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Autore: kikka_67    15/06/2015    2 recensioni
L’Ufficiale Scientifico Spock non si era mai soffermato a lungo a riflettere sul corso della sua vita. Tutto ciò che aveva visto fin ora, lo aveva vissuto in funzione alla carriera che aveva scelto, ne aveva fatto una missione, scoprire nuovi mondi e popoli che mai nessuno aveva visto. Che lui lo ammettesse o meno, il Capitano Jim Kirk e i compagni dell’equipaggio dell’Enterprise erano diventati la sua famiglia, che aveva sopperito alle mancanze di quella natia. Spock nonostante sia stato partorito da una donna terrestre, ha scelto di rinunciare alle irritanti, illogiche e insensate emozioni umane. Un vulcaniano segue una dottrina rigorosa, in cui il raziocinio domina gli istinti primordiali come la rabbia, la passione, la paura.
Ma non si può sfuggire a sé stessi e il racconto inizia in un momento molto difficile e complesso nella vita di Spock, in cui è costretto a relazionarsi e confrontarsi con l’essere più irrazionale, incongruente, insensato e irritante del creato, una donna, su di una tematica a lui pressoché sconosciuta, l’amore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nyota Uhura, Spock, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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 L’oscurità m’impedisce  di vedere le  mura della mia stanza ornate da qualche quadro e da tante foto.  Ho ereditato l’amore per la fotografia da mio nonno e forse sono l’unica sull’astronave ad averne.  In una di quelle cornici c’è una foto scattata il giorno del diploma. Eravamo in classe tutti ammassati intorno alla cattedra e all’unico insegnante presente, Spock. Sorridevamo felici verso l’obbiettivo in quel  nostro giorno importante.
Rientrando in camera questa sera l’ho osservata a lungo,  eravamo tutti girati verso la macchina fotografica tranne lui. Mi sono sempre rammaricata che l’unica foto in  cui eravamo insieme fosse poi risultata in fase di sviluppo sfuocata.  Questa sera mi sono accorta che la figura di Spock non era sfuocata,  nello stesso istante in cui  la macchina aveva impresso l’immagine lui  si era girato a guardare qualcuno che aveva accanto.
Non sapevo neanche io perché fosse  così importante verificare chi stesse guardando, dopo tanto tempo che importanza avrebbe avuto? Forse  si era distratto per colpa di  qualche mio compagno esaltato, oppure finalmente aveva notato   le moleste occhiate sexy che gli riservava la mia compagna di banco.  Con pochi passaggi il computer aveva  analizzato la foto e il display mi  aveva mostrato nel dettaglio l’immagine.
Spock stava guardando me. Ne sono certa.  Non sono più una matricola illusa e  sognatrice  di venti anni innamorata del suo professore…. adesso. Sono un comandante  della Flotta Stellare con anni di esperienza e in possesso di strumentazioni tecnologicamente avanzate e…… questa foto è assolutamente incontrovertibile, LUI GUARDAVA ME.
Perché mi guardava?  Era il nostro ultimo giorno insieme. LUI GUARDAVA ME. Mai una volta,  durante  tutti gli anni di accademia,  ho avuto sentore di una qualsiasi sua inclinazione nei miei confronti.  LUI GUARDAVA ME!
 Se mi avesse sfiorato anche solo con un dito sarei caduta ai suoi piedi,  allora.  Non ero la sola ad essere innamorata di lui in classe e una di quelle più determinate  per scoraggiare le avversarie aveva sparso delle voci riguardanti la sua natura ibrida. Aveva malignamente subodorato  che l’assenza di una presenza femminile al suo fianco    era facilmente riconducibile alla sua natura distaccata e imperturbabile e al suo disinteresse ad avere una compagna. Ovviamente nessuna di noi era a conoscenza del fatto che durante l’infanzia gli  era stata scelta una futura moglie che lo attendeva su Vulcano. Invece di scoraggiare l’interesse  generale quelle chiacchere inconsistenti avevano scatenato  una sorta di fanatismo che lo aveva coinvolto in prima persona, costringendolo a rifiutare le numerose profferte palesategli.

 

§§

 

Gli esami erano vicini e non di rado mi rinchiudevo in biblioteca a studiare. Le mie compagne di stanza  erano in grado di  lavarsi, depilarsi, truccarsi e vestirsi senza interrompere il flusso forsennato delle loro chiacchere insulse  ed io non ero più in grado di trattenere la mia stizza,  per cui passavo giornate intere da sola chinata sui libri. In uno di quei pomeriggi,  durante un tremendo temporale mi accorsi con sollievo di essere rimasta da sola nella sezione in cui studiavo e con un sospiro esausto lasciai che i miei pensieri seguissero il percorso delle gocce di pioggia che si scagliavano sui vetri.

- Buonasera cadetto Uhura. –

Mi girai di scatto,  sapendo in anticipo  chi aveva parlato in vulcaniano. Una parte della mia mente rifletteva rapidamente che la furiosa tachicardia che mi scuoteva il petto e l’espressione sconvolta che sicuramente alterava il mio viso, avrebbe potuto essere facilmente ricondotta alla sua imprevista e repentina apparizione e non dal reale stato di shock in cui ero precipitata essendosi concretizzato l’oggetto principale delle mie fantasie.
 Spock  non era  in divisa e forse a causa dell’adrenalina che vorticava furiosa nel mio corpo, non mi era mai sembrato così  attraente, aveva una dolcevita nera e un lungo pastrano che gli copriva quasi interamente le gambe. Tra le mani aveva  un paio di libri dall’aria consunta, sicuramente qualche vecchissimo reperto di letteratura terrestre. Si avvicinò al mio tavolo con passo felpato osservando la quantità di libri e appunti sparsi davanti a me.

- Buonasera professore. – balbettai senza fiato.
- Mi auguro di non averla spaventata. Posso sedermi? –
- M-ma certo e no non mi ha spaventata ero solo sovrappensiero. Ma  l’avverto,  sto studiando,  potrei disturbare la sua lettura. – confutai imbarazzata.
- Non si preoccupi, sono sicuro di poter continuare a leggere mentre ripete le nozioni memorizzate. – mi assicurò aprendo il primo libro.


 Era rimasto vicino a me per tutto il pomeriggio e all’ora di cena, quando stremata, con gli occhi in fiamme e con  un’emicrania terribile a torturarmi le tempie, mi ero congedata,  lui cortesemente   aveva insistito ad   accompagnarmi fino al dormitorio.  Mi risvegliai la mattina dopo nel mio letto riposatissima  e  senza  nessun  ricordo della sera precedente  ad affollare la mia memoria. Perché non sono mai riuscita a ricordare nulla di quella sera?


L’unico destabilizzante e fastidioso pensiero ricorrente  che mi ha tenuta sveglia fin ora è l’assoluta certezza che i vulcaniani hanno bisogno del contatto fisico per raggiungere un’unione telepatica  con un altro essere vivente,   come sono  sicura che se mi avesse sfiorata me lo sarei ricordato  e  visto che non mi ricordo nulla di quella sera, lentamente ma inesorabilmente sono giunta alla sconcertante conclusione che il mio professore aveva  soppresso “qualcosa” dalla mia memoria.

 


- Dottor McCoy, ho deciso di accettare. Aiuterò il Capitano. –

 

 


 Sono  seduta davanti a lui ad occhi chiusi, in questo frangente non ho  la forza   di sostenere   lo sguardo nuovamente tormentato di Spock, ma stranamente  riesco a percepirne il   turbamento.  Siamo da soli,   avvolti dalla stessa  penombra in cui versavano le sue stanze la prima volta che vi sono entrata,  il Capitano non ha permesso neanche a McCoy di presenziare. L’unico frastuono  di cui ho sentore è causato dal  susseguirsi disordinato delle mie pulsazioni cardiache. 
Nel  momento in cui mi sfiora, un rantolo attonito  mi  sfugge  dalle labbra e   riprendere il controllo di me stessa  è stato dannatamente penoso.  Le  sue dita sono fresche,   morbide e straordinariamente profumate.  Spock mormora con voce pacata e rassicurante una litania  che io non riesco  ad intendere.
 Una strana tensione m’invade  repentinamente ma altrettanto velocemente scompare  lasciandomi in balia di  un’insolita sensazione di sollievo.  Il mio corpo inerte si  piega ad una forza sconosciuta e con il passare dei minuti questi scompensi aumentano di intensità e  inesorabilmente,   ogni volta che  i miei   muscoli  si rilassano, un feroce sollievo m’incendia le vene lasciandomi spossata e senza respiro.    Non ce la faccio  più a soffrire silenziosamente e  ad un tratto mi rendo  conto  che è inutile  trattenere le mie emozioni, io  non  sono vulcaniana,  per me esternare gioia e dolore è  giusto e naturale e così mi lasciai  andare.

 

§§

 


La mia mente nella sua mente… la sua mente nella mia mente….
I suoi pensieri sono i miei pensieri…. I miei pensieri sono i suoi pensieri… -

 

Il primo sospiro aspro che esala, lo accolgo  con “piacere”, il rigido  contegno mantenuto fino ad allora dal comandante Uhura è  stato veramente lodevole ma non necessario, inconsciamente  si  è rifiutata di adeguarsi ai miei pensieri. Le ho spiegato molto chiaramente che la sua fiducia nei miei riguardi sarebbe stata un coadiuvante sufficiente per superare indenne gli squilibri che  le avrebbe causato la fusione.
Nyota  si è  opposta istintivamente alla nostro contatto,   rendendo  più arduo il mio  compito.   Non sono riuscito ad  ignorare ciò che la sua mente mi stava mostrando.  Con un’intensità inconsueta e destabilizzante, il suo desiderio più radicato si è manifestato e  come un’enorme onda di lava incandescente, inesorabile  ha invaso  i miei sensi,  marchiando in modo indelebile il mio Katra.
Per mantenere il controllo necessario per guidare e sostenere la sua mente e  per far si  che  accettasse    le forti sensazioni che le impongo,  ho bisogno io  stesso di evitare “ distrazioni “ che possano  sconvolgere il mio equilibrio, ma sconsideratamente non ho tenuto conto della sopita esuberanza che è intrinseca nella natura della   donna che ho di fronte.

Più  le sensazioni che le ingiungo  la disturbano,   più aumenta la necessità di esternare il suo disagio.  I  suoi  gemiti  sommessi si sono  tramutati in grida appena  trattenute che  collimano  al livello del dolore che gli procurano  gli spasmi. Gli umani quando soffrono hanno bisogno di contatto fisico e Nyota non sfugge alla sua natura.  Le sue mani sono saldamente aggrappate  alla mia divisa  e per sopportare il  dolore che la scuote   si   addossa  completamente a me in cerca di conforto.
Noi vulcaniani siamo notoriamente afefobici, il contatto con il suo corpo avrebbe dovuto suscitarmi un  repentino senso  di  repulsione  ma stranamente il mio primo impulso è  quello di trattenerla tra le mie braccia  e   sostenerla.  Uhura  ha una corporatura slanciata e sottile ma sorprendentemente morbida, la sua pelle ambrata è caldissima come lo è il suo respiro agitato.  Il contatto telepatico si  è infranto ed entrambi fatichiamo a sopportarne  il  brusco distacco.
 Nyota  riapre gli occhi e mi fissa insolitamente decisa.   Le sue mani,  apparentemente spinte da  una volontà propria,  si posano sul mio viso.   Il contatto non dura che pochi attimi ma Nyota  sembra restia a rinunciare ad una pressante intenzione, sfiorare  con le dita le mie labbra.

       

- Basta…… -  si lamenta sottovoce.
- Uhura…..  –
- No…. basta… La prego…. Spock…-


Il tono  tormentato  della sua  voce  è un chiaro segno che sta per cedere, lentamente  si lascia cadere a terra,  le forze sembrano averla abbandonata. Con delicatezza la sollevo e  l’aiuto a  rilassarsi, Uhura docilmente si lascia guidare verso l’incoscienza mentre  un lieve sorriso   le  piega  le  labbra.


Dopo aver chiamato McCoy,  l’osservo,  mentre gli infermieri la posano sulla lettiga, sembra così indifesa senza la scintilla di vitalità che le appartiene e che guida i suoi gesti, sembra solo un corpo slegato dalla sua anima.   Il katra di Nyota dopo qualche ritrosia,  mi aveva accolto e avvolto tra le sue spire ed sono certo che non riusciro' piu' ad   ignorare quella donna. Uhura mi ama. Adesso ne sono  certo,  mi ama dai tempi dell’Accademia e ha rinunciato a palesare quell’affetto solo a causa del mio atteggiamento freddo e indifferente.

Il fastidioso crucio che per anni aveva minato il  contegno distaccato che aveva sempre  contraddistinto le interazioni con la mia migliore allieva, ritorna con forza a   tormentarmi. Gli scrupoli che avevano inibito le tenere propensioni verso   il mio ufficiale delle comunicazioni si ripropongono prepotentemente.
 Che diritto avevo   di  costringere Nyota  a sopportare i disagi della mia natura ibrida? I miei meriti, la mia mente, il mio lavoro e le varie onorificenze di cui ero stato insignito non significavano nulla per i miei compatrioti, sono e sarei stato per sempre un ibrido, un essere a sangue misto.
Ormai da tempo avevo  superato i disagi morali che la mia natura  comportava ma non potevo  permettere che Nyota subisse  ciò che aveva patito mia madre. Una donna stupenda che per amore di mio padre, aveva affrontato  ingiurie e disprezzo,   che aveva ignorato a testa alta,  forte dell’affetto del marito e per amor mio.
  Amanda era una donna forte, come lo è  Uhura,  ma io  non  riuscirei ad ignorare  i patimenti altrui come invece aveva fatto  mio padre. Non potrei in nessun caso  permettere che la mia discendenza patisca quello che ho  subito da bambino,  anche per questo ho rinunciato a contribuire ad estendere il retaggio di Sarek e Amanda.  
La mia parte logica aborriva  questi  affanni insensati,  ma  il mio cuore h a riconosciuto i sentimenti che mi legano a Nyota, il  Pon Farr amplifica l’intensità del mio desiderio ma non ne era la causa principale, volevo quella donna perché l’amavo. 

 

§§

 

 

  
 
Il perpetuo bippare degli apparecchi  dell’infermeria mi aiutano a riordinare i miei pensieri che al momento sono confusi  da immagini inconsuete e che molto probabilmente non sono mie.  La febbre di Spock mi scorre nelle vene, mi  sento bruciare.  Non riesco a muovermi né ad aprire gli occhi ma finalmente sono cosciente. Sento qualcuno muoversi vicino a me,   ma prigioniera  della mia immobilità non riesco a richiamare la sua attenzione.


- Per quanto tempo rimarrà incosciente? – mormora il Capitano.
- Le ho dovuto somministrare un calmante molto forte, l’effetto varia in relazione  al metabolismo dell’individuo, sono tre giorni che versa in questo  stato. – constata serio il dottore.
- Ne sono al corrente. Tuttavia  le sue funzioni vitali  sembrano essere  nella norma. Mi avverta appena riprende conoscenza. –
- Certo Capitano. -

 


Se avessi potuto avrei sorriso, il mio diretto superiore che viene al mio capezzale,  forse seriamente preoccupato. Bene, un piccolo miglioramento che intacca quella sua  corazza coriacea di logica imperturbabilità. Sono fisicamente e moralmente a pezzi, la fusione mentale è decisamente peggio che essere investita da una mandria di bestie imbizzarrite, ma c’è un lato positivo che mi rende più facile sopportare la situazione.
Mi è tornata la memoria su quella sera davanti al dormitorio, il velo che  celava i miei ricordi  è stato spazzato via dal furioso turbine di pensieri e sensazioni  che ho assorbito da quel brutto bastardo  vigliacco di un ibrido alieno,  traditore della fiducia altrui. Per anni il persistente e fastidioso “buco nero” che mi opprimeva la  memoria aveva pungolato   la mia coscienza, era come se  mancasse un tassello importante nella mia vita. E infatti ne mancava uno essenziale. Il  ricordo del primo e unico bacio di Spock.   


 
  
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