Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: Paperback White    14/06/2015    3 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

15. JOHNNY AND THE MOONDOGS
(Please Please me)

 
Last night I said these words to my girl
I know you never even try, girl
Come on, come on, come on, come on
Please, please me, wo yeah, like I please you
 
You don't need me to show the way, love
Why do I always have to say, love
Come on, come on, come on, come on
Please, please me, wo yeah, like I please you
 
Una grigia giornata di settembre mi accolse al mio rientro a Londra, con un cielo scuro quanto il mio umore. Nè io nè mio fratello volevamo tornare in quella città, culla di un dolore non ancora svanito. Ma non si poteva fare altrimenti e riprendemmo le nostre non semplici vite, con un profondo abbraccio di nostra madre a lenire momentaneamete la nostra malinconia. Era così felice di vederci e dal suo aspetto notavo quanto fosse migliorata, cosa che mi diede maggiore forza. Appariva più rilassata nonostante l’evidente tristezza che stava combattendo duramente, tutto per tornare a quel ruolo che aveva ormai assunto da 18 anni, occupandosi di me e Chris. Sembrava che quel mese da sola fosse servito a rialzarti e tentare di rimettere a posto i pezzi dispersi della nostra famiglia. Io ero così fiera e orgogliosa di lei e mi impegnai per aiutarla a raggiungere quell'obiettivo. Chris iniziò la nuova scuola, non senza qualche piccolo problemino ad ambientarsi al nuovo istituto, e io mi misi alla ricerca di un occupazione. Il mio primo lavoro fu come baby-sitter per una vicina di casa che non aveva molto tempo per occuparsi del figlio. Era un bellissimo bimbo dalla pelle scura, ripresa dalle origini afroamericane della madre, con dei folti riccioli e un sorriso contaggioso, che rispondeva al nome di Robert. Qualche settimana dopo si aggiunse anche l'impegno di tenere due fratellini, Cissy e Harry, che riempirono la mia settimana consentendomi una modesta entrata economica per poter aiutare la mia famiglia. Quando non ero al lavoro mi occupavo della casa per non far affaticare troppo mia madre, stavo dietro a Chris e mi ritagliavo piccoli spazi per poter scrivere. Non fu un periodo molto proficuo, erano per lo più esercitazioni, però riprendere quella parte della mia vecchia vita fu molto importante. Posare le dita sulla liscia superfice dei tasti e vedere la levetta pronta a scattare, marchiando una piccola lettera con il suo inchiostro, fu qualcosa di davvero gratificante. Inoltre il ricordo dell'episodio che mi aveva permesso di prendere la mia bella macchina da scrivere rendeva i miei momenti insieme a quell'oggetto molto speciali. Battevo qualsiasi cosa con la mia Lettera 22, tranne le pagine del mio diario, dove si poteva assaporare l'incertezza della mia calligrafia, così come nelle lettere inviate a John e Paul, tornati regolari destinatari di uno scambio bisettimanale di posta.
Furono questi due fattori a distrarmi quando scoprii le prime difficoltà nella ricerca della mia famiglia. Come già ti avevo accennato le pratiche burocratiche erano lente e complicate e dovevo solo aspettare e sperare in una rapida riuscita. Purtroppo non sapendo il nome di mio padre (per lo meno sapevo solo che si chiamasse Simone senza essere a conoscenza di eventuali secondi nomi) o la sua data di nascita, le cose si facevano più intricate. Era qualcosa a cui non avevo minimamente pensato e che mi fece sentire ancora più lontana a quella persona, di cui non conoscevo davvero nulla. Tentai di non scoraggiarmi e feci richiesta per ottenere il mio certificato di nascita, sperando ve ne fosse una copia. Non avevo alcuna idea se fosse giunta una qualche documentazione insieme al mio arrivo in Inghilterra e non sapevo nemmeno i passi che mia madre e Mark avevano dovuto compiere per farmi adottare da lui. Sopra quel pezzetto di carta ci sarebbe stato il nome del mio padre biologico e forse qualche ulteriore dato che mi avrebbe dato un punto di partenza più sicuro.

Mentre affrontavo con coraggio le difficoltà di quei primi mesi, le continue notizie di John e Paul mi tenevano compagnia. I ragazzi suonarono fino al 10 ottobre al Casbah, chiamati per vari ingaggi da Mona, che aveva apprezzato il successo ottenuto all'apertura del club. Ma una discussione cambiò tutto: Mona era più furba di quanto potessimo intuire in quei cinque minuti in cui l'avevamo conosciuta. Una sera, Ken non si presentò al locale poiché ammalato: ovviamente non aveva avvertito per tempo nessuno, così i Quarry Men furono costretti ad esibirsi solo in tre, salvando comunque la serata alla signora Best. Lei non mancò di presentare lamentele e decise di pagare di meno i ragazzi scalando la quota di Ken perchè "si erano esibite tre chitarre e non quattro". Nonostante tutto l'impegno che i miei amici ci avevano messo lei se ne approfittò, consegnandogli un compenso davvero minimo. Nessuno dei tre ragazzi riuscì a trattenersi e si scatenò una furiosa lite che fece cacciare i miei amici dal Casbah, convinti che non avrebbero mai più suonato in quel posto (1). Reo di aver fatto perdere quell'ingaggio ai ragazzi, Ken venne estromesso dal gruppo e nuovamene si ritrovarono in tre.

Ma non ebbero il tempo di pensare a tutto questo perchè colsero un'occasione davvero allettante: partecipare al concorso "Mr. Star-Maker" di Carroll Levis (2). Sarebbe stato un buon modo per farsi notare anche se ridotti ad un numero così esiguo. Non sentendosi davvero più Quarry Men, i ragazzi si iscrissero al concorso col nominativo di Johnny and the Moondogs, che non mi faceva davvero impazzire. Superarono alcune eliminatorie e arrivarono alla fase finale del concorso regionale, che si sarebbe tenuta in città sabato 31 ottobre. Mi pregarono di venire a vederli, volendo la mia partecipazione a quell'evento così importante per loro, e non potei rifutare. Sistemai i miei impegni di lavoro e con una parte dei soldi che avevo presi un treno, arrivando in città quello stesso pomeriggio. Dopo aver sistemato le mie cose a casa di mia zia mi diressi subito verso il teatro, dove riconobbi Stuart e Geoff davanti l’ingresso, che aspettavano di poter entrare.
-Ciao- gli dissi, spuntando alle loro spalle. Sperai che si ricordassero di me, nonostante ci fossimo visti solo in un'occasione.
-Ciao Freddie!- un bel sorriso si stampò sul volto abbronzato di Geoff, che mi riconobbe subito.
-Ciao e bentornata a Liverpool- mi rispose uno Stuart colorito da un’espressione piacevolmente sorpresa.
-Grazie mille ragazzi- risposi cordialmente -Sono emozionatissima, è una grande occasione per la band! Voi siete riusciti a vederli?-
-Purtroppo no, sono fuggiti dentro e non abbiamo avuto alcuna occasione per poterci parlare- mi rispose Geoff.
-Capisco…- risposi delusa, ci tenevo ad augurargli buona fortuna ma purtroppo ero arrivata troppo tardi.
-Freddie! Ma che bella sorpresa!- mi voltai, trovando una Cynthia sorridente a salutarmi. Era arrivata in tutta la sua splendida chioma bionda, seguita da una ragazza bassina e con i capelli corti.
Non ero ancora pronta per rivederla e la cosa mi metteva in imbarazzo, non sapendo come comportarmi con lei. Stuart doveva aver notato tutto ciò, perché mi strizzò l’occhio come a volermi incoraggiare, indicandomi tutto il suo sostegno in quel gesto. Io apprezzai molto tutto ciò e mi fu d’aiuto, spronandomi a fingermi cordiale nei suoi confronti.
-Ciao Cynthia- le risposi, con un sorriso forzato.
-Sono proprio contenta che tu sia venuta- mi confidò. Sembrava molto più a suo agio rispetto a mesi precedenti, come se questo periodo con John l'avesse aiutata ad essere meno timida. O forse sentiva un qualche legame nei miei confronti, sentimento che io non avvertivo in alcun modo.
-Grazie, sei sempre molto gentile. Ci tenevo a partecipare per sostenere i miei amici- dissi, senza aggiungere delle varie insistenze che mi avevano fatto sia John che Paul. Non ero certa che lei fosse a conoscenza della fitta corrispondenza tra me e il suo ragazzo.
-Hai fatto benissimo-
Il mio sguardo passò da lei alla sua amica, che ci ascoltava senza dire nulla.
-Scusate, non vi ho presentate! Freddie, lei è Dorothy Rhone (3)... "un'amica" di Paul- disse, rimarcando quella parola, sorridendo complice alla sua compagna.
-Piacere...- risposi, rimanendo perplessa da quella presentazione. Un'amica di Paul? Quel genere di amica? E perchè Paul non mi aveva detto nulla?
Non volevo credere a quello che sembrava sottointendere Cynthia. No, questa Dorothy era un personaggio comparso troppo improvvisamente, non poteva esserci nulla tra lei e Paul. O forse si?
Paul era un bellissimo ragazzo e aveva dietro uno stuolo di donne adoranti, molte occasionali, che non mi erano state nominate nelle varie lettere. Ma non avevo mai visto nessuna di loro e per questo era come se non esistessero. Erano solo una lista di nomi femminili che usciva fuori dai discorsi di John o George, e quello rimanevano per me, parole senza alcuna importanza. Ma Dorothy era diversa, era un nome e una presenza fisica. E non era nemmeno una ragazza troppo carina, ad essere sinceri: non aveva un viso molto bello nè un fisico mozzafiato, e appariva piuttosto timida.

Cosa ci trovava un ragazzo affascinante e carismatico come Paul in una tipa simile?

-E' ora di entrare- mi disse Stuart, scuotendomi dal mio stato di apatia.
Annuii e seguii i quattro ragazzi all'interno del teatro, pronta ad ascoltare lo spettacolo, anche se il pensiero di quella biondina che chiacchierava allegramente con Cynthia non mi piacque affatto. Dovevo parlare con Paul e saperne di più per togliermi qualsiasi dubbio. Ma quello non era il luogo e il momento adatto, per cui avrei aspettato pazientemente l’occasione giusta, pregando di non dover attendere troppo a lungo. Solitamente la pazienza era uno di quei pochi pregi che potevo vantare, ma in quel caso una certa ansia pervadeva il mio corpo, interponendosi alla voglia di godermi il bel spettacolo che si manifestava sopra il palco. Le band finaliste si esibivano senza una vera e propria pausa, tra il ritmo saltellante dei loro strumenti e l'entusiasmo degli esecutori che scatenavano la folla ai loro piedi. Tra i vari partecipanti riconobbi subito un certo ragazzo, che si era appena presentato sul palco con la sua band: Alan Caldwell, che per l'occasione si era fatto chiamare Rory Storm.

-Rory Storm?- sussurrai a Stuart.
-Già, un bel nome no?-
-Potente- dissi, facendolo ridere.
-Bè con un gruppo di "Hurricanes" intorno mi sembra sia adatto- rispose lui.
Rory Storm and The Hurricanes (4) era un nome che suonava davvero bene, almeno quanto i ragazzi che componevano quel gruppo. Rory era un tipo affascinante e dalla bella voce che guidava una band di musicisti talentuosi, su cui il mio occhio fu subito interessato ad indagare. Feci scorrere il mio sguardo sui quattro ragazzi che accompagnavano l'esuberante biondino, tre chitarristi e una piccola figura nascosta dalla batteria, che esprimeva tutto il suo entusiasmo battendo ritmicamente e lanciando sorrisi a tutta la sala. Nonostante quel suo atteggiamento potesse apparire estremamente genuino, il batterista e i suoi compagni avevano un’aria molto professionale con quel bel completo turchese che rafforzava la loro immagine. Non davano l’idea di essere un gruppo emergente, sia per la loro presenza sul palco che per la loro bravura, e rimasi entusiasta dalla loro performance. Mi arrossai fortemente le mani nell'applaudire la loro esibizione, facendo salire l'applausometro che contava il gradimento che avevano raggiunto dal pubblico. Non volevo andare contro i miei amici, ma quei ragazzi si erano meritati quel lieve formicolio sui palmi delle mie mani.
A separarli dagli ex Quarry Men ci furono due band molto brave, che ingannarono la nostra attesa. Finite quelle due esibizioni, annunciati dal presentatore, ecco comparire i ragazzi sul palco, a cui non mancò il nostro incoraggiamento. Johnny and The Moondogs erano diversi dai Quarry Men non solo nel nome ma anche per come si presentavano hai nostri occhi. Erano solo due chitarra e un cantante, e precisamente era John ad essere sprovvisto di qualsiasi strumento. Che fine aveva fatto la sua chitarra? (5)
Mi voltai verso di Stuart che fece un alzata di spalle, senza essere nemmeno lui a conoscenza del motivo per cui si erano presentati in questo modo. Era strano vedere John nel mezzo, tra Paul e George, cantare davanti a tutti senza lo scudo che quella cassa di legno poteva offrirgli. Ma quello non sembrò pesare molto sulla loro esibizione, riuscendo a cavarsela alla grande. Usarono il particolare timbro di John come terzo strumento e impegnarono le loro forze solo su una cosa: il loro carisma. Quello ne avevano da vendere! John ti incantava con la sua voce, George ti catturava con le sue note, e Paul... lui ammicava e faceva scorrere quelle leggere dita tra le corde del suo strumento, in quel modo che solo lui sapeva fare. Mi chiesi se quegli sguardi non fossero diretti alla biondina che si trovava proprio davanti a me e che sospirava felice. Un pensiero che strinse il mio stomaco in un pesante nodo, sommandosi alla brutta sensazione che già provavo, che fu da memore del piccolo dubbio con cui avevo iniziato la serata.

Quella domanda si dimenava forte nella mia testa mentre ascoltavo il verdetto della giuria, che purtroppo non fu favorevole per i miei amici e nemmeno per gli Hurricanes, che si erano aggiudicati solo il secondo posto (6). Ma vi erano stati altri gruppi che avrebbero meritato la vittoria, come i Cass and The Cassanovas (7), anche loro non erano riusciti a raggiungere quel podio. Ci guardammo tutti stupiti non capendo come fosse possibile, ma un'ulteriore annuncio placò i nostri animi: alcuni gruppi si erano aggiudicati un invito alla finale nazionale, e precisamente furono i Johnny and the Moondogs, i Rory Storm and the Hurricanes, i Cass and the Cassanovas e un altro paio di band, che si sarebbero contese un premio decisamente più importante di quello vinto questa sera.
E grazie a quella notizia avemmo finalmente un bel motivo per festeggiare quello spettacolo.
 
***
 
La sera successiva mi trovavo davanti a casa di Stuart, con il mio bel cappottino beige a proteggermi dal freddo vento della città marittima. Ero venuta da sola, perdendo tempo per orientarmi in quel posto che non conoscevo. John doveva passare a prendere Cynthia e poi insieme a George sarebbero arrivati in anticipo, per aiutare Stuart e le sue coinquiline a sistemare la casa. Era stato George ad invitarmi ad andare con loro, ma io avevo rifiutato: meno tempo passavo guardando John e Cynthia farsi le moine tra di loro e meglio stavo. Inoltre volevo parlare con Paul e pensai di chiamarlo per chiedergli di andare insieme, così che avessi l’occasione adatta per chiarire i miei dubbi. Ma l’allegra vocina di Mike mi aveva confidato che il suo caro fratellone era “andato a prendere Dot per accompagnarla alla festa”. Quindi quando raggiunsi il numero 3 di Gambier Terrace (8) ero davvero di pessimo umore. Davanti a me si stagliava un lungo comprensorio a due piani, con un portico colonnato che copriva la porta d'accesso, sulla quale andarono a incontrarsi le nocche della mia mano. Sapevo che John si sarebbe trasferito in quella casa qualche giorno dopo (9), nella speranza di sfuggire alla morsa di Mimi, e questo avrebbe dovuto incuriosirmi di più su quel posto, ma le vicende di quella giornata impedivano la presenza di sentimenti positivi. In effetti non avevo proprio voglia di partecipare a quella festa organizzata per l'improvviso invito dei miei amici alla finale a Manchester (10), ma non sarei stata corretta nei loro confronti quindi fui costretta a presentarmi là davanti.

Mi venne ad aprire alla porta uno Stuart sorridente con indosso una bella camicia scura che esaltava la sua candida pelle, rendendo ancora più incantevole la sua bellezza.
-Benvenuta mia cara- mi fece lui, afferrando la mia mano e depositando un leggero bacio a fior di labbra.
Quel gesto tanto galante mi fece avvampare improvvisamente, accaldandomi.
Stuart si accorse della mia reazione e sorrise compiaciuto -Vieni, ti mostro il resto della casa-
Un dedalo di camere scarsamente arredate e dai soffitti alti si apriva alla mia visuale, terminando in un salone spazioso, con un bel camino acceso che scaldava la sala, adibita alla festa. Vi erano solo due tavoli con qualche cibaria e molto alcool, e di sottofondo un giradischi che suonava una melodia che ormai si era dispersa nella sala, sovrastata dal chiacchiericcio generale. Stuart stava per mostrarmi il suo atelier, desideroso di farmi vedere le sue opere, ma fummo placcati dai nostri amici. John arrivò accanto a noi, abbracciato ad una Cynthia che mostrava chiari segnali di una piccola ubriacatura, ridendo a qualsiasi frase sussurrata dalle bocca del suo fidanzato. Era così intima e sfacciata con lui che mi urtava terribilmente.
-Sei sempre la solita ritardataria!- mi disse John con una noncuranza totale, mentre la sua fidanzata si strusciava addosso a lui, in un effetto che mi appariva disturbante.
-Non conoscevo bene il quartiere e ci ho messo un pò a trovarla... comunque l’importante è che sia arrivata- ammisi, volendo chiudere il discorso con quelle parole.
-Non era poi così complicato, sei tu che hai un pessimo senso dell’orientamento- sentenziò lui.
Io mi innervosii a quella sua risposta, seguita dalla risata cristallina di Cynthia, che suonava alle mie orecchie come lo stridere delle unghie su una lavagna.
-Avrei chiesto a te di accompagnarmi... Ma non sei più disponibile- dissi, guardando di sfuggita la biondina.
-Ohoh. Siamo gelose per caso?- mi fece lui con un sorrisetto soddisfatto.
-Vaffanculo John- gli sbottai, voltandomi e lasciandolo lì su due piedi.
Sentii lontano la sua voce mentre Stuart lo tratteneva dall'inseguirmi, ricordandogli che Cynthia non stava molto bene e non poteva lasciarla sola.

Entrai in cucina, sperando di trovare qualcosa che non avesse alcuna percentuale di alcool, ma trovai solo una figura a me molto familiare che ci dava dentro con la sua nuova fiamma. Le labbra di Paul che annaspavano in quel bacio appassionato verso Dorothy fu il tocco finale di quella serata. Era iniziata da soli dieci minuti ma avevo già mandato a quel paese John e ora stavo guardando con odio Paul. Era decisamente una festa da dimenticare. Tentai di andarmene ma nel gesto impetuoso urtai la porta, facendola scricchiolare e interrompendo quel momento intimo tra i due fidanzati.
-Freddie!- mi disse un Paul in imbarazzo.
-Scusate, non volevo interrompervi- risposi, girandomi per andarmene.
La mano di Paul mi afferrò, impedendomi qualsiasi movimento -Vorrei parlarti un momento... Dot puoi lasciarci soli?-
Lei guardò incuriosita il suo ragazzo ma non disse nulla, allontanandosi da noi.
-Mi sta bene se vuoi parlarmi però lascia andare il mio braccio- gli dissi con freddezza.
Lui allentò la presa con una certa tristezza negli occhi. Sapeva benissimo di non essersi comportato correttamente nei miei confronti, sbattendomi quella relazione in piena faccia. Eravamo amici ma mi aveva tenuto nascosto una cosa del genere, come se non contassi nulla per lui.
-Da quanto stai con lei?- dissi, interrompendo quel silenzio.
-Da qualche settimana- ammise -Sta durando più del solito, ed è per questo che io...-
No, non volevo sentire altro.
 -Ok, va bene. Non mi interessa-
-No Freddie non fare così. Io non ho voluto dirti nulla perché non sapevo nemmeno io cosa stava succedendo. Di solito le altre ragazze non mi colpiscono in questo modo…-
-"Freddie mi sto frequentando con una ragazza" sarebbe stato carino da dire. Invece mi trovo quella tipa che mi viene presentata come una tua "amica speciale", e ora la vedo incollata alla tua bocca. Come pensi mi sia sentita?- strinsi con forza i pugni, cercando di non tenere un tono di voce troppo alto.
-Bè, ecco...-
"Male, distrutta, ferita"
 -Una sciocca, ecco come. Una stupida che si credeva tua amica-
-Ma lo sei! Sei la più cara amica che ho, ma cerca di capirmi non è stato facile. Pensa che nemmeno John lo sapeva fino a poco fà... Insomma, si tratta della mia vita privata avrò pur diritto di gestirla come ritengo più giusto oppure sbaglio?- disse lui, in difficoltà.
Se ci stava una cosa che odiavo in Paul era il modo in cui riusciva a rigirare la situazione anche quando si trovava pienamente nel torto, cercando di sfuggire alla sua colpa.

Giusto, io sono solo un'amica.

Non potevo permettermi simili gelosie, io non ero nient'altro per lui. Quelle parole che dovevano servire per giustificarlo ebbero solo l’effetto di pungolare la parte più sensibile di me, incattivendomi.
-Hai ragione. Dopottutto sono cazzi tuoi giusto?- risposi, visibilmente alterata.
-Stai esagerando, non farla diventare una tragedia!- fece lui, esausto.
-No no, ma quale tragedia! Lei ci riesce benissimo da solo a fare le sue tragedie signor McCartney. Le sue storie d'amore impossibili, come se fossero dei film romantici. Quindi si tenga la sua bella dama e veda di non rompermi più!-
-Smettila, sai che non mi piace questo atteggiamento- mi avvertì lui.
-Sai cosa? Non me ne frega un cazzo. Sei solo un ragazzino pieno di te, incapace di curarti degli altri. Puoi stare con chi ti pare, non è un mio problema- gli risposi.
Paul si alterò. Era sempre stato un tipo permaloso e il sentirsi dare dell’egoista dopo tutto quello che aveva fatto per me l’aveva colpito. Io ero troppo presa dalla rabbia per soppesare le mie parole e rendermi conto di chi avevo davanti e di come avrebbe potuto reagire.
-E' quello che farò- rispose con un tono che palesava quanto fosse offeso.
Mi oltrepassò senza dirmi nulla, andando a cercare la sua ragazza.
In venti minuti avevo litigato con i miei due migliori amici e tutto a causa di quel maledetto sentimento che provavo nei confronti delle loro consorti. Come potevo essere così scioccamente accecata dalla gelosia? John e Paul non erano mai stati davvero miei, ed ero io egoista ad averlo preteso. Ed ora subivo la mia punizione, che meritavo pienamente.

Appoggiai la schiena contro la parete e scivolai sul pavimento, rannicchiandomi su me stessa. Mi accorsi solo in quel momento di avere ancora indosso il mio cappotto, non avendo nemmeno fatto in tempo a toglierlo. Con quel pesante panno che mi avvolgeva ero seduta su quella fredda superficie, con il cuore ferito, maledicendo me stessa.
-Un penny per i tuoi pensieri-
La voce calda di Stuart mi pervase, risvegliandomi dal mio cupo torpore. Alzai lo sguardo verso di lui, notando la piccola monetina argentea che rifletteva della luce artificiale della lampada. La afferrai, seguendo con lo sguardo i delicati contorni della sua incisione, non pensando a nulla. Stuart afferrò due bottiglie di Vodka dal lavello e si sedette vicino a me, pronto a farsi carico di ciò che mi turbava.
-Qui ci vuole qualcosa di più forte di un penny- disse, passandomi una bottiglia.
-Non so se ho voglia di bere...- gli risposi, sentendo lo stomaco ritrarsi a quella proposta.
-In certi casi bisogna farsela venire, è l'unica cosa che fa dimenticare tutto- disse, guardandomi convinto, bevendone poi una sorsata.
Io fissavo quel liquido trasparente senza voler seguire il suo esempio.
-Ti va di fare un gioco?- mi chiese.
Io lo guardai incuriosita -Che tipo di gioco?-
-Ci passiamo la monetina a vicenda e chi la tiene in mano è costretto a rispondere ad una domanda. Deve dire solo la verità e se si rifiuta di farlo allora deve bere un sorso di Vodka come punizione-
Riflettei un momento a quella curiosa proposta. Non avevo nulla da perdere e volevo capire dove volesse arrivare Stuart con quel gioco.
-Ok-
-Comincio io visto che tu hai la monetina. Sei triste per la lite con John e per quella con Paul?-
-Si… Ma come fai a sapere che ho litigato con Paul?- risposi, passando subito la monetina a lui.
-Bè ho visto McCartney uscire furioso da questa cucina, e sommandolo alla tua reazione ho potuto azzardare questa ipotesi- mi disse, guardandomi un momento.
Avevo intuito che Stuart non mi avrebbe permesso di nascondermi da quella verità, il che non mi era di conforto. Ma al tempo stesso sentivo il bisogno di gettare fuori le mie sensazioni in un modo diverso che fosse il solito piangere, quindi decisi di continuare.
-Tu invece sei qui perché non hai di meglio da fare?- lo stuzzicai.
-No, è perché mi piace aiutare le donzelle in difficoltà- disse, strizzando l'occhio.
Sorrisi debolmente a quella sua battuta, intuendo che aveva tutte le migliori intenzioni del mondo nonostante il metodo fin troppo diretto. Anche se lo conoscevo da poco mi infondeva fiducia e mi sentivo a mio agio a parlare con lui.
-Sei gelosa di Cynthia?-
La domanda arrivò senza che ci fossero ulteriori preamboli. Speravo che la conversazione sarebbe stata più graduale… ma quella sua idea mi fu subito sbattuta in piena faccia. Per risposta, bevvi una gran sorsata di Vodka. Di primo impatto mi diede un leggero fastidio, causato probabilmente dal fatto che non reggevo bene l'alcool, motivo per cui evitavo di berne grandi e pesanti quantità.
Cacciai quella staffetta metallica nella mano di Stuart, pronta a vendicarmi.
-Pensi ancora alla tua ex ragazza?-
Sapevo benissimo che aveva rotto da qualche mese con una tipa, tutto grazie alle chiacchiere di John, e sperai che quella vecchia storia potesse procuragli un leggero fastidio, quanto lui ne aveva dato a me.
-No, assolutamente no- disse e poi bevve una lunga sorsata di quel liquido trasparente.
-Significa che mi hai mentito?- chiesi, confusa.
-Chi lo sa- sorrise lui, porgendomi nuovamente quel pesante pedaggio.
-Sei gelosa di Dorothy?-
Un’altra sorsata di Vodka scivolò lungo la mia gola. Oh, se non ero fottutamente gelosa di lei.
-Non hai nessuna ragazza con cui stare?- continuai io, passandogli la monetina.
-Si che ce l'ho- rispose, allungando verso di me quella lucida superficie.
-Chi ti piace davvero, Paul oppure John?-
Mi congelai sentendo quella domanda. Non era una vera e propria domanda ma un'affermazione, come se sapesse qualcosa che io ancora stentavo a capire. Mi doveva piacere per forza uno dei due, o John o Paul. Maledizione no, non mi doveva piacere nessuno dei due, non da quel punto di vista. Non sarebbe stata quella la risposta a tutto quell’uragano che avevo creato.
-Nessuno- dissi.
-Bugiarda. Ora sei costretta a scolarti quel che resta della bottiglia-
-Ma non erano queste le regole!-
-Gioco mio regole mie. Se menti devi pagare pegno-
Sospirai, capendo che se non facevo quello che diceva non avrebbe mai smesso. Fortuna che in principio la bottiglia non fosse totalmente piena, sennò avrei dovuto bere una quantità decisamente pericolosa di quella bevanda. Chiusi gli occhi e ingoiai quel liquido, sperando che insieme alla sua sparizione se ne andassero tutti quei pericolosi pensieri che Stuart aveva seminato nella mia testa.
Scolai le ultime parti di quella bottiglia, seguita a ruota da Stuart, che bevve un’ultima sorsata della sua. Si alzò in piedi, porgendomi le mani per farmi alzare. Quello scatto improvviso mi fece perdere l'equilibrio e quasi crollai addosso al mio amico. Già normalmente non ero il massimo della grazia, figuriamoci dopo aver bevuto! Il suo forte petto mi protesse da una rovinosa caduta e con le sue braccia fermò l'andamento sgraziato del mio corpo. Mi sorrise in modo seducente, per nulla infastidito di quella vicinanza.
-Scusami- sbiascicai.
-Nessun problema- disse, accarezzando lievemente un braccio -Vogliamo andare?-
-Andare dove?- gli chiesi, incuriosita.
-E' da prima che voglio farti vedere il mio atelier, dopotutto mi devi un ritratto giusto?-

Afferrò con delicatezza la mia mano e mi portò verso la sua camera, riuscendo a passare senza farci notare da quasi nessuno. Non trovai nè John nè Paul in quella sala ma vidi solo la testolina scura di George mentre si stava divertendo con una ragazza molto carina, almeno da quel poco che riuscii a scorgere (11). Superammo il bagno e ci addentrammo in una stanza grande con alcune tele sparse a terra, qualche sacco scuro con dentro dei vestiti, colori, cavalletto, matite e fogli sparsi in ogni dove. In un angolo, una pila di due materassi messi uno sopra l'altro con delle lenzuola sgualcite e disfatte doveva essere una specie di letto, o comunque era il luogo in cui Stuart dormiva. L'aria aveva l'odore di chiuso, di colore rappreso e di sigaretta, in un mix che aleggiava intorno a me senza darmi particolare fastidio.
Nonostante avesse l'aspetto di un vero e proprio porcile, vi era un fascino tutto particolare in quella stanza vuota, riempita solo da cose gettate casualmente, per lo più materiale per dipingere.
-Degna del grande Modì- gli sorrisi, sapendo quanto avrebbe apprezzato quel complimento.
-Per mia fortuna non sono costretto a bruciare i mobili per potermi riscaldare- rispose divertito, poi mi indicò la pila di materassi che formava il suo letto -Puoi sederti là-
Mi tolsi la giacca e la poggiai là accanto, occupandomi poi di sistemare le pieghe della mia gonna verde smeraldo. Notai Stuart avvicinarsi verso di me con in mano uno sgabello, un blocco bianco e un carboncino, pronto ad eseguire quanto mi aveva detto. Inforcò un paio di occhiali dalla montatura scura e in quel momento rimembrai l’ennesima somiglianza tra di lui e John. Scansai quei pensieri e mi concentrai sul volto sorridente di Stuart, che mi guardava, ormai seduto al suo posto.
-Pronta per questo ritratto?-.
-Ne sei proprio convinto? Non sono un soggetto così interessante- dissi, titubante.
-Assolutamente. Quindi ti prego concedimi il tuo tempo e la tua immagine- le sue parole furono dette con un sottotono di supplica, come se fosse importante per lui.
Annuì e mi misi in posa, come facevo quando Ben mi fotografava. Avevo imparato da lui come dovessi sistemarmi, quale angolatura del volto fosse la migliore e naturalmente ripetei quei movimenti, sentendo un leggero groppo alla gola al ricordo di quel passato felice. A Stuart sembrò andar bene tale posa perchè non disse nulla e si concentrò sul suo foglio, catturando la mia immagine. La mano guizzava veloce sul foglio, sporcata dalle dita che lasciavano livide scie al suo tocco, abbozzando un lieve chiaroscuro per modellare quella immagine riprodotta sulle due dimensioni della carta. La sua fronte era libera da fastidiosi ciuffi di capelli e ammirai come si creavano zone di chiaro e di scuro, che mutavano a seconda dell’espressione, che gli increspava la liscia pelle. Scorsi le rapide occhiate con cui Stuart stava rubando la mia figura da dietro le spesse lenti e deglutii a fatica, imbarazza da quegli occhi che scivolavano sopra il mio corpo. Imitai quel suo comportamento, beandomi della vista di quello splendido artista, esaminando le mani ossute che spuntavano da sotto i polsini della camicia, intente nel loro compito. Ero davvero affascinata da un'artista nel momento in cui si trovava a creare qualcosa, che fosse sfiorare le corde di una chitarra oppure solleticare con i polpastrelli un foglio. Amavo le mani dei pittori e dei musicisti, perché erano mani esperte, abituate a fare, che sapevano davvero come toccare qualcuno.

 Chissà che tocco avevano le mani di Stuart, se una presa delicata e seducente oppure forte e passionale.

Ero davvero incuriosita da quella idea e osservai con un certo interesse quei rapidi movimenti che cercavano di ritrarre la mia persona. Sentivo una forte attrazione verso quel ragazzo, merito della sua invidiabile bellezza, del suo carisma e di una buona dose di alcool che mi inebetiva la mente. Tutto mi appariva annebbiato, come se mi trovassi dentro una bolla, cacciando fuori qualsiasi pensiero spiacevole. Il modo in cui mi spogliava con lo sguardo mi eccitava, creando in me un forte desiderio di strappare qualsiasi indumento avesse addosso per ammirare fino a che punto il suo corpo fosse perfetto. Mani perfette, pelle candida, occhi curiosi, bocca delicata. Tutto mi attirava a lui come una calamita.
Stuart si alzò improvvisamente per sedersi al bordo del letto con ancora il blocco e la matita in mano. Io instintivamente mi allontanai: non ero decisamente pronta a quella vicinanza e temevo che non sarei riuscita a controllarmi, una volta che lo spazio tra di noi si fosse ridotto a pochi centimetri. Perché volevo ancora controllarmi, avendo quel minimo di lucidità che mi faceva capire quanto non dovessi farmi tentare in quel modo.
-Vieni qui, vieni più vicino...- mi invitò lui, incatenando il suo sguardo al mio -Voglio prendere bene i tuoi occhi (12)-
E anche l’ultima reticenza crollò, persa dentro gli occhi di Stuart. Ero impotente e non potei non eseguire quella richiesta. Mi trascinai più vicina a lui, strusciando sopra le lenzuola chiare e ritrovandomi alla distanza di un soffio. Lo vidi appoggiare il foglio accanto a sè e avvicinarsi al mio volto, toccandolo con il ruvido polpastrello per disegnarne i lineamenti, perdendosi dietro alla più piccola ruga d'espressione, alla meno delineata linea, assaporandone ogni sfumatura. Il respiro leggero di Stuart mi solleticava la pelle, e io volevo sentire quel vento caldo ancora sopra di me, speziato dal forte odore della vodka. Gli sfilai gli occhiali con un gesto lento, volendo eliminare qualsiasi oggetto creasse un muro tra i nostri volti. Lui si avvicinò incerto, sfiorando il mio naso e congiungendo le sue labbra alle mie, in un bacio che sapeva d'alcool, di sigaretta e di desiderio. Io prontamente ricambiai, attratta da quel mondo affascinante che era Stuart Sutcliffe, ragazzo dalla bellezza divina, dalla sensibilità delicata, volendo scoprire che tipologia di amante fosse. Con la mano mi accarezzava delicatamente i capelli, mentre l'altra si trovava appena sopra il mio fondoschiena e rapidamente mi avvicinò a sé, in un abbraccio che doveva annullare qualsiasi distanza. Io mi strinsi a lui con corpo e anima, mischiando la sua immagine a quella di Ben, di John e di Paul, in un desiderio carnale che non credevo di possedere. La mia mente voleva fuggire da quella che era la realtà e trovai una facile via di fuga sul corpo di Stuart. Mi sovrastò, facendomi adagiare delicatamente sul letto mentre mi riempiva di baci sul collo, accarezzandomi il seno. Provavo un forte desiderio di stringermi al suo corpo, lenendo quel dolore attraverso il piacere che il tocco di Stuart mi dava. Le mie mani pian piano sbottonavano la soffice camicia, bramose di toccare ciò che fosse custodito al di sotto di essa. Sfilai quel fastidioso tessuto scuro e liberai il suo torace, accarezzando i lineamenti dei muscoli non evidenti, gustandoli sotto le mie dita. Imprimevo nella mia mente l’idea di quel ragazzo a me quasi sconosciuto, che si trovava in quella situazione così intima.
Se non fosse stato per John e Cynthia, per Paul e Dorothy, io ora mi sarei trovata su quel letto con lui? Oppure con uno di loro due?
Stuart mi liberò rapidamente del mio vestito, slacciando poi il reggiseno e occupandosi della parte più bassa del mio corpo. Sentivo la sua lingua tracciare una scia umida su di me e inarcai la schiena, saggiando quella dolce sensazione, facendomi sparire qualsiasi dubbio. Volevo essere toccata in quel modo, volevo dimenticarmi di tutto e di tutti, cancellare qualsiasi sensazione di solitudine attraverso la vicinanza di Stuart. Avere quel contatto fisico non era solo piacere, ma un mero strumento per compensare quella paura di essere abbandonata da John e Paul e dimostrare a me stessa che non provavo per loro un sentimento diverso dall’amicizia. Sciocco non è vero? Reso ancora più patetico dal fatto che appena chiudevo gli occhi speravo che fosse uno di loro due, quell’uomo sopra di me. Quell’immagine di John che mi accarezzava o Paul che mi baciava era una dolce fuga che la mia mente si stava concedendo, beneficiando dei miei occhi coperti. Non potevo essere ancora così cieca, sapevo di non poter più sfuggire a quella realtà.

Io provavo qualcosa di forte e inteso per John e per Paul.
 
Sollevai le palpebre e vidi Stuart avvicinarsi al mio volto giusto in tempo, slacciandosi i pantaloni e permettendomi di toccarlo, facendo sorridere di piacere il mio amante. Lui aprì gli occhi, traboccante di desiderio, allargando le mie gambe con un gesto leggero. E con la stessa grazia e attenzione che si unì a me, senza staccare i suoi occhi dai miei, come se cercasse di arrivare alla mia anima. Non mi permise di distaccarmi da quanto stava accadendo in quel momento: io dovevo fronteggiare colui che si stava fondendo con me in quel gesto e che non rispondeva a nessuno dei due nomi che tanto avrei sperato. Quindi annegai dentro quella realtà riflessa dagli occhi di Stuart, mentre il loro proprietario si occupava del mio corpo, concludendo quel ritmico ondeggiare in una nota di piacere che pervase prima lui e poi anche me.
Stanchi, ci sdraiammo l'uno accanto all'altra, addormentandoci sgraziatamente su quel letto malamente rattoppato.
***

Leggermente stordita alzai la testa, non riconoscendo l'ambiente che avevo intorno a me. Era un posto caotico, oscuro e freddo. Mi accoccolai sentendo un brivido percorrermi il corpo, che notai essere completamente nudo. Spaesata da quella situazione, mi accorsi solo in quel momento che avevo una presenza addormentata accanto a me. Il bel volto di Stuart si intravedava in quella semiombra, sonnecchiando tranquillamente. Compresi fin da subito cosa doveva essere accaduto e mi sentì spaventata, provando un forte desiderio andarmene via da quel letto, luogo dove si era compiuto il mio peccato, consumato da quell’uomo che mi giaceva accanto. Ma non era solo colpa sua: ero io che gli avevo concesso quel contatto, ubriaca e disperata, riuscendo ad incasinare nuovamente la mia vita. L’unica cosa che pensai di fare era di andarmene, dimenticando tutto quello che era successo, senza dovermi fronteggiare con lui. Se non mi avesse trovato accanto a sé magari avrebbe potuto credere che fosse stato un sogno, e anche io mi sarei nascosta dentro quella bugia. Ma il destino non volle essermi amico, e a causa dei miei movimenti decisi provocai il risveglio del mio compagno, che fu preannunciato da un mugolio, seguito allo stiracchiamento delle braccia. Mi voltai, guardando quella verità che avrei dovuto affrontare con Stuart.

-Uhm?!- la voce incerta del ragazzo anticipò l'apertura degli occhi, che sbatterono più volte per abituarsi a rimanere aperti -Che succede?-
-Ciao Stuart...- mormorai, mordicchiandomi il labbro. Mi coprivo pudicamente il corpo con parte della coperta, anche se sapevo che aveva avuto già modo di poter ammirare ogni centimetro della mia pelle.
Mi guardava stordito, senza capire perché mi trovassi in quel letto accanto a lui. Dopo pochi secondi, i fotogrammi di quella serata non si fecero largo nella sua mente, mutando la sua espressione. Appariva terrorizzato.
-No...- si alzò, fronteggiandomi. Sul suo volto vidi dipingersi l'immagine di un uomo spaventato da quello che aveva commesso.
Io rimasi leggermente stupita da quella reazione. Ero io quella impaurita, il suo trofeo, l’ennesima tacca sulla sua cintura, ma tra i due sembrava lui quello che non avrebbe mai e poi mai voluto che tutto ciò accadesse.
-Cosa ho fatto, lo sapevo che mi sarei fatto coinvolgere troppo!- disse, portandosi le mani al volto, quasi disperato.
-Stuart ti prego, così mi stai impaurendo... Possiamo fare qualcosa…- gli dissi, sfiorando i suoi polsi. Se fino a qualche minuto fa ero io che necessitavo di essere consolata ora mi ritrovavo ad assolvere quel compito. E il non riuscire a capirne il motivo mi gettava ancora più in un panico che controllavo a fatica.
-No, tu non capisci- mi disse, guardandomi con gli occhi sgranati -Io ho appena tradito John-
-John?- quel nome mi fece sprofondare ancora di più.
Stuart abbassò le braccia e inclinò la testa, preparandosi a spiegarmi ogni singola cosa -Tutto è successo dopo il nostro incontro al Casbah. Io mi ero lasciato da poco e volevo solo divertirmi con qualche ragazza per dimenticare tutto. Ti ho vista e ti ho subito trovato carina e interessante, volendo imprimere il tuo ritratto su un foglio... e sentire il tuo calore tra le mie gambe. Non mi vergogno ad ammettere che fosse fin da subito questo il mio scopo. Ma dopo quella sera in cui John e gli altri ci hanno trovati a fare amicizia, lui e Paul sono stati più freddi e scostanti con me, e subito sono andato a capire cosa diavolo fosse successo-
Si interruppe un momento, degluttendo e ricominciando quel difficile racconto.
-E John mi ha aggredito, spintonandomi e gettandomi contro parole furiose "Se solo osi toccare Freddie giuro che te lo taglio!" così mi disse-
Io rimasi a bocca aperta. John era veramente così possessivo nei miei confronti?
-So che non ha rivolto solo a me questa minaccia, chiunque osava dire che fossi carina e interessante veniva colpito dalla rabbia di John, che ci impediva di poterci provare con te. E io invece cosa ho fatto? Se solo fossi riuscito a tenermelo dentro i pantaloni! Dopo quell'avvertimento eri diventata una preda fin troppo ambita e non ho voluto rinunciare, soprattutto dopo averti vista distrutta dal litigio con John e con Paul...- Stuart tremava mentre parlava di tutto questo, scuotendo la testa.
-Calmati ti prego- gli dissi, accarezzandogli il volto, ma quelle parole erano maggiormente rivolte verso di me. Cosa avevo combinato?
-Non posso, mi sono comportato come un vigliacco. Ho tradito la sua fiducia e se lui lo verrà a sapere... Mi odierà già lo so, non posso permetterlo-
-Stuart ascoltami- dissi, afferrando il suo volto e costringendolo a guardarmi negli occhi -John non lo verrà mai a sapere, d'accordo? E neanche Paul. E ora aiutami, devo andarmene prima che qualcuno possa scoprirci-
Nessuno dei due dovrà mai e poi mai scoprire qualcosa di quella maledetta notte. No, quel mio errore sarebbe servito solo a screditarmi davanti ai loro occhi, mentre tutto ciò che volevo era averli con me. Fare finta di nulla, portare questa croce sulle nostre spalle era l’unico modo per salvarci.

Lui annuì, convinto che fosse la soluzione migliore. Ci rivestimmo entrambi con le schiene rivoltate, senza alcun desiderio di rivederci di nuovo nudi, colpevoli di quello che avevamo fatto. Nessuno mi avrebbe dovuto toccare, e vedendo la paura che provava Stuart intuii quanto potesse essere grande quella eslusività che John provava nei miei confronti. Ma al contempo, significava che John non avrebbe perdonato mai e poi mai quella scappatella. Forse mi avrebbe odiata, mi avrebbe allontanata dalla sua vita a brutto muso, in uno slancio simile a quello che aveva fatto dopo la morte della madre. E forse, anche Paul mi avrebbe detestata. Per quanto riguardava lui non ero molto sicura della sua reazione e nel dubbio temevo il peggio. Non avrei mai voluto sfigurare e perdere i miei due amici, rompendo quel rapporto che ci univa. Perché dopo una discussione si può chiedere scusa, ma dopo aver saputo di quella nottata come mi avrebbe considerata?
Non potevo quindi bearmi della notizia che per John fossi più sacra di una reliquia perché l’avevo scoperto pagando un caro prezzo, che la mia coscienza avrebbe purtroppo scontato.
Con quei pensieri lasciai Gambier Terrace, salutata con freddezza da uno Stuart confuso e preoccupato, stringendomi al mio cappotto per proteggermi dal freddo mattutino, sentendomi come un'amante crudele che aveva tradito la fedeltà del suo uomo. Ma io non avevo nessun fidanzato a cui poter mettere le corna, solo due persone importanti che avrebbero puntato il dito contro di me se avessero saputo: e io sarei morta piuttosto che farmi dare della puttana da John o da Paul.
 
NOTE
(1)= Secondo quanto riportarto dai ragazzi, Mona trattenne la parte di Ken, pagando 15 scellini a testa, invece delle 3 sterline pattuite, e questo scatenò quella lite e quel momentaneo allontanamento dal locale.

(2)= Un talent show tenutosi all'Empire Theatre a Liverpool, dove non ricevettero nessun compenso, unico scopo era superare le eliminatorie per vincere l'ambito premio, la partecipazione ad uno show televisivo.

(3)= Dorothy Rhone (nata a Childwall, Liverpool) è una delle storiche ex fidanzate di Paul. Hanno iniziato a frequentarsi nel 1959, dopo il loro incontro al Casbah Coffee Club, dove Paul stava suonando con i Quarry Men.

(4)= Rory Storm and the Hurricanes sono stati un gruppo musicale britannico, originario di Liverpool e attivo dal 1959 al 1967. Nati come gruppo skiffle, sono stati in seguito protagonisti di primo piano del Merseybeat raggiungendo un alto indice di popolarità nell’area di Liverpool. Nel 1957 Rory abbandonò la sua attività di venditore di cotone e formò un gruppo di skiffle, gli Al Caldwell’s Texans, che nel 1957 si trasformò nei Raving Texans. Il gruppo comprendeva tre chitarristi e vocalists (Storm –al tempo ancora Alan Caldwell-, Johnny Byrne e Paul Murphy), Jeff Truman al tea-chest bass e Reg Hales allo washboard. Con il mutare del soprannome in Al Storm, i Raving Texans divennero dapprima Al Storm & the Hurricanes, poi Jett Storm & the Hurricanes e infine Rory Storm and the Hurricanes. Il 25 marzo 1959, in occasione di un concerto al Mardi Gras, la banda vide l’ingresso di un nuovo batterista, Richard Starkey, proveniente dall’Eddie Clayton Skiffle Group. Dopo altri cambiamenti, a metà del 1959 la line up della formazione vedeva Rory Storm alla voce, Johnny Byrne e Charlie O’Brien alle chitarre, Wally Egmond al basso e Richard Starkey alla batteria.

(5)= In realtà esistono due versioni della storia: la prima era che a John si era rotta la chitarra durante una delle serate del talent svoltosi a Liverpool, e la seconda invece che l’aveva venduta prima della finale di Manchester.

(6)= Il primo successo di rilievo fu per Rory Storm and the Hurricanes il secondo posto in quella competizione musicale.

(7)= Cass and The Cassanovas era un gruppo skiffle di origine liverpooliana della metà degli anni '50 e '60.

(8)= Gli edifici che formavano il complesso di Gambier Terrace si trovavano di fronte alla cattedrale anglicana di Liverpool, vicini al College of Art e al pub Ye Cracke. Nel 1959, provenienti dall’alloggio di Percy Street, vi si erano trasferiti due studenti di arte, Rod Murray e Stuart Sutcliffe, quest’ultimo il futuro bassista dei Beatles. La casa, al numero 3 di Gambier Terrace, si chiamava «Hillary Mansions». L’appartamento, già abitato da due ragazze bohémien, divenne subito un punto di incontro fra Lennon (che presto traslocò lì da Mendips), McCartney e Harrison: di sera i tre si riunivano a provare i loro pezzi creando un’atmosfera elettrizzata che attirava giovani ascoltatori e che provocò dopo breve tempo le proteste del vicinato.  
(Curiosità: Secondo le memorie di Pete Shotton, amico d’infanzia di Lennon, alcune circostanze di Gambier Terrace vengono richiamate nelle liriche del brano Norwegian Wood. Shotton dichiara che Lennon talvolta dormì nella vasca da bagno dell’appartamento -[I] crawled off to sleep in the bath- e bruciò alcuni mobili nel camino -so I lit a fire-)

(9)= John visse da selvaggio in quel vecchio appartamento a Gambier Terrace per circa 4 mesi, convivendo con Stuart e altre due ragazze dell'Accademia. Pare che dopo che ebbe lasciato l’appartamento, John sarebbe tornato più volte ospite del suo amico.
(Curiosità: Il tabloid domenicale Sunday People, pubblicò il 24 luglio del 1960 un articolo intitolato “Beatnik Horror”, inserendovi qualche riferimento a John Lennon e corredandolo della fotografia della stanza di Rod Murray, in cui John era gettato in mezzo alla spazzatura che infestava quella abitazione)

(10)= Nell'autunno del 1959 il gruppo raggiunse le eliminatorie della gara di Levis, tenutasi domenica 15 novembre a Manchester, per la finale nazionale del suo talent scout.

(11)= Fu la prima volta che George guadagnò il rispetto di John, quando si invaghì di una ragazza dell'istituto d'arte, simile alla Bardot, che vide una volta dopo un concerto con Les Stewart. Les fece una festa e lui la rimorchiò e pomiciò con lei. John venne a sapere di quell'episodio e cominciò a rivalutare George. Io ho collocato l'episodio alla festa (da me inventata) per celebrare l'invito del gruppo alla finale nazionale a Manchester, e aggiungere anche questo curioso aneddoto.

(12)= Battuta di Jude rivolta a Lucy dal film Across the Universe.

ANGOLO DELL'AUTRICE: Con fatica sono riuscita a postare! Guardate ho avuto una settimana a dir poco orrenda... Ma non voglio minimamente pensarci perché ora sono qui con voi <3
Allora che ne dite di questo capitolo? Per una piccola casalinga disperata come me è il top che potessi fare, quindi davvero spero vi piaccia! Io amo da morire Stu e non smetterò di elogiare quell'uomo <3 Gli ho voluto dare una parte interessante, neutra, un pò buono e un pò cattivo, facendolo esaltare rispetto agli altri. Quindi portate pazienza e lasciatemi assaporare lo Streddie angst <3
Of course, Please Please Me del sottotitolo è dedicata in modo non troppo velato alla notte di fuoco <3
Ammetto che è la mia seconda scena erotica, a cui ho cercato di scrivere senza troppe esplicità per non renderla rossa o volgare e spero tanto di essere riuscita nel mio intento (tra l'altro è la prima het, visto che la primissima scena erotica era una slash sempre con Stu protagonista).
Ora, vedo che questa cadenza di dieci giorni mi sta risultando utilissima, quindi nuovamente vi rimando tra dieci giorni col -spero- interessantissimo proseguimento della vicenda! Il capitolo 16 sarà pubblicato mercoledì 24 giugno.
E ora vorrei passare ai ringraziamenti: Anya per i soliti mille motivi e perché è riuscita a leggere sino a qui nonostante tutto (purtroppo ere fa), che mi incoraggia e rimpiange la mancanza di internet (<3), a Penny, Cagiu_Dida e Jude che davvero come sempre riempino il cap di commenti e di complimenti che non merito, siete fantastiche girls <3 Ed infine alla nuova arrivata e omonima mia e di Freddie Violetrica, benvenuta tra di noi <3
Ci sentiamo al prossimo capitolo!
White <3
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: Paperback White