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Autore: MaxT    12/01/2009    3 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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38-davanti a un quadro  
Grazie, Frafra92. Benvenuta tra i lettori di questa saga. I tuoi complimenti mi fanno molto piacere. In effetti, il fumetto W.I.T.C.H. è cambiato molto, negli ultimi anni...
Grazie, Amantha. Hai davvero una vicina come la signora Priest? Non ti invidio troppo. Resto con la curiosità di sapere cosa mi avevi scritto per la puntata precedente. Sul potere di Hay Lin... fammi ricordare: mi pare che sia stato usato nel n.4 a casa della Rudolph, nel n.10 con la moneta di Vlathek, e poi... con il trillo di Nerissa, forse?  Per la decisione di Vera, per una spiegazione esplicita bisognerà aspettare, ma ci sono indizi lungo tutta la storia. Grazie per la segalazione della cucinata. Provvederò a correggere la storia.

In questo capitolo c'è, tra le altre cose, un discorso tra Will e Cornelia che riprende la storia raccontata in Dopo l'ultima pagina, sebbene in circostanze del tutto diverse. Il tema portante, però, è diverso. Ad aprire il capitolo sarà Botolicchio. Chi è? Lo saprete presto. Buona lettura.
MaxT

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a impadronirsi del Cuore di Kandrakar e a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi.
Vera e Wanda hanno sottratto il Cuore di Kandrakar a Will. 
Il giorno dopo, ritrovatesi davanti allo specchio magico della libreria, le W.I.T.C.H. assistono alla trasformazione delle loro gocce in copie delle guardiane e della regina, ed alla loro partenza per Meridian, in contemporanea all'arrivo di Elyon.
A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura;  pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto.
A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, contenuta in disegni e frasi casuali, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua; a priori,  si poteva pensare che sarebbero state le stesse Elyon e le Witch a instaurare una tirannia nel metamondo. Inoltre, la profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza, ma Will non si rassegna.
Facendo un sopralluogo nella casa delle Gocce a Midgale, Hay Lin percepisce frammenti di ricordi contraddittori: le sembra che Vera sia cambiata subito dopo l'ultimo incontro con Elyon. Questa non sa dare spiegazioni convincenti del cambiamento, ma non sembra risentita per il tradimento.

Cap. 38
 

Davanti a un quadro


Per qualcuno, il mondo è fatto di odori, prima che di immagini o di suoni. Qualcuno sa distinguere mille significati nella miscela di profumi di una giornata.
Le macchie alla base di questo muretto parlano come se fossero messaggi scritti. Di qua è passata Altea, stamattina. E’ in gran forma.  E dopo di lei, quel bullo tutto testosterone di Billy.
Una folata autunnale porta un innaturale odore di sapone al gelsomino.
Il cagnolino alza gli occhi. C’è una ragazza dai capelli rossi e gli occhi castani da cocker che lo guarda intenerita. E’ quella che vive in questo palazzo, di sicuro. Ha già riconosciuto questa miscela di odori sull’ingresso. Deve essere la figlia di quella donna che, la settimana prima, ha calpestato uno dei suoi capolavori, mescolando cani e porci nei suoi latrati di disappunto, e strisciando le suole sul bordo del marciapiede mentre malediceva i suoi discendenti per sette generazioni.
La ragazza sporge una mano per farsi annusare. “Ciao, Botolicchio!”.
Meglio non contraddirla, anche se lui si chiama Fido, non Botolicchio.
Le annusa la mano, cercando di percepire qualche aroma più genuino. Sudore, per esempio. Sì, sente qualcosa… Guarda la ragazza negli occhi. Il sorriso tenero è solo un velo sottile. E’ incerta, lo vede dallo sguardo, che si allunga spesso verso il marciapiede. Ad ogni occhiata, per un attimo il sorriso svanisce. Anche l’odore della mano non inganna, se uno sa leggere oltre questa barriera al gelsomino. Questa umana deve affrontare qualcosa. E’ impaziente, nervosa, e cerca di nasconderlo con un sorriso.
La ragazza dai capelli rossi si volta per l’ennesima volta. Lungo il marciapiede ne arriva un’altra, alta e sottile, con i capelli un po’ come i peli di un levriere afgano, ma più lunghi e lucenti. Il suo tanfo di Chanel prende alla gola anche a distanza, mascherando quasi completamente l’odore di gatto certosino ed altri olezzi meno interessanti.

“Ciao, Will”.
“Ehilà, Cornelia”.
Quando arriva vicino, la nuova arrivata lancia loro un’occhiata dall’alto. “E’ un… cane?”.
“Ti presento Botolicchio!”, dice dandogli un’ultima carezza sulla testa, tra le corte orecchie a bottone.
Fido! Io mi chiamo Fido!
“Tanto piacere. Ma ora, sei pronta ad andare a vedere quei quadri?”.
“Prontissima”. Si alza e fa per prendere a braccetto la bionda, che si scosta.
“Will, per piacere, prima di toccarmi dopo averlo accarezzato, lavati le mani!”.
Mentre si allontanano, il cane ascolta i loro discorsi.
“Va bene, non ti sporco il tuo bel cappotto azzurro. E’ nuovo?”.
“Sì, lo ho sentito che gridava prendimi, prendimi, in una vetrina del centro. Perlana non c’entra”.

Il cane scrolla la testa. Quelle due sentono parlare i cappotti, vedono immagini fantastiche su chiazze di colore che imbrattano una tela… ma non hanno idea di quante cose vere può raccontare ogni minimo odore che emanano.
 

Heatherfield, museo di arte moderna.

Mezz’ora dopo, le due ragazze stanno vagando per le sale del museo di arte moderna della città,  condividendole con scolaresche, turisti, intenditori e qualche occasionale borseggiatore.
Le ampie sale sono sagomate come ovali ben raccordati tra di loro, e formano una catena irregolare che si avvolge attorno a sinuosi cortili interni. Al centro delle stanze, delle isole ovali sormontate da lucernai aumentano la superficie espositiva, e l’impressione generale è di vagabondare nei rilassanti meandri di un labirinto da sogno, costellato di nicchie sfaccettate dove sono esposti dipinti pregiati, spesso di fama nazionale. Nei punti più larghi, colonnine e piedistalli sostengono sculture che possono ispirare domande profonde sul significato della vita, dell’arte e, talvolta, su come distinguerle dai resti di una bicicletta incidentata.

Due occhi fissi, disperati, le scrutano come per chiedere un aiuto che non verrà mai. La sagoma del corpo è svanita in una nebbia che si avvolge a spirale nella notte senza stelle, e si estende lontano, fino a raggiungere la cornice.
“Urlo silenzioso. Daniel Richter, 1998. Acrilico su tela”.  Will scarabocchia svogliatamente qualche appunto su un notes.
“Accademia delle Belle Arti di Heatherfield. Beh, diciamo Accademia delle Arti”, commenta Cornelia, inquadrando l’opera con la macchina fotografica del suo cellulare.
Will alza un sopracciglio. “Non ti piacciono i quadri?”.
“Qualche volta mi impressiona come esprimano uno stato d’animo. Però sai che non sono portata per questo”. Tace un attimo, trattenendo il respiro mentre scatta. Poi, abbassando il telefonino: “Will, come mai ieri hai declinato l’offerta di Elyon di accompagnarci? Avrebbe potuto esserci di grande aiuto”.
“Volevo parlarti a quattr’occhi”.
Cornelia, un po’ a disagio, cerca scampo in qualche facezia. “Allora quelli del quadro sono di troppo”.
“Non ha né orecchie né bocca. Lo sopporterò”. La ex Guardiana del Cuore cerca le parole per iniziare. “Ho notato che sei molto silenziosa quando parliamo di Elyon”.
L’altra si aggiusta il bavero del cappotto azzurro. “Davvero? Non mi pareva”.
“A parte i battibecchi con Irma, naturalmente”, concede Will con un mezzo sorriso.
“E’ lei che me le tira fuori!”, risponde più animata. Poi, scrollando le spalle: “Beh, è sempre stata così. Una differentemente geniale”.
Will trattiene un sorrisino a questa cattiveria, ma non si lascia sviare. “Tu frequenti Elyon anche al di fuori del nostro gruppo, vero?”.
Cornelia si pone impercettibilmente sulla difensiva. “E’ un male? E’ la mia migliore amica fin dai tempi della prima, allo Sheffield Institute”.
“Devo dirti il vero. Ho avuto l’impressione che ci nasconda qualcosa”.
Cornelia non risponde. Si sposta di lato a guardare il dipinto successivo.
Will si porta di nuovo al suo fianco. “Io credo che tu abbia un’idea di che si tratta”.
La risposta di Cornelia si fa attendere.
 
 


La ragazza osserva un dipinto che rappresenta delle lune, per metà illuminate e per metà in ombra, in un cielo serale venato d’azzurro e di rosso. L’orizzonte appare disegnato dalle luci puntiformi di una grande città dall’architettura aliena.

“Mezze verità”, dice infine.
Will resta interdetta. “Come?”.
“E’ il titolo del quadro. Sempre di Daniel Richter, 2000. Acrilico su tela”. Torna ad armeggiare con il cellulare, facendo qualche passo indietro. “Will, puoi spostarti?”.
Will si scurisce in viso. “Stai evitando il discorso?”.
“La professoressa Warton vuole questa ricerca per domani, lo sai. Perché non scrivi?”.
Di malavoglia, Will scarabocchia qualche appunto e tace. Osserva gravemente l’amica, che fa del suo meglio per restare indifferente.

Una famigliola si avvicina. Un bambino passa davanti a loro e guarda il quadro, estasiato dai colori vivaci del cielo. “Mamma, guarda che bello!”.
“Sì, tesoro. Non toccarlo, se no suona l’allarme”.
“Ma, papà, perché ci sono tre lune nel cielo?”.
“Perché sono su Marte”, risponde l’uomo, sottolineando con un dito alzato la sua cultura enciclopedica.
“Papà, che racconti?”, gli fa stupito il bimbo. “Marte ha solo due satelliti: Phobos e Deimos”.
Dopo un momento di imbarazzo, il padre svia: “Toh, guarda quell’altro quadro. Non ti sembra un vampiro, quello?”.

Cornelia ha seguito la scenetta con un sorriso sulle labbra, ma si accorge che l’amica è rimasta cupa e silenziosa.
Dopo un po’, il silenzio comincia a pesarle.
“Will, dimmi, come ti senti senza il Cuore di Kandrakar?”.
La ex Guardiana del Cuore la guarda, sorpresa della domanda.
“Vuoi saperlo davvero, Cornelia? Mi sento vuota. Inutile. Ora sento un bisogno quasi fisico di quell’oggetto, e scoprire questo mi sconvolge quasi quanto la sua scomparsa. A me, il Cuore di Kandrakar aveva cambiato la vita più che a voi. Me la aveva riempita. Le aveva dato uno scopo al di là del grigiore di ogni giorno”.
Con un’occhiata alla sua compagna, Will capisce che è turbata. Va bene. Se qualcosa aveva creato un muro, forse è il momento di giocare il tutto per tutto per farlo cadere.
Continua: “Quando arrivai ad Heatherfield, mi ero portata dietro le ombre dell’ultimo anno trascorso a Fadden Hills, dove abitavo prima. Negli ultimi tempi, mio padre mancava sempre più spesso da casa. Mia mamma mi diceva sempre che il papà mi pensava in ogni momento. Mi raccontava come lui lavorasse tanto per comprarci una casa meravigliosa”.
Ora Will parla con gli occhi persi lontano, focalizzati oltre le lune del quadro. “Ho fantasticato tanto su quella casa. Credevo che vi saremmo vissuti tutti assieme, felici, e lui sarebbe restato con noi a godersela”. Per un momento, il suo sguardo è sembrato sereno.
“Nelle sere, quando io e lei restavamo sole, quel racconto mi rasserenava. Le chiedevo spesso di parlarmi della casa nuova, di come avremmo vissuto. Finché, poco a poco, cominciai a sentire come se ci fossero incrinature, una nuova stanchezza nella voce di mia mamma. Come se non credesse in ciò che raccontava”.
“Will… se non vuoi parlarne…”, sussurra Cornelia, sulle spine. Non aveva inteso aprire un vaso di Pandora, con quella domanda che le era sembrata così banale.
L’altra continua, senza segno di averla ascoltata. “Una notte mi svegliai sentendo mio padre che rientrava. Non mi riaddormentai subito: mi aspettavo che entrasse quatto quatto, mi desse un bacino sulla fronte e mi rassettasse piano le lenzuola. Invece sentii che lui e mamma… mia madre discutevano”. La sua espressione persa si fa, pian piano, sempre più infelice. “Non riuscii a distinguere il senso, solo i toni. Lei era astiosa, irata. Lui cercava di essere conciliante”. Si interrompe un attimo. “Da quella volta, feci più fatica a prendere sonno. Così mi accorsi che discussero in quel modo altre volte”.
“…”
 

Will ha un rapido guizzo di dolore negli occhi. “Una volta mi sembrò che mia madre fosse molto arrabbiata. Ebbi paura che lo avrebbe scacciato di casa. Piombai nella loro camera, piangendo e gridando basta”.
“…”
“Lui, calmo, rimproverò mia mamma perché mi aveva fatto piangere. Lei lo guardò con odio, senza più rispondere”. Si passa la mano davanti agli occhi. “Quello sguardo d’odio per lui mi restò impresso. Impiegai anni per capire quanto era meritato”.
Cornelia, sconvolta, continua ad ascoltare questo racconto amaro senza più tentare di interromperlo.
“Non li sentii più litigare, la sera: si rispondevano educati e glaciali, e qualche volta mia madre si girava per celarmi l’astio per lui che aveva negli occhi. Dopo quella notte, non provò più a consolarmi con quei racconti. Pian piano capii che la casa nuova e la famiglia felice stavano seguendo le altre favole della mia infanzia verso il loro limbo”.

L’espressione di Will si fa più cupa: “Andò avanti così per mesi, fino all’epilogo. Quella sera li sentii litigare furiosamente. Corsi alla loro camera, ed ascoltai da oltre la porta chiusa, senza il coraggio di entrare, né di fuggire via. Mia madre lo stava accusando di avere venduto la casa dei suoi genitori. Di avere falsificato firme e documenti, corrompendo un notaio..”. La voce, finora piatta e monotona, comincia ad incrinarsi.
Cornelia, sgomenta, vede un insolito luccichio nei suoi occhi. “Will, io…”.
“Lasciami continuare”, dice lei con un gesto di difesa. Gli occhi tornano a perdersi oltre le lune. “Mio padre rispondeva gelido alle sue accuse, ripetendo le stesse parole: la vendita è stata regolare. Alla fine, quando lei gli chiese cosa aveva fatto del ricavato, lui rispose che lo aveva impiegato anche per la loro figlia. Non avrebbe mica voluto, lei, che qualcuno potesse vendicarsi sulla piccola Will?”.
“…”.
“Non capii la risposta di mia madre. La sibilò lentamente, ma credo che ogni singola parola pesasse come un macigno. Dopo, ci fu solo un lungo silenzio”.
“….”.
“Mio padre uscì dalla camera. Si fermò. Mi guardò, sorpreso. Capì che avevo sentito tutto. Mi fece un’ultima carezza sui capelli, poi prese la porta e sparì. Mia madre mi venne incontro, mi abbracciò convulsamente, senza parlare. Dormimmo strette l’una all’altra, un sonno popolato da incubi, senza dire una parola fino al mattino”.
Cornelia è tutta contratta, con le braccia incrociate e le mani sulle spalle come per proteggersi da un gelo che viene da dentro. “Will… ti stai facendo del male!”.
“Lasciami continuare. Non sono ancora arrivata al punto”. Gli occhi, ora, scorrono sulle innumerevoli lucette della città aliena, senza vederle. “Il periodo che seguì fu difficilissimo, per me. Mi appoggiai alle mie compagne di classe. All’inizio cercarono di consolarmi, a modo loro. Mi invitavano a feste, a cene, a gite di gruppo… ma non era questo che mi serviva. Provai ad inserirmi, ma era uno sforzo. Mi sembravano così lontane quando pensavano a divertirsi e farmi divertire… Dopo un po’, mettevo il muso, o prendevo in disparte una di loro e mi sfogavo per tutto il resto della serata”. Si gira verso Cornelia, con un sorriso fuggevole. “Un po’ come sto facendo ora. Non è un modo per rendersi popolare, lo so”.
“…”.
Will riprende: “Come tutte le cose, anche la scuola finì, quell’anno. La prima media. All’inizio cercai un po’ le mie compagne. Loro, per contro, non mi cercarono mai. Fu un’estate pesante e solitaria, ma alla fine ero riuscita a farmi una ragione dell’abbandono di mio padre. All’inizio della seconda media, volevo ricominciare a vivere. Ma quando rividi le mie compagne…”.
Per un attimo la voce si rompe, i pugni si serrano, le nocche sbiancano.
Riprende, facendosi forza. “Quando rividi le mie compagne, mi accorsi che potevo leggere i loro pensieri, e che tutte mi stavano evitando”.
Cornelia, sempre più contratta, alza gli occhi verso Will, che si è avvicinata ad un passo dal quadro, come per nascondere il viso chino.
“Fu orribile. Questo colpo mi arrivò inaspettato, senza niente che me lo lasciasse presagire. Quella volta piansi, urlai, senza che le altre capissero il perché. Si disse che ero scoppiata, ed era vero. Ma non per la separazione dei miei”.
Riapre gli occhi arrossati. Mentre parla, si sente che qualcosa le attanaglia la gola.  “Il resto dell’anno scolastico fu un lento incubo. Le mie vecchie amiche, imbarazzate, mi evitavano apertamente. Io fui visitata da una psicologa”. Il suo viso accenna ad una smorfia di disgusto. “Era un essere ipocrita e presuntuoso. Si presentò con parole suadenti e comprensive, ma mirava solo a classificarmi nei suoi schemi precostituiti. All’inizio mi fidai di lei, le dissi tutto. Fui così sciocca da raccontarle persino di aver sentito i pensieri delle mie compagne. Lei mi fece parlare a lungo, come se mi credesse. Poi scrisse una relazione in linguaggio criptico. Riuscii ad averla tra le mani trovandola tra le carte di mia madre. Rileggendola molte volte, capii solo che mi considerava una mezza pazza depressa e allucinata”. Scuote la testa piano. “Mi prescrisse delle pilloline. Prozac. Masticai amaro, ma devo ammettere che mi aiutarono a sopportare l‘isolamento nei nove mesi di scuola successivi”.
Si volta verso Cornelia. “Arrivai ad Heatherfield ad anno scolastico iniziato, dopo un’altra estate solitaria. Il resto lo sai”.

La compagna si stringe nelle braccia, lo sguardo a terra.  “Perché mi hai raccontato tutto questo, Will? Perché proprio a me? Perché proprio ora?”.
“Per dirti che, forse, anche ad Heatherfield mi sarei trovata come a Fadden Hills. Una si porta dietro i suoi fantasmi ovunque vada. Forse anche voi mi avreste emarginata. Forse, se non è stato così, lo ho dovuto solo al Cuore di Kandrakar”.
La guarda con un sorriso triste, quasi di sfida. “Ho risposto alla tua domanda?”.
Cornelia annuisce, e cerca di vincere il groppo alla gola. “Will… all’inizio, anche io mi chiedevo perché quel monile, ed il ruolo di capo, fossero stati dati proprio a te. Quella volta, io ero abituata a primeggiare, tra le amiche. Ero quella che aveva più libertà, più denaro, i vestiti migliori, i modi più raffinati, l’ammirazione dei ragazzi, e l’invidia di tante. Ero quella che veniva ricercata, invitata a tutte le feste, ed estendevo benignamente gli inviti alle sue amiche. Ed avevo poteri, da molto tempo prima di incontrarti, anche se non l’avevo mai detto a nessuno. Sorridevo con sufficienza ai piccoli miracoli di cui Irma andava tanto orgogliosa”. Tace a lungo, ripensando a quei tempi. Le sembra impossibile che siano passati solo tre anni.
Riprende: “Poi sei arrivata tu. All’inizio, ti ho vista come polvere negli occhi. Poi ho ammirato il tuo coraggio. Ho anche dovuto ammettere che, quasi sempre, hai saputo scegliere più saggiamente di me. E sai cosa ti dico? Questa sconfitta mi ha fatto bene”. Alza gli occhi. Le è costato molto pronunciare quelle parole. “Insomma, tu sei stata scelta per detenere il Cuore di Kandrakar perché avevi delle grandi potenzialità. Anche ora che non possiedi più quell’oggetto, le tue qualità non ti hanno lasciato. Resti sempre la stessa, a meno che non decida tu stessa di affossarti”.

Will ha ascoltato prima con stupore, poi quasi con le lacrime agli occhi.
Il momento dura a lungo, poi lo sguardo di Cornelia cambia lentamente mentre recupera pian piano il suo contegno abituale. “Tu hai raccontato di avere letto nel pensiero delle tue compagne. Questo tuo potere è nuovo, per me”.
Will annuisce. “L’unica volta che è successo, mi ha distrutta. Forse l’ho rimosso per sempre”.
Cornelia ci pensa. “Ciò spiegherebbe la capacità di Wanda”.
“Cosa?”. La guarda ad occhi sgranati. “Wanda può leggere i pensieri?”.
“Sì, e fin da prima di incontrare Vera”, conferma Cornelia. “Elyon pensava che questa capacità derivasse dalla sala degli specchi di Kandrakar, ma forse è invece la copia di un tuo potere che si è sbloccato. In fondo, la tua goccia non ha i tuoi ricordi d’infanzia”.
Will torna imbronciata. “Quante cose sai! Wanda… la sala degli specchi…”. Il suo sguardo si focalizza di nuovo sul titolo del quadro: Le mezze verità. “In questo momento, rimpiango molto questo potere perso”.
“…”.
“E sai perché, Cornelia?”. La guarda risentita. “Perché ho l’impressione quasi fisica che Elyon non ci ha detto tutto. Forse non ci ha mentito, ma ci ha raccontato solo mezze verità”.
Cornelia annuisce, a disagio.
“E ora”, continua Will, “ho la sensazione che anche tu ne sappia di più di quello che hai detto”. La fissa con intenzione.
Cornelia distoglie lo sguardo. “Sai, quando ho saputo del furto del Cuore di Kandrakar, anche io ho pensato qualcosa di simile. Elyon doveva conoscere quel futuro, ma non me ne aveva fatto cenno. Ci rimasi male, eravamo d’accordo di confidarci tutto”. Torna a guardare Will. “Però, sentendola parlare per strada, ho capito che tenere qualcuno all'oscuro può essere un modo per proteggerlo”.
“Proteggerlo? Da cosa?”.
“Da possibili conseguenze di una sconfitta già annunciata, nel tuo caso. Dal peso di un segreto da non poter confidare alle proprie amiche, nel mio”.
Will cerca di soppesare le parole dell’altra. Cosa le sfugge? “Tu avevi già visto i disegni della profezia. Mi pare chiaro che hai già qualche tua ipotesi su cosa sta succedendo”.
Cornelia si stringe le spalle. “Quando me li mostrò, ci sprememmo le meningi su tutti i significati possibili. Però erano tutti esercizi di fantasia, gli stessi che potresti fare anche tu a mente fredda. Poi non ne abbiamo parlato più”. Fa un gesto di noncuranza. “In ogni caso, tutte quelle interpretazioni sono superate. Ormai conosciamo quella vera”.
Riprende in mano il suo telefonino, e si sposta di fronte ad un altro quadro. Questa tela, in distanza, sembrava di un grigio quasi uniforme. Vista da vicino, invece, è un vortice di sfumature colorate che, abbastanza ben distinguibili alla periferia, diventano sempre più sottili e compattate verso il centro del quadro, dove si mescolano tutte sfumando nel grigio.
“L’oblio”, legge Cornelia. “Daniel Richter, 1996. Olio su legno. Prendi nota, o ci possiamo dimenticare di portare la nostra ricerca alla Warton per domani”.
Will capisce che il momento di confidenza, che è costato tanto ad entrambe, sta finendo. La prende per una manica e la volta verso di sé . “Guardami in faccia, Cornelia! Aiutami a capire!”.
L’altra sostiene il suo sguardo. “Lascia perdere, Will. Certe cose hanno bisogno di essere credute”.
 

  
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