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Autore: Persej Combe    16/06/2015    2 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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Okay dai, stavolta non ci ho messo molto ad aggiornare!  Sto migliorando!  Ciao a tutti! Vi state godendo le vacanze?
Dunque. Sto cercando di esercitarmi nel descrivere le scene movimentate con tanti personaggi tutti insieme già da un po' di tempo, e questo capitolo non fa eccezione. Più avanti vedrete che cosa intendo. Devo dire che sono soddisfatta con quello che è venuto fuori, pensavo peggio, comunque - dato che non si sa mai - spero sia qualcosa di leggibile anche per voi!
Ad un certo punto si parla di un foglio elettronico, dato che io certe volte mentre scrivo devo inventarmi oggetti usciti dal nulla (vi ricordate gli occhiali di Xante? Ecco, esatto). Che cos'è un foglio elettronico? Praticamente sarebbe una lastra trasparente in cui, premendo un bottone ed inserendo una password particolare, si può accedere ad un contenuto che viene mostrato elettronicamente sulla superficie. A seconda della password messa si può accedere a pagine diverse, tutte memorizzate nel dispositivo. È un modo per mettere in sicurezza dei file importanti: se spingi il bottone e non sai la password, non c'è alcun modo che ti possa permettere di vedere cosa c'è dentro.
Sì, forse un giorno dovrei scrivere una storia di fantascienza con tutti questi macchinari strani. Ma non è ora il momento.
Oh, una precisazione: prima c'era un foglio di carta, ma ora è andato distrutto. Il foglio elettronico è più sicuro.
Bene, siccome credo che non vedrete l'ora che finisca di parlare per scoprire che cosa c'entra, vi lascio alla lettura!
Spero che vi piaccia.
Un abbraccio a tutti!
la vostra Persღ



..

18 . Di bianco, rosso e nero


 

   Bianco. Il colore ricopriva l'intera città; sui tetti, nei parchi, sulla strada, ogni cosa era toccata da quella chiarezza. Camminava sulla neve con passi sordi. Il ghiaccio di tanto in tanto scricchiolava sotto le sue scarpe. Faceva freddo, c'era vento. Fra poco sarebbe iniziata una tempesta di neve, riconobbe quei segnali che aveva imparato a comprendere anni e anni addietro. Qualche fiocco cominciava già a posarsi sul suo viso, sulle guance rosse per il gelo. La freddezza di quel posto non gli era mai piaciuta: era troppa per una persona dallo spirito così bruciante come il suo. Si era adattato, infine, ma non appena ne ebbe avuta l'occasione aveva abbandonato la città per recarsi altrove, in quei luoghi della regione che non aveva mai visto e in cui aveva pensato, forse illudendosi, di poter trovare la libertà che bramava.
   Aveva giurato che non sarebbe più ritornato, ma in quel momento si trattava di forza maggiore.
   Alzò la testa, e in lontananza, sulla cima di una delle colline più alte, vide, avvolti in un alone candido e quasi spettrale, i muri della villa. Si diresse in quel luogo senza esitare, mentre la neve iniziava a cadere sempre più copiosa. Il vento era forte. Fischiava.
   L'uomo giunse nei pressi di quello che una volta era stato solito chiamare il giardino dei ghiacci: quando l'inverno, infatti, portava con sé le gelate più vigorose, ogni pianta usava ghiacciarsi, i rami degli alberi divenivano bianchi e simili a punte di ghiaccio, mentre sul lago, ricco di Pokémon acquatici durante la bella stagione, era persino in grado di pattinare. Si voltò verso Sud per osservare la valle imbiancata. Centinaia di volte l'aveva scrutata dalla finestra che si trovava al centro della facciata, quella della sua stanza, col balconcino da cui spesso si era sporto. Da quell'altezza gli era sempre sembrato di sentirsi l'infelice re di un mondo che detestava.
   Le tende ora erano chiuse e l'aspetto delle finestre suggeriva che non venissero aperte da moltissimo tempo.
   Si apprestò sotto la tettoia, davanti al portone d'ingresso. Aveva le chiavi ancora con sé, nonostante fosse incerto riguardo al perché avesse deciso di tenerle. Entrò. Il silenzio lo accolse, così come l'odore della casa: era rimasto lo stesso. Sentiva il crepitio della legna che bruciava nel camino, di là, nel salotto. Poi ci fu lo struscio delle gambe di una poltrona e il suono di ferri poggiati su un tavolo. Passi.
   Una donna, vecchia, ma con il viso brillante di una bellezza presuntuosa non ancora svanita completamente, apparve sulla soglia della porta. Aveva un aspetto composto, di maniera, tipico delle donne della sua specie. Teneva la postura di una persona che era stata a lungo in attesa, come di chi sa che prima o poi, inevitabilmente, quelli che l'hanno lasciata ritornano da lei. Fissò lo sguardo sugli occhi freddi di lui, che in realtà erano anche i suoi. Bruciava ancora come lingue di fuoco, lui, mentre in lei aleggiava il gelo che imperversava di fuori. Forse era per questo che non erano mai riusciti a comprendersi. Le loro nature erano completamente differenti.
   Alzò il mento e continuò a scrutarlo. Era diventato alto, molto alto. E bello, bello di una bellezza nobile, proprio come un tempo lo era stata lei. Si guardarono in silenzio e basta.
   «Sono venuto a riprendere ciò che mi appartiene».
 
 
   «Esatto. Nel momento in cui un Pokémon megaevolve rilascia una quantità considerevole di energia. Tuttavia stiamo ancora studiando di che tipo di energia si tratti, al momento non abbiamo informazioni sufficienti per classificarla», Platan rispose all’intervistatore. Qualcuno nel pubblico alzò la mano e un tecnico gli procurò un microfono cosicché la sua domanda potesse essere sentita da tutti quanti.
   «Buongiorno, Professore. Intanto ci tenevo a congratularmi con lei per le sue ultime scoperte, sono un suo ammiratore e la seguo già da qualche anno. Penso che il suo contributo alla scienza dei Pokémon sia di grande importanza, nonostante inizialmente quasi nessuno le avesse dato credito».
   Platan sorrise, lusingato, e lo ringraziò.
   «Quello che volevo chiederle è questo. In altre interviste lei ha detto che per studiare questo tipo di energia occorre immagazzinarla con dei particolari macchinari presenti nel suo Laboratorio. Lei crede che sia possibile che, dopo esser stata raccolta, possa essere utilizzata in qualche modo? Potrebbe forse rappresentare qualche tipo di energia alternativa in grado di sostituire quelle che stanno venendo a mancare in questi ultimi anni?».
   «La tua è una proposta interessante. Sì, credo che potrebbe essere possibile, forse tra qualche decennio. Per ora siamo ancora agli inizi e non sappiamo quali opportunità ci riserverà la Megaevoluzione. Potrebbero aprirsi strade diverse che potrebbero dar vita ad un nuovo stile di vita in grado di migliorare ancora di più il rapporto tra uomini e Pokémon. Non escluderei questa possibilità».
   «Professor Platan,» una ragazza alzò la mano e intimò il tecnico di portarle il microfono «se la pone in questo modo, allora pensa che potrebbe presentarsi anche il rischio che quell’energia venga utilizzata con scopi di tutt’altro genere? Per esempio a fini bellici?».
   Platan tremò. Rifletté sulla risposta da dare.
   «Ovviamente non è possibile escludere anche l’altra faccia della medaglia», disse in tono cupo «Ma io faccio appello al senso comune degli uomini e mi affido ad esso. Io stesso mi opporrò, se dovesse presentarsene l’eventualità. Non permetterò mai che la Megaevoluzione, che l’energia connessa al legame indistruttibile fra noi esseri umani e Pokémon, simbolo della nostra unione e uguaglianza, venga utilizzata per distruggere tutto ciò che essa rappresenta».
   Erano passati pochi giorni dal viaggio di Elisio verso Fractalopoli. Due reclute del Team Flare, sedute sui sedili del jet in movimento, stavano guardando la televisione sul loro tablet.
   «Sai una cosa?» il ragazzo si rivolse alla compagna seduta accanto a lui «Io credo che il Professor Platan non si unirà mai a noi, nonostante so che il capo ci tenga molto».
   «È normale che il capo ci tenga», commentò quella «Insomma, dopotutto sono...».
   «Allora è vero?».
   «Sì. Non li hai visti?».
   «Io quel giorno non c’ero, me l’hanno raccontato gli altri».
   La ragazza annuì.
   «È così. Però penso anch’io che il Professore non accetterà mai di entrare nel Team. Un uomo così innamorato dei Pokémon...» accarezzò la Poké Ball in cui stava riposando la sua Mightyena e la osservò con malinconia «Per il bene di tutti, nessuno verrà risparmiato. È un sacrificio che siamo costretti a fare».
 
 
   Posò le dita sulla manovella posta lateralmente alla base rotonda del carillon e la girò. Lo strumento cominciò a produrre la sua musica e un poco alla volta Elisio ritornò a ricordare la melodia, come se quelle note in realtà avessero sempre vissuto dentro di lui e fino a quel momento si fossero nascoste da qualche parte fra le sue memorie in attesa di essere rivelate un’altra volta.
   «Oh, principe...» sussurrò osservando la statua di Floette posta sulla sommità. Pareva che fosse lo stesso Pokémon ad intonare la musica con la sua voce armoniosa e minuta. La melodia si arrestò bruscamente. Elisio allungò la mano per ricaricare lo strumento e sentire ancora quelle note che gli appartenevano, ma nel sollevare l’oggetto notò una scritta incisa sotto la base. Kalosiano antico, riconobbe; la stessa lingua in cui era stato scritto quel libro che teneva con gelosia fra i suoi averi. Mise l’indice sulle lettere e tradusse.
   «A te, mio giovane erede, che stai leggendo queste parole», lesse nella propria mente «Custodisci questo oggetto con cura. Esso nacque da un grande dolore. Non permettere che questo dolore risorga. Difendi l’entrata che queste note possono aprire e tieni lontano chiunque voglia riportare alla luce quell’arma che così tanta sofferenza causò. Mi dispiace, mio giovane erede, che tu debba farti carico di un fardello di tale peso... Il destino, purtroppo, non guarda in faccia nessuno. Ma non demordere. Sappi che io sarò sempre con te».
   Un messaggio da un antico avo. Elisio ci mise la mano sopra e sospirò. Gli rincresceva.
   Il suo Holovox trillò e il faccione bianco di Xante si materializzò nell’aria.
   «Dimmi, Xante».
   «Siete arrivati?».
   «Non ancora. Ci sono state delle turbolenze, perciò faremo qualche minuto di ritardo rispetto al previsto. Voi siete tutti pronti?».
   «Prontissimi. Aspettiamo un tuo comando».
   Elisio annuì e chiuse la chiamata. Si lasciò cadere sullo schienale del sedile e si massaggiò le tempie con le dita. Lanciò uno sguardo al carillon.
   «Dispiace anche a me. Ma purtroppo è l’unico modo in cui questo mondo potrà essere salvato».
   Qualcuno bussò alla porta del suo scompartimento, un ufficiale si affacciò dentro e si mise sull’attenti.
   «Stiamo per procedere con l’atterraggio», comunicò.
 
 
   Serena uscì dalla Palestra di Altoripoli osservando con soddisfazione la Medaglia appena ottenuta. Con questa facevano due. La ripose nell’astuccio con un grande sorriso sulle labbra al pensiero di aver appena dato del filo da torcere a Lino: giorno dopo giorno lei e la sua squadra si stavano rafforzando sempre di più e la vittoria dell’ultimo scontro ne era la prova. Mise i pattini ai piedi e tirandosi su guardò il mare all’orizzonte. C’era un bel sole, quel giorno, e l’acqua aveva un colorito cristallino e invitante. La Poké Ball di Frogadier attaccata alla cintura cominciò a scuotersi: anche lui pareva non disdegnare l’idea di andarsi a fare un bagno dopo la fatica appena compiuta. Serena ridacchiò: «Allora andiamo!», e dandosi una spinta con le gambe scese giù dalla rupe percorrendo la pista ciclabile. Stava passando lungo uno dei tratti in salita quando ad un certo punto sentì uno scampanellare sonoro di fronte a sé, accompagnato dal miagolio spaventato di uno Skitty.
   «Attenzione! Toglietevi tutti!» gridava una ragazza.
   Serena alzò la testa e nei pochi secondi che seguirono si ritrovò catapultata a terra, senza capire che cosa fosse accaduto. Ci fu un rumore di freni e poi un tonfo, come se qualcuno avesse buttato a terra una bicicletta.
   «Oh, cavolo! Scusami, scusami! Mi dispiace tantissimo! Stai bene?» disse la persona che era appena giunta.
   Serena alzò lo sguardo e accanto a sé vide due occhi verdi che la osservavano mortificati. A quella vista la ragazza sorrise enormemente.
   «Shana! Ah, che bello rivederti!».
   Nel momento in cui anche l'altra riconobbe l’amica, arrossì, e si scusò con maggiore enfasi, imbarazzatissima. La prese per le mani e l’aiutò a rimettersi in piedi.
   Si fermarono in un bar lungo la spiaggia a prendere un tè freddo mentre i loro Pokémon giocavano sulla sabbia. Il Torchic di Serena, per paura di bagnarsi, aveva preferito rimanere accanto alla sua padroncina. Appollaiato sul tavolo, ogni tanto si spingeva con il collo verso la cannuccia e cercava di bere qualche sorso della bevanda. Shana osservava il Pokémon con stupore, non avendo mai visto un Torchic in carne ed ossa prima di allora.
   «Il Professor Platan mi ha detto che Torchic è un Pokémon originario della regione di Hoenn e che non si può trovare altrove. Sai, è molto amico del Professor Birch», le raccontò portandosi la cannuccia alle labbra.
   «A dire il vero», spiegò Serena, «non l’ho catturato. L’ho ricevuto per posta da mio padre. È sempre in viaggio per lavoro, ogni tanto mi manda qualche pensierino».
   «Che fortuna!» esclamò la ragazza. Provò ad avvicinare le dita verso il pulcino e lo accarezzò piano sul petto ricoperto di piume. Era morbido ed emanava un lieve calore. Serena sorrise divertita nel vedergli avvampare le guance paffute: la ragazza dai lunghi capelli bruni doveva piacergli. Gli diede una grattatina in mezzo al ciuffo in cima alla testa e distolse lo sguardo per controllare gli altri Pokémon. Notò che il Fennekin di Shana si era evoluto in un bellissimo Braixen. In quel momento aveva ingaggiato uno scontro con il suo Frogadier. Estraeva il ramo che portava con sé dalla sua coda e lo utilizzava per parare gli attacchi Bollaraggio del ranocchio.
   «Come sta andando il tuo viaggio?» chiese la bionda.
   «Non male. Qualche giorno fa ho ottenuto la Medaglia Rupe qui ad Altoripoli. Però, Serena, se devo essere sincera, non sono molto sicura di voler continuare su questa strada», le confessò stringendo le dita attorno al bicchiere. Alzò lo sguardo e incastrò gli occhi verdi nei grigi di lei, come per cercare qualche cosa a cui aggrapparsi. Serena le strinse una mano per esserle di conforto.
   «Shana, non devi avere paura se ad un certo punto del tuo percorso ti si presentano dei dubbi. Tutti quanti ne abbiamo», le disse. La incitò a sorridere, ma le sue labbra carnose rimanevano serrate.
   «Sento come di star facendo un torto ai miei Pokémon. Di star tradendo la loro fiducia», sussurrò sollevando gli occhi verso Skitty, Braixen e Goomy che, immerso nell’acqua marina, cercava di non disidratarsi.
   Serena le rivolse un’occhiata accorata. Passò un mano sul folto piumaggio di Torchic e si chiese che cosa avrebbe fatto se si fosse trovata nella sua stessa situazione. Vide Pancham correre nella loro direzione e accucciarsi contro le sue gambe. Che cosa avrebbe fatto se un giorno si fosse trovata indecisa sul proprio volere, nella circostanza in cui per il suo bene avrebbe potuto tenere in considerazione anche una scelta contraria alla volontà dei suoi Pokémon? Guardò oltre la spiaggia e a Nord della città vide le pietre che componevano la Strada dei Menhir. Forse una passeggiata in un luogo meno afoso avrebbe fatto bene ad entrambe. Avrebbero parlato ancora un po’ prima di separarsi e riprendere le proprie strade. Serena avrebbe cercato di infondere fiducia a Shana. Essendo sua amica, voleva aiutarla a tutti i costi nel momento del bisogno.
 
 
   Il jet atterrò nei pressi del Percorso 10. Tutte le reclute scesero dal velivolo e si posizionarono in fila in attesa di ricevere gli ordini dal capo. Una volta che Elisio uscì allo scoperto, indicò il gruppo di persone che si era offerto di scendere fino al Quartier Generale e gli intimò di aggregarsi a lui.
   «Anche voi,» disse alle Scienziate «voglio che veniate con me tutt’e quattro».
   Prese l’Holovox e comunicò a Xante di dare il via all’operazione. Poi lo ripose in tasca e fece cenno di andare. Aveva studiato a lungo le carte, ricordava la strada da percorrere fin nei minimi dettagli. Akebia riconobbe quella parte calcolatrice del suo carattere: non conosceva altre persone dotate di una precisione più fine della sua. Si addentrarono lungo un sentiero costeggiato da degli alti macigni. Elisio passò una mano su uno dei pilastri e lo osservò intensamente. Quel giorno avrebbero finalmente fatto luce sul significato di quelle pietre misteriose. Si girò un attimo indietro per controllare che le Reclute stessero tenendo il suo passo e procedette nel momento in cui si accertò che tutte erano presenti. Nel giro di mezz’ora giunsero alle porte della città di Cromleburgo. Passando per una via secondaria in modo da non essere scovati proseguirono in direzione Nord Ovest fino ad arrivare in vista delle porte del covo in costruzione al di sotto del villaggio, celate da due grossi macigni invalicabili. Entrarono e tutti insieme discesero nei sotterranei.
   Il Quartier Generale ancora non aveva preso una vera e propria forma: infatti, non vi erano altro che lunghi tunnel scavati nella roccia e massi che erano stati accatastati per far posto agli operai in modo da rendere più accessibile il passaggio in quei luoghi. Quando il terreno sarebbe stato spianato per bene, avrebbero dato il via al posizionamento dei cavi elettrici e dei tubi dell’acqua, del gas e dei rifornimenti che sarebbero stati necessari durante la permanenza dell’intera squadra quando l’Arma Suprema sarebbe stata in funzione. Poi avrebbero costruito i pavimenti e i soffitti secondo il progetto che gli era stato commissionato da Elisio, infine sarebbero stati installati i computer e tutti i macchinari di cui avrebbero avuto bisogno nel corso delle successive missioni.
   Quando uscirono dall’ascensore, le reclute che erano lì con le macchine scavatrici fermarono i propri lavori e sporgendosi dai finestrini salutarono l’uomo.
   «Come procedono gli scavi?» s’informò Elisio avvicinandosi al responsabile dell’opera.
   «Stiamo in regola con i tempi che ci ha dato, signore», disse quello mostrandogli alcune carte ricolme di dati e cifre «Ci siamo fermati nel punto che ci aveva indicato. Se lei vorrà, sarà mio piacere trasportarla più avanti dove intende arrivare».
   «La ringrazio», poi si voltò in cerca delle Scienziate e gridò: «Voi quattro, andiamo!».
 
 
   Nel frattempo le due ragazze raggiunsero le porte della Strada dei Menhir ed essa si mostrò in tutta la sua vastità alle giovani Allenatrici. Torchic era da poche settimane entrato a far parte del gruppo e ancora sentiva il bisogno di stare accanto a Serena, per cui era rimasto fuori dalla Poké Ball e la seguiva assiduamente come un anatroccolo che cammina sulle impronte della madre. Shana ogni tanto si voltava per guardarlo e non poteva fare a meno di trovarlo adorabile. Cominciarono ad attraversare il percorso in silenzio, un po’ per la stanchezza che il caldo gli aveva infuso, un po’ perché erano rimaste sbalordite dalla grandezza dei massi che vedevano lungo la strada. Quindi non appena ne vedevano uno che destava la loro curiosità, vi si avvicinavano e lo osservavano da tutte le angolazioni, chiedendosi come avessero fatto uomini di un’epoca così antica a costruire architetture di misure così sorprendenti. Ad un certo punto incontrarono una turista di mezza età, un po’ grassottella, i capelli neri ricci e folti. Serena si era già messa in posizione di attacco, Sfera Poké in mano e braccio spinto in avanti per chiamare Pancham in suo aiuto. Shana si sorprese di vedere quanto ardente fosse il suo spirito combattivo e rimase un po’ in disparte quando pensò che lei questa voglia di lottare sempre e comunque comune a tutti gli Allenatori non l’aveva, non l’aveva mai avuta e mai le sarebbe venuta. Diede uno sguardo alle sfere in cui erano rinchiusi i suoi tre fedeli Pokémon, gli occhi verdastri intrisi di una sottile incertezza.
   Serena sembrava così decisa nel perseguire il suo obiettivo di diventare Campionessa. Voleva diventare abile come Diantha, le aveva confessato quella sera in cui si erano ritrovate a Reggia Aurea ad osservare quei fuochi d’artificio che erano stati fatti solo per loro. Avevano parlato dei loro sogni, delle loro speranze. Del loro futuro. Shana quella volta si era mostrata un po’ restia a parlarne.
   «Io non lo so», aveva detto semplicemente, coprendosi il viso con le mani: all’improvviso l’aveva colta un senso di imbarazzo e straniamento che non era riuscita a spiegare.
   Che senso aveva continuare a vivere senza uno scopo preciso? Lei l’aveva cercato questo obiettivo, questa sua ragione di vita. Aveva provato qualsiasi cosa, ma ancora si sentiva perduta, nulla pareva calzarle.
   Trovato era geniale per quanto riguardava la scienza dei Pokémon.
   Tierno era un eccellente ballerino.
   Serena e Calem erano Allenatori imbattibili.
   Lei non era niente. Un’incognita irrisolvibile.
   «No, no, non voglio lottare!» esclamò la donna accostandosi alle due ragazze «Quella puoi anche metterla a posto».
   Serena sussultò. Non voleva lottare? Riallacciò la Poké Ball alla cinta e si apprestò ad ascoltare di cosa avesse bisogno. La donna spiegò di essersi messa in viaggio per Cromleburgo, ma che tuttavia non era riuscita a passare poiché aveva trovato il passaggio bloccato. Diceva che degli uomini vestiti in rosso avevano circondato la zona centrale, che c’erano dei grossi e strani macchinari che avanzavano fra i monoliti gracchiando e lasciando dei solchi lungo la terra.
   «Degli uomini vestiti in rosso?» Serena intuì subito dalla descrizione di chi si doveva trattare. Si voltò verso Shana: un’incursione del Team Flare proprio non ci voleva in un momento come quello. Intimò alla donna di correre ad Altoripoli e di avvertire la polizia mentre lei si sarebbe occupata di trattenerli per qualche minuto. Poi aveva preso la ragazza per un braccio e l’aveva trascinata via con sé, correndo velocemente. Torchic con un battito d’ali si era sollevato verso la spalla della sua padroncina, aggrappandovisi poi con le zampe robuste.
   «Serena, cosa sta succedendo?» chiese la bruna indispettita e intimorita dall’atteggiamento improvvisamente aggressivo della compagna.
   «Quando io e Calem andammo alla Grotta dei Bagliori, ci scontrammo per la prima volta con il Team Flare. E ora sono di nuovo qui».
   «Il Team Flare?» sussurrò sbigottita nel momento in cui comprese verso quale pericolo stavano per gettarsi deliberatamente contro. Fece scivolare il braccio e le strinse la mano.
   «Dicono di voler creare un futuro radioso soltanto per loro...» continuò l’altra senza smettere di correre «Ma io non posso sopportarlo, non posso permetterglielo! Non ora che finalmente mi sono appropriata del mio destino! Non glielo permetterò!» gridò con la gola che bruciava, e le sue parole echeggiarono nell’aria.
 
 
   Le porte dell’ascensore si aprirono. Le chiare mura del Laboratorio lo accolsero con gentilezza mentre muoveva i passi verso la sua stanza. Sina e Dexio stavano riordinando alcune schede nella libreria e quando videro il Professore lo salutarono raggianti come loro solito.
   «Ben tornato, Professore!» esclamarono insieme.
   «Bonjour», disse con voce un po’ affaticata. Aveva ancora addosso gli abiti con cui era andato agli studi televisivi. Si affrettò a sfilarsi la cravatta e la giacca che lo rendevano impacciato nei movimenti e tirò fuori da una busta il camice pulito appena ritirato in lavanderia. Con quello si sentiva più a suo agio. Si fece scappare un sospiro mentre si lasciava cadere sulla poltrona. Dexio si voltò verso di lui e lo osservò, ancora aveva incastonata nella mente l’immagine del suo insegnante col collo leggermente inclinato in una curva delicata oltre lo schienale del divano, il viso rivolto con desiderio verso quello dell’altro, in cerca delle sue labbra. Gli erano sembrati i personaggi di una scultura antica, protagonisti di qualche tragica storia d’amore. Ancora stava rimuginando sul perché prima di allora non si fosse mai accorto del sentimento che legava i due, eppure Sina aveva cercato di farglielo notare in tutti i modi possibili. Aveva ragione, lei. Aveva sempre avuto ragione. Tuttavia non poteva ignorare quel vago senso di perplessità al pensiero di ciò che aveva scoperto. Non se ne sapeva spiegare il motivo. Il Professore alzò lo sguardo verso di lui. Sorrise al giovane apprendista. Poi entrambi tornarono ad occuparsi delle proprie faccende.
   Dopo un po’ fece capolino dalla porta Floette. Il folletto svolazzò fino a posarsi fra le mani del Professore e gli rivolse il suo saluto dandogli un piccolo bacio sulla punta del naso. L’uomo gli accarezzò piano la testa con un dito e gli rivolse un sorriso ricolmo di tenerezza.
   «Dove vai oggi, Floette?» gli chiese. Mai che quel Pokémon si fermasse! Sentiva sempre il bisogno di scorrazzare in giro mettendo in ansia la povera Sina che ancora non aveva dimenticato quando era scomparso per la prima volta. Ormai era passato del tempo, ma ancora non si era abituata del tutto a questi suoi vagabondaggi. Così, puntualmente, quando il Pokémon mancava all’appello, le veniva subito il magone. Il folletto emise un verso e si poggiò sopra la testa di Platan, spettinandogli un po’ la capigliatura con il suo peso.
   «Oh, vuoi rimanere con noi, allora? Che onore!» esclamò lui alzando lo sguardo e incontrando il suo. Il Pokémon ridacchiò e in silenzio si mise ad osservare i tre intenti nelle loro mansioni.
 
 
   «Ah, ma guarda un po’ chi si rivede! Sei ancora tu, la mocciosetta della Grotta dei Bagliori! Hai una nuova amica? Il fidanzatino l’hai lasciato indietro?».
   Serena si pose di fronte a Shana con fare protettivo.
   «Stai indietro», le disse «Cerca un posto sicuro e riparati lì. Qui ci penso io».
   Shana annuì e andò a sistemarsi dietro ad uno dei massi, mentre la compagna chiamava a gran voce il primo Pokémon della squadra affinché scendesse in campo.
   «Pancham! Tocca a te!».
   «Capiti male, ragazzina!» ridacchiò il suo avversario «Kadabra!».
   «Un Pokémon di tipo Psico...» sussurrò Shana preoccupata per la scelta dell’oppositore. Si chiese se Pancham avrebbe resistito ai suoi colpi psichici, ma da ciò che aveva imparato dal Professor Platan sulla contrapposizione dei tipi, sapeva che le speranze erano ben poche. Doveva intervenire, doveva aiutarla. La chiamò, ma la ragazza le fece cenno di non preoccuparsi, che la situazione non la spaventava. Era capace, era agguerrita. Se la sarebbe cavata.
   Tuttavia Shana non riusciva a trattenersi: doveva fare qualcosa, non sopportava l’idea di rimanere lì a girarsi i pollici mentre l’altra rischiava di fare una brutta fine tra le grinfie di quelli. Si guardò attorno: erano tantissimi, troppi. Si voltò verso Serena e la osservò mentre con foga gridava a Pancham attacchi su attacchi in una sequenza rapida per rispondere alle mosse del nemico il più velocemente possibile. Ma non era abbastanza. Dopo aver resistito per lunghi minuti, il panda venne scaraventato a terra da un attacco Psichico di Kadabra e non rinvenne più. La bionda fu costretta a chiamare il suo secondo Pokémon.
   Doveva muoversi. Doveva fare qualcosa.
   In un impeto di confusione prese l’Holovox e chiamò il Professore. Non era sicura del perché lo stesse facendo, ma se avesse avvertito il loro mentore di certo non sarebbe stato d’intralcio. Avere un alleato in più faceva sempre comodo.
   Platan rispose prontamente alla chiamata.
   «Ciao, Shana, che cosa succede?» le chiese sorridendo. Ma il suo sorriso scomparve subito nel momento in cui riconobbe il paesaggio nelle vicinanze di Cromleburgo e le divise degli uomini del Team Flare. Floette aveva improvvisamente cominciato a tremare, e Platan non aveva dubbi del perché lo stesse facendo. Portò ansiosamente una mano al cassetto della scrivania e vi rovistò dentro, intanto Sina e Dexio cercavano di collegare l’Holovox allo schermo appeso alla parete di fronte alla finestra in modo da rendere l’ologramma in formato video e avere così un’immagine più grande e chiara di ciò che stava accadendo.
   Mentre la tensione tra Luminopoli e il Percorso 10 cresceva, Elisio e le sue sottoposte, guidati dal responsabile degli scavi, si facevano strada tra i cunicoli neri del sottosuolo. Si stavano dirigendo verso il centro di Cromleburgo. Ad un tratto urtarono con la scavatrice una parete sottile, non naturale.
 «Rallenta», disse Elisio. Osservò il radar che lampeggiava sul quadrante della macchina e capì che erano giunti all’entrata del luogo in cui era custodita l’Arma Suprema. Rotta la parete e calpestati i suoi resti, si ritrovarono all’ingresso di un lungo corridoio alla fine del quale vi erano, incise nella pietra, due colonne riccamente decorate nei capitelli. Il capo scese dal macchinario e rimase ad osservare l’apertura con il fiato sospeso.
   Vi era arrivato, dunque. Aveva trovato l’entrata.
   Afferrò l’Holovox e con un gesto rapido si mise in contatto con Xante.
   «Ci siamo».
   «D’accordo, colleghiamo subito i computer con le vostre apparecchiature».
   Non fu detto altro.
   Si mosse in avanti, in trepidante attesa di scoprire che cosa si celasse oltre quell’entrata che tanto a lungo aveva cercato. Si arrestò esattamente in mezzo alle due colonne.
   Mausoleo, lesse inciso sul pavimento. A seguire vi erano altre parole, poi cancellate e riscritte nuovamente, ma in quei punti il terreno appariva così malmesso da rendere le lettere praticamente indecifrabili. Si girò e alzò un braccio, intimando ad Akebia, Bromelia, Cytisia e Martynia di raggiungerlo. Insieme oltrepassarono le due colonne e si ritrovarono in una grande stanza dalla forma circolare. Subito dirimpetto all’entrata vi erano due statue raffiguranti due giovani donne. Avevano un aspetto sorprendentemente simile. Cytisia e Bromelia vi si avvicinarono, osservandole con sguardo affascinato. Vi erano delle scritte alle basi delle sculture.
   «Senza l'una non può vivere l'altra», tradusse Elisio dalla prima, «Senza l'altra non può vivere l'una», vi era inciso sulla seconda. Le due frasi erano complementari. Mentre le due donne continuavano a scrutare il luogo nei minimi dettagli raggiungendo le altre compagne, Elisio si perse negli occhi delle due gemelle. Si avvicinò alla più vicina e le accarezzò il viso di pietra rossiccia. Fece lo stesso anche con l'altra. Le guardò intensamente su quelle facce mute che lasciavano intuire quale graziosa bellezza le avesse colpite in vita. Per qualche motivo che non comprendeva, sentì uno strano dolore al petto. Era come se quei volti li avesse già conosciuti. Essi erano presenti nella sua anima da un tempo incalcolabile. Vi fissò lo sguardo quasi con compassione, amorevole.
   Passò avanti.
   Al centro della sala vi era un piedistallo formato dalle mani congiunte di un uomo ed una donna, probabilmente moglie e marito. Nel volto di lei Elisio riconobbe un fascino regale, in quello di lui avvertì una nota di crudeltà che contrastava con l'espressione saggia che vi era impressa.
   Luce e Buio, lesse sulle loro basi.
   Alzò lo sguardo e di fronte a sé vide qualcosa che lo fece tremare.
   Si avvicinò all’ultima statua guardandola con sguardo rapito. Sentiva freddo in tutto il corpo e un velo di paura sconosciuta lo agguantò fra le sue dita stridule.
   C’era un ragazzo, di fronte a lui. Un ragazzo bello, dall’aspetto coraggioso. Teneva una mano sul fodero della spada mentre con l’altra stringeva l’elsa, in procinto di sguainare l’arma. Aveva in viso un sorriso soave, il più angelico che avesse mai visto. Era a guardia dell’ultima sala, quella in cui lui intendeva mettere piede. Abbassò lo sguardo in cerca della sua scritta, ma sulla base non vi era inciso nulla.
   La risposta è dentro di te. Scorre nel tuo stesso sangue.
   Era stato un suo pensiero? Eppure, aveva sentito come se fosse stato qualcuno a sussurrarglielo. Volse lo sguardo verso le quattro ragazze e le vide sparse per la sala. Sembrava non avessero udito nulla. Pose lo sguardo sulla statua del giovane guerriero.
   «Capo, è tutto a posto?» Cytisia aveva notato qualcosa di strano nel suo atteggiamento. Aspettò che le dicesse qualcosa, ma in cambio non ricevette altro che un lieve cenno della testa.
   «Xante, abbiamo scansionato tutta l’area», Bromelia aveva chiamato l'uomo per riferirgli le loro informazioni «Riuscite ad analizzare le nostre immagini? Rilevate qualcosa di sospetto?».
   «È tutto a posto, Bromelia. Ma altrove abbiamo visite».
   Sui suoi occhiali vide proiettata l’immagine di Serena intenta a combattere con le Reclute. Strinse i denti. Si girò verso Elisio e lo chiamò.
   «Capo, abbiamo un problema», comunicò.
   «Che cosa c’è?» chiese.
   Improvvisamente il pavimento cominciò a tremare. Le pietre che decoravano la parte sovrastante della sala cominciarono a brillare di una strana luce.
   Platan stringeva il foglio elettronico tra le dita mentre osservava in silenzio la lotta che Serena continuava a mandare avanti nonostante lo svantaggio. Era riuscita a sconfiggere cinque Reclute, ma ve ne erano ancora di più che aspettavano di potersi beffare della ragazzina sfoggiando gli attacchi dei loro Pokémon brutali. Doveva stare attenta.
  Inoltre vi era il rischio che le pietre si attivassero. Strinse il foglio con più forza, la sua mano tremava per lo sforzo. La relazione era lì, era sotto alle sue dita. E non c’era verso che Elisio avesse potuto avere accesso ai suoi file, si era assicurato di mettervi la protezione più alta che vi fosse. Erano invalicabili, inaccessibili. Nessuno oltre a lui avrebbe potuto mettervi mano. Tuttavia era anche vero che per Elisio la tecnologia non aveva segreti, dopotutto era uno dei massimi esperti nel campo. Avrebbe potuto facilmente decodificare la barriera e...
   Che cosa stava pensando? Elisio non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non a lui. Eppure aveva paura, in quel momento era disperatamente dubbioso delle proprie sicurezze.
   Elisio non è un mostro, si disse. Elisio non è una belva.
   Udì nelle orecchie il ringhio agghiacciante che gli aveva sentito gridare in quel sogno, rivide le sue mani e i suoi occhi ricoperti di sangue. Le croci che inesorabilmente si sfracellavano al suolo fischiavano assordanti nelle sue orecchie. Scosse la testa. No, lui non era ancora così, non lo era!
   Allora come aveva potuto sapere che erano proprio quelle pietre ad alimentare e quindi a mettere parzialmente in accensione l’Arma Suprema? Chi gliel’aveva detto? Come aveva scoperto che esse erano in grado di assorbire l’energia prodotta dai Pokémon per canalizzarla all’interno di quella macchina infernale? Come? Come?
   Vide le pietre che componevano il Percorso cominciare a brillare di una luce soffusa.
   «Merde!» gridò alzandosi in piedi e guardando la scena col fiato spezzato.
   «Professore, cosa sta succedendo?» chiese Sina: nella sua voce era forte la paura.
   La paura, nera, che rende tutti ciechi e pietrifica ogni pensiero, ogni azione che il corpo vorrebbe compiere per salvarsene.
   Serena era alle strette, ormai. Presto avrebbe ceduto.
   «Non ti sei ancora arresa?» le chiese sogghignando la ragazza che era appena giunta come sua prossima sfidante.
   «Non mi arrendo! Non mi arrendo!».
   «Allora vediamo come reagisci a questo. Mightyena, vai con Morso!».
   La iena si gettò contro il piccolo pulcino, rimasto ormai solo a fronteggiare il pericolo. Lo avrebbe divorato, non aveva via di scampo.
   «Goomy vai e proteggi Torchic!» Shana non riuscì più a contenersi e decise di prendere parte alla lotta, nonostante non fosse del tutto corretto. Ma poteva avere voce in capitolo la correttezza di fronte ad una banda di criminali? La ragazza si pose accanto a Serena e le rivolse uno sguardo fiducioso, chiedendole di confidare in lei e nel suo aiuto.
   Dopo aver visto la scena, Elisio si mosse rapidamente verso il piedistallo. Non c’era altro tempo, bisognava agire immediatamente. Quella ragazza rischiava di rovinargli i piani un’altra volta e non poteva permettersi di fallire di nuovo. La perlustrazione lungo la Strada dei Menhir poteva definirsi compiuta: ora il senso di quelle pietre era chiaro. Le guardò brillare ancora sul soffitto. Erano tutte collegate, non c’erano dubbi. L’alta concentrazione di energia che si registrava in entrambe le zone non lasciava incertezze sulla funzione di quelle costruzioni. Esse erano la chiave di alimentazione dell’Arma.
   Prese il carillon e lo pose sul piedistallo.
   Sei ancora in tempo per rimediare alle tue azioni, se lo vuoi.
   Alzò lo sguardo e incontrò quello del giovane guerriero. Gli stava sorridendo con compassione. Si sentiva dannatamente osservato e messo sotto esame, scrutato come la misera cavia di un esperimento. Ma non avrebbe ricacciato la sua decisione. Per quel mondo, ormai, non vi era altra speranza se non quella di vedere la luce dell’Arma Suprema.
   Caricò il carillon e lo lasciò suonare.
   Come per incanto non vi fu più alcun tremore. La luce delle pietre cominciò a diradarsi. La musica si diffuse nei sotterranei e poi all’esterno, dentro Cromleburgo e nelle sue vicinanze.
   Serena si guardò attorno, interdetta. Così fecero anche Shana e le Reclute, persino i Pokémon osservarono in giro con diffidenza.
   Era una musica lieve, melodiosa, dolce. Eppure, in tutta quella bellezza, non si poteva fare a meno di percepire una nota malinconica e triste. Una dannazione fatale.
   Platan rimase in ascolto. Riconosceva quelle note. Lentamente gli ritornavano alla memoria. Dentro di sé tremava e si dimenava. A nulla gli servì ripetersi che quello era stato solo un sogno. Floette si poggiò fra le sue dita deboli, cercando riparo dal malore che lo stava assalendo. Il Professore lo guardò. Si stava contorcendo su sé  stesso e sul viso aveva un’espressione vuota, carica di terrore.
   La musica terminò.
   Si chinò su Floette per accertarsi che stesse bene, preoccupato dalla sua reazione. A quel punto gli sembrò come se gli avesse parlato: «La porta è stata aperta», aveva detto. Lo osservò sbigottito. Non si prese neanche un attimo per assimilare le ultime immagini, i suoni, le sensazioni.
   Uscì dal suo studio evitando le domande degli apprendisti e corse fuori con andatura irrequieta. Per andare dove, lo sapeva solo lui.
   Le Reclute vennero richiamate tutte quante al Quartier Generale: la missione era terminata e non c’era bisogno di incrinare maggiormente le cose. La ragazza che si era appena battuta con Serena rimandò la sua Mightyena nella Sfera, essendo appena stata mandata allo stremo delle forze dall’ultimo attacco di uno sfinito Torchic. Non appena vide gli uomini allontanarsi, la giovane Allenatrice corse verso di loro, li inseguì con rabbia. Shana le andò dietro, cercando di richiamarla a sé. Oltrepassarono l’entrata del villaggio di Cromleburgo e in una ricerca affannosa che sapeva di caccia si ritrovarono di fronte ai massi che nascondevano l’entrata al covo, credendo di essere in un vicolo cieco, non sospettando di nulla. Shana riuscì finalmente a raggiungere la compagna e la strattonò per le braccia, sforzandosi di farla ragionare. La strinse piano a sé e all’orecchio le sussurrò parole tranquille. Serena si rintanò fra le sue braccia, poggiando la testa sulla sua spalla e respirando profondamente per ritrovare la calma.
   Codardi. Erano dei codardi. Era tutto quello che riusciva a pensare.
   Quella volta ne era uscita da perdente, ma giurò che presto avrebbe avuto la sua rivincita.
 
 
   Quando Elisio fece ritorno a Luminopoli e aprì le porte della buia caffetteria, venne sommerso dal silenzio come quando un’onda nel pieno della tempesta si abbatte contro gli scogli e ne frantuma le pietre. La sala era vuota. Alzò lo sguardo al tavolo che gli era tanto caro e accanto vi vide Platan che lo aspettava, in piedi, taciturno. Fra le sue mani riconobbe i contorni di Floette, raggomitolato su sé stesso e dall’aspetto fiacco, distrutto.
   Incontrò lo sguardo di Platan e rabbrividì. Nel grigio burrascoso dei suoi occhi scorse rabbia, dolore, confusione, paura, indecisione, dispiacere. Il suo viso era contorto in un’espressione indecifrabile, mista di tante sensazioni differenti e contrarie.
   Quello che avvenne dopo rimase fra loro due soltanto, tra quelle quattro mura sorde e rosse come il sangue.
 
 
   Bianco. Dalla finestra non si vedeva altro che quel colore. La tempesta di neve copriva la visuale ed era sollevato in quel momento di trovarsi di fronte al caldo del camino, con una tazza di tè fra le mani. Seduto su una poltrona, osservava gli oggetti che erano all’interno del salone scuro e freddo: erano rimasti gli stessi. Vide la donna che si apprestava a tornare, recando con sé l’oggetto che le aveva chiesto. Posò il carillon sul tavolino ed esso cominciò a intonare una calma melodia.
   Rimasero in silenzio, intenti ad ascoltare quelle note.
   «Nessuno può cambiare le proprie origini. Nessuno può esserne responsabile. Questo tuo padre non l’ha mai capito», disse ad un tratto la donna.
   I loro sguardi si vennero in contro senza che lo avessero voluto. Ad Elisio parve di vedere quegli occhi di ghiaccio sciogliersi lentamente.
   «Tu sai la storia della nostra famiglia. Tu sai che cosa accadde tremila anni fa», continuò lei, riprendendo a sferruzzare con la lana rossa «Tuo padre non l’ha mai accettato. Non ha mai accettato che anche lui, per essersi legato a me, in parte dovesse avere il sangue...».
   «Sporco», tagliò corto con voce affilata «Come il mio».
   «Sangue sporco. Non trovi anche tu che abbia un suono sgradevole? Eppure, per quanto le nostre origini possano essere deplorevoli, non mi sento di rinnegarle. Esse sono pur sempre parte di me, di ciò che sono. Di ciò che ero e di ciò che sarai tu».
   Tagliò il filo del gomitolo con un paio di forbici appuntite. Alzò in alto il suo lavoro tenendolo stretto tra le dita nodose e sottili. Lo osservò con un’occhiata soddisfatta e lo porse al figlio.
   «Vorrei che la tenessi», disse la donna incitando l’uomo a prendere la mantella che aveva appena finito di cucire. Elisio la afferrò e la strinse tra le dita, poggiandola sul suo ventre con delicatezza. La guardò e poi all’improvviso si ricordò. Sollevò lo sguardo verso la finestra imbiancata.
   «Una notte ricordo che ti sei svegliato all’improvviso gridando. Dicevi qualcosa riguardo ad una mantella rossa. Non la trovavi e ti eri messo a cercarla. Dovevi trovarla assolutamente, altrimenti quella persona speciale... No, non volevi terminare la frase. Ancora mi chiedo che cosa stessi sognando. Ho cominciato a cucirla dal momento in cui te ne sei andato. Forse mi aveva presa il rimorso per...».
   Il ghiaccio aveva cominciato a sciogliersi e scendeva in piccole gocce di vetro lungo le sue guance. La donna guardò Elisio e serrò le labbra amaramente.
   «Non sono mai stata una brava madre. Ma vorrei che tu tenessi quella mantella. Dalla a quella persona, fanne ciò che vuoi. Prendila. E adesso, ti prego. Vattene».

  
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