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Autore: kamy    10/01/2009    3 recensioni
Un ragazzo di nome Carlo, cresciuto in una vita che potrebbe essere quella di chiunque, si ritroverà catapultato in mondo fatato, abitato da strane creature. Tra pericoli, insidie, nuove amicizie, giovani amori, dovrà salvare dalla distruzione un intero pianeta. E' il mio primo romanzo di questo tipo, perfavore leggetelo.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed ecco qui il secondo capitolo. Finalmente a una lunghezze più o meno giusta, almeno spero.

 

Cap.2All’accademia

Arrivarci non fu uno scherzo, almeno per Carlo. La vegetazione si faceva via via più fitta e intricata. Almeno la nebbia stava a poco a poco diradando. Arrivati alla valle il bosco si apriva di colpo, lasciando scorgere un paesaggio inusuale e meraviglioso. Mai nella sua vita aveva visto o immaginato un posto simile. Nelle alte sequoie c’era un tripudio di piccole luci ovunque. Le piante avevano ramificato i loro tronchi e i loro rami in modi assolutamente particolari e all’interno erano state ricavate intere abitazioni. Sull’alta montagna di fronte, sbucavano come delle verande, edifici a funghi. Tra questi , ma lui non poteva saperlo, l’orfanotrofio elfico. L’aria stessa era densa di magia e dava quasi alla testa. C’erano elfi ovunque, di tutte le età, che parlavano una strana lingua. C’erano nani: ometti bassi dalle barbe lunghe che brandivano enormi asce verso esseri della medesima altezza, ma senza barba e verdognoli. C’era una  fontana in cui guizzavano delle sirene in vena di giocare con alcuni tritoni seriosi.  Sopra la radice dell’albero più grosso c’era un edificio a forma di castello fatto da tronchi ricoperti d’edera, Asches invitò Carlo ad entrare, ma lui si era distratto guardando degli animali in un recinto. Non erano animali comuni. Erano enormi rettili, dagli occhi vispi, una fiera posizione, mastodontiche fauci, possenti zampe munite di pericolosi artigli e avevano ali robuste. Ognuno aveva le scaglie di un colore diverso. Asches urlò a Carlo: “Muoviti! Sono draghi, non ipnotizzatori”. Ora che era a casa, l’elfo doveva prendere un contegno serio per evitare qualche battuta dagli altri elfi. Già lo consideravano strano. Carlo si risvegliò dal torpore e seguì Asches nel castello. Carlo era sempre più stanco, a causa della scarpinata fatta fino a quel momento. Gli sfuggì perciò la magnificenza di quel posto. Arazzi e tappeti di un rosso scarlatto ornavano ogni angolo. Sule tetto in legno meravigliosi affreschi e strane incisioni. Sembrava che tutto pulsasse, come se ci scorresse la linfa stessa dell’albero in cui camminavano. Proseguirono in linea retta fino alla sala del trono. Su un trono, fatto di legno e decorato con splendide gemme, sedeva un vecchio vestito di bianco. Il vecchio aveva sconcertanti occhi azzurri, che sembravano passare da parte a parte Carlo con lo sguardo; una lunghissima barba grigia; lunghi capelli biancastri e due appariscenti orecchie a punta. La sua voce era talmente mistica che quando parlò fece trasalire tutti. Aveva una voce profonda e saggia che faceva venire i brividi. Disse: “Ashes sei tornato finalmente”. L’elfo si inginocchiò e il ragazzo penso che era giusto fare lo stesso. Il re degli elfi guardò attentamente Carlo, mentre i due si rialzavano. Guardò poi Asches nello stesso modo in cui si guarderebbe uno scolaretto lento a capire che non fa altro che combinare un sacco di guai. Poi, con voce dura, gli parlò di nuovo. “Perché mai hai portato qui un umano appartenente al mondo non magico?! Quando imparerai a rispettare le leggi?”. “Padre, si era perso. Pensavo dovessimo aiutare chi è in difficoltà”disse Asches giustificandosi. Di risposta il re alzò ancora di più la voce. “Conosci le leggi. Se non impari a rispettarle non potrai mai succedermi. Questo “umano” deve adesso scegliere. Diventare uno di noi o aver cancellata la memoria dopo essere stato riportato alla sua dimora”. “Ma padre…”tentò di dire l’elfo più giovane. “Così ho deciso”disse risoluto e severo. L’intervento di Carlo però fu inaspettato, anche per il ragazzo stesso. Impulsivo come al solito, non gli restava che mordersi la lingua. L’urlo: “Divento uno di voi!!”era risuonato per tutta la sala del trono. “Rispetteremo la tua volontà. Asches portalo all’accademia”. L’elfo sospiro e fece un altro inchino. Carlo non fece in tempo, perché era stato colto da un sonoro sbadiglio. Come faceva a essere gia sera tardi? Il ragazzo poteva sentire l’accompagnatore borbottare tra se o inveire contro la rigidità paterna. Carlo sentì un moto di comprensione verso l’elfo. Sapeva cosa voleva dire avere genitori insopportabili. Eppure Asches era già più fortunato rispetto a lui. Si vedeva che il re degli elfi voleva bene a suo figlio. Fu condotto in un altro edificio sempre in legno. Era molto più spartano e aveva una forma assai diversa. Qui non vide molto, appena fu portato in una stanza dove vide un letto si coricò addormentandosi di colpo. Era stanco di quelle stranezze. Di certo il risveglio non fu tra i migliori. Asches gli aveva tirato una secchiata d’acqua. Da quel che vedeva dalla piccola finestra, si notava solo un armadio, una scrivania e una sedia. Era ancora presto, poiché non filtrava luce. Fu portato in un'altra stanza dove non c’erano finestre e l’unico mobilio era una scrivania molto grande e una specie di trono, simile a quello del re, sul quale era seduto un nano che fumava una pipa. Carlo si sentì soffocare: senza finestre il fumo ristagnava nella stanza. Asches presentò: “Questo è Aido capo di quest’accademia, ti spiegherà tutto lui”. Detto questo, l’elfo se n’andò. Carlo decisamente imbarazzato si appoggiò contro il muro. Voleva risposte alle sue domande e Aido le diede senza che lui le avesse pronunciate. Gli spiegò che diventare uno di loro voleva dire tirare fuori qualche superpotere per aiutarli a salvare l’universo. Nel caso non ci fosse riuscito o si fosse stufato prima dell’età pensionabile gli sarebbe stata rimossa la memoria,  cosa abbastanza facile anche senza quelle due modalità. Doveva augurarsi di non morire o beccarsi un nemico fisso, altre due cose molto facili. Carlo non capì cosa lo costrinse ad accettare, ma quando lo fece accettò anche di fare lì l’addestramento. Si chiese se fosse uscito pazzo. Forse era un pazzo sognatore davvero poiché vedeva elfi, draghi e cose varie. Ormai il sole faceva  capolino dalle finestre e fu condotto alla mensa. Era un enorme stanzone, dove si trovavano fili di panche e tavoli stracolmi di ragazzi chiacchieroni e affamati. Non sentendosi ancora a suo agio si sedette da solo. Aido gli sedette vicino. Dopo poco arrivò da mangiare, enormi pizze. Dagli altri tavoli esultarono. Sconvolto che quella gente mangiasse pizza a colazione chiese spiegazioni ad Aido il quale rispose che tutti amavano la pizza e alla mattina non potendo cucinare una cosa diversa per ciascuno preferivano andare sul sicuro. Carlo ricordò che esisteva il latte, ma venne a sapere che alcune razze non riuscivano a sentirne nemmeno l’odore da lontano. Si vedeva che il nano non amava parlare e perciò il ragazzo decise di risorgergli meno domande possibili. Dopo la colazione gli diedero una spada di legno e gli dissero di allenarsi. Gli diedero appuntamento a mezzogiorno alla mensa, per regolarsi sull’ora lo avvertirono che nel terzo cassetto della sua scrivania c’era un orologio. Carlo era felice che fossero usate spade di legno, poiché aveva passato l’infanzia a giocarci col suo nonno paterno, quando non giocava a nascondino. Suo nonno era l’unico che lo avesse mai capito e apprezzato. Era stato proprio lui a insegnarli il nascondino e lui lo amava tanto anche perché era un modo per sentirlo vicino. Suo nonno era però venuto a mancare. Arrivata l’ora dell’appuntamento si diresse verso la mensa. Ci fu il pranzo. Dopo che anche l’ultimo ragazzo ebbe finito di mangiare, tutti i banconi e i tavoli della stanza svanirono. I ragazzi, che già facevano parte dell’accademia, se ne andarono. Entrò Aido che disse: “Questa è una prova e io sono l’esaminatore. Chi di voi passerà, dovrà cominciare a chiamarmi maestro. Ora  mettetevi in cerchio, quelli che non vi entreranno, ne faranno un altro. Io mi metterò al centro di tutti i cerchi. Quando vi darò il via mi dovrete attaccare”. Carlo, appena fu a tiro, mise tutta la sua forza per attaccare il nano, ma era difficile visto che Aido parava ogni colpo mentre tra i partecipanti era scoppiata una rissa. Nell'istante in cui Aido diede lo stop, tutti si fermarono di colpo. Poi Aido aggiunse: “Se non siete troppo stanchi per muovervi, filate nelle vostre stanze. Vi farò chiamare e vi dirò chi ha superato la prova. Chi invece è troppo stanco per andare in camera  lo accompagno io a calci nel sedere”. Tutti si affrettarono a eseguire l’ordine. Il nano non era uno che scherzava. Verso sera qualcuno bussò alla stanza di Carlo. Era una donna bellissima, ma dal colore della pelle viola e dagli occhi giallo- girasole. Era una ninfa, non molto intelligente poiché ripeteva sempre la medesima cosa: “Ti aspetta il maestro Aido”. Solo quando Carlo cominciò ad avviarsi, lei saltellò via con un sorriso malizioso sul volto fino alla porta successiva. A quel punto Carlo smise di guardarla e si affrettò verso la mensa. Era nervoso, chissà se aveva superato la prova. A partecipare alla prova erano stati circa cinquanta ragazzi. Era  passato insieme con altri nove ragazzi della sua età. Ora formavano una squadra. Quelli sulla lista però erano solo nomi. Ora doveva conoscere coloro che li portavano. Era sempre stato un tipo socievole e aperto, ma la vera amicizia non l’aveva mai concessa a nessuno. Inaspettatamente fu uno dei compagni ad avvicinarsi a lui. Si avvicinò, ma non disse niente. Si limitò a squadrarlo. “Carlo, piacere. Tu sei?”disse il ragazzo svelto. Aveva sfoderato un sorriso a 32 denti e aveva già allungato la mano per stringerla. Quello guardò la mano quasi fosse aliena. Rimase a braccia conserte, ma decise che presentarsi non lo avrebbe ucciso. “Robert. Mago terrestre. Sei tu l’umano che hanno trovato nel bosco?”chiese sospettoso. “Si e sono molto contento di essere qui”disse Carlo cercando comunque di socializzare. “Non ti ci abituare. Normalmente è questa la prova più difficile, ma nel tuo caso sarà la prossima. Se si scopre che non possiedi alcun potere, ti rimandano a casa”disse incolore. Poi si girò e si allontanò. “Che antipatico”pensò Carlo. Quando i suoi occhi videro la più stupenda delle creature. Troppo bella per essere vera. Era una fata dai lunghi capelli azzurri e due immensi occhi rosa. Carlo, per riprendersi dallo shock, si avvicinò proprio alla fata. Lei sembrava soppesarlo e lui era diventato rosso. In imbarazzo cercava una scusa per parlarle. Le chiese come mai fosse passata solo lei come ragazza. Lei rispose: “Di solito, pensano che le ragazze non siano adatte a questo lavoro. Poi però restano più ragazze che uomini siccome i mostri preferiscono uccidere loro”. Poi si allontanò stizzita. Possibile che fossero tutti antipatici? Forse non tutti, in un angolo c’era un ragazzino spaurito, ma era troppo spaventato anche per pronunciare una sola parola capibile. Carlo depresso si chiuse nella sua camera a pensare. Perché voleva fare quel lavoro?  Si chiedeva. Non trovava una risposta. Pensandoci sì addormentò.

Ringrazio:

Regina Oscura Mi sa che è piaciuta solo a te, ma è già qualcosa. Perciò io continuo e spero che almeno ci sia qualcuno che legge. Spero che ti possa piacere anche questo capitolo. Io non faccio passare mai troppo tempo tra un aggiornamento e l’altro. La somiglianza con la babbanologia era qualcosa che non avevo pensato, ma mi sa che hai ragione.

  
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