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Autore: Winchester_Morgenstern    16/06/2015    2 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
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SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE
XXV - PROTOCOLLI SPECIALI

 
— Smettila, per la miseria! Tra poco scaverai dei solchi nel pavimento!
Clary ignorò il richiamo di Jace e continuò imperterrita a camminare avanti e indietro, i pugni serrati lungo i fianchi e l'espressione truce. Sembrava pronta ad uccidere.
— Clary. Calmati. La ritroveremo. — Sussurrò più dolcemente Jace, abbracciandola da dietro.
La ragazza sospirò, chiudendo gli occhi: — È tutto così difficile, Jace. Prima hanno preso Isabelle, poi Ian, adesso mia madre. Perché? Perché proprio lei?
— È colpa tua. — Sentenziò una terza voce.
La rossa si voltò di scatto verso Valentine, appena entrato nella stanza: — Come?!
— È colpa tua. — Ripeté lui, apparentemente impassibile. Eppure una vena pulsava pericolosamente sul suo collo. — Lucian era qui per te, ha preso Jocelyn per farti un dispetto, per incoraggiarti a gettarti nelle braccia del nemico per salvarla, così loro potranno avere te, o meglio, le tue rune.
Clarissa trattenne il fiato. Non poteva negare che la logica di quel discorso era ineccepibile. Se anche avesse voluto difendersi da Valentine, non sarebbe riuscita a mentire a se stessa. Sapeva anche lei che era la verità. La nuda e cruda verità, niente di più, niente di meno.
Perché doveva capitare tutto così in fretta, perché tutto insieme? Non bastava il tradimento di Luke, no, adesso Melchizedeck decideva che era anche ora di strapparle via sua madre. Okay, negli ultimi tempi non l'aveva molto calcolata, ma era sua madre!
— Scusatemi. — Sussurrò, si voltò ed uscì dalla stanza. Si sentì una codarda: ultimamente riusciva soltanto a scappare. Dov'era finita la Clarissa Morgenstern che avrebbe voluto essere?
Corse lungo il corridoio, frastornata, non badando a niente se non alla strada davanti a lei, mentre tentava di tenere la mente sgombra.
Per un attimo, pensò con indolenza che invece il "restyling" stava avendo i suoi frutti. Si allenava con Valentine da cinque giorni, una delle prime cose che le aveva insegnato era correre senza far rumore, e ci riusciva anche piuttosto bene, essendo molto minuta. Il problema era il carattere… rimaneva sempre disgustata da se stessa quando si ritrovava a desiderare per qualche attimo fuggevole la vuota piattezza di Jonathan prima della runa che li aveva uniti.
— Sorellina.
Parli del diavolo e spuntano le corna. Si voltò lentamente verso il fratello, mordicchiandosi le labbra. Ormai vivevano sotto lo stesso tetto da un po' e, anche se non poteva dire di conoscerlo come le sue tasche, avrebbe potuto tranquillamente affermare che iniziava a capirlo, che si stava lentamente aprendo con lei e che, al contrario, lei raccontava di sé in maniera straordinariamente spontanea, vista la sua timidezza. In poco tempo gli aveva propinato tutta la storia della sua vita con tanto di dettagli imbarazzanti e incidenti che avrebbe preferito non ricordare. Era piuttosto espansiva in confronto a lui, effettivamente.
Forse fu proprio perché si stavano conoscendo, o soltanto perché in quel momento la diciottenne aveva bisogno di conforto, fatto sta che si slanciò verso di lui e lo strinse forte, inspirando il suo profumo. Pepe e sole, marchi bruciati e sudore.
— Io non ce la faccio… — Sussurrò, e sapeva che non c'erano bisogno di parole. Lui riusciva perfettamente a sentire quello che provava lei.
La abbracciò goffamente, dandole delle lievi pacche sulla spalla come fanno i maschi quando si sentono in imbarazzo. — Ehi… non posso dire di essere triste per la sua scomparsa, Clary, ma se ti rende felice ti aiuterò a ritrovare Jocelyn. — Annunciò, composto.
Nonostante tutto, anni di rigidi insegnamenti non svanivano in pochi mesi. 
Clary tirò su col naso. Si sentiva una mocciosa, proprio lei che voleva giocare a fare l'adulta. Si strinse maggiormente al fratello mentre lui si sedeva in una nicchia nella parete di marmo, facendola accucciare sulle sue gambe e massaggiandole la schiena.
— Be', perlomeno la convivenza con Ian ha dato i suoi frutti. — Cercò di sdrammatizzare, accennando a lui stesso che la consolava molto meglio di quanto avesse fatto nei loro primi giorni da veri fratelli.
— Già. — Gli diede ragione, stropicciandosi gli occhi e imbrattandosi la faccia di mascara per asciugare le lacrime.
— Sembri un panda. — La prese in giro lui, cercando di cancellarle inutilmente le tracce scure con i pollici.
— Stronzo.
— Lo prenderò come un complimento. Senti… non so… Isabelle mi ha detto che di solito Alec le chiedeva questo quando stava male: c'è qualcosa che posso fare per te? — Chiese, insicuro, talmente stranito da risultare buffo.
Clary trattenne una risata: — Isabelle, eh? E avete queste conversazioni profonde? No, scherzi a parte… sì, c'è qualcosa che potresti fare per me.
Jonathan si sbatté teatralmente una mano in fronte: — Ah, ed io che pensavo fossero solo convenevoli! Allora, cosa c'è? 
— Uhm… una volta Jace mi ha portato in una discoteca. Una discoteca del Mondo Invisibile.
— Non vorrai che ti copra per svignartela col tuo fidanzatino, vero?! — Il mezzo demone strabuzzò gli occhi.
Lei rise e scosse il capo, ma non contagiando gli occhi. — No, no! È solo che… cioè, mi ricordo che aprimmo un Portale. Portava ad una discoteca chiamata Kostri Lustr, Lampadario di Ossa, no? E mi ricordo che cadeva della roba argentea giù dal soffitto. Droga…
— … Fatata, sì. — La anticipò Jonathan, sogghignando: — Fammi capire, vuoi che ti spacci della droga? Non devo anche farti la predica sul non si fa, vero? No, perché quella la riserverò a Jocelyn quando la riprenderemo, Clary. Perché ti prometto che la riprenderemo. — Si fece serio. — Lo giuro sull'Angelo.
Clarissa annuì.
— Sì ne sei convinta o sì vuoi della droga?
— Sì ne sono convinta e sì voglio della droga. È una sera, una sola sera… non voglio pensare a niente. Forse riesco a vedere ancora il mondo fantastico dell'altra volta… — Clary sospirò, giocherellando con i capelli rossi. — Allora, puoi farlo o no?
— Certo, a patto che tu apra il portale. E che la divida con me, certo. Non vorrai prenderti tutto il divertimento? 
Clary sospirò, stanca, accucciandosi meglio su di lui, e spiegò brevemente quello che era successo poco prima. — È un idiota. — Sentenziò infine Jonathan.
— Un idiota che ha ragione, però.
— E allora? Non so se te ne rendi conto, ma in questa famiglia la ragione non si è mai vista né sentita! — Jonathan stiracchiò le labbra in una parvenza di sorriso.
— Dovrebbero invitarci in uno di quei reality-show per gruppi familiari disastrati… 
 
 
Isabelle si morse le labbra, continuando a studiare il suo riflesso nello specchio. 
Indossava la lucida tuta nera di pelle, quella composta da un solo pezzo, e alti stivali al ginocchio dello stesso colore. Aveva lasciato i capelli sciolti, liberi di arricciarsi in morbidi boccoli e il viso accuratamente truccato in stile anni cinquanta (1), le labbra atteggiate in un sorriso seducente.
Non era mai stata una sciocca ragazzina innamorata e non lo sarebbe diventata adesso. Quel che voleva se lo prendeva, checché ne dicessero gli altri. 
Cosa le importava se poi qualcuno avrebbe avuto da ridire? Il passato era il passato, non si poteva riscrivere, bisognava andare avanti. Dopotutto, lei non era una fan delle opinioni altrui (2)!
Si passò la lingua sui denti per cancellare delle piccole tracce di rossetto che vi si erano appiccicate sopra e uscì dalla stanza sorridendo.
— Ehi, Izzy, dove vai co…
Alec si bloccò, fissando qualcosa alle spalle di Isabelle con le sopracciglia talmente alte da sfiorare l'attaccatura dei capelli. Nel contempo, sua sorella si era voltata lentamente spalancando la bocca in una O perfetta.   
C'erano buone probabilità che la Shadowhunter avesse sognato una volta quella scena…
— Cosa diavolo ci fa un Fratello Silente con la veste in fiamme inseguito da Clary?! — Esalò infine Alec, sconcertato. 
In un lampo il buffo duo passò accanto a loro, con la rossa che strappava qualcosa dalle mani dell'inquietante confratello, dispiegando quella che, Izzy comprese, era una lettera del Conclave, a giudicare dal sigillo che era stampato nelle fibre della carta.
Clary sbiancò tutto d'un colpo, come quando prendi il più grande spavento della tua vita e sei convinto di essere finito.
— Clary, cosa… — La ragazza zittì Isabelle alzando una mano e leggendo le ultime righe della missiva.
— Alec, chiama gli altri. Izzy, puoi medicare fratello Enoch? È appena uscito da una battaglia e ha un polso rotto. — Disse infine, decisa. Non attese risposta e si avviò verso la cucina, dove il Nephilim ipotizzava che avrebbe dovuto riunire tutti.
Dieci minuti dopo, fino all'ultima persona presente nell'Istituto era riunita nella stanza; chi seduto a tavola, chi in piedi, altri ancora sul divano o sul tappeto.
— Allora? — Chiese Jean, inarcando un sopracciglio. Non poteva succedere qualcosa in quel momento, per la miseria, doveva ancora finire di organizzare tutto! 
Clary sospirò e si morse le labbra, per poi gettare ancora un'occhiata alla lettera che stringeva tra le mani e iniziare a parlare: — Fratello Enoch è da poco arrivato qui, scampando ad una battaglia che gli Ibridi hanno tenuto per prendere l'Istituto di Parigi, e ha portato qui un messaggio dal Console.
Tutti si fecero immediatamente più attenti, Alec poteva vedere le spalle irrigidirsi e le mascelle serrarsi, le dita ben strette in saldi pugni. Desiderò ardentemente che fosse presente anche Magnus, ma lui non era lì.
— Cosa è successo? — Domandò Jace, guardando fisso la fidanzata. Non potevano esserci altre brutte notizie! Quando, esattamente, la ruota della fortuna avrebbe cominciato a girare per loro? Sospettava fortemente che non sarebbe accaduto mai, o almeno non nel prossimo futuro.
— Hanno preso l'Istituto di Parigi, quello di Dublino e quello di Mosca. Hanno conquistato definitivamente Copenhagen e per poco non hanno preso anche Londra, che è rimasta nelle mani dei Nephilim. Non molti si sono salvati dai massacri. Sono morti circa… — Clary fece una pausa, cercando di guardare dappertutto tranne che negli occhi di qualcuno: — … circa cinquantotto persone, perlopiù Cacciatori in servizio ma anche alcuni bambini. Abbiamo perso il capo dell'Istituto di Londra e quello di Parigi. Dublino e Mosca hanno riportato meno morti nel totale, ma comunque troppe. Sono stati evacuati immediatamente a Idris. Il Console vuole che tutti i Cacciatori si rechino lì entro domattina, sta attivando i protocolli speciali. 
Maryse trattenne bruscamente il fiato, come molti altri nella stanza.
Attivare i protocolli voleva dire riunire tutti i Nephilim a Idris, e riunirsi tutti a Idris voleva dire lasciare il mondo alla mercé di Melchizedeck. Era proprio questo ciò che Jia voleva? 
— Ma è da folli! — Sbottò con veemenza Alec, serrando i pugni. — Se noi ce ne andiamo, chi penserà a… ai Mondani? Ai Nascosti? A questo stramaledetto mondo! — ringhiò. Maryse si accigliò: non l'aveva mai visto così arrabbiato. Aveva ragione, certo, ne aveva da vendere… ma perché lo faceva notare così? Alexander era tutto tranne che un tipo dai gesti plateali. No, quello era il ruolo di Jace, cos'era quell'improvviso scambio di ruoli? 
— Calma, Alec. — Cercò di placarlo Jace, preoccupato, poggiandogli una mano sulla spalla.
— Calma un corno, Jace! Non ti ricordi forse chi è che ti ha aiutato quando eri in tutta quella merda con Clary? E prima dovevi conquistarla, e poi eravate fratelli, dopo ancora era tutto troppo perfetto, poi è arrivato Melchizedeck… ma ora va tutto bene, perché tanto ve ne andate insieme a Idris felici e contenti! E io cosa faccio, eh, Jace?! Come la metto con Magnus, che deve rimanere qui? Come faccio a dirgli: "Ehi ciao, il caro Melchy sta invadendo il mondo e noi ce ne andiamo a fare una vacanza iper-protetta nella nostra capitale… ma tu rimani qui a morire, eh!" — Gli ringhiò contro, avviandosi a grandi passi fuori dalla stanza. — Il mondo non ruota intorno a te, svegliati! — 
Jace spalancò la bocca, sbattendo gli occhi e facendo sfarfallare le lunghe ciglia — Ma… 
— Non ce l'ha con te, Jace. Lo sai. Sta solo cercando una valvola di sfogo. — Mormorò Izzy, accennando con la testa all'uscita. Il Nephilim non se lo fece ripetere e inseguì velocemente il parabatai.
Valentine serrò le labbra: — Ovviamente non ci resta altro da fare che ascoltare l'illustre e sensatissimo ordine del nostro intelligentissimo Console. — Sbuffò, la voce che grondava sarcasmo.
Percorse velocemente i labirintici corridoi dell'Istituto fino ad arrivare alla sua stanza, sbattendosi violentemente la porta alle spalle. 
Cosa saltava in mente a Jia? Ritiratevi tutti, così Melchizedeck prenderà più velocemente il mondo! Non sia mai che venga ostacolato…
Veloce, gettò la sua roba in un borsone. Oh, ma non avrebbe lasciato perdere così! 
No, eppure anche il bastardo lo sapeva bene. Lucian aveva sicuramente detto a Melchizedeck che sarebbe corso a riprendersi Jocelyn, quindi doveva essere più furbo, molto più astuto e molto più cauto.
Sarebbe andato a Idris, facendo perdere a Luke le speranze. Da lì avrebbe localizzato Jocelyn in tutta sicurezza e poi sarebbe andato a prenderla, mentre nel frattempo… be', il caro Melchy, per citare il ragazzo Lightwood, sarebbe stato un tantino occupato…
Tese le labbra in quello che doveva essere un sorriso ma assomigliava più ad una smorfia. Stupido ibrido Nascosto. Non aveva ancora capito contro chi cercava di giocare, e per di più sperando di vincere la partita! 
Aprì le ante dell'armadio e scoccò un'occhiata truce ai vestiti accuratamente ripiegati. Pochi, semplici ma eleganti, che si era procurato qualche giorno prima per non girare costantemente in tenuta da battaglia. I Mondani erano esattamente come se li ricordava: stupidi. 
Appena vedevano una banconota sragionavano e si lasciavano manipolare come idioti. Non che alcuni Cacciatori fossero molto meglio, certo.
Eppure aveva incontrato alcuni Mondani interessanti. Si contavano sulle dita di una sola mano, certo, ma perlomeno c'erano. Non abbastanza da creare un esercito con la Coppa Mortale, ovviamente. Ma dopotutto non c'era bisogno che dei soldati fossero intelligenti.
Scosse il capo, sbuffando. Non poteva pensare a conquistare il mondo adesso, non quando un pazzo Nascosto stava cercando di fare lo stesso. 
 
 
— … E io non so come fare! Non posso, capisci?! Non posso lasciarti qui, non ora! Poi… 
Magnus si alzò, sospirando, e posò le sue mani sulle spalle di Alec. — Alexander. Calmati. — Sussurrò rocamente, ficcando il viso nell'incavo del suo collo. Alec sentiva il suo fiato fresco solleticargli la pelle, ma non riuscì a fermarsi.
— Se ti succedesse qualcosa? Se ti rapissero come hanno fatto con Jocelyn? Se…
Lo stregone gli prese il viso fra le mani, i loro sguardi erano alla stessa altezza. Blu intenso, quasi violetto, che il Nascosto tanto amava, un colore che aveva già visto negli occhi di Will e Cecily Herondale, contro un oro limpido, screziato di verde, la pupilla nera di un gatto che sprizzava preoccupazione.
— Sono qui, okay? Non ti lascio. Troveremo un modo. Te lo prometto. Insieme. — Mormorò, stringendolo tra le braccia e cullandolo, dondolando avanti e indietro.
Di norma sarebbe stato strano per un uomo tanto alto e sottile stringerne uno altrettanto alto ma decisamente più muscoloso, Alec aveva quelle spalle larghe grazie agli allenamenti che Magnus non aveva e non avrebbe mai avuto. Ma, d'altronde, tutto in quella coppia era strano, eppure per loro era semplicemente la normalità.
Erano solo Alec e Magnus, in quel loro magico mondo ovattato, in cui si trovavano per pochi, fuggevoli istanti, più preziosi di tutto l'oro del mondo.
— Insieme. — Ripeté Alexander, più tranquillo, mentre lo stregone si sporgeva per catturargli dolcemente le labbra. Non era un bacio passionale, famelico, era più come… un'ennesima rassicurazione, un contatto che ripeteva che non si sarebbero separati. Mai.
Non l'avevano mai detto, mai nemmeno pensato, era più una sensazione a livello emozionale, eppure lo sapevano: i secoli che li separavano, le razze, le abitudini, il carattere, l'aspetto; niente avrebbe potuto separarli. Erano nati per stare insieme. Per sempre.
 
 
— Ehi, Ian. — Jean si sedette sul tappeto accanto al bambino, porgendogli un altro foglio bianco da colorare.
Era strano vederlo così preso da qualcosa. Ian, ovviamente. Aveva il visino tutto corrucciato a causa della concentrazione, gli occhi talmente stretti che quasi si vedevano solo le pupille argentee, ed era tutto intento a disegnare qualcosa che Jean non riusciva a vedere, visto che il bambino copriva il foglio con le spalle.
— Me lo fai vedere? — Chiese, sorridendo. Ricordava ancora quando lo faceva con Sebastian e Martine.
— Apetta. — Il Cacciatore ci mise un secondo a cogliere il significato della parola: il bimbo non stava parlando di una piccola ape, stava dicendo "aspetta".
— Okay. — Si sedette meglio, a gambe incrociate, cercando di sbirciare il disegno ma senza esiti. Ian era un bambino cocciuto. 
Poteva dire che stava imparando a conoscerlo. Era… strambo, in effetti, tornare tanto indietro, scavare in avvenimenti che ormai credeva morti e sepolti. Ultimamente, era come se Ian vivesse in un mondo ovattato, circondato di poche persone: Jonathan, ovviamente, Isabelle, che passava ogni suo momento libero con quel "bambolotto dolcissimo", come aveva deciso di chiamarlo, e Jean, che si ritrovava irrimediabilmente calamitato verso di lui. 
— Dai, che ne dici di farmelo vedere così dopo andiamo a preparare le valigie, mentre papà prepara la sua? — Chiese, alludendo ovviamente a Jonathan. Erano anni che evitava accuratamente di nominare quella parola, anche riferita a genitori altrui. Nonostante il tempo che passava, quella rimaneva ancora una ferita fresca. Non riusciva proprio a rimarginarsi, figurarsi se sarebbe riuscito a farla cicatrizzare e scomparire. No, doveva fare in modo diverso e, effettivamente, o stava facendo. 
Sorridendo, Ian si voltò verso di lui e reclamò la sua attenzione, distogliendolo dai suoi pensieri. Jean fissò lo sguardo sul disegno, spalancando la bocca in una perfetta O.
Erano figure appena abbozzate, c'era Jonathan che teneva per mano Ian, sull'altro lato proprio lui e, prima, accanto al mezzo-demone, lievemente dietro Ian, Isabelle. 
— Piace? — Chiese il piccolo, gli occhioni scuri illuminati di curiosità.
— È bellissimo, Ian. — Sussurrò, facendo finta di non sentire la sua voce che si spezzava.
Il bambino s'infilò a forza tra le sue braccia, strusciando il viso contro il collo del più grande in una sorta di carezza, un reclamo per delle coccole: — Regalo te. 
Fu istantaneo. Jean sentì uno strano pizzicorio pervadergli il corpo, come quando si provano emozioni intense che però vanno assaporati immobili. In meno di qualche secondo la sua vista si sfocò, appannandosi sempre di più. Non ci volle molto, e la prima gocciolina cadde sul foglio, mentre il ragazzo cercava di mettere a tacere i singhiozzi senza esito.
— Grazie. 
— Tuto bene? Tu piangele… piangele blutto. — Mormorò Ian, preoccupato. 
Proprio in quell'istante la porta della stanza si aprì, facendo entrare Jonathan, che si bloccò sulla soglia, osservando la strana scena. 
Jean si asciugò in fretta le lacrime, talmente in fretta che non si rese nemmeno conto di averlo fatto, e schizzò fuori dalla porta stringendo il disegno al petto come una reliquia. 
Mentre correva lontano, sentì Jonathan chiedere qualcosa: — Perché piangeva?
— Ho regalalo disenio. — Biascicò, fioca, la vocina di Ian.
Anche senza vederlo, poteva quasi immaginare l'espressione a metà fra il curioso e lo scettico di Jonathan.
Jean spalancò la porta della sua stanza, infilando nel frattempo il disegno nella tasca dei jeans. Afferrò il borsone con il quale era arrivato e iniziò a ficcarci dentro tutto quello che si era portato dietro all'inizio. I vestiti, le armi, quel pugnale nero a cui era tanto affezionato, la biancheria, piccole foto e lettere che non aveva ancora avuto il coraggio di aprire, il disegno di un bambino piccolo…
In tutto quello, non ci aveva pensato: come avrebbe fatto ad entrare a Idris se legalmente non esisteva? Non c'era traccia della sua vita negli archivi del Conclave. Se l'avessero scoperto? 
Ma adesso non importava. Adesso c'era solo un povero ragazzo che piangeva con il volto affondato nel cuscino, che poco assomigliava al guerriero che tutti coloro che lo conoscevano davvero erano abituati a vedere, un ragazzo spaesato in un mondo che non riconosceva come proprio, con persone che non erano le stesse che conosceva, e poi senso di colpa per aver messo quel suo sogno davanti alla famiglia che ancora gli rimaneva, paura di quell'ignoto davanti a lui; cosa lo aspettava? Sarebbe morto? Cosa avrebbero fatto gli altri senza di lui? 
Ora sembrava più piccolo dei suoi ventiquattro anni, e nonostante la corporatura massiccia poteva quasi assomigliare ad un ragazzino sperduto, forse per la posa rannicchiata, o il viso arrossato dall'ansia e solcato da lacrime di terrore.
Jean, come tanti altri, era solo un ragazzino perso e cresciuto troppo in fretta. 

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(1) = Eyeliner e rossetto rosso, insomma ;)

(2) = Citazione da "Two broke girls"

 
 
A.A:
Okay, okay, lo so, sono in ritardo di un giorno. Ma, gente, ieri ho passato tutto il giorno a ripetere per l'esame di matematica e, se ve lo steste chiedendo - okay, no, non lo state facendo, ma lo dico lo stesso - l'ho finito. Su nove quesiti, tre erano obbligatori. Ne ho fatti sei, tutti corretti. Insomma, poteva andare peggio ;)
Comunque, eccoci qui con il capitolo. Sì, lo so, è più corto di quello precedente, ma a me sinceramente piace. Adoro scavare nella testa dei personaggi e per questo mi piace tanto :)
Purtroppo, per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare un po' – ho quasi finito di scrivere il capitolo, ma ho ancora gli esami e in questi giorni sto solo studiando T.T
Comunque sia, il capitolo ventisei sarà pubblicato tra due settimane, tra il trenta giugno e il primo luglio ^.^
Proprio per questo intervallo ancora abbastanza lunghetto, ecco a voi qualche spoiler: 
 
Cinque minuti dopo, Clary strabuzzò gli occhi alla vista della combriccola che si era creata: uno stregone glitterato, un dittatore folle, una modaiola che trattava i ragazzi come toy-boy, un mezzo-demone arrogante, un bambino con le ali e un fidanzato anatrofobico.
Non era pazza, no. Era la sua vita ad esserlo.
[...]
Ma giunta alla casa aveva trovato il più brutto scenario che si potesse mai presentare ai suoi occhi: tutto ardeva, avvolto da lingue di fuoco così alte da aver inghiottito anche i secolari alberi che circondavano il terreno. Si sentivano urla così acute e straziate da far pensare alla fine del mondo.
[...]
 Dura lex, sed lex, ma a volte la legge era troppo dura, quando si trattava di concessioni. E troppo debole, quando si trattava di proteggere gli altri prima di se stessi. Come poteva essere sia l'una che l'altra cosa?
[...]
Jace si chiese curiosamente se li avessero lasciati fuori, nel caso in cui fossero arrivati troppo tardi. Tardi per cosa, poi? Per la chiusura della città? Ah, già. Stavano abbandonando il mondo al suo destino, niente di particolarmente importante, dopo tutto.
 
Andiamo, sono ben quattro snippet! Cosa ne pensate? ;)
In più, vi prometto che il prossimo capitolo sarà notevolmente più sostanzioso di questo ^^
Winchester_Morgenstern
   
 
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