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Autore: Asuna_Yuuki    17/06/2015    2 recensioni
"I Ragnarǫk indicano, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato."
Come potete ben immaginare, la storia sarà basata sulla mitologia nordica, in particolare quella vichinga. Mi sono documentata prima di iniziare a scrivere, ma naturalmente non sarà perfettamente coerente con la vera e propria tradizione scandinava.
La storia è incentrata sulle vicende di Rena, una giovane elfa delle tenebre, che dopo un gesto eroico verrà esiliata dal suo regno di origine e si ritroverà obbligata a iniziare una nuova vita, o meglio, a sopravvivere nel regno dei suoi nemici: gli elfi della luce. L'esilio di Rena si rivelerà in realtà una fortuna inaspettata per tutti e nove i mondi, in quanto detentrice di un oscuro segreto, di cui sono al corrente solo gli abitanti della sua terra e altri popoli altrettanto malvagi e subdoli, che si ritroveranno allo stesso tempo ingannatori ed ingannati.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi auguro una buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8.
(Eydis)
 
La decisione di recarmi ad Alfheim fu presa con la consapevolezza che non sarei probabilmente tornata indietro. Lord Einar aveva ordinato che Rena venisse riportata a Svartalfaheim per subire una dura punizione per l’uccisione di una guardia che l’aveva scortata all’ingresso dell’Yggdrasil. Bastava un volontario che portasse un messaggio al palazzo di Lord Dain, ma nessun soldato era disposto a farlo, in quanto temevano di venire uccisi a vista o imprigionati dai soldati Liosalfar. Dopotutto, era così che spesso finivano i messaggeri degli elfi della luce, sebbene io ritenessi che fosse disonorevole punire un messo solo perché appartenente ad un’altra razza. Con il mio “lo porterò io” pronunciato davanti al sovrano avevo accettato una missione suicida, in quanto ero sicura che non sarei stata ricevuta bene dai Liosalfar, vista l’accoglienza che noi riservavamo ai loro ambasciatori. Meglio io che altri, dato che non mi era rimasto più nessuno. L’ultimo ad andarsene era stato mio fratello, fuggito un anno prima. Magari l’avrei anche incontrato di nuovo. Ci misi molto a varcare la soglia che dal tronco cavo dell’Yggdrasil conduceva ad Alfheim: ebbi mille ripensamenti prima di compiere il passo decisivo, affrontato con grande paura. Emisi un lieve mugolio quando venni travolta dal bagliore folgorante del sole e istintivamente mi coprì con un braccio, voltando il viso altrove. Non ero avvezza alla luce, perciò dovetti abituare i miei occhi a sopportarla. Il sollievo che provai quando mi addentrai nella foresta è indescrivibile: la penombra permise ai miei occhi di vedere senza che lacrimassero o bruciassero per la sensazione inusuale. Diedi uno sguardo al rotolo di pergamena sigillato con la ceralacca che mi era stato affidato e lo avvicinai alle narici per inalare il familiare odore di zolfo, rimpiazzato da un aroma dolce proveniente dai vari fiori. Il sentiero sul quale stavo camminando mi sembrava la via più sicura per raggiungere la cittadella centrale, in quanto non volevo azzardare ad addentrarmi nel bosco senza avere un percorso da seguire. Mentre proseguivo sulla stradina, un animaletto dalle lunghe orecchie si avvicinò a me saltellando e si fermò a pochi centimetri dai miei piedi, accostando il musetto ad essi. Inorridita, feci qualche passo indietro per evitare il contatto con la bestia, che mi osservava incuriosita.
 
-Vattene.- bisbigliai, puntando contro di essa la sottile spada di cui ero dotata. Alla vista dell’arma, o almeno così credevo, lo strano esserino fuggì a lunghi e rapidi salti, finchè non sparì completamente tra i cespugli.
 
-Bravo, fuggi!- esclamai, riponendo la lama nel fodero con una risata divertita –Codar- -
 
Le mie parole furono bruscamente interrotte da un grido grottesco alla mia destra. Mi voltai di scatto in quella direzione, abbastanza rapidamente da accorgermi di una picca che mi era stata scagliata contro. Riuscì a evitarla chinandomi e compiendo una capriola in avanti. “Chi è stato?” pensai spaventata.
 
-Buon pomeriggio, signorina.- fece una voce di un uomo, proveniente sempre da destra. Era ormai chiaro che fossi stata scoperta. Cercai di mantenere il sangue freddo e, dopo essermi rialzata da terra, portai una mano sul manico della spada. Iniziai a quel punto a guardarmi intorno, cercando di scorgere l’uomo misterioso che aveva parlato. Proprio mentre stavo per gridargli di mostrarsi, un elfo piombò davanti a me dall’alto, segno che era nascosto tra i rami degli alberi.
 
-Che grande coraggio, quello di attaccare una donna alle spalle.- commentai, estraendo nuovamente la spada dal fodero e puntandola verso il nemico. Come mi aspettavo, non ero stata accolta in maniera ospitale. Nonostante appartenesse al popolo dei Liosalfar, l’elfo aveva tutta l’aria di essere un semplice ladruncolo e non certo un soldato: il viso era lercio, così come i suoi capelli e l’abbigliamento povero. Cosa avrebbero potuto rubarmi? Non portavo neanche un soldo con me.
 
-Pensi che a noi importi qualcosa?- ribattè quello, sfoggiando un sorriso irritante e beffardo, mentre osservava senza pausa la lama che gli puntavo contro.
 
“NOI?” fu il primo pensiero che percorse la mia mente. L’uomo non solo aveva avuto l’ardire di attaccarmi alle spalle, era anche in gruppo. La mia sicurezza vacillò, ma rimasi là, con la consapevolezza che a scappare sono solo i codardi. E io non sono mai stata una codarda. L’orda di Liosalfar che mi aggredì contava più o meno sette persone, tutte armate fino ai denti e assetate di sangue. Fortunatamente erano tutti individui non imponenti fisicamente, motivo per il quale ero quasi sicura che li avrei schiacciati come vermi.
 
Ovviamente non fu così. Ognuno di essi era un abile spadaccino, non alla mia altezza, ma ci misi molto per atterrare un membro del gruppo di ladri, trapassandogli l’addome con la mia lama sottile. L’uomo trafitto cadde a terra in ginocchio, crollando successivamente mentre sputava fiotti di sangue denso. Nonostante questa mia piccola vittoria, ero sicura che non sarei riuscita a scampare alla morte. A sostenere la mia tesi, proprio in quel momento uno dei delinquenti mi ferì di struscio il braccio sinistro, provocando un bruciore insopportabile alla zona colpita. Altri due borseggiatori si schiantarono al suolo con la gola tagliata, dalla quale continuò a zampillare il liquido rosso anche per qualche secondo dopo la loro morte. Contavo numerose lesioni alle gambe, qualcuna al braccio sinistro e un paio alla spalla destra, le quali mi impedirono di dare il massimo durante lo scontro. Nel momento in cui riuscì a provocare un profondo taglio lungo l’intero torace di uno dei banditi, si accese in me un barlume di speranza: forse sarei riuscita a sopravvivere. Questa misera scintilla venne brutalmente soffocata dall’uomo che mi era apparso davanti per primo, quello che immaginavo fosse il capo: la sua sciabola mi trapassò la spalla sinistra e pregai che con lei non avesse trafitto anche il cuore. Il dolore che ne seguì fu tremendo e lanciai un grido straziante quando estrasse la lama intrisa dal mio sangue, che gocciolava al suolo, mischiandosi con la terra. Prima di crollare in ginocchio, portai istintivamente una mano all’altezza della ferita, coprendola invano con essa.
 
-Hai un ultimo desiderio?- domandò l’uomo, avvicinando pericolosamente la lama alla mia gola –Non che mi interessi più di tanto, ti ucciderò comunque.-
 
-Vai all’inferno.- sussurrai tra i denti, che tenevo stretti tra di loro per evitare di versare lacrime di dolore.
 
L’uomo si girò verso i compagni superstiti, scoppiando in una fragorosa risata, come se trovasse le mie parole divertenti. Quanto avrei voluto stroncare quegli sghignazzi. Dopo aver riso per un po’, portò le mani tra i miei capelli, tirandoli in modo che portassi la testa indietro, lasciando la gola ulteriormente scoperta.
 
-Temo di non poter soddisfare questo tuo desiderio.- rispose l’uomo, premendo con la sciabola contro l’arteria gonfia per lo sforzo all’interno della mia gola. “E’ finita.” pensai, strizzando gli occhi per evitare di guardare.  
 
-Io invece si.- fece qualcuno alle mie spalle. Non feci nemmeno in tempo a girarmi, che l’uomo davanti a me stramazzò suolo di schiena, col cranio trafitto da una freccia. Pochi secondi dopo i due superstiti fecero la medesima fine, per mano dello stesso arciere misterioso. “Sono venuti a salvarmi” dissi tra me e me sorridendo appena, ma lo sforzo del mio salvatore era stato vano: avevo perso un’enorme quantità di sangue e la sensazione di debolezza divenne a tal punto insostenibile che mi accasciai di fianco chiudendo le palpebre divenute ormai pesanti. I suoni che udii poco dopo giunsero ovattati e confusi alle mie orecchie e mi sentii sollevare e caricare in spalla da qualcuno, quasi sicuramente l’uomo misterioso. Poi non percepii più nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Dai svegliati, devi mangiare qualcosa.-
Fu la prima cosa che udii quando ripresi conoscenza. Lentamente riaprii gli occhi, sbattendo rapidamente le palpebre per mettere meglio a fuoco ciò che mi trovavo davanti: ero in una piccola stanza dalle pareti di legno e dal soffitto alquanto basso. Le finestre erano piccole e poche di numero e dato che doveva essere notte inoltrata, a fare luce era un fuoco scoppiettante all’interno del camino di mattoni. L’arredamento era povero e semplice: davanti al camino erano posizionati un divano, un tappeto ricavato dalla pelle di un qualche animale, e un tavolino, mentre a una delle pareti lignee erano addossate un paio di librerie dello stesso materiale, ricolme di libri. Al muro opposto invece erano attaccate una serie di armi, tra cui due archi, una balestra e tre spade di diversa forma. Non sembravano di ottima qualità, perciò ipotizzai che fossero antiquate o costruite dallo stesso proprietario. Io ero sdraiata su quello che aveva tutta l’aria di essere un letto, anche se non era dei più comodi. Seduto alla fine del materasso, c’era un elfo che teneva una scodella in mano. I suoi capelli ricci erano di un castano piuttosto chiaro, tendente al biondo cenere, e i suoi occhi erano un misto tra il verde muschio e una delicata sfumatura di marrone. Lo osservai con diffidenza, non sapendo se fidarmi o meno. Da una parte mi aveva salvato la vita, ma dall’altra rimaneva pur sempre un Liosalfar. Perché avrebbe voluto aiutare una sua nemica?
 
-Chi sei?- domandai, provando a mettermi a sedere. Quell’improvvisa mossa mi provocò un immenso dolore a tutte le ossa e trattenni un lamento serrando le labbra tra di loro.
 
-Ehi, ehi. Stai ferma.- fece quello, posando la scodella che teneva in mano su un mobiletto ai piedi della branda –Così rischi di farti male.-
 
Si avvicinò quindi a me, aiutandomi a sdraiarmi di nuovo senza provare dolore. Diedi uno sguardo alla spalla ferita e mi accorsi che era stata bendata. Tra l’altro la sensazione di bruciore era svanita ed era stata sostituita da una piacevole frescura, provocata probabilmente da una sconosciuta miscela. Non appena l’elfo notò che ero intenta ad osservarmi la spalla si diresse verso il tavolino ed esclamò:
 
-Devo rimetterti la pomata!-
 
 “Ma mi ha presa per una bestiolina ferita?” pensai, un po’ infastidita dal pensiero di essere stata raccolta da terra, medicata e fasciata da un estraneo. Lo scrutai con un briciolo di riluttanza mentre toglieva con delicatezza la benda dalla ferita e scoprii con immenso stupore che questa si era quasi del tutto richiusa. Il ragazzo sorrise soddisfatto, mormorando qualcosa sui miracoli che la sua pomata aveva fatto nel giro di qualche ora poco prima di applicarla nuovamente sulla quasi inesistente piaga. Provai istantaneamente la stessa sensazione di refrigerio quando ebbe finito di stendere la sostanza sulla mia pelle. L’elfo, dopo aver richiuso il piccolo recipiente dove era contenuto l’unguento, domandò:
 
-Come ti chiami?-
 
Alzai subito lo sguardo verso verso di lui, mordendomi il labbro inferiore. “Eydis, ti ha salvato la vita. Credo che dirgli come ti chiami e ringraziarlo sia d’obbligo” pensai.
 
-Mi chiamo Eydis.-
 
Come se non si aspettasse che avrei risposto alla sua domanda, sfoderò un sorriso compiaciuto mentre ricopriva con una benda pulita la lesione. Le sue mani erano grandi, un po’ rovinate e dal tocco incredibilmente delicato: da un uomo della sua stazza ci si aspetterebbe la delicatezza di un gigante.
 
-Io invece sono Frey, sono un cacciatore.- dichiarò l’uomo, tornando a porgermi la scodella che aveva posato precedentemente sul mobile –Avrai tempo per raccontarmi la tua storia, adesso mangia e rimettiti a dormire.-
 
“Agli ordini, generale” dissi tra me e me poco prima di prendere la ciotola tra le mani tremanti per la stanchezza e per la fame. Il contenitore era ricolmo di tutto quello che aveva l’aria di essere brodo di carne. Iniziai a scolare il contenuto attaccando le labbra al bordo della scodella, provando subito una piacevole sensazione di pienezza e calore all’interno dello stomaco. Frey sorrise di nuovo, prendendomi dalle mani il recipiente vuoto. Alzai un angolo della bocca mentre mi raggomitolavo tra le coperte calde, mormorando un “grazie” poco prima di riaddormentarmi di nuovo.
   
 
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