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Autore: Manto    14/06/2015    6 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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VIII – Astro delle Tenebre




Mi svegliai frequentemente quella notte, e ogni volta che lo facevo allungavo una mano per toccare il corpo di Aiace, per assicurarmi che lui fosse accanto a me.
Temevo il giorno e quello che sarebbe accaduto. Così, quando vidi l'alba sorgere e Aiace si mosse, io lo serrai in un abbraccio.
Il mio gigante mi baciò sui capelli, mi accarezzò il volto. “Non temere, mia amata. Oggi non ci sarà battaglia, perché abbiamo stabilito una tregua per tributare i degni onori ai nostri morti.”
“Allora resta con me.”
Come avrei voluto fermare il tempo e portarti via da lì, in un luogo dove niente avrebbe turbato il tuo sonno, dove io avrei potuto sempre vegliare sulla tua felicità.
Aiace mi prese fra le sue braccia. “Non mi conosci ancora, ragazza. Io non temo nessuno, neanche gli Dei.”
Se solo tu avessi potuto sapere che la sofferenza era parte del tuo Destino, parte del tuo nome stesso.
Chiusi gli occhi. “Tu non conosci Otreo.”
Lui sbuffò, mi lasciò andare e si girò sull'altro lato. “Dimenticavo: tu lo conosci meglio di me.”
Esitai. “Non puoi rimproverare il mio passato.”
Il mio guerriero si alzò in piedi, ergendosi nudo in tutto la sua altezza, e mi guardò con rabbia. “Lui ti ha avuto prima di me. Mi è nemico più degli altri.”
Mi alzai anche io. “Dovrei esserti nemica anche io, in quanto ho consentito che mi prendesse.”
Aiace distolse lo sguardo dal mio. Si diresse verso il suo scudo, lo sfiorò con la stessa timorosa delicatezza che usava per toccare il mio corpo.
Io mi avvicinai, lo abbracciai da dietro. “Vorrei che tu rimanessi con me. Almeno per oggi.
La Guerra, gli altri Achei ti hanno per tutto il giorno; io ti ho per me solo la notte, a volte neanche per quella.”
Sentii che il suo corpo si irrigidiva, reagiva con il mio, e il suo scudo scivolò al suolo. “Non posso.”
Mi staccai, indietreggiai. “Dici di amarmi, ma con i tuoi atteggiamenti dimostri il contrario.
Tu ami la Guerra, il sangue, la Morte; ami i loro baci furiosi, non i miei.”
Lui si girò verso di me, gli occhi ardenti. Mi afferrò per i polsi, mi strinse a lui. “Dici il vero, perché tu sei questo: ogni notte con te è come il fragore di una battaglia; ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi sorridi e ti fai amare, immagino se quello sguardo, quel sorriso non ci fosse, se tu non ci fossi... e io muoio dal desiderio di te.”
Sorrisi. “Allora muori tra le mie braccia. Ora”, gli sussurrai.
Vidi i suoi occhi cambiare colore, riempirsi di lacrime che mai scendevano: esprimeva così la sua furia, il suo scoramento. Compresi che non avrebbe ceduto, e sospirai.
“Oggi devo scendere alla cala, e dopo mi recherò al lago... ti aspetterò lì, se tu vorrai raggiungermi”, dissi.
Lui spalancò gli occhi, scosse il capo. “No. Ho dato ordine ai miei uomini di sorvegliarti finché non avrò preso quel demone.”
“So difendermi benissimo da sola”, replicai.
Aiace incrociò le braccia sul petto. “Conosco la tempra delle donne d'Oriente e ti credo. Ma farai quello che dico io: attenderai il mio ritorno qui, al sicuro.”
Socchiusi gli occhi, e Aiace fece lo stesso con i suoi. “Tecmessa, non osare”, sibilò.
Lo guardai sostenuta, quindi sorrisi; dopo qualche istante, il sorriso illuminò il volto anche a lui, che si inginocchiò davanti a me. “Tu mi farai impazzire, donna”, mi sussurrò, e prendendomi per la vita mi stese nel suo grande scudo; e quando si staccò da me, dopo un tempo che mi parve troppo breve, io vi rimasi, cullandomi, e infine cedendo al sonno.
Mi svegliai di colpo, quasi tre ore dopo, per via di un orribile odore che mi fece lacrimare gli occhi e salire un conato, dal tanto che era forte e tremendo. Uscii sulla tenda, barcollando, e due dei guerrieri di Aiace fecero appena in tempo a prendermi, prima che cadessi rovinosamente al suolo.
“Acqua”, sussurrai senza forze, “vi prego, portatemi dell'acqua.”
Uno dei due mi prese fra le braccia e mi portò alla cala sul mare. Appena mi immerse nell'acqua fredda mi sentii meglio, e il senso di nausea lentamente si calmò.
Dopo qualche istante Partenia mi raggiunse. “Tecmessa! Che succede?”, gridò preoccupata.
Io sorrisi. “Stavo dormendo... quando mi sono svegliata di colpo. Sentivo un terribile puzzo, e quando mi sono alzata le forze mi sono mancate. Ora sembra che tutto sia passato.”
Partenia corrugò la fronte e non disse niente. Prese nelle mani altra acqua, mi risciacquò il viso; quindi mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò alla tenda, per poi rimanere con me.
“Forse ti stai facendo coinvolgere troppo da quello che sta accadendo”, disse la ragazza, facendomi stendere e coprendomi con il suo velo.
“Difficile non esserlo, quando vedi la carneficina che ogni giorno si compie alle porte di Troia e il tuo amato che vi combatte in mezzo... ancora più difficile resistere al pensiero di armarmi e scendere in battaglia con lui.”
Partenia sorrise. “Non te lo lascerebbero fare, neanche se tu fossi invincibile come Achille.”
Da fuori provennero grida e ordini; la ragazza andò all'entrata della tenda a osservare i guerrieri che costruivano le pire funebri, l'ultimo onore ai fratelli d'armi caduti.
Mentre guardava, vidi calare sul suo volto un'ombra nera. “Tutti gli uomini agognano il sangue. Odiano la Guerra eppure la cercano, perché solo con essa possono dimostrare quello che valgono.
E poi ci siamo noi, noi donne. Ci strappano ai nostri affetti, alle nostre case, ci conducono lontano; dicono di amarci, promettono di rispettarci, ci reclamano al loro fianco.
Ma la verità è un'altra. Noi siamo il loro premio, il simbolo della loro dignità.
Noi viviamo solo per questo: ricordare loro chi sono.”
Rimasi in silenzio, perché anche io avevo conosciuto uomini simili.
Partenia si girò a guardarmi, il sorriso ritornò sul suo volto. “Ma tu sei stata fortunata; e anche io, alla fine.”
Si avvicinò, si sedette accanto a me. “Non so cosa i Numi abbiano in sorte per gli Achei, ma ascolta le mie parole: se Aiace e Teucro dovessero perire, non devi permettere a nessun altro, capo o guerriero che sia, di averti. Fuggi, o ucciditi: altrimenti avrai solo sofferenza.
Io l'ho provata sulla mia pelle, e so di cosa parlo: tu non devi subirla. Promettimelo.”
Annui; Partenia mi strinse la mano, quindi mi lasciò. Rimasi a crogiolarmi nel tepore della tenda per qualche tempo, fino a quando un giovane con la benda blu intorno al braccio – un guerriero di Salamina – entrò nella tenda e si inchinò davanti a me. “Il mio signore Aiace chiede che ti scorti fino alla spiaggia, dove ti sta attendendo.”
Sorrisi, mi alzai. Uscii dalla tenda, e quasi mi scontrai con Diomede, che girò il viso dall'altra parte, un'espressione superba dipinta sul viso.
Feci per proseguire ma lo vidi bloccarsi, girarsi e fissare il braccio del guerriero che mi precedeva.
“Tu”, gli disse, dopo qualche istante, e quello si fermò, “dove stai portando questa donna?”
L'altro non rispose, ma lo feci io. “Dal wanax Aiace. Mi ha chiesto di raggiungerlo alla spiaggia.”
Diomede spostò lo sguardo verso di me, poi alle mie spalle. Mi voltai anche io, e vidi in lontananza la gigantesca mole del mio guerriero spiccare fra gli altri soldati, mentre si apprestava a costruire una pira, e mi rigirai verso il salaminio, che in quel momento estrasse una spada ricurva.
Notai il simbolo che incideva l'elsa – un sole nero –, e impallidii. Un guerriero di Otreo.
Diomede estrasse la spada, fulmineo, e afferrandomi per un braccio mi trascinò dietro di lui.
“Corri! Più veloce che puoi!”, mi gridò mentre si gettava in avanti, e io gli obbedii. Iniziai a correre oltre il campo, al limitare della piana, verso un gruppo di Achei, ma un guerriero uscì improvvisamente da una tenda e mi prese per la vita, facendomi cadere.
Urlai e il mio assalitore mi sferrò un pugno, rompendomi il labbro. Mi prese con violenza e mi rigirò, si appoggiò su di me con tutto il suo peso e tra le sue mani spuntò un pugnale, che puntò alla mia gola.
“Perdonami”, lo sentii sibilare, e il gelido della lama che scorreva sulla gola. Il sangue sgorgò, e io urlai disperata.
Sentii allora come una raffica di vento, e Diomede prese il guerriero per le gambe e lo trascinò via da me, per poi lottarci insieme nella polvere.
“Tecmessa!”
Teucro apparve al mio fianco e mi prese tra le braccia, guardando con orrore la ferita. “Non è profonda... poco più che un graffio”, dissi, mentre un sibilo tagliava l'aria. L'arciere ebbe un singulto e si accasciò al suolo con me, un pugnale conficcato nel petto.
“No!”, urlai, gli occhi pieni di lacrime.
“Allontanati da lui.”
Alzai lo sguardo, e incontrai gli occhi di Otreo, pieni di odio e crudeltà. Boccheggiai.
“Allontanati, ho detto.”
Io scossi la testa, mi misi davanti a Teucro. “Non lo farò.”
Otreo mi puntò la spada contro. “Quindi è lui il tuo uomo?”
Con uno scatto da serpente mi prese per i capelli, mi sollevò. “Sarà il primo a morire; poi sarà il tuo turno, infine il mio. Così ti avremo entrambi, mia lussuriosa regina.”
In preda alla furia gli morsi il braccio, e Otreo mi lasciò andare con un grido. Strisciai verso Teucro, afferrai l'arco che aveva lasciato cadere e armeggiai con la faretra.
Sentii la carica di Otreo dietro di me, incoccai. Mi voltai, e la punta della freccia gli sfiorò il petto.
Il re si fermò, mi guardò spaurito mentre la spada gli cadeva di mano. “Tecmessa...”, sussurrò, e io repressi un singhiozzo. Per un istante pensai di non farlo. Glielo dovevo, per tutto quello che era stato per me; era tutto ciò che mi rimaneva della mia vecchia vita.
Poi vidi che Diomede era a poca distanza e altri Achei stavano accorrendo e lo circondavano, aspettando il momento di averlo nelle loro mani. E io non avrei avuto il coraggio di stare a guardare mentre lo torturavano e uccidevano atrocemente.
Lo guardai negli occhi. “Valoroso Otreo... io non ti dimenticherò mai”, dissi, e scoccai. La freccia gli trapassò il cuore, uno spruzzo di sangue mi raggiunse.
Cadde in ginocchio senza un lamento, il mio Otreo, e poi al suolo, gli occhi aperti e rivolti al cielo.
Aiace, Idomeneo e gli altri capi arrivarono di corsa e i loro occhi passarono da me, ancora con l'arco tra le mani, al cadavere di Otreo, e viceversa. Perfino il terribile Diomede fissava attonito la scena e non osava avvicinarsi.
Un silenzio irreale gravava su tutti noi.
Poi sentimmo un passo cadenzato, e tutti distolsero lo sguardo quando giunsero Menelao ed Agamennone. Quest'ultimo fissò la scena, gonfiò il petto e i suoi occhi brillarono di furore.
“Tu”, puntò il dito contro di me, “una donna, una schiava, hai osato brandire un'arma e colpire un re?”
Impallidii, e tremai.
“L'ha fatto per proteggermi”, tentò di difendermi Teucro, ma Agamennone lo zittì con un'occhiata. “Perché, non eri capace di farlo da solo? Quel graffio al petto ti ha tolto il coraggio?
Hai bisogno di una donnicciola per difenderti, tu che sei il migliore fra i nostri arcieri?”
Quindi si girò, guardò l'esercito. “E voi, avete perfino paura di parlare? Cosa siete, uomini o pecore?
Perché non siete intervenuti? Volete essere la vergogna dell'Ellade, voi che un giorno volete gloriarvi di aver preso la superba Ilio?”
L'ira del re di Micene era terribile e nessuno osava contrapporsi, neppure il suo stesso fratello. Dopo essersi sfogato su Teucro e sull'esercito, Agamennone tornò a me. “Hai osato prendere il posto di un uomo, privando il re di Argo”, e indicò Diomede, “di una preda ambita, per questo verrai punita come tutti i soldati codardi e irrispettosi. Diomede, sai cosa fare.
Quanto a voi, cani, al lavoro! Vi siete riposati abbastanza, e gli Spiriti dei nostri compagni attendono i loro onori!”
L'esercito si disperse, e solo Aiace mi si avvicinò. “Lo farò io”, disse a Diomede, guardandolo con sfida.
Il re di Argo rispose con uno sguardo duro. “No, spetta a me. Conosci le regole”, rispose prima di allontanarsi.
Aiace strinse i pugni, si voltò verso di me. “Alzati, subito!”
Obbedii, impaurita dal suo tono. “Cosa mi faranno?”, balbettai.
Il suo sguardo mi fulminò. “Che cosa ti è preso? Spettava a Diomede a ucciderlo, non a te!
Hai privato un re del suo onore, hai commesso una colpa enorme! Perché lo hai fatto?”
Le lacrime mi salirono agli occhi. “Perché ora non avresti più un fratello”, singhiozzai, “e io non avrei nemmeno il coraggio di guardarti.”
L'espressione di Aiace mutò; distolse lo sguardo, per non piangere.
Diomede ritornò in quel momento, la frusta che usava per i suoi cavalli tra le mani. Mi prese per un braccio e mi trascinò alla spiaggia, in una zona appartata dove non potevamo essere visti da nessuno.
Aiace ci seguì, e notai con la coda dell'occhio che anche Partenia lo fece.
“Inginocchiati”, disse Diomede, e io fui costretta ad ubbidire.
Aiace si mise davanti a me, mi strinse i polsi. “Il dolore passerà presto. Stringi i denti e non urlare, se puoi”, mi sussurrò, e già versavo lacrime di umiliazione e rabbia, mentre Diomede mi lacerava la veste sulla schiena con un gesto secco.
Il primo colpo quasi mi gettò a terra, per la violenza con cui venne dato.
Il secondo mi annebbiò la vista.
Al terzo repressi a stento un urlo in un mugolio.
Sentii un nuovo sibilo e attesi il morso del quarto; invece, la frusta scivolò sulla mia schiena come una carezza, e Aiace mi lasciò andare.
Caddi al suolo, e Diomede si inginocchiò accanto a me. “Avrei dovuto continuare a colpirti fino a spezzarti in due, ma non lo farò. Hai ucciso l'uomo che toccava a me affrontare... ma hai anche salvato un mio compagno; sei stata coraggiosa e nobile, ma ricordati che sei pur sempre una donna, e che se dovesse accadere di nuovo non avrò questo riguardo.”
Aiace mi aiutò ad alzarmi, mi avvolse nel suo mantello. Mi girai a guardare il re di Argo e lessi nei suoi occhi, per la prima volta, qualcosa di simile all'ammirazione, mista al consueto disprezzo.
In quel momento il vento portò di nuovo quel terribile odore, e io non riuscii a trattenere lo stomaco.
Aiace mi prese fra le braccia e mi ripulì la bocca, e stava per riversare dure parole su Diomede, quando Partenia si avvicinò e lo fermò. Annusò l'aria, quindi sorrise.
Aiace la fissò con stupore, e la ragazza continuò a sorridere. “Ne avevo il sospetto, ma ora ne sono sicura”, disse infine, indietreggiando un poco.
“Sospetto di cosa? Parla, stupida, sospetto di cosa?”, sbraitò il mio amato.
Partenia non rispose, ma mi guardò. Compresi, e boccheggiai portandomi le mani al ventre.
Aiace spalancò gli occhi e si inginocchiò al suolo, mentre Partenia se ne andava seguita da Diomede, che teneva lo sguardo a terra e sul viso recava un'ombra, una traccia di tristezza.
Pianse a lungo il mio Aiace, il volto sepolto nei miei capelli e le mani strette alle mie sul mio ventre, mentre il rumore del mare ci cullava.

Il momento di raggiungerti si avvicina.
Ed è per questo, prima che ogni forza mi abbandoni, che sarò costretta a lasciare sepolti nel cuore tutti gli istanti che ci legarono negli anni che fui al tuo fianco, per riportare invece alla mente altri ricordi: come alcuni Mortali divennero Immortali.

   
 
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