Grazie, Frafra92. Benvenuta tra i lettori di questa saga. I tuoi
complimenti mi fanno molto piacere. In effetti, il fumetto W.I.T.C.H. è
cambiato molto, negli ultimi anni...
Grazie, Amantha. Hai davvero una vicina come la signora Priest? Non ti invidio troppo. Resto con la curiosità di sapere cosa mi avevi scritto per la puntata precedente. Sul potere di Hay Lin... fammi ricordare: mi pare che sia stato usato nel n.4 a casa della Rudolph, nel n.10 con la moneta di Vlathek, e poi... con il trillo di Nerissa, forse? Per la decisione di Vera, per una spiegazione esplicita bisognerà aspettare, ma ci sono indizi lungo tutta la storia. Grazie per la segalazione della cucinata. Provvederò a correggere la storia. In questo capitolo c'è, tra le altre cose, un discorso tra
Will e Cornelia che riprende la storia raccontata in Dopo l'ultima
pagina, sebbene in circostanze del tutto diverse. Il tema portante,
però, è diverso. Ad aprire il capitolo sarà Botolicchio.
Chi è? Lo saprete presto. Buona lettura.
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a impadronirsi del Cuore di Kandrakar e a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. Vera e Wanda hanno sottratto il Cuore di Kandrakar a Will. Il giorno dopo, ritrovatesi davanti allo specchio magico della libreria, le W.I.T.C.H. assistono alla trasformazione delle loro gocce in copie delle guardiane e della regina, ed alla loro partenza per Meridian, in contemporanea all'arrivo di Elyon. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, contenuta in disegni e frasi casuali, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua; a priori, si poteva pensare che sarebbero state le stesse Elyon e le Witch a instaurare una tirannia nel metamondo. Inoltre, la profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza, ma Will non si rassegna. Facendo un sopralluogo nella casa delle Gocce a Midgale, Hay Lin percepisce frammenti di ricordi contraddittori: le sembra che Vera sia cambiata subito dopo l'ultimo incontro con Elyon. Questa non sa dare spiegazioni convincenti del cambiamento, ma non sembra risentita per il tradimento. |
Cap. 38
Davanti a un quadro
Per qualcuno, il mondo è fatto di odori, prima che di immagini
o di suoni. Qualcuno sa distinguere mille significati nella miscela di
profumi di una giornata.
Le macchie alla base di questo muretto parlano come se fossero messaggi
scritti. Di qua è passata Altea, stamattina. E’ in gran forma.
E dopo di lei, quel bullo tutto testosterone di Billy.
Una folata autunnale porta un innaturale odore di sapone al gelsomino.
Il cagnolino alza gli occhi. C’è una ragazza dai capelli rossi
e gli occhi castani da cocker che lo guarda intenerita. E’ quella che vive
in questo palazzo, di sicuro. Ha già riconosciuto questa miscela
di odori sull’ingresso. Deve essere la figlia di quella donna che, la settimana
prima, ha calpestato uno dei suoi capolavori, mescolando cani e porci nei
suoi latrati di disappunto, e strisciando le suole sul bordo del marciapiede
mentre malediceva i suoi discendenti per sette generazioni.
La ragazza sporge una mano per farsi annusare. “Ciao, Botolicchio!”.
Meglio non contraddirla, anche se lui si chiama Fido, non Botolicchio.
Le annusa la mano, cercando di percepire qualche aroma più genuino.
Sudore, per esempio. Sì, sente qualcosa… Guarda la ragazza negli
occhi. Il sorriso tenero è solo un velo sottile. E’ incerta, lo
vede dallo sguardo, che si allunga spesso verso il marciapiede. Ad ogni
occhiata, per un attimo il sorriso svanisce. Anche l’odore della mano non
inganna, se uno sa leggere oltre questa barriera al gelsomino. Questa umana
deve affrontare qualcosa. E’ impaziente, nervosa, e cerca di nasconderlo
con un sorriso.
La ragazza dai capelli rossi si volta per l’ennesima volta. Lungo il
marciapiede ne arriva un’altra, alta e sottile, con i capelli un po’ come
i peli di un levriere afgano, ma più lunghi e lucenti. Il suo tanfo
di Chanel prende alla gola anche a distanza, mascherando quasi completamente
l’odore di gatto certosino ed altri olezzi meno interessanti.
“Ciao, Will”.
“Ehilà, Cornelia”.
Quando arriva vicino, la nuova arrivata lancia loro un’occhiata dall’alto.
“E’ un… cane?”.
“Ti presento Botolicchio!”, dice dandogli un’ultima carezza sulla testa,
tra le corte orecchie a bottone.
Fido! Io mi chiamo Fido!
“Tanto piacere. Ma ora, sei pronta ad andare a vedere quei quadri?”.
“Prontissima”. Si alza e fa per prendere a braccetto la bionda, che
si scosta.
“Will, per piacere, prima di toccarmi dopo averlo accarezzato, lavati
le mani!”.
Mentre si allontanano, il cane ascolta i loro discorsi.
“Va bene, non ti sporco il tuo bel cappotto azzurro. E’ nuovo?”.
“Sì, lo ho sentito che gridava prendimi, prendimi, in una vetrina
del centro. Perlana non c’entra”.
Il cane scrolla la testa. Quelle due sentono parlare i cappotti, vedono
immagini fantastiche su chiazze di colore che imbrattano una tela… ma non
hanno idea di quante cose vere può raccontare ogni minimo odore
che emanano.
Heatherfield, museo di arte moderna.
Mezz’ora dopo, le due ragazze stanno vagando per le sale del museo di
arte moderna della città, condividendole con scolaresche,
turisti, intenditori e qualche occasionale borseggiatore.
Le ampie sale sono sagomate come ovali ben raccordati tra di loro,
e formano una catena irregolare che si avvolge attorno a sinuosi cortili
interni. Al centro delle stanze, delle isole ovali sormontate da lucernai
aumentano la superficie espositiva, e l’impressione generale è di
vagabondare nei rilassanti meandri di un labirinto da sogno, costellato
di nicchie sfaccettate dove sono esposti dipinti pregiati, spesso di fama
nazionale. Nei punti più larghi, colonnine e piedistalli sostengono
sculture che possono ispirare domande profonde sul significato della vita,
dell’arte e, talvolta, su come distinguerle dai resti di una bicicletta
incidentata.
Due occhi fissi, disperati, le scrutano come per chiedere un aiuto che
non verrà mai. La sagoma del corpo è svanita in una nebbia
che si avvolge a spirale nella notte senza stelle, e si estende lontano,
fino a raggiungere la cornice.
“Urlo silenzioso. Daniel Richter, 1998. Acrilico su tela”. Will
scarabocchia svogliatamente qualche appunto su un notes.
“Accademia delle Belle Arti di Heatherfield. Beh, diciamo Accademia
delle Arti”, commenta Cornelia, inquadrando l’opera con la macchina fotografica
del suo cellulare.
Will alza un sopracciglio. “Non ti piacciono i quadri?”.
“Qualche volta mi impressiona come esprimano uno stato d’animo. Però
sai che non sono portata per questo”. Tace un attimo, trattenendo il respiro
mentre scatta. Poi, abbassando il telefonino: “Will, come mai ieri hai
declinato l’offerta di Elyon di accompagnarci? Avrebbe potuto esserci di
grande aiuto”.
“Volevo parlarti a quattr’occhi”.
Cornelia, un po’ a disagio, cerca scampo in qualche facezia. “Allora
quelli del quadro sono di troppo”.
“Non ha né orecchie né bocca. Lo sopporterò”.
La ex Guardiana del Cuore cerca le parole per iniziare. “Ho notato che
sei molto silenziosa quando parliamo di Elyon”.
L’altra si aggiusta il bavero del cappotto azzurro. “Davvero? Non mi
pareva”.
“A parte i battibecchi con Irma, naturalmente”, concede Will con un
mezzo sorriso.
“E’ lei che me le tira fuori!”, risponde più animata. Poi, scrollando
le spalle: “Beh, è sempre stata così. Una differentemente
geniale”.
Will trattiene un sorrisino a questa cattiveria, ma non si lascia sviare.
“Tu frequenti Elyon anche al di fuori del nostro gruppo, vero?”.
Cornelia si pone impercettibilmente sulla difensiva. “E’ un male? E’
la mia migliore amica fin dai tempi della prima, allo Sheffield Institute”.
“Devo dirti il vero. Ho avuto l’impressione che ci nasconda qualcosa”.
Cornelia non risponde. Si sposta di lato a guardare il dipinto successivo.
Will si porta di nuovo al suo fianco. “Io credo che tu abbia un’idea
di che si tratta”.
La risposta di Cornelia si fa attendere.
La ragazza osserva un dipinto che rappresenta delle lune, per metà illuminate e per metà in ombra, in un cielo serale venato d’azzurro e di rosso. L’orizzonte appare disegnato dalle luci puntiformi di una grande città dall’architettura aliena. “Mezze verità”, dice infine.
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Una famigliola si avvicina. Un bambino passa davanti a loro e guarda
il quadro, estasiato dai colori vivaci del cielo. “Mamma, guarda che bello!”.
“Sì, tesoro. Non toccarlo, se no suona l’allarme”.
“Ma, papà, perché ci sono tre lune nel cielo?”.
“Perché sono su Marte”, risponde l’uomo, sottolineando con un
dito alzato la sua cultura enciclopedica.
“Papà, che racconti?”, gli fa stupito il bimbo. “Marte ha solo
due satelliti: Phobos e Deimos”.
Dopo un momento di imbarazzo, il padre svia: “Toh, guarda quell’altro
quadro. Non ti sembra un vampiro, quello?”.
Cornelia ha seguito la scenetta con un sorriso sulle labbra, ma si accorge
che l’amica è rimasta cupa e silenziosa.
Dopo un po’, il silenzio comincia a pesarle.
“Will, dimmi, come ti senti senza il Cuore di Kandrakar?”.
La ex Guardiana del Cuore la guarda, sorpresa della domanda.
“Vuoi saperlo davvero, Cornelia? Mi sento vuota. Inutile. Ora sento
un bisogno quasi fisico di quell’oggetto, e scoprire questo mi sconvolge
quasi quanto la sua scomparsa. A me, il Cuore di Kandrakar aveva cambiato
la vita più che a voi. Me la aveva riempita. Le aveva dato uno scopo
al di là del grigiore di ogni giorno”.
Con un’occhiata alla sua compagna, Will capisce che è turbata.
Va bene. Se qualcosa aveva creato un muro, forse è il momento di
giocare il tutto per tutto per farlo cadere.
Continua: “Quando arrivai ad Heatherfield, mi ero portata dietro le
ombre dell’ultimo anno trascorso a Fadden Hills, dove abitavo prima. Negli
ultimi tempi, mio padre mancava sempre più spesso da casa. Mia mamma
mi diceva sempre che il papà mi pensava in ogni momento. Mi raccontava
come lui lavorasse tanto per comprarci una casa meravigliosa”.
Ora Will parla con gli occhi persi lontano, focalizzati oltre le lune
del quadro. “Ho fantasticato tanto su quella casa. Credevo che vi saremmo
vissuti tutti assieme, felici, e lui sarebbe restato con noi a godersela”.
Per un momento, il suo sguardo è sembrato sereno.
“Nelle sere, quando io e lei restavamo sole, quel racconto mi rasserenava.
Le chiedevo spesso di parlarmi della casa nuova, di come avremmo vissuto.
Finché, poco a poco, cominciai a sentire come se ci fossero incrinature,
una nuova stanchezza nella voce di mia mamma. Come se non credesse in ciò
che raccontava”.
“Will… se non vuoi parlarne…”, sussurra Cornelia, sulle spine. Non
aveva inteso aprire un vaso di Pandora, con quella domanda che le era sembrata
così banale.
L’altra continua, senza segno di averla ascoltata. “Una notte mi svegliai
sentendo mio padre che rientrava. Non mi riaddormentai subito: mi aspettavo
che entrasse quatto quatto, mi desse un bacino sulla fronte e mi rassettasse
piano le lenzuola. Invece sentii che lui e mamma… mia madre discutevano”.
La sua espressione persa si fa, pian piano, sempre più infelice.
“Non riuscii a distinguere il senso, solo i toni. Lei era astiosa, irata.
Lui cercava di essere conciliante”. Si interrompe un attimo. “Da quella
volta, feci più fatica a prendere sonno. Così mi accorsi
che discussero in quel modo altre volte”.
“…”
Will ha un rapido guizzo di dolore negli occhi. “Una volta mi sembrò
che mia madre fosse molto arrabbiata. Ebbi paura che lo avrebbe scacciato
di casa. Piombai nella loro camera, piangendo e gridando basta”.
“…” “Lui, calmo, rimproverò mia mamma perché mi aveva fatto piangere. Lei lo guardò con odio, senza più rispondere”. Si passa la mano davanti agli occhi. “Quello sguardo d’odio per lui mi restò impresso. Impiegai anni per capire quanto era meritato”. Cornelia, sconvolta, continua ad ascoltare questo racconto amaro senza più tentare di interromperlo. “Non li sentii più litigare, la sera: si rispondevano educati e glaciali, e qualche volta mia madre si girava per celarmi l’astio per lui che aveva negli occhi. Dopo quella notte, non provò più a consolarmi con quei racconti. Pian piano capii che la casa nuova e la famiglia felice stavano seguendo le altre favole della mia infanzia verso il loro limbo”. |
L’espressione di Will si fa più cupa: “Andò avanti così
per mesi, fino all’epilogo. Quella sera li sentii litigare furiosamente.
Corsi alla loro camera, ed ascoltai da oltre la porta chiusa, senza il
coraggio di entrare, né di fuggire via. Mia madre lo stava accusando
di avere venduto la casa dei suoi genitori. Di avere falsificato firme
e documenti, corrompendo un notaio..”. La voce, finora piatta e monotona,
comincia ad incrinarsi.
Cornelia, sgomenta, vede un insolito luccichio nei suoi occhi. “Will,
io…”.
“Lasciami continuare”, dice lei con un gesto di difesa. Gli occhi tornano
a perdersi oltre le lune. “Mio padre rispondeva gelido alle sue accuse,
ripetendo le stesse parole: la vendita è stata regolare. Alla fine,
quando lei gli chiese cosa aveva fatto del ricavato, lui rispose che lo
aveva impiegato anche per la loro figlia. Non avrebbe mica voluto, lei,
che qualcuno potesse vendicarsi sulla piccola Will?”.
“…”.
“Non capii la risposta di mia madre. La sibilò lentamente, ma
credo che ogni singola parola pesasse come un macigno. Dopo, ci fu solo
un lungo silenzio”.
“….”.
“Mio padre uscì dalla camera. Si fermò. Mi guardò,
sorpreso. Capì che avevo sentito tutto. Mi fece un’ultima carezza
sui capelli, poi prese la porta e sparì. Mia madre mi venne incontro,
mi abbracciò convulsamente, senza parlare. Dormimmo strette l’una
all’altra, un sonno popolato da incubi, senza dire una parola fino al mattino”.
Cornelia è tutta contratta, con le braccia incrociate e le mani
sulle spalle come per proteggersi da un gelo che viene da dentro. “Will…
ti stai facendo del male!”.
“Lasciami continuare. Non sono ancora arrivata al punto”. Gli occhi,
ora, scorrono sulle innumerevoli lucette della città aliena, senza
vederle. “Il periodo che seguì fu difficilissimo, per me. Mi appoggiai
alle mie compagne di classe. All’inizio cercarono di consolarmi, a modo
loro. Mi invitavano a feste, a cene, a gite di gruppo… ma non era questo
che mi serviva. Provai ad inserirmi, ma era uno sforzo. Mi sembravano così
lontane quando pensavano a divertirsi e farmi divertire… Dopo un po’, mettevo
il muso, o prendevo in disparte una di loro e mi sfogavo per tutto il resto
della serata”. Si gira verso Cornelia, con un sorriso fuggevole. “Un po’
come sto facendo ora. Non è un modo per rendersi popolare, lo so”.
“…”.
Will riprende: “Come tutte le cose, anche la scuola finì, quell’anno.
La prima media. All’inizio cercai un po’ le mie compagne. Loro, per contro,
non mi cercarono mai. Fu un’estate pesante e solitaria, ma alla fine ero
riuscita a farmi una ragione dell’abbandono di mio padre. All’inizio della
seconda media, volevo ricominciare a vivere. Ma quando rividi le mie compagne…”.
Per un attimo la voce si rompe, i pugni si serrano, le nocche sbiancano.
Riprende, facendosi forza. “Quando rividi le mie compagne, mi accorsi
che potevo leggere i loro pensieri, e che tutte mi stavano evitando”.
Cornelia, sempre più contratta, alza gli occhi verso Will, che
si è avvicinata ad un passo dal quadro, come per nascondere il viso
chino.
“Fu orribile. Questo colpo mi arrivò inaspettato, senza niente
che me lo lasciasse presagire. Quella volta piansi, urlai, senza che le
altre capissero il perché. Si disse che ero scoppiata, ed era vero.
Ma non per la separazione dei miei”.
Riapre gli occhi arrossati. Mentre parla, si sente che qualcosa le
attanaglia la gola. “Il resto dell’anno scolastico fu un lento incubo.
Le mie vecchie amiche, imbarazzate, mi evitavano apertamente. Io fui visitata
da una psicologa”. Il suo viso accenna ad una smorfia di disgusto. “Era
un essere ipocrita e presuntuoso. Si presentò con parole suadenti
e comprensive, ma mirava solo a classificarmi nei suoi schemi precostituiti.
All’inizio mi fidai di lei, le dissi tutto. Fui così sciocca da
raccontarle persino di aver sentito i pensieri delle mie compagne. Lei
mi fece parlare a lungo, come se mi credesse. Poi scrisse una relazione
in linguaggio criptico. Riuscii ad averla tra le mani trovandola tra le
carte di mia madre. Rileggendola molte volte, capii solo che mi considerava
una mezza pazza depressa e allucinata”. Scuote la testa piano. “Mi prescrisse
delle pilloline. Prozac. Masticai amaro, ma devo ammettere che mi aiutarono
a sopportare l‘isolamento nei nove mesi di scuola successivi”.
Si volta verso Cornelia. “Arrivai ad Heatherfield ad anno scolastico
iniziato, dopo un’altra estate solitaria. Il resto lo sai”.
La compagna si stringe nelle braccia, lo sguardo a terra. “Perché
mi hai raccontato tutto questo, Will? Perché proprio a me? Perché
proprio ora?”.
“Per dirti che, forse, anche ad Heatherfield mi sarei trovata come
a Fadden Hills. Una si porta dietro i suoi fantasmi ovunque vada. Forse
anche voi mi avreste emarginata. Forse, se non è stato così,
lo ho dovuto solo al Cuore di Kandrakar”.
La guarda con un sorriso triste, quasi di sfida. “Ho risposto alla
tua domanda?”.
Cornelia annuisce, e cerca di vincere il groppo alla gola. “Will… all’inizio,
anche io mi chiedevo perché quel monile, ed il ruolo di capo, fossero
stati dati proprio a te. Quella volta, io ero abituata a primeggiare, tra
le amiche. Ero quella che aveva più libertà, più denaro,
i vestiti migliori, i modi più raffinati, l’ammirazione dei ragazzi,
e l’invidia di tante. Ero quella che veniva ricercata, invitata a tutte
le feste, ed estendevo benignamente gli inviti alle sue amiche. Ed avevo
poteri, da molto tempo prima di incontrarti, anche se non l’avevo mai detto
a nessuno. Sorridevo con sufficienza ai piccoli miracoli di cui Irma andava
tanto orgogliosa”. Tace a lungo, ripensando a quei tempi. Le sembra impossibile
che siano passati solo tre anni.
Riprende: “Poi sei arrivata tu. All’inizio, ti ho vista come polvere
negli occhi. Poi ho ammirato il tuo coraggio. Ho anche dovuto ammettere
che, quasi sempre, hai saputo scegliere più saggiamente di me. E
sai cosa ti dico? Questa sconfitta mi ha fatto bene”. Alza gli occhi. Le
è costato molto pronunciare quelle parole. “Insomma, tu sei stata
scelta per detenere il Cuore di Kandrakar perché avevi delle grandi
potenzialità. Anche ora che non possiedi più quell’oggetto,
le tue qualità non ti hanno lasciato. Resti sempre la stessa, a
meno che non decida tu stessa di affossarti”.
Will ha ascoltato prima con stupore, poi quasi con le lacrime agli occhi.
Il momento dura a lungo, poi lo sguardo di Cornelia cambia lentamente
mentre recupera pian piano il suo contegno abituale. “Tu hai raccontato
di avere letto nel pensiero delle tue compagne. Questo tuo potere è
nuovo, per me”.
Will annuisce. “L’unica volta che è successo, mi ha distrutta.
Forse l’ho rimosso per sempre”.
Cornelia ci pensa. “Ciò spiegherebbe la capacità di Wanda”.
“Cosa?”. La guarda ad occhi sgranati. “Wanda può leggere i pensieri?”.
“Sì, e fin da prima di incontrare Vera”, conferma Cornelia.
“Elyon pensava che questa capacità derivasse dalla sala degli specchi
di Kandrakar, ma forse è invece la copia di un tuo potere che si
è sbloccato. In fondo, la tua goccia non ha i tuoi ricordi d’infanzia”.
Will torna imbronciata. “Quante cose sai! Wanda… la sala degli specchi…”.
Il suo sguardo si focalizza di nuovo sul titolo del quadro: Le mezze verità.
“In questo momento, rimpiango molto questo potere perso”.
“…”.
“E sai perché, Cornelia?”. La guarda risentita. “Perché
ho l’impressione quasi fisica che Elyon non ci ha detto tutto. Forse non
ci ha mentito, ma ci ha raccontato solo mezze verità”.
Cornelia annuisce, a disagio.
“E ora”, continua Will, “ho la sensazione che anche tu ne sappia di
più di quello che hai detto”. La fissa con intenzione.
Cornelia distoglie lo sguardo. “Sai, quando ho saputo del furto del
Cuore di Kandrakar, anche io ho pensato qualcosa di simile. Elyon doveva
conoscere quel futuro, ma non me ne aveva fatto cenno. Ci rimasi male,
eravamo d’accordo di confidarci tutto”. Torna a guardare Will. “Però,
sentendola parlare per strada, ho capito che tenere qualcuno all'oscuro
può essere un modo per proteggerlo”.
“Proteggerlo? Da cosa?”.
“Da possibili conseguenze di una sconfitta già annunciata, nel
tuo caso. Dal peso di un segreto da non poter confidare alle proprie amiche,
nel mio”.
Will cerca di soppesare le parole dell’altra. Cosa le sfugge? “Tu avevi
già visto i disegni della profezia. Mi pare chiaro che hai già
qualche tua ipotesi su cosa sta succedendo”.
Cornelia si stringe le spalle. “Quando me li mostrò, ci sprememmo
le meningi su tutti i significati possibili. Però erano tutti esercizi
di fantasia, gli stessi che potresti fare anche tu a mente fredda. Poi
non ne abbiamo parlato più”. Fa un gesto di noncuranza. “In ogni
caso, tutte quelle interpretazioni sono superate. Ormai conosciamo quella
vera”.
Riprende in mano il suo telefonino, e si sposta di fronte ad un altro
quadro. Questa tela, in distanza, sembrava di un grigio quasi uniforme.
Vista da vicino, invece, è un vortice di sfumature colorate che,
abbastanza ben distinguibili alla periferia, diventano sempre più
sottili e compattate verso il centro del quadro, dove si mescolano tutte
sfumando nel grigio.
“L’oblio”, legge Cornelia. “Daniel Richter, 1996. Olio su legno. Prendi
nota, o ci possiamo dimenticare di portare la nostra ricerca alla Warton
per domani”.
Will capisce che il momento di confidenza, che è costato tanto
ad entrambe, sta finendo. La prende per una manica e la volta verso di
sé . “Guardami in faccia, Cornelia! Aiutami a capire!”.
L’altra sostiene il suo sguardo. “Lascia perdere, Will. Certe cose
hanno bisogno di essere credute”.