria. Adelaide aveva apprezzato il nuovo
taglio del
Principe, ora i capelli erano molto più corti ma nonostante
questo lunghi
ciuffi verdi gli andavano a ricoprire la fronte e gli occhi, arrivando
sino
alle guance pallide. Il ragazzo era totalmente cambiato e di questo la
ragazza
si sentiva la fiera artefice ma anche la maggior colpevole.
«Ehi
Ade…» la calda voce di N la distrasse.
«Scusa
non dovevo disturbarti!» si finse dispiaciuta la bionda.
«Non
ti preocc…».
«Il
problema è che quando suoni sembri una persona
così triste, non posso
sopportarlo!» doveva subito prendere le redini del discorso,
non era facile
comportarsi con lui.
N
non sorrise, semplicemente sospirò e tornò a
sistemare gli spartiti. Quello fu
per Adelaide un segnale di via libera. In fondo obbediva solamente agli
ordini.
«Era
quel pezzo vero?».
«Ti
prego Ade, non ricominciare».
«Invece
devo! Io vorrei solo vederti sorridere, sai che posso farti dimenticare
il
passato…» la bionda era brava a fingersi
ciò che non era, una ragazza
preoccupata per la sorte del suo amato Principe, ma la
realtà era diversa. O
quasi.
«Lo
so, ti devo molto. Se sono qui è grazie a te» lui
era sempre così calmo, nella
sua voce non c’era mai la minima traccia di convinzione.
«Allora
smettila di suonare quel brano, smettila di pensare
a…».
«Ti
ho chiesto di non parlarne!» il ragazzo non aveva alzato la
voce, ma il
fastidio si sentiva.
«Scusami,
vorrei solo che ti ricordassi chi c’è sempre per
te…» miagolò lei da brava
gatta morta allacciandogli le braccia al collo «Io ad esempio
ci sono…» gli
sussurrò all’orecchio.
N
si alzò di scatto, lasciando la bionda basita. Le sue mani
tremavano
leggermente e le sue pupille si muovevano a grande velocità,
cercando un
appiglio tra tutto quel bianco che alla lunga doveva esaurire una mente
fragile
come la sua. Il ragazzo traballò incerto su qualche passo e
con una lentezza
straziante si avvicinò al divano, cadendoci letteralmente
sopra senza un minimo
di grazia. Poi volse la testa verso l’alto come per
richiamare qualche oscuro
pensiero ed infine chiuse gli occhi stanco, cercando rifugio in qualche
bel
ricordo passato. Era così che viveva ormai. Combatteva per
Unima, o meglio
contro, e poi a fine giornata, dopo aver recitato il ruolo del Principe
spietato, si accasciava sul pavimento della sua stanza pregando per la
sua
anima o si metteva al pianoforte, unico oggetto che lo facesse rimanere
in
contatto con quella fragile realtà. Ormai non distingueva
più gli incubi dalla
quotidianità, non era più in grado di capire cosa
stesse succedendo intorno a
lui. Il suo tempo oltre che da varie lotte era scandito da incontri con
il
padre per parlare di strategie o nuovi massacri e di altro di cui il
ragazzo
ricordava ben poco. La cosa che però saltava
all’occhio anche a lui era che,
settimana dopo settimana, la sua sanità mentale stava
risentendo di un male sconosciuto
e da un lato spaventoso. Era partito tutto la prima notte che aveva
dormito lì,
i Plasma gli dissero di averlo soccorso fuori dalla Lega e di avergli
curato
numerose ferite, salvandolo da morte certa. I suoi ricordi erano
completamente
offuscati, si sentiva smarrito e non riconosceva nessuno dei volti
presenti, il
luogo gli era sconosciuto e il suo nome inesistente. Solo una parola
era
impressa nella sua mente, Touko, accompagnata dall’immagine
di una ragazza
sorridente di cui però N ricordava ben poco.
L’espressione dei presenti, i suoi
presunti salvatori, non sembrava augurare nulla di buono, le facce
erano
crucciate e preoccupate, tanto da spaventare il ragazzo stesso. Fu in
quel
momento che fece capolino all’entrata della stanza Adelaide,
un sorriso
serafico dipinto in volto, che con una calma impensabile gli aveva
riferito
delle notizie inaspettate. La Touko di cui aveva qualche frammento di
memoria
altri non era che una ragazza che in passato l’aveva
abbandonato con crudeltà,
lasciandolo solo al suo destino, e di cui lui era stato profondamente
innamorato. Gli venne detto che con molta probabilità era
stata proprio lei ad
attentare alla sua vita, ferendolo gravemente, senza pietà
alcuna. La bionda
aveva descritto colei che gli aveva spezzato il cuore come una persona
infida,
manipolatrice e pronta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi, mentre
lui
ascoltava rapito tutte quelle parole che lentamente penetravano nella
sua
mente, cambiando l’immagine della solare ragazza in quella di
un mostro. Un
giorno, quello che aveva scoperto essere suo padre, l’aveva
portato con sé in
modo non del tutto inaspettato e lì N aveva avuto modo di
vedere con i suoi occhi
la Touko di cui tanto sentiva parlare e per la quale aveva sviluppato
nel tempo
un odio feroce. Gli aveva rivolto parole cariche di rabbia, alcune
delle quali
suggerite in precedenza dal padre, discorsi che avevano sortito
l’effetto
voluto nella mente fragile della ragazza. Eppure in quella precisa
situazione
il Principe ebbe la capacità di accorgersi che qualcosa non
andava. La
brunetta, esile e pallida che aveva avuto di fronte era completamente
differente da quella dipinta dai racconti che gli venivano inculcati da
tutti
gli alti membri del Team.
Era
ormai sempre più confuso non solo riguardo a Touko ma
soprattutto verso sé
stesso e verso il passato di cui non aveva assoluta memoria. Obbediva
agli
ordini del padre e c’erano momenti in cui amava essere
spietato, si inebriava
del sapore delle lotte, faceva sfoggio e si vantava delle conquiste
fatte,
comportandosi da vero e proprio figlio di un uomo come Ghecis. In
quelle
situazioni sentiva divampare tutto il disgusto che provava per quella
mostruosa
ragazza, era come una continua spinta verso un baratro oscuro, si
sentiva in
dovere di odiarla ed era una sensazione di cui non poteva fare a meno.
A volte
però era la parte opposta a prendere il sopravvento anche se
più raramente e
con meno forza. Erano quelli i momenti in cui preferiva la solitudine e
la pace
della sua stanza, posto nel quale purtroppo si sentiva un prigioniero
sporco,
in netto contrasto contro tutto quel bianco accecante e allora si
dibatteva per
cercare di raccapezzarsi e trovare la luce nel labirinto oscuro della
sua
mente. Eppure c’era un muro, un freno che lo bloccava e non
riusciva a trovare
lucidità, sottostava ad un giogo che solo in quegli attimi
sentiva davvero
reale. Era succube di un qualcosa che non riusciva a riconoscere.
Allora pur di
sfuggire allo stato di terrore in cui versava la sua mente suonava quel
brano
che più fra tutti ricordava, una melodia appartenente alla
vita dimenticata e
pensava che sicuramente sarebbe dovuta essere migliore della presente.
E Touko
gli sembrava solo un angelo, l’unico appiglio per poter
capire, per poter sperare
di vivere, per poter tornare ad essere ciò che non ricordava.
Ma
era così frustrante essere costretti a subire ciò
quando da una parte era
proprio lui a compiacersi della sua cattiveria. Cosa gli stava
succedendo non
lo capiva, era però chiara la sofferenza che provava a
volte, il disgusto verso
sé che si manifestava in raptus di follia durante i quali il
suo corpo tremava
e la sua testa esplodeva, rendendolo impotente e debole. Attimi ai
quali anche
Adelaide a volte assisteva e che anche sulla sua anima, sporca e
corrotta da
tempo, sortivano un effetto che non riusciva a spiegarsi. Non era
certamente
una cosa piacevole vedere N in quelle condizioni, conosceva anche i
rischi che
potevano manifestarsi in quelle occasioni e perciò era
più che necessario un suo
intervento. Si avvicinò dunque con decisione al ragazzo e
gli si sedette
affianco, poggiandogli le mani sul viso, facendo in modo che si
voltasse verso
di lei. Il suo volto aveva ricevuto vari interventi ed ormai era poco
riconoscibile la protesi che aveva al posto della cicatrice che mesi
prima
l’aveva sfigurata.
«Calmati
N, tu meriti di più» gli sussurrò
puntando i suoi occhi azzurri verso quelli
del Principe, dai quali traspariva solo una lacerante agonia.
«Io…io…non…»
balbettò lui incerto.
«Sono
qui, lo sarò sempre…»
mormorò portando la testa del ragazzo sul suo petto,
carezzandogli dolcemente i capelli.
Non
era esattamente la prassi comportarsi in quel modo e questo la bionda
lo sapeva
bene, ma doveva difenderlo in qualche modo, fingendo o meno. Restarono
dunque
così per un tempo che parve eterno, ognuno perso nei
più reconditi antri
dell’anima a fare i conti con i peggiori nemici interiori. E
così mentre N
cercava di calmarsi e ritrovare il controllo, Adelaide sentiva smuovere
nel
petto quella sensazione che ormai da qualche tempo non poteva
più celare. Non
era il dovere che l’aveva mossa per far smettere N di
suonare. Non era il
possibile fallimento del loro piano a portarla a cercare di cancellare
Touko
dalla mente del ragazzo. Non era nemmeno la pietà che la
portava a star male
ogni qual volta il Principe entrava in una delle sue crisi. Mettendo la
sua
situazione su un piano reale probabilmente ciò che provava
non poteva neanche,
o perlomeno non ancora, trattarsi di amore verso qualcuno, troppo
freddo e
ferito era il cuore della bionda. Una sola frase però,
incompiuta e senza
senso, veniva ripetuta come un mantra nella sua mente mentre il giovane
iniziava ad addormentarsi e lei decideva di rimanergli vicino.
“Non lo
permetterò”.
Sbattè
irritata i piedi sul pavimento e si alzò di scatto.
Possibile che le fosse così
complicato prendere una stupida decisione? Conseguenze o meno, farsi
problemi
prima del tempo per una persona come lei era controproducente,
affidarsi al
caso sarebbe stata paradossalmente la via migliore. Tenendosi ad ogni
minimo
appiglio che potesse offrire quel trabiccolo raggiunse Red, stipato
nella
piccola cabina di comando.
«Mi
sembra stupendo che tu sappia pilotare anche gli aerei…
sempre che “aereo” sia
il termine adatto per questo aggeggio!» iniziò
Touko alzando la voce per
sovrastare il rumore del motore.
«Mi
spiace signorina, la prima classe era già
occupata» sorrise ambiguo lui.
«Mhm…
è di Anemone…?» chiese osservando il
piccolo stemma della città di Ponentopoli
dipinto sulla porta scorrevole.
«A
quanto pare quando il temuto Red di Biancavilla si muove può
chiedere qualsiasi
cosa».
La
brunetta non potè far a meno di accorgersi della nota amara
nel tono del
ragazzo. Aveva avuto modo di pensarci di recente, prevalentemente
durante le sue
lunghe passeggiate al lago, e aveva dovuto ammettere a sè
stessa che loro due
si assomigliavano più del previsto. Certamente non riguardo
alla forza, lei
nonostante l’orgoglio era conscia di avere ancora molta
strada da percorrere
per arrivare al livello del corvino, eppure avevano lati simili.
Entrambi non avevano
vissuto felicemente la situazione da Campione anche se il ragazzo
l’aveva
indubbiamente gestita meglio. Poi, come aveva detto lui tempo prima, la
sua
fuga sul Monte Argento non era poi tanto diversa da quella di Touko e
nemmeno
le sue relazioni con vari amici. Sorrise la brunetta, era consapevole
del fatto
che Red fosse il suo aiuto più grande, non solo fisico ma
anche a livello
empatico. C’era sempre stato e nonostante i suoi modi non del
tutto consueti
aveva provato ripetutamente ad aiutarla, forse un giorno sarebbe
arrivata addirittura
a ringraziarlo, probabilmente in un momento di pura follia.
«Gioisci
ragazza, stiamo per atterrare!» esclamò lui
riportandola alla realtà.
«Prendo
la parrucca e lenti… ricorda che per tutti io sono
Gloria…» si affannò a urlare
nonostante sapesse di averlo ripetuto una cinquantina di volte.
Eccolo
il momento che avrebbe voluto evitare. Non poteva dir nulla, era stata
una sua
scelta, ma a dire il vero la prospettiva di un incontro con Camilla ora
la
spaventava più che farla sentire meglio. Sentiva il cuore
gonfio di
trepidazione, batteva forte ma anche impaurito e sembrava pronto a
scoppiarle
in petto, futuro senza dubbio più allettante rispetto a
quello che l’aspettava.
Non nascose il tremore che ebbe non appena l’aereo
toccò il suolo e si preparò
a scendere, rivolgendosi mille domande che sarebbero destinate a
rimanere senza
risposta.
«Questo
deve essere il suo studio, Anemone progetta
aeroplani…» disse Red più per
spezzare il silenzio creatosi che altro.
«Già…»
non era esattamente in vena di parlare.
«Cosa
ti ha fatto di male quel povero elastico per essere maltrattato in modo
così
brutale?».
Alla
domanda sarcastica del corvino, Touko gli rivolse uno sguardo
interrogativo,
poi si volse verso il basso e vide le sue mani che tiravano senza sosta
il
fermaglio che portava al polso. Era davvero così nervosa?
«Non
sono più tanto sicura che incontrare Camilla mi possa far
poi così bene» disse
tutto d’un fiato.
«Non
me lo sarei mai aspettato!».
«Sappi
che ti sto detestando…».
Red
rise, una risata liberatoria. Era davvero contento di aver trascinato
Touko
fuori da Mogania e sperava con tutto il cuore che l’incontro
con la bionda
potesse andare a buon fine. La brunetta, a suo parere, era la sola in
grado di
migliorare le cose e avrebbe dato di tutto pur di vederla tornare
quella di un
tempo.
«Se
non ti dispiace vado a prendere una boccata
d’aria!» esclamò lei supplicandolo
con gli occhi.
«Ma…».
«Venti
secondi e torno, Camilla non si è ancora fatta vedere in
fondo!» continuò
imperterrita già con un piede fuori dalla stanza.
«Fai
in fretta almeno!» cercò di farsi sentire lui ma
la brunetta era già partita.
Red
normalmente non era il tipo da farsi tante domande riguardanti altre
persone.
Seguiva una precisa filosofia di vita che si poteva riassumere in un
semplice
“pensa per te”. Non sprecava forze per cercare di
capire gli altri e aveva sin
da piccolo preferito la solitudine all’amicizia. Eppure non
riusciva a fare a
meno di interrogarsi sul carattere di Touko. Era una specie di
equilibrista
quella ragazza, viveva in modo precario prendendo decisioni talvolta
estreme e
dettate da un carattere impulsivo. Per un tipo riflessivo come lui era
inconcepibile l’idea di una esistenza vissuta in quel modo,
il ragazzo
preferiva programmare ogni sua mossa e gli era sempre importato poco
del
giudizio altrui. La brunetta invece sembrava strettamente vincolata a
questo
aspetto e talvolta gli era sembrata come una dipendenza la sua, un
voler
sentirsi elogiata. I suoi pensieri vennero interrotti quando
all’ingresso fece
la sua comparsa Camilla con addosso una giacca lunga invernale e una
pesante
sciarpa di lana.
«Deduco
faccia freddo fuori…» sorrise sbieco Red.
«E
il premio per l’affermazione più intuitiva di
sempre va al nostro Campione solitario!».
Nonostante
l’ironia espressa il corvino capì che la ragazza
aveva passato periodi migliori
e si appuntò mentalmente un modo per calmarla dopo
l’incontro con… Touko. Fu in
quell’istante che realizzò che la brunetta non era
ancora tornata e questo non
era affatto un bene, erano già passati parecchi minuti in
fondo.
«Beh
vuoi dirmi perché mi hai chiamata o restiamo tutto il giorno
a guardarci negli
occhi?».
Male,
molto male. Tra una Camilla irritata e una Touko scomparsa il Campione
non
aveva la più pallida idea sul da farsi. Ci voleva una scusa
improvvisata, una
di quelle trovate geniali che a volte lo avevano caratterizzato. Poteva
farcela, doveva solo scampare all’ira della bionda accampando
un motivo
qualsiasi e poi avrebbe cercato la fonte dei suoi problemi.
“Inventa, forza
Red” si disse raccogliendo la concentrazione.
«Ti
ho fatta venire qui perché c’era una persona che
doveva parlarti» mormorò tutto
d’un fiato.
“Geniale,
continua così che ti prendono per i servizi
segreti” pensò ironicamente mentre
desiderava sprofondare in qualche abisso di vergogna. Stare da solo per
così
tanto tempo non aveva affatto giovato alle sue abilità
comunicative. La ragazza
sbattè le palpebre per qualche secondo per poi guardarsi
intorno spaventata.
«Sai…
qui non c’è nessuno…».
«Non
parlarmi come se fossi un pazzo!» sbuffò indignato
e imbarazzato dalla
situazione senza senso in cui si era ritrovato.
“Perché
non torna, l’hanno rapita?” urlò una
voce nella sua mente che lui represse
rapidamente. Si stava alterando, Touko gli stava facendo fare una
pessima
figura e la situazione stava degenerando. Aveva detto che sarebbe
tornata
subito ma non c’era da fidarsi di quell’impulsiva
testa calda.
«Credo
si sia persa. Sai non era mai stata qui e io l’ho
lasciata… andare giù in
città…».
«Direi
un’ottima presa in giro Red di Biancavilla!»
tuonò lei con spregio «ora se non
ti dispiace ho cose più importanti da fare, la prossima
volta vedi di essere
più serio!» sbuffò lei. Stupendo, ora
credeva che tutto quello fosse uno
scherzo.
La
bionda alzò gli occhi al cielo disgustata e
guadagnò velocemente l’uscita. Red
di fronte alla Campionessa di Sinnoh stava perdendo vertiginosamente
credibilità e ciò non giovava di certo alla sua
posizione. Non solo non aveva
contribuito alla difesa di Unima, ma ora si metteva pure ad inventarsi
storie.
Forse l’aria del Monte Argento non era delle più
salutari e lei certamente non
voleva aver nulla a che fare con gente così sciocca. Il
corvino dalla sua non
passava una delle migliori situazioni, aspettò qualche altro
minuto il ritorno
di Touko ma finì per spazientirsi. Uscì correndo
senza neanche salutare
l’ospitale Anemone e si diresse verso l’aereo che
aveva guidato fino a poco
tempo prima, magari la brunetta era rientrata. Nulla.
Il
cuore iniziò ad accelerare mentre svoltava
l’angolo del capannone sperando di
vedere l’amica comparire da qualche parte, ma la fortuna non
sembrava essere in
suo favore. Fece per uscire dal piccolo aeroporto quand’ecco
un dettaglio
catturare la sua attenzione: proprio vicino al cancello giaceva a terra
una
Pokéball. All’apparenza non doveva esserci nulla
di strano, qualcuno avrebbe
potuto semplicemente smarrirla ma la prova finale fu la borsa
appartenente a
Touko buttata qualche metro più in là. Per
qualche secondo l’aria gli venne a
mancare. Tutto ciò non era possibile, che stava succedendo?
Nessuno l’avrebbe
potuta riconoscere eppure gli indizi non facevano presagire nulla di
buono. Lo
ammetteva, era spaventato, temeva per la ragazza per la quale provava
ancora
qualcosa e non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa.
Era
colpa sua, l’aveva portata lui lì e ora lei era
scomparsa. Svanita.
Alzò
gli occhi al cielo pregando con tutto sé stesso. Nonostante
l’ottimismo e i
pronostici fatti dentro di sé lo sapeva bene, nulla poteva
essere escluso. Nemmeno
l’ipotesi di un rapimento.
Che
torna dopo un mese e una settimana, meglio della scorsa volta direi no?
Suvvia
che con le vacanze spero di sveltirmi, pregate per me. Nulla da dire,
capitolo
statico, un po’ come lo scorso, scusate davvero ma dovevo.
Dal prossimo vi
prometto azione a palate, spero di saper ancora descrivere una lotta.
Pregate ancora.
La NxAdelaide mi è uscita così, forse chi me la
consigliò se lo ricorda ma ne
dubito. Touko è andata a “chi la visto”
e Red si è dato al cabaret in questo
capitolo. Robe insomma, ma io sto parlando a vanvera quindi la finisco.
Ringrazio
come sempre Allys, Zoichi, Rovo, Momo e “la voce dei calamari
(tié)” per le
bellissime parole e il grande sostegno. Ormai avete tutti dei
diminutivi, cose
importanti insomma. Un grosso “grazie” anche a chi
continua a leggere, spero
che la storia continui a piacervi.