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Autore: HeartSoul97    17/06/2015    2 recensioni
"Alex Watson è una normale diciassettenne londinese, forse solo un po' sfigata, niente di più. I suoi amici? Una ragazza bellissima e dolce, un'allegra libraia e un chitarrista che sogna la fama. Ma i suoi nemici? Uno solo: un ragazzo tanto bello quanto stronzo, che non fa che prenderla in giro, e che abita proprio accanto a lei! Le cose cominciano a precipitare quando una misteriosa lettera giunge alla nostra protagonista..."
Ora, spazio all'autrice. Abbiate pietà, è la primissima storia DAVVERO romantica che scrivo, non ho esperienze su cui basarmi, quindi chiedo umilmente il vostro parere. Opinioni positive ben accette, negative anche di più, perché servono a migliorare. Grazie per l'attenzione, a tutti.
Un'altra cosa: nei vostri commenti potete darmi spunti o consigli su ciò che potrebbe succedere. Vorrei infatti che la storia risultasse anche divertente, ma io non ho molto senso dell'umorismo, quindi imploro il vostro aiuto. Grazie mille.
Vi auguro sinceramente una buona lettura e spero che continuerete a seguirmi.
HeartSoul97
Genere: Demenziale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
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16. A penny for your thoughts
                                                                                                                                                                                    L’ape parassita succhia il nettare
                                                                                                                                                               di cui si nutre la farfalla?
    
                                                

Faccio un grosso respiro e, tremante, busso alla porta. Nell’interminabile minuto che passa prima che Jake venga ad aprire, valuto la possibilità di tornare indietro.
A che servirebbe? Non potrai sfuggire per sempre!
Mi mordo le labbra e cerco di scacciare dalla mia mente l’immagine del bacio di ieri.
Quando finalmente Jake apre la porta, non riesco affatto a decifrare la sua espressione. Anche perché, non appena alzo lo sguardo su di lui, i miei occhi corrono alle sue belle labbra.
«Ciao»
«Ciao».
Restiamo in sospeso, mentre un milione di parole non dette aleggia nell’aria intorno a noi.
«Che… che ci fai qui?» mi chiede, con una strana voce.
«Ah… la Costance ha detto che dovevamo fare un po’ di prove… sai, per la gara…» balbetto, mentre so per certo che le mie guance si stanno colorando di rosso.
Jake fa un passo indietro, invitandomi a entrare.
«Sai, forse è meglio che andiamo a scuola. La palestra, a detta sua, è aperta».
«Per me possiamo restare qui. Tanto i miei non ci sono e per terra c’è il legno» osserva. Forse non è una cattiva idea, rimanere qui. Almeno posso risparmiarmi il viaggio fino a scuola, che sarebbe fonte di altro silenzio imbarazzante.
Mi fa uno strano effetto stargli vicina, dopo ieri. Mi sento tesa e nervosa e non so se quello che dico e faccio è giusto oppure no.
«Allora, ehm… che ripassiamo? Tango, salsa, merengue, bachata…?» azzardo, costringendo i miei occhi a incontrare i suoi.
«Quello che vuoi» mi risponde, lo sguardo ardente. Mi sento in soggezione.
«Allora po-possiamo fare un po’ di tutto, okay?». Fa spallucce, gli occhi fissi nei miei.
Uno sguardo che non riesco a sostenere a lungo.
Quando cominciamo ad accennare qualche passetto di tango, trattengo il respiro. Stargli così vicina non mi fa bene. Anzi, il suo profumo mi sta mandando letteralmente fuori di testa e quelle labbra, santi numi, dovrebbero essere illegali.
Oh, andiamo! Comportati normalmente!
Non è ciò che sto facendo?
Diciamo che questo non rientra nella definizione di “normale”.

Sono talmente presa dal mio assurdo dialogo interiore che non mi accorgo quasi che Jake mi sta parlando.
«Senti, per ieri…». Alzo la testa di scatto, pronta a intervenire. «Volevo dirti che mi dispiace…». Comincio a scuotere la testa.
«No, figurati, è a me che dispiace, tu non c’entri assolutamente niente…»
«No, invece, è colpa mia, mi sono comportato da idiota»
«Era solo un gioco…»
«Avrei dovuto accompagnarti a casa, Alex. Se ti fosse successo qualcosa…». Sono sbalordita. Era a questo che si riferiva? Sul serio?
Nel suo sguardo, però, vedo che è davvero dispiaciuto. Sembra che la cosa lo faccia stare male sul serio.
«Ma no… e poi ero con Momo…»
«Non si può mai sapere cosa può succedere per strada».
Non rispondo, cercando di decifrare le sue parole, e continuiamo a ballare, lentamente – altro che tango, sembra più un lento, una sorta di ballo della mattonella. Rimaniamo così per quelle che sembrano ore, timorosi perfino di respirare, di avvicinarci.
«Sul serio, se fosse successo qualcosa… non me lo sarei mai perdonato, Alex».
Lo guardo stupita. Da quando avrebbe assunto il ruolo di mio protettore? Glielo dico, sciogliendomi dalla sua stretta.
«Guarda che non sei il mio protettore, sai».
Ma lui mi guarda, frustrato ed arrabbiato allo stesso tempo, ed esplode.
«Tu non… non capisci, Alex. Non capisci quanto tu sembri fragile, ai miei occhi. Non riesco a non pensare… che non sono l’unico che potrebbe accorgersi della tua fragilità. Divento matto, Alex» continua, mentre io indietreggio, spaventata «se penso che qualcuno potrebbe approfittarne».
Rimango di stucco per alcuni minuti mentre lui cerca di riprendere fiato, coprendosi il viso con le mani; da uno spiraglio delle sue dita vedo i suoi occhi e vi leggo già il pentimento per essere esploso a quel modo.
Sento la rabbia montare.
«Stai dicendo che mi vedi solo come una fragile creatura da proteggere?». Cosa pensa, che non sono in grado di difendermi da sola?
«Non ho detto questo, e lo sai. Sai difenderti benissimo – le tue parole feriscono più delle spade. Ma…» rimane in sospeso, scuote la testa e mormora un «lascia stare» malinconico e surreale. Ma stavolta non demordo.
«No, adesso ti spieghi e anche con precisione».
Lui sospira, frustrato. «Va bene» dice infine; i suoi occhi grigiazzurri sono così arrabbiati e frustrati e così impotenti che quasi mi pento di averlo costretto. Quasi.
«Ero angosciato, terrorizzato al pensiero che qualcuno potesse farti del male. Ma è colpa mia. Pensavo che fossi fragile perché io sono stato in grado di ferirti; e non immagini neanche quanto questo mi faccia stare male». Chiude gli occhi e stringe i denti, trema da capo a piedi. «Tu non hai neanche la più vaga idea… del colpo che mi hai fatto prendere quella volta, tu da sola contro quei maledetti figli di puttana, non hai idea… e io lo so che sei una roccia, ti sai difendere a pugni e a parole, tiri fuori denti e artigli quando devi, ma… io non ci riesco, Alex. Non riesco a comportarmi normalmente quando ci sei di mezzo te». Riprende fiato, passandosi le mani sul volto. Sembra esausto.
Sono sinceramente confusa. Perché? Perché mi tratta come l’ultimo zerbino del pianeta per anni e poi mi parla così? Perché deve mettermi nella condizione di perdonarlo, anche se alla mia testa fa comodo avere qualcuno a cui dare la colpa?
Non so cosa fare per uscire da questa situazione, o meglio, per scappare via. Sono troppo codarda per affrontare questo discorso ora. Così mormoro un flebile «mi dispiace» e fuggo di corsa a rifugiarmi nella mia camera.

Il giorno dopo, a scuola, fisso il muro senza guardarlo davvero, con le parole di Jake che mi rimbombano in testa. Cosa voleva dire? E soprattutto, perché farmi questo discorso ora? Non ha senso.
Nei corridoi evita il mio sguardo, perlopiù, e io evito il suo. Cosa posso fare?
I sensi di colpa mi assalgono, ardenti e dolorosi.
«Certo che sei proprio stupida, Alex…» mi dice Momo quando le dico ciò che è successo.
«Si è scusato con te, e non solo: ha dichiarato apertamente che non riesce a starti lontano. Era l’occasione perfetta per mettere le cose in chiaro e tornare a essere amici dichiarati. Hai fatto una stupidaggine a scappare via». Il suo tono è obbiettivo e non mi consola affatto, anzi mi fa sentire ancora più stupida.
Nascondo la testa nelle braccia, sul banco.
«Lo so…» dico, con la voce attutita dai capelli.
Mi poggia una mano sulla testa.
«Senti, io non so come aiutarti. Se tu sei la prima a non voler trovare un modo di riconciliarti con lui, io non posso farci niente. Devi trovare innanzitutto in te stessa il coraggio di affrontarlo. E sì, coraggio, perché se scappi così sei una codarda, Alex».
Non ho il coraggio di alzare lo sguardo. Perché è la voce della verità? Preferisco darmi della codarda da sola, perché sentirselo dire non è proprio piacevole.
La campanella suona.
Cosa devo fare? Continuo a chiedermi, senza trovare una risposta.
Con tutto quello che è successo tra noi, questa stupida storia del ballo, quel bacio disperato, come devo agire?
 
Alle prove, la Costance fa un annuncio che aspettavamo da tempo.
«La gara sarà tra quattro settimane esatte». Un mese. Un mese per imparare la coreografia, che oggi ci mostra.
Abbiamo quattro minuti e mezzo di musica da riempire, e oggi ne proviamo una parte. Devo fare la spola tra Jake e Ludvig di continuo, e non sono sicura che mi piaccia. Anche perché non ho il coraggio di guardare in faccia Jake, dopo ieri. E l’altro ieri. Possibile che non sia in grado di creare altro se non casini, con questo qui?
Ripetiamo la prima parte della coreografia fino alla nausea. Quando questa storia finirà, sarò la persona più felice del mondo. Non dovrò più stare vicino a Jake, se non lo voglio. Solo un mese.
 
Dopo le prove, rimango come al solito con Ludvig a continuare a provare. Ripetiamo le solite coreografie di merengue, salsa e bachata che abbiamo fatto la scorsa settimana, tanto sono le stesse per tutte le coppie in gara. Sono troppo pensierosa per rilassarmi e così lo è lui.
Mi chiedo a cosa stia pensando.
«Un penny per i tuoi pensieri» gli dico infatti. Mi guarda un po’ spaesato.
«Sai, qui si dice così per dire “ti vedo pensieroso e ti offro la possibilità di parlarne”. Parla pure, io ti ascolterò».
Mi guarda, leggermente sospettoso. Vedo l’indecisione nei suoi occhioni blu.
«Sediamoci un attimo».
Si mette a gambe incrociate e io lo seguo, rannicchiandomi con le ginocchia strette al petto.
«Sono preoccupato, tutto qui» dice a fatica.
«Per cosa?» chiedo, sinceramente sorpresa. Mi è sempre sembrato così sicuro, senza mai un’ombra a guastargli la giornata.
«Per te» dice di getto. Rimango senza parole per un attimo, ma prima di poter dire qualcosa Ludvig riprende a parlare.
«Senti, io non lo so cosa è successo tra te e O’Brian, non te l’ho mai chiesto e non vorrei chiedertelo, ma vedo che c’è un problema tra voi».
«Ma non c’è nessun problema…»
«E io sono la regina delle fate. Andiamo, Alex, si vede lontano un miglio che c’è. Il vostro comportamento vi tradisce. Non vi comportate affatto come due sconosciuti che sono finiti per caso in questa situazione, né tantomeno come due amici. Vi comportate più come due che hanno litigato, e di brutto, anche». Il suo tono è sicuro, deciso.
Sospiro.
«Eccellente spirito d’osservazione» dico con un filo di voce.
«Sai, non è difficile. Basta osservarvi mentre ballate».
Al mio sguardo sorpreso, risponde molto semplicemente. «Dal modo in cui una persona balla si possono dedurre molte cose. E tu sei… spaventata, Alex. Hai paura di qualcosa e non ti fidi di lui».
Non replico. È così evidente?
«Non riesci a lasciarti guidare da lui, mentre ballate. Hai paura di lasciarti andare. Quando balli con me, sei molto più rilassata, nonostante io ai tuoi occhi possa essere un giudice ben più severo di quanto possa esserlo lui».
Ammutolisco del tutto.
«Ascoltami. Ti ripeto che io non ho idea di quello che può essere successo tra voi due, ma devi imparare a non pensarci mentre ci balli. Devi rilassarti. Come quando sei con me. Perché alla gara ci sarete tu e lui a ballare, principalmente, e io non posso aiutarti. Lo so che è spaventoso lasciare che sia qualcun altro a guidarti e fidarsi non è facile, specialmente perché ho capito che tu non riesci a fidarti di lui. Ma ti prego, provaci. Non lo dico per la gara ma per te, per renderti più tranquilla e sicura anche quando ti muovi in questo territorio che per te è quasi sconosciuto».
Mi guarda con sincera preoccupazione.
Sono sull’orlo delle lacrime, ma le caccio indietro. Mi sembra impossibile che ci sia qualcuno che mi osservi e si preoccupi così tanto per me. Agisco d’istinto, avvicinandomi a lui, e lo abbraccio, sussurrandogli un “grazie” all’orecchio.
 
Nei giorni che seguono cerco di seguire il consiglio di Ludvig ma diamine, è difficilissimo. Cerco di rilassarmi, di lasciarmi andare al ritmo della musica senza pensare a ciò che è successo tra me e Jake, ma mi basta guardarlo in quei suoi dannatissimi occhi grigiazzurri per mandare tutti i miei sforzi a farsi friggere.
Ludvig aveva ragione: sono spaventata. Spaventata da morire. Anche perché non sono riuscita a chiarire con Jake, e questo stato indefinito mi mette un’agitazione pazzesca.
Ammettere questa paura è difficile persino con me stessa, non so come combatterla. Come posso combattere la paura di fidarmi di una persona che già una volta mi ha tradita? Non posso. Non pensare più a quello che è successo non mi basta per ritornare a fidarmi.
 
Venerdì pomeriggio faccio le solite prove con Ludvig, ma c’è una strana atmosfera che non saprei definire. Mi ricorda un po’ quella che si era creata a St. James’s Park quella volta, ma archivio tutto come pura suggestione.
Riprendiamo tutto ciò che abbiamo fatto, tutte le coreografie – bachata, salsa, merengue e tango, con la musica e senza musica. Sono esausta. Finiamo anche un po’ prima del previsto, quindi ci mettiamo a chiacchierare.
«Va meglio?» mi chiede, vedendomi tranquilla e non pensierosa come lunedì.
«Molto».
«Guarda che se menti ti scopro subito».
Gli giuro che sto benissimo, ma lui non vuole sentire ragioni e mi fa mettere nella posizione di partenza, sfiorandomi le braccia con le mani, stavolta serio.
«C’è ancora un po’ di tensione. Dovresti trovare un modo per essere meno tesa».
«Ma non sono tesa»
«Il tuo corpo dice il contrario».
Sbuffo sonoramente. «Più che provare a rilassarmi, non so cosa inventarmi».
Ludvig ci pensa su qualche minuto.
«Quanto tempo è che non ti eserciti con gli occhi chiusi?» mi chiede.
«Un po’, in effetti» rispondo, intuendo dove vuole andare a parare.
«Potrebbe aiutarti a sbloccare te stessa e, di conseguenza, trovare la fiducia nel tuo partner. E poi è un buon modo per ripassare le coreografie».
Così finisco di nuovo bendata.
Riproviamo alcuni passi, e mi costringo a fidarmi. Anche perché altrimenti cado.
Seguirlo mi viene naturale, o quasi. La paura di cadere c’è sempre, ma so, nel mio cuore, che lui non lascerà mai che accada. E poi, c’è il suo profumo a guidarmi.
Ma all’improvviso si affievolisce, fino a svanire del tutto. Sento appena i suoi passi di gatto allontanarsi.
Sento l’angoscia montare, ma non le permetto di prendere il sopravvento. Soffoco l’istinto di togliermi la benda o di chiamarlo, sento che mi sta mettendo alla prova. Vuole sapere quanto mi fido?
Volto la testa di qua e di là, cercando di captare il minimo rumore, ma niente. Solo il suono ritmico della tubatura che gocciola al lato destro della palestra.
Poi, d’un tratto, il profumo ritorna e i miei muscoli tesi si rilassano. Giurerei che Ludvig è proprio di fronte a me.
Poggia la sua fronte sulla mia.
Posso sentire il suo respiro all’unisono con il mio.
Sento uno strano calore nello stomaco, come se delle mandrie di gnu impazzite stessero giocando a lacrosse.
E poi preme le sue labbra sulle mie.
È un bacio dolcissimo, quasi timido, e breve. Non ha nulla della disperazione di Jake, solo una nota d’incertezza, di timidezza.
Una porta sbatte in lontananza.


Momo – Help

Guardo stupita dallo spioncino della porta. Cosa ci fa qui Jake O’Brian all’ora di cena? Come sa dove abito, soprattutto?
Apro la porta senza trattenere un’espressione sorpresa, ma prima che possa dire qualcosa, lui mi blocca con un gesto della mano.
«Non dire niente, per favore. Ti chiedo solo di ascoltarmi».
Ammutolisco, presa alla sprovvista.
«Immagino che Alex ti abbia detto tutto riguardo a quanto è successo domenica. Non fare quella faccia, sei la sua migliore amica, è ovvio che te l’abbia detto» dice, prima che io possa aprire bocca. Alla fine annuisco.
«Bene». Si guarda intorno, agitandosi come un animale in gabbia. Per fortuna che i miei hanno entrambi il turno all’ospedale, stasera.
«Si può sapere che succede? È successo qualcosa ad Alex?» trovo il coraggio di chiedere.
«No, non proprio… cioè, dipende dal punto di vista» dice. Avverto con chiarezza la sfumatura rabbiosa della sua voce.
«Sii più chiaro, per favore. Cosa diamine è successo?» chiedo ancora, con un tono che non ammette  repliche.
«Ero andato a scuola. So che Alex rimane un po’ di più e prova con quell’Ohlsson del cavolo»
«Chissà perché, mi sembri leggermente geloso»
«Certo che no. E non interrompermi» sbotta, mentre io confermo mentalmente l’ipotesi della gelosia. «Insomma, volevo parlare con lei e non potevo aspettare che tornasse a casa, o mi sarebbe sfuggita di nuovo come sabbia tra le dita. Vado a scuola e confido che abbiano finito quelle loro dannate prove, e cosa vedo?» sbuffa guardando il soffitto, la sua rabbia è percepibile da fuori.
«Cosa vedi?» chiedo, cercando in qualche modo di aiutarlo a spiegarmi la situazione.
«La stava baciando».
Trattengo a stento un “COSA?” più che sorpreso.
Stringe i pugni. Devo ammettere che comincio ad avere paura della sua rabbia, ma in realtà ha lo sguardo ferito, mi dispiace per lui.
«Scusami ma continuo a non capire perché sei venuto a dirmelo» gli dico.
«Perché sei l’unica che mi può aiutare».



***
Angolo autrice
Sono viva!
Non riesco a esprimere a parole quanto sia dispiaciuta per la lunga, lunghissima assenza. Sono davvero mortificata e spero che non accada di nuovo, anche perché con l’estate avrò più tempo per scrivere. E questa storia, dopo due lunghi anni, si avvia alla fine.
Un grazie speciale a tutti coloro che non hanno mollato e hanno continuato a seguirmi, in particolare gently89 che mi ha dato una nuova motivazione per andare avanti (grazie mille! :D).
Grazie a tutti coloro che hanno recensito/preferito/seguito/ricordato, siete fantastici!
E ora… ci vediamo al prossimo capitolo, ma giuro che questa volta non dovrete aspettare nove mesi. Cosa starà architettando Jake?
Scusate ancora e… stay tuned!
-H


 
  
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