Aveva distrutto l’unica
speranza che avrebbe
mai avuto. L’aveva frantumata, sbriciolata,
calpestata, polverizzata, e con le
sue stesse mani. Aveva visto una possibilità
profilarsi
all’orizzonte, si era
prodigato affinché ogni cosa andasse nel verso giusto e poi
aveva
rovinato
tutto. Le aveva confessato di essere la causa della morte di sua moglie
e lei
aveva semplicemente smesso di guardarlo. Era tornata al castello,
silenziosa,
senza
aspettarlo né proferire parola. Non aveva osato seguirla,
fermarla,
provare a spiegare. E,
quando non era voluta scendere per la cena, aveva
sentito ogni suo sforzo farsi vano,
l’ultima sua occasione scivolargli via
dalle mani come acqua, lui, che come un bambino
troppo smanioso aveva cercato
di afferrarla. Alla fine lei lo aveva riconosciuto per quello
che era davvero,
un mostro e lui non poteva sopportarlo. Lei era la sua unica
possibilità
per
porre fine alla maledizione e tornare quello che era un tempo. La
frustrazione
aveva
bussato alla sua porta, pronta, e lui aveva lasciato che lo
sopraffacesse, che la rabbia le si
sostituisse indisturbata.
Ed
esattamente in quell’istante, aveva sancito la sua condanna.
Continuava
a vedere quello sguardo spaurito, terrorizzato che lo fissava
allibito.
L’espressione spaesata quando l’aveva lasciata
nelle segrete, il rumore del
fiato trattenuto
quando l’aveva stretta con troppa forza.
Cosa
rimaneva dell’uomo, ora che non aveva più neanche
il controllo di sé?
La
bestia. Rimaneva solo e sempre la bestia.
Uscì
dalla sua camera con furia, davanti alle scale che conducevano alle
celle esitò
per alcuni
istanti.
Scusarsi,
parlare, spiegare, essere gentile..
Avrebbe
dovuto andare da lei?
Con
un ringhio soffocato recuperò la furia che l’aveva
animato e uscì dal castello.
Cosa
rimaneva
dell’uomo..? Solo la bestia..
Sull’ultimo
gradino iniziò la sua corsa.
Sovrastato
dalla notte, circondato da morte e gelo, fu a quattro zampe, come
l’animale che
era, avanzava, rapido, letale, fiutando l’aria, sguainando
gli artigli,
mostrando le zanne,
cacciava.
Si
era illuso di poter essere ancora un essere umano, quando non era altro
che un
predatore
e della preda sentì l’odore, rintracciò
la corsa, braccandola.
Catturò
il cerbiatto, ruggendo, avventandosi su di lui con le fauci spalancate.
E
la preda non ebbe scampo.
Ma,
con i denti e l’anima immersi nel sangue e nella carne della
creatura, avidi
della sazietà,
un sussulto richiamò la sua attenzione, facendogli sollevare
di
scatto la testa.
Due
occhi sbarrati lo fissavano sconvolti.
Quegli occhi gialli, ora folli, la guardarono per pochi attimi, prima
che la bestia si
sollevasse, aspettando una sua azione. Era coperto di sangue, intorno alla bocca, sulle
zanne, sul corpo,
ritirò gli artigli, continuando a scrutarla. Il cerbiatto
giaceva a terra, ai
suoi
piedi, ormai senza vita, dilaniato.
A
quella visione, si girò e scappò via, sperando
che non la raggiungesse,
pregando di
arrivare allo specchio prima che la fermasse, chiamò a
raccolta
tutte le sue forze, implorò i
muscoli di sostenerla. Non osò voltarsi indietro,
né ascoltare il rumore dei suoi passi dietro
di lei, sentiva solo il proprio
fiato sfiancato e terrorizzato tuonarle nel petto, il battito ansioso
del cuore
pulsarle nella testa. Respinse le lacrime che già le
pungevano gli occhi,
mentre,
sfinita, rallentava la sua corsa.
Non
ce l’avrebbe fatta..
Un
ululato la raggiunse, vicinissimo, e si fermò di colpo.
Più di un ululato. In un
battito di ciglia
cinque lupi la circondarono, fissando gli occhi su di lei e sfoderando
i canini.
Come
nel suo sogno, quello di fronte a lei balzò, scagliandosi
contro il suo volto e
lei urlò,
coprì il viso con le braccia e strinse gli occhi.
Ma
il colpo non arrivò mai. Per uno splendido istante,
pensò di essersi svegliata,
che quello
fosse tutto solo un incubo. Quando aprì gli occhi, vide la
bestia
lottare con i lupi.
Lo
circondarono, avventandosi su di lui, mordendolo.
Lui
urlava, ferito, ma continuava a graffiare a sua volta, mordendo,
ringhiando
contro di loro,
animato da una furia più folle che mai.
Lo
guardava, incapace di muoversi, un terrore acuto che ancora le
squarciava il
petto.
I
lupi erano in maggioranza, forti e la bestia parve arrendersi,
accasciandosi
sulle ginocchia,
respirando a fatica. I lupi lo sovrastarono.
Si
guardò intorno, agitata. Doveva aiutarlo. Le serviva
qualcosa, qualunque cosa.
Raccolse
da terra un ramo spezzato, abbastanza sottile per poterlo stringere in
una
presa salda
e poterlo sollevare. Raggiunse una delle belve e la colpì
con
forza.
Non
sarebbe scappata mentre lui moriva. Non l’avrebbe
abbandonato.
Il
lupo guaì, voltandosi e guardandola con occhi iniettati di
sangue.
Arretrò,
spaventata, impugnando con forza il ramo davanti a sé.
Sarebbe
morta, di questo era certa, ma non l’avrebbe abbandonato.
Poi, con un sussulto,
sentì un
urlo brutale e la bestia si eresse dietro l’animale,
scaraventandolo
via con una zampa. Quello guaì
ancora e corse via, abbandonando i corpi ormai
senza vita dei suoi compagni.
Belle
li guardò, stesi sulla terra macchiata di sangue, inermi. E
guardò Adam, ancora
in piedi di
fronte a lei, ferito, che la scrutava in silenzio. Lui l’aveva
salvata. Di nuovo.
Notò
che barcollava leggermente sulle gambe sanguinanti e aveva il fiato
affannato.
Gli porse la
mano e lo aiutò a tornare al castello.
vedendola. Ad Adam, invece, aveva detto di sedersi davanti al fuoco,
sulla poltrona, poi si era
inginocchiata accanto a lui e aveva pulito le sue
ferite, facendo ben attenzione a non alzare gli occhi
sul suo viso, nonostante
sentisse il suo sguardo rovente puntato addosso.
-Stavi
scappando- disse alla fine, ritraendo appena la mano. Doveva fare molto
male,
ma lei non
poté fare a meno di sorridere.
-Sì-
disse solo.
-Chi
ti ha aiutato?-
Sollevò
lo sguardo, alzando le sopracciglia.
–Va
bene, non dirmelo-
Fasciò
l’avambraccio con una delle bende, poi passò al
volto. Lavò via il sangue,
tamponò
delicatamente i tagli con una delle bende asciutte. Cerotti e acqua
ossigenata sarebbero andati molto
meglio.
-Perché
non sei andata via quando potevi?-
-Non
abbandono qualcuno che è in pericolo-
-Neanche
me?-
-Adam,
tu sei.. una bestia e non intendo questo- indicò il suo
volto. –Hai dimenticato
cosa vuol dire
l’umanità già da prima della
maledizione, ma.. se ti avessi
lasciato lì lo sarei stata anch’io-
Abbassò
lo sguardo, stringendo i pugni e serrando la mascella.
-Quindi
ora lo vedi- tornò a fissare gli occhi nei suoi. –Il mostro-
Ripensò
al cerbiatto, al sangue, al modo in cui l’aveva trascinata
nelle segrete. Una
buona azione non
riscattava tutto.
-Sì-
-Perché
mi hai visto nella foresta?-
-Perché
mi hai ingannato, perché non hai imparato nulla dal passato.
Solo le bestie
compiono sempre
gli stessi errori- sospirò.
–Avresti mai considerato il debito estinto?-
Non
rispose, si limitò a guardare il disegno della rosa sulla
mano che teneva
ancora la benda. La indicò.
-Se
avessi attraversato lo specchio, saresti morta. Cosa avevi intenzione
di fare?-
-Io..
beh, c’è un solo petalo ancora, quindi manca una
sola notte. Avrei aspettato
nella rimessa,
sperando che tu non ti accorgessi della mia fuga fino a quel
momento. Ma, se tu non avessi
considerato il mio pegno pagato neanche allora,
immagino che sarebbe stato inutile-
Chiamò
Rebecca, le porse la bacinella piena d’acqua cremisi e le
bende avanzate. Tornò
a sedersi
accanto a lui.
-In
ogni caso, grazie per avermi salvato. Neanche tu eri costretto-
Si
morse il labbro, avvolgendo le braccia intorno alle ginocchia. –Dimmi una cosa.
Eri nei miei sogni..
com’è
possibile?-
-Una
strega. È arrivata qui attraverso lo specchio anche lei e
non è più voluta
andare via-
-Lo
specchio nella rimessa? Perché è lì?-
-L’ho
fatto spostare io, subito dopo l’arrivo della strega. Avrei
voluto
distruggerlo, ma lei mi convinse
a risparmiarlo-
-Era
di Rosaline?-
Annuì.
Ma
allora.. era stata Rosaline a fare in modo che lei arrivasse in quel
posto o
erano state tutte
coincidenze? La copia dello specchio che la mamma aveva
trovato nel negozio di antiquariato, la strega
che l’aveva convinto a non
distruggerlo.
Aveva
fatto in modo che Adam entrasse nei suoi sogni. Leon.. in fondo, le
mancava.
Spostò
lo sguardo sulle vetrate del salone, mentre le prime luci
dell’alba facevano
capolino in lontananza.
-Belle!-
un urlo ancora fioco la raggiunse. Scattò in piedi, il
battito accelerato e gli
occhi sbarrati.
-Belle!-
sentì ancora, più chiaramente.
Sorrise,
sollevata e raggiante. Era Christian. Era tornato a prenderla, come nel
suo
sogno.
Suo
fratello era lì.
Sulla
soglia del salone si fermò, perdendo il sorriso. Si
voltò verso Adam, che non distoglieva
l’attenzione
dalle fiamme nel camino.
Tornò
da lui, cadde in ginocchio, le mani poggiate sul bracciolo della
poltrona, lo
sguardo implorante.
-Ti
prego- sussurrò. –Non
fargli del male-
Fissò
lo sguardo spento nel suo, imprigionandola per alcuni istanti.
Le
mostrò il palmo della mano, chiedendole con quel gesto la
sua.
Esitò,
studiando la sua espressione, ma alla fine lo assecondò e
aspettò.
Sfiorò
la rosa con le dita e quella sparì poco a poco, come un
serpente che si
allontana tra l’erba alta. Lo
stelo spinato, il bocciolo ornato da un solo
ultimo petalo.
Sgranò
gli occhi e li fissò nei suoi. La stava lasciando andare?
-Il
debito è estinto, sei libera. Va’ da tuo fratello,
tornate a casa-
Avrebbe
dovuto sorridere. Avrebbe dovuto gioire, non perdere altro tempo e
correre
fuori. Ma non ci riuscì.
Non poté sorridere e non si sentiva felice. Per quanto
Adam le avesse mentito, Leon le era sempre stato
accanto. Continuò a tenere lo
sguardo fisso nel suo, con l’anima preda di mille parole che
avrebbe voluto
pronunciare e che invece si persero prima di arrivare alle sue labbra.
La
bestia ruppe improvvisamente quel contatto, voltando la testa verso il
fuoco.
-Vattene!-
sbraitò rude.
Sobbalzò,
scattando in piedi. Lo guardò un’ultima volta.
-Belle!-
sentì ancora.
-Prima
che cambi idea- aggiunse.
Si
avviò al portone d’ingresso, ma, prima di
raggiungerlo, tornò a voltarsi.
-Grazie-
sussurrò.
Non
vide i pugni serrati o gli occhi privi di luce inchiodati sulle fiamme
o
l’anima che crollava in frantumi
sempre di più ad ogni suo passo.
Attraversò
l’ingresso, si precipitò per le scale e poi tra
gli arbusti, senza mai voltarsi
indietro.
-Christian!-
urlò in risposta.
E
lo vide. Non molto distante da lei, gli occhi cerchiati da grandi
occhiaie e il
volto pallido che si illuminò
non appena la scorse.
Spalancò
le braccia e lei vi si catapultò, lasciando che la
stringesse a sé.
-Ero
così preoccupato- sussurrò contro i suoi capelli.
Gli
prese la mano e lo esortò a velocizzare il passo. Doveva
allontanarsi da quel
posto, da quegli eventi e
da quell’uomo. Avrebbe dovuto semplicemente
dimenticare ogni cosa, lasciarsi tutto dietro le spalle.
Arrivati
alla rimessa, Christian le fece segno di andare per prima attraverso lo
specchio. Fece un profondo
respiro, costringendosi a guardare solo lo specchio
e il suo riflesso su di esso, a non voltarsi indietro, a
non esitare, a non
soffermarsi su quel piccolo rifugio che ora le sembrava meno oscuro e
crudele.
Guardò suo
fratello, che le sorrise, chiuse gli occhi e passò
attraverso la sua
immagine riflessa.
Riaprì
gli occhi in una stanzetta stretta, soffocata da troppe cianfrusaglie
inutili o
dimenticate e illuminata solo
da una piccola lampada da comodino. Suo fratello
apparve subito dopo di lei.
-Ho
spostato lo specchio nello sgabuzzino, sai, per evitare che accadesse
qualcosa
a Dominic o alla mamma
e anche perché non mi vedessero tentare di
attraversarlo-
-Tentare..?-
-Dopo
che la bestia mi ha scaraventato indietro, non sono più
riuscito a passare, non
fino ad oggi. Credo che
ci fosse una specie di.. barriera, non so, o forse
permette solo un determinato numero di viaggi ogni mese,
l’importante ora è che
tu sia qui-
-Ogni
mese?-
I
giorni erano passati così velocemente e allo stesso tempo le
era sembrato che
fosse passato molto più tempo.
Era stata via per un mese.
-Cosa
hai detto alla mamma?-
-Ecco..-
si portò una mano alla nuca con aria colpevole.
–Non le ho detto nulla, lei ha pensato che tu
fossi, beh..
scomparsa. Ha
chiamato la polizia-
Lo
fulminò con lo sguardo, sospirando. Ma dopotutto, non
avrebbe certo potuto dire
che una bestia al di là di uno
specchio la teneva prigioniera. Fece per uscire
dallo sgabuzzino, pronta ad inventarsi chissà quale bugia,
quando
Christian la
fermò.
-Belle,
mi dispiace davvero tanto per quello che è successo, giuro
che d’ora in poi ti
darò sempre ascolto-
Era
ora.
-Sono
così dispiaciuto, è stata tutta colpa mia e lo so
che sarà difficile
perdonarmi, ma..-
-Christian-
lo zittì con un gesto.
–Ti ho già
perdonato, dopotutto, sei tornato indietro per me-
-Temevo
che ti facesse del male-
-Non
mi ha fatto del male, sto bene-
La
studiò e lei sorrise, rassicurandolo.
Sospirò,
lasciando la presa sul suo braccio.
–Una
strana avventura da raccontare quando saremo vecchi-
Afferrò
una mazza da baseball che Dominic aveva voluto comprare ad ogni costo,
ma che
poi era stata
abbandonata lì, inutilizzata.
-Che
vuoi fare?-
-Evitare
che accada ancora-
Alzò
le braccia e colpì lo specchio. Lei urlò,
cercando di fermarlo, ma era troppo
tardi. Un rumore acuto li circondò
e si coprirono il volto per proteggersi
dalle schegge. Quando rialzò lo sguardo, Christian aveva
lasciato cadere a
terra la mazza da baseball e fissava l’involucro vuoto che
gli stava di fronte.
Decine di pezzi di vetro facevano
risplendere il pavimento, rimandando indietro
i loro riflessi spezzati.
Non
sarebbe più potuta tornare indietro.