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Autore: Nurelnico    17/06/2015    4 recensioni
Newton Creek, una piccola città del South Dakota, dove forse le persone sanno più di quello che vogliono dire. Mentre Ryan e Victoria cercheranno di trovare le risposte ai loro dubbi, tra bugie, rapimenti, incomprensioni e paura, la storia ruoterà intorno ad un circo abbandonato nella zona di Hampton, nella periferia della città, che forse non è poi così abbandonato come si credeva da tempo, ma è il luogo ideale per nascondere qualcosa di importante ed evitare che qualche ficcanaso vada a curiosare.
Però la curiosità è una brutta bestia, soprattutto se alimentata dalla speranza.
Dal capitolo 2 "«anzi, non è bene neanche che vi siate incrociati. Devo gestire meglio gli orari» disse sedendosi sulla poltrona come tante altre volte."
è il mio primo esperimento, quindi vorrei avere dei commenti da voi lettori su come migliorare. Spero che vi piaccia e che con il passare dei capitoli vi appassioni.
Dal capitolo 3 "Salì e partì facendo stridere gli pneumatici sull’asfalto.
-Devo assolutamente tornare a casa.-"
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il dottor Luther Bennett era l’unico psicologo della città di Newton Creek, una piccola frazione appena fuori Aberdeen. Aveva scelto deliberatamente un posto un po’ fuori mano in modo da poter evitare le eccessive pressioni legate alla vita caotica delle città americane; la sua infanzia a New York era stata più che sufficiente a fargli comprendere che non si sarebbe mai abituato a correre per prendere la metro o al numero di turisti che giravano con le cartine e i nasi per aria, indicando quel monumento o quel museo.
Tutti i suoi conoscenti e i suoi parenti gli chiesero come mai un brillante psicologo, nonché un bell’uomo di soli trenta anni dovesse trasferirsi proprio in un posto simile per lavorare, quando le opportunità erano così tante, ma lui rispondeva sempre allo stesso modo: «Un luogo tranquillo aiuta quanto una buona terapia».
Così, impacchettate tutte le sue cose, partì lasciandosi tutto alle spalle per ricominciare da zero in un posto nuovo e la vista di cui godeva dalla vetrata del salone era stata un’accoglienza migliore di quanto si fosse mai aspettato.
La sua casa era ulteriormente in periferia, appena al limitare di un piccolo bosco che la vetrata inquadrava in tutto il suo splendore, con tutti quegli alberi così maestosi che offrivano rifugio a numerosissimi animali selvatici.
Adorava quella casa, così come i suoi pazienti. Si vedeva chiaramente quanto molti di loro fossero più sollevati nel trovarsi in un luogo così pacifico e spesso riceveva richieste per appuntamenti da tutto lo stato. Tuttavia doveva sbrigarsi ad annodarsi la cravatta perché a breve sarebbe arrivato Ryan Grent, un ragazzo di ventidue anni che seguiva da quando si era trasferito a vivere da solo a causa di una difficile situazione familiare.
Si guardò allo specchio per controllare che il nodo fosse ben fatto, si diede un’ultima sistemata alla folta chioma bionda e fece giusto in tempo a preparare una brocca d’acqua con due bicchieri prima di sentire il rumore di un’auto che imboccava il vialetto.
Con passo misurato si avviò alla porta e rimase sulla soglia ad attendere il giovane. Lo osservò scendere dalla macchina, una vecchia Camaro nera che forse aveva più anni di entrambi, e prendere un giubbotto di pelle che mise sopra la maglietta bianca.
Sebbene fosse già Aprile, il clima rimaneva ancora fresco, eppure il giovane sembrava non risentirne particolarmente.
«In orario come sempre.» esordì il dottore salutando il ragazzo dai capelli scuri con una vigorosa stretta di mano. «Sa’ bene che la parola “ritardo” non fa parte del mio vocabolario, dottor Bennett.» rispose il ragazzo, mentre lo specialista lo invitava ad entrare e insieme si dirigevano verso il salone, che in quei casi fungeva da studio.
«Sai bene che mi puoi chiamare Luther, Ryan. Non c’è bisogno che ti formalizzi così», rispose l’uomo. «prego, accomodati pure», aggiunse prima di prendere posto su una delle poltrone, mentre il ragazzo preferì come al solito il divano.
L’uomo guardò Ryan con attenzione per alcuni secondi prima di esprimere il suo sospetto.
«C’è qualcosa che ti preoccupa, per caso?» esordì poggiando il mento sulla mano, aspettando che le sue parole facessero effetto sul giovane, che alzò lo sguardo verso il suo terapista, guardandolo direttamente negli occhi.
Ryan fece un respiro profondo seguito da una breve pausa.
«Qualcuno questa mattina è entrato nel mio appartamento». iniziò a raccontare, mentre sentiva il cuore accelerare i battiti al pensiero del potenziale pericolo che aveva corso.
«A quanto pare non ha rubato nulla, perché ho trovato tutto al proprio posto» fece un’altra pausa mentre serrava i pugni, «questo mi fa credere che non fosse un ladro» disse mentre passava il biglietto al suo interlocutore.
Luther ascoltò la breve storia prima di prendere il biglietto dalle mani del ragazzo, visibilmente sorpreso dall’accaduto.
Rigirò il cartoncino tra le mani, notando che era un biglietto per il circo, ben sapendo che quel posto era chiuso da diversi anni. La cosa più interessante, però, rimaneva la qualità innaturale del biglietto: sembrava stampato da pochissimo tempo. Oggettivamente era troppo in buone condizioni per essere un biglietto originale del circo.
Lo psicologo alzò lo sguardo verso il ragazzo «spero che tu abbia già parlato con la polizia di questa storia» disse sperando in una risposta affermativa che non arrivò.
«Ryan, questa è una cosa seria. È necessario che la polizia in-» fu interrotto dal giovane prima che riuscisse a finire la frase.
«Non è questo il vero problema» riprese Ryan, «se fosse stato solo questo, avrei già risolto, ma ho realmente bisogno di parlare prima con lei» si alzò camminando fino ad arrivare alla grande vetrata. «Nel momento in cui questa persona è entrata, ho fatto un sogno molto strano in cui una persona mi parlava proprio del circo» si girò verso lo psicologo «non ricordo molti dettagli di questo sogno, ma ricordo chiaramente di aver visto il tendone e qualcuno che mi diceva che lì avrei trovato le risposte ad alcune domande che non mi ero mai apertamente posto, ma che sono sempre state nella mia mente».
Luther ascoltò attentamente tutto il discorso, ma rimase ancora perplesso dal fatto che Ryan si fosse rivolto a lui prima che alle autorità.
Riusciva comunque a leggere nei comportamenti del giovane quanto questa situazione lo avesse turbato.
«Quindi tu supponi che ci sia un collegamento tra questi due eventi» disse esprimendo ad alta voce le conclusioni a cui era arrivato. «Purtroppo posso aiutarti solo dal punto di vista della mia professione. Possiamo provare a cercare di recuperare qualche ricordo inconscio, ma vorrei che ti rivolgessi comunque alla polizia» disse lo psicologo, guardando intensamente il ragazzo «non fare cose avventate» aggiunse prima che nella stanza scendesse il silenzio.
Il dottore era visibilmente preoccupato per il ragazzo e, ovviamente, credeva alla storia che aveva appena sentito; anzi, non era neanche tra le più strane che gli fosse mai capitato di ascoltare: spesso aveva letto che un rumore reale, così come i pensieri e i desideri, era in grado di influenzare un sogno, di stimolare determinate associazioni.
«Vorrei provare a sottoporti a una breve seduta d’ipnosi» riprese, «credo che così potremo scoprire qualcosa che hai inconsciamente registrato, ma a cui non hai accesso in queste condizioni. Forse potremmo anche trovare le risposte a questi interrogativi» continuò guardando in ragazzo nel modo più calmo e conciliante possibile, per metterlo a proprio agio con la proposta appena avanzata.
Ryan rispose all’occhiata di Luther con uno sguardo carico di sospetto e di diffidenza «Non credo a queste cose, dottore» disse «così come non credo agli UFO, ai fantasmi, alle scie chimiche e al fatto che i vaccini siano la causa dell’autismo nei bambini» continuò con tono critico ma dal momento che non è qualcosa in grado di fare danni permanenti direi che possiamo provare, anche se, come ho già detto, non credo porterà a qualcosa di utile» si allungò sul divano, imitando la classica posa da psicanalisi che aveva visto molte volte nei film. «l’importante è che non mi faccia fare il pollo» disse ridendo alla sua stessa battuta.
Bennett si sforzò di ridere alla battuta, leggermente offeso dall’opinione del ragazzo, tuttavia la sua filosofia era che ognuno poteva pensarla a modo suo, così si alzò e andò ad accendere un grosso impianto stereo facendo partire un mantra tibetano che era utile per stimolare il subconscio e facilitare la terapia ipnotica.
«Adesso ho bisogno che tu chiuda gli occhi e respiri profondamente» disse mentre poggiava le mani sula fronte del ragazzo.
«Lentamente ti sentirai scivolare nel sonno e non devi opporti a questo movimento. Respira e lasciati andare». Con calma guidò il ragazzo in uno stato di trance ottimale per riportare alla luce ricordi nascosti.
«Dove ti trovi, Ryan?» chiese il dottore.
«Sono nel parco giochi, quello in cui andavo da piccolo. Sono vicino all’altalena» rispose lui.
«C’è una persona con me. Stiamo giocando insieme»
«Sai chi è questa persona, Ryan?»
«No, non ne ho idea.» rispose «eppure…» si fermò iniziando a sudare e ad agitarsi.
«Tranquillo, è solo un sogno. Non succederà niente di brutto» rispose lo psicologo provando a tranquillizzare il paziente. «Andiamo avanti fino al sogno che hai fatto la notte appena passata.
Dimmi cosa vedi?» chiese con voce conciliante prima di fare una pausa in modo che il ragazzo potesse passare da un ricordo all’altro «Dove ti trovi, Ryan?».
«Sono in un corridoio. Il pavimento è a scacchi» disse lui con voce flebile «sto camminando fino alla biblioteca» continuò.
«Benissimo» rispose lo psicologo «Senti qualche rumore mentre ti trovi nella stanza? Qualcosa che ti sembra strano?»
Il ragazzo rimase un momento in silenzio, come se stesse realmente in ascolto.
«Sento dei campanelli, come quelli dei cappelli. Sono vicini a me»
«C’è qualcuno con te nella biblioteca?» provò a chiedere lo psicologo.
«Vedo solo l’uomo che mi sta mostrando il tendone, ma sento ancora i campanelli. Sono più vicini» disse il ragazzo iniziando ad agitarsi.
«Non sono realmente con te i campanelli. Sono lontani e non ti possono fare niente» lo psicologo si avvicinò a lui provando a intervenire senza interrompere la trance in maniera brusca.
 «Ryan, concentrati» gli disse «c’è altro che non ti sembra essere congruente con la scena che stai vivendo?» attese di nuovo la sua risposta.
«Qualcuno sta parlando. Non è l’uomo. È un’altra voce» rispose in un sussurro «mi sta dicendo ce ci incontreremo presto perché lui mi conosce e mi potrà aiutare» continuò mentre lo psicologo ascoltava visibilmente turbato. «Dice anche che lui ha tutte le risposte e che vuole che porti anche la mia amica» terminò la frase e rimase in silenzio.
Poco dopo il ragazzo riprese a parlare.
«C’è anche qualcuno che ride, una risata da uomo».
«Bene, Ryan. Adesso ho bisogno che tu torni da me, non puoi rimanere nella biblioteca» disse con molta calma, anche se poteva sentire una punta di nervosismo.
«Apri la porta e torna nel mio studio, adesso» gli toccò la spalla e osservò il ragazzo mentre apriva lentamente gli occhi.
Lo guardò con un’espressione rassicurante, visto che molti non riuscivano a ricordare di essere stati ipnotizzati e spesso, appena svegliati, provavano un senso di disorientamento, non riuscendo a ricordare come o quando si fossero addormentati.
«Come ti senti?» chiese al giovane mentre spegneva la registrazione.
«Meglio…» rispose lui leggermente in imbarazzo per non aver creduto fin da subito a quella pratica.
«Ha scoperto qualcosa di utile? Un qualche collegamento tra gli eventi?» chiese con un tono che tradiva leggermente la sua emozione.
«Nulla» disse l’uomo girandosi verso il ragazzo «Hai parlato di quando eri piccolo, del parco in cui giocavi, poi anche del sogno che mi avevi raccontato, ma anche ripercorrendolo, non c’era niente di rilevante o di strano a mio parere» si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla «Secondo me non ci sono correlazioni tra il biglietto e il sogno, quindi il mio consiglio è di sporgere denuncia a causa dell’effrazione e poi di cambiare serratura, magari aggiungendo un chiavistello» disse sfoggiando un classico sorriso da repertorio per fugare ogni suo possibile dubbio.
«Ora torna a casa e butta questo biglietto. Così ti libererai anche da tutta questa faccenda. Lo dico per il tuo bene» concluse accompagnandolo alla porta, dove lo salutò e lo seguì con lo sguardo mentre saliva in macchina.
Sapeva benissimo di avergli mentito, ma era necessario. Non poteva lasciarlo in balia di una situazione del genere da solo, perché avrebbe scoperto solo cose spiacevoli.
Nello stesso momento in cui elaborava questi pensieri e il ragazzo raggiungeva la macchina, vide che la paziente dell’appuntamento successivo stava arrivando.
Una ragazza dai capelli castani acconciati in una lunga treccia posata sulla spalla sinistra, di corporatura minuta, nonostante avesse già superato i diciotto anni.
Si chiamava Victoria Skyfell ed era diventata da poco una dei suoi nuovi pazienti. Era alla seconda seduta di terapia, perché i genitori temevano che fosse rimasta turbata dopo che la sorella era stata rapita diversi mesi prima e non era mai stata ritrovata.
Notò anche che gli sguardi dei due giovani s’incrociarono per un attimo ma Ryan salì in macchina senza trattenersi ulteriormente e partì.
«Sono lieto di vederti di nuovo, Victoria» esordì stringendole la mano «accomodati pure» disse prima di invitarla a entrare.
«Grazie» rispose distrattamente «Dottore, posso farle una domanda? Chi era quel ragazzo che era qui poco fa?» chiese cercando con lo sguardo una finestra per vedere se il ragazzo era ancora nei paraggi.
«È un mio paziente, Victoria. Non posso dirti nulla sul suo conto per via del segreto professionale e per proteggere la riservatezza dei miei pazienti» rispose Luther in maniera molto diplomatica «anzi, non è bene neanche che vi siate incrociati. Devo gestire meglio gli orari» disse sedendosi sulla poltrona come tante altre volte.
  
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