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Autore: Miss Hoech    19/06/2015    2 recensioni
Dopo aver finito la quinta stagione di QAF, mi sono immaginata come sarebbe andata tra Brian e Justin...Quindi dedico questo ''mio finale'' ai Britin. :3
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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-      Ratings : Verde.
-      POV : Justin Taylor / Brian Kinney.
-      Generi: AU, Generale, Introspettivo, Sentimentale.
-      Avvertimenti: Quando il testo verrà diviso in questo modo --> […] significherà che cambierà il narratore, ovvero da Justin a Brian o da Brian a Justin. La fanfiction inizierà dal punto di vista di Justin Taylor. Ricordo che Justin si trova a NEW YORK, mentre Brian a PITTSBRUGH. (Se avete visto tutta la serie sapete il perché.)



 
Lieto Fine.
Queer As Folk
 
Erano passate ben dodici settimane da quando il giovane Justin aveva deciso di trasferirsi a New York per dedicarsi interamente alla sua arte. Un cambiamento, un sacrificio che in quei tre mesi servirono a farlo crescere, a far conoscere il suo nome ai critici più importanti e prestigiosi. Rasheed Araeen, un pittore, scultore, critico d'arte e artica concettuale brittanico, prese sotto la sua ala protettiva Justin, quale aveva iniziato ad intraprendere nuove conoscenze sulla pittura.

Nonostante i novanta giorni appena trascorsi, Justin sentiva la terribile mancanza di Brian. Avevano deciso di terminare i rapporti, nessuna chiamata, nessuna e-mail, nessun incontro nel weekend. I due si amavano, ma l’uomo aveva deciso che per il bene del giovane compagno, doveva farsi da parte, lasciando a quest’ultimo di farsi un nome ed una carriera.

“Justin. Come mai sei ancora qui?” Taylor aveva cambiato il suo stile di vita. Nessuna discoteca, nessun bar, e soprattutto, nessuna relazione da una notte. Preferiva lavorare alla Casa d’Arte Araeen anche dopo la chiusura. “Signor Rasheed. Stavo ultimando il mio ultimo lavoro.” Con un piccolo sorriso sulle labbra, Justin rispose educatamente all’uomo più grande, quale guardò con attenzione il dipinto del giovane Taylor. “Hai già in mente come lo chiamerai?” Una cosa fondamentale per i dipinti era il nome. Justin ne creo venti in quei tre mesi, tutti con un successo incredibile e apprezzato da molti critici. “Ad essere onesti, non ne sono sicuro.” La tela aveva preso la forma di due uomini, uno di fronte all’altro che si sorridevano. “Devo ammettere che mi piace. C’è qualcosa di…Particolare in questo lavoro.” Il Signor Rasheed stava squadrando con attenzione il dipinto, come ne fosse ammaliato. “Mi ricorda ciò che ho perso.” Justin non riuscì a trattenere quel pensiero malinconico, tanto da incuriosire il suo capo. “Ti va di parlarmene? Vedo che questo pezzo ti sta molto a cuore.” Il biondino si girò verso l’adulto, non capendo cosa volesse dire. “Lei dice?” Araeen iniziò col passarsi la mano destra sulla guancia, accarezzandosi la barba. “Solitamente la tua pittura è solare. Altre introspettiva, altre ancora malinconia. Ma qui è…dolce. Romantica. I tuoi soggetti si sorridono e l’attenzione nei dettagli mi fa pensare che stai rappresentando te stesso con una persona a te cara.” Justin osservò la tela. Aveva dipinto due uomini dalle labbra in giù. Non vi erano gli occhi, o le loro espressioni. Eppure il Signor Rasheed aveva capito cosa rappresentava quel dipinto. “Credo abbia ragione…Penso ad una persona quando uso il pennello e continuo il mio disegno.” Una pacca sulla spalla fece sorridere il giovane ventunenne. “Parlamene.” Justin inspirò ed espirò, posando il pennello e pulendosi le mani. “Per venire qui a New York, ho rinunciato a sposare l’uomo che amo. L’unico che in quattro anni mi ha dato più di tutti.” Rasheed fece segno con la mano di sedere nel divanetto posto dietro di loro. “Perché farlo? Se lo ami e lui ti ama, non credi che avreste trovato un modo per essere sposati e per coronare la tua arte?” Il giovane Taylor iniziò col mordicchiarsi l’unghia del pollice sinistro, abbassando lo sguardo come a voler pensare. “Entrambi stavamo rinunciando a tutto. Il lavoro, il nostro modo di essere. Non volevo sposare un’altra persona…”

“Quindi lui ti ha lasciato?” Chiede curioso l’uomo più grande corrugando la fronte. “No. Mi ha solo incoraggiato a diventare qualcuno, a far conoscere il mio talento…Devo tutto a lui. Mi ha aiutato a costruire il mio futuro di pittore.” Justin rispose sicuro di quelle parole, parole che non disse mai ad alta voce fin a quel momento. “Sai, in questi mesi sei diventato qualcuno, qualcuno molto apprezzato. I tuoi lavori hanno qualcosa che da tempo non si vedeva e che persone come noi lo apprezzano. Magari, ora che tutti conoscono Justin Taylor, puoi coronare il tuo secondo desiderio.” Rasheed sorrise al biondino, quale arricciò le labbra in un timido sorriso. “Brian non la penserebbe così…Lui vuole il meglio per me e se lasciassi New York solo per stare con lui, non se lo perdonerebbe.”

“Lasciare New York non ti chiuderebbe le porte. Anzi…” L’adulto sorrise di gusto allungando, nuovamente, la mano sulla spalla del ragazzo. “Ti propongo una cosa. Ma prima devi rispondere ad una domanda. E non come Justin, ma come artista.” Curioso come non mai, Taylor annuì in attesa che il proprio capo riprendesse il discorso. “Cosa ha di speciale Pittsburgh?” Justin si morse il labbro inferiore. “In che senso?”

“Pittsburgh, come ogni città, possiede un tipo di arte. Se tu riuscirai a dirmi e dimostrarmi l’arte della tua città, ti farò una proposta che non potrai rifiutare.” Detto ciò, Rasheed Araeen, si alzò dal divano, regalando un occhiolino al giovane Taylor e lasciando la stanza.
 
[…]
 
Nelle ultime dodici settimane, Brian Kinney fece notare ai suoi più cari amici il totale cambiamento nella sua vita. Non andava passava tutte le sere nelle discoteche. Non andava a letto con il primo che incontrava. Non faceva le solite cazzate che spesso lo mettevano nei guai!

Per amore del suo raggio di sole, decise di rimanere un uomo fedele, nonostante i due si presero una pausa.
“Allora. Come stai oggi?” Brian, aveva deciso di passare due giorni a Toronto, per stare con Lindsay e il figlio Gus. “Come stavo ieri e come starò domani. Bene.” L’uomo non avrebbe mai ammesso di sentire la nostalgia del compagno, tanto che i suoi finti sorrisi riuscivano a ingannare persino la sua migliore amica. “Bene. Allora porti tu Gus all’allenamento di baseball? Così io e Mel ci occupiamo delle faccende domestiche.” Il moro annuì semplicemente, alzandosi dal divano e recandosi nella camera del figlio. “Ehi piccolo. Pronto per il baseball?” L’unico conforto dall’allontanamento da Justin, era il tempo che trascorreva con la sua prole. Non era stato un perfetto padre, ma come gli ricordava il suo biondo preferito, Brian non era suo padre, era un uomo che amava il figlio e che voleva partecipare alla sua vita. “Si papà.” La cosa che più amava di suo figlio, era il sorriso innocente che gli regalava ogni qualvolta stavano insieme.
 
[…]
 
Una volta rincasata al proprio appartamento, Justin meditò sulle parole del Signor Rasheed Araeen: Se tu riuscirai a dirmi e dimostrarmi l’arte della tua città, ti farò una proposta che non potrai rifiutare.

Cosa intendeva col “dimostrarmi” ? E soprattutto, ne era capace?
Preso dai mille pensieri, il giovane Taylor si mise al computer che tempo dietro gli venne regalato da Brian. Lo accese e osservò lo schermo. “Come si dimostra l’arte di Pittsburgh?” Non riusciva a trovare risposta a quell’enigma.

I secondi si trasformavano in minuti.
I minuti mutavano in ore.

Alla fine si arrese, conscio del fatto che non c’era una risposta a quella sottospecie di indovinello del suo capo.

La mattina dopo, Justin si recò direttamente nella piccola sala dove vi erano esposti i propri quadri. Li scrutò con attenzione, soffermandosi su quello dipinto la sera prima. “Buon giorno Signor Taylor.” La voce del Signor Araeen interruppe il vorticarsi di mille immagini che voleva dipingere su una tela. “Signor Rasheed.” L’uomo dai capelli lunghi e bianchi si pose accanto al giovane, preso anch’egli dal nuovo lavoro del suo sottoposto. “Allora Justin…Sai rispondere e mostrarmi cosa può offrire Pittsburgh?” Il biondo si girò verso l’adulto. “No, Signor Araeen. Ci ho pensato ed ho provato anche a disegnare…Ma la verità è che non si può dipingere o scrivere o…” Si interruppe prendendo fiato. “Pittsburgh ha qualcosa di speciale. Basta girare per le strade, osservare le persone e ti senti te stesso. In questo modo riesci a realizzarti, a capire chi vorrai essere. Ma non si può dimostrare…Lo si vive è basta.” Rasheed rimase colpito dalle parole del ragazzo, tanto che un sorriso trapelò dalle proprie labbra. “Tu hai capito perfettamente cosa intendevo. Ogni qualvolta che chiedo questa dimostrazione, mi dipingono il posto preferito…I bambini che giocano al parco…Dei gatti che stanno in un prato…Tu Justin, hai capito che non tutte le emozioni, o sensazione, si possono dipingere su una tela.” Taylor sorrise nel sentire quella risposta, colorando le proprie gote di rosso. “Allora…Curioso di sapere questa fatidica proposta?” Justin arricciò il naso annuendo contento. “Vorrei aprire una galleria e sono settimane che penso la città ideale. Ora ho deciso che sarà Pittsburgh e sarai tu a gestirla.”

“Io? Ma come…I miei lavori? Le mostre alle quali partecipo?” Gli occhi del giovane si illuminarono tra l’essere contento e l’essere sorpreso. “Oh i tuoi lavori continueranno ad essere esposti. Resterai un artista della Casa d’Arte Araeen, ma allo stesso tempo dirigerai quella di Pittsburgh.” Per la prima volta, dopo tre mesi dal suo trasferimento, Justin sentì di essere sulla strada giusta, sia lavorativa che sentimentale.
 
[…]
 
Era il 21 Ottobre 2006, quando il sonno di Brian venne bruscamente interrotto. La luce flebile che penetrava nel loft, gli fece capire che era mattina presto. Per l’appunto guardò la sveglia. “Le 6:00.” Il bussare alla porta metallica non cessò, anzi continuò persistente. “ARRIVO!” Chiunque si trovava dalla parte opposta della porta, l’avrebbe pagata. “Si può sapere che- Lindsay? Che diavolo ci fai qui? Soprattutto alle sei del mattino?” La donna sorrise eccitata e si fiondò ad abbracciare il migliore amico. “Non c’è tempo. Vestiti.” Brian sgranò gli occhi e dopo aver sciolto l’abbraccio corrugò la fronte e inarcò le sopra ciglia. “Come scusa?” La donna sbuffò e spinse Kinney verso il centro del loft fino ad arrivare all’armadio. “Metti questi. Su!” Brian era troppo assonnato per chiedere, quindi si mise il jeans e la maglia presi dalla amica.

Quindici minuti dopo, Lindsay fece accomodare il moro nella propria auto e partì senza dire dove sarebbero andati. Nel tragitto, Brian chiese che cosa stava succedendo, ma non ottenne risposta.

Arrivati al confine tra la Pennsylvania e il Canada, la Peterson bendò Kinney, nonostante le continue imprecazioni. “Brian smettila e goditi il viaggio. Sii uomo e non un cocciuto trentatré enne!” L’uomo si morse la lingua per non rispondere e decise di starsene buono.

Verso le 10:05, Lindsay e Brian arrivarono al McMichael Canadian Art Collection, una galleria d’arte prestigiosa utilizzata per eventi importanti.
“Posso togliermi questa ridicola sciarpa? Sai, odio NON SAPERE DOVE SONO!” Una risata scappò alla donna, quale parcheggiò l’automobile. “Abbi pazienza e fidati di me.” La Peterson scese dalla vettura e corse verso il posto del passeggero, aprendo la portiera a Brian per aiutarlo a scendere.
Percorsero il giardino che portava fino l’entrata, per poi risalire delle scale ed entrare in una camera. “Lindsay, non mi piace quello che sta succedendo. Dimmi dove siamo e cosa diamine stai-“

“Brian calma. Voglio che ti fidi di me! Voglio solo renderti felice.” Kinney sbuffò alzando la testa, nonostante gli occhi fossero ancora coperti. “Va bene. Allora dimmi che devo fare.” La bionda sorrise e lo fece sedere su una poltroncina. “Devi cambiarti, ma non voglio che tu sappia cosa indossare…Quindi ti aiuterò io.” Il piano stava prendendo la giusta piega.

Vero le 10:50, Brian era vestito.
Lo smoking gli fasciava bene il corpo, e ciò fece fischiettare Lindsay che era sparita per dieci minuti. “Perché il fischio?” Chiese per lo appunto l’uomo. “Oh lo vedrai. E adesso…” La migliore amica del moro si avvicinò e finalmente gli tolse la benda. Brian stropicciò gli occhi, finché non mise a fuoco la situazione. Lindsay indossava un vestito lungo color pesca. I capelli sciolti alle spalle e dei tacchi abbastanza alti. “Perché sei vestita in questo modo?” La donna si morse il labbro girando su se stessa. “Ti piaccio?” Brian annuì non capendo ancora cosa stava combinando la bionda. “Brian, girati.” Il moro roteò gli occhi al cielo ed eseguì l’ordine stanco di tutto quel mistero. Dietro di lui vi era uno specchio e quando vide il suo riflesso alzò il sopra ciglio destro. “Cosa ci faccio con lo smoking?” Lindsay non rispose e si arpionò ad un braccio dell’uomo. “Scoprilo.” Gli scoccò un bacio sulla guancia e fece segno di seguirla.
Davanti a loro vi era una porta bianca con la maniglia d’oro.
“Lindsay…”

“Brian, fidati.” La donna sorrise ed aprì la porta. Di fronte a lei una staccionata, di granito grigio e delle scale. Peterson iniziò col scendere delle scale che davano al giardino. Kinney strabuzzò gli occhi e rimase confuso.
Alla fine delle scale, Lindsay lo aspettava e di fronte vi era un giardino con un gazebo decorato di fiori e i suoi migliori amici vestiti eleganti. “Ma cos-(?)” Un rumore, una voce, richiamò la sua attenzione. Voltò lo sguardo alla sua sinistra e vi era una scala identica con uno Justin vestito con lo smoking bianco e un sorriso meravigliato sul volto. Brian non poté che sorridere, e nel vedere il compagno scendere uno scalino lo imitò. Finalmente capì…Quello era il loro matrimonio.
 
[…]
 
Sceso le scale, il giovane Taylor allungò la mano verso il compagno, quale prese immediatamente il gesto e incrociò le loro dita. “Vorresti spiegarmi?” Brian non sapeva se essere arrabbiato o solamente felice. “Sto coronando il mio più grande desiderio. Sposarti.” Prima che l’uomo potesse rispondere, Melanie tossicchiò e i due la guardarono. Daphne, Melanie e Lindsay, iniziarono a camminare sul tappeto bianco, fino a mettersi accanto ai loro amici. Brian e Justin le seguirono ed arrivarono al centro del gazebo, dove un prete li aspettava.
Al fianco di Brian vi era Michael, mentre a quello di Justin vi era Jennifer, la madre del biondo. Tutti sorridevano e l’ufficiale si schiarì la voce.
Iniziò il discorso con il solito “siamo qui riuniti per festeggiare…”, ma ne Brian ne Justin lo ascoltarono. I due si guardavano, si scrutavano nel dettaglio finché:
“Justin, vuoi dire il tuo giuramento?” Taylor aprì e chiuse gli occhi schiarendosi la voce. “Certo…” Attese che la madre gli desse la fede e prese la mano sinistra del compagno. “Da quando ti ho conosciuto la mia vita è cambiata. Mi hai fatto capire chi sono, dandomi la forza di sapermi accettare e di lottare per la mia vita, per i miei desideri…Nonostante una storia fuori dal comune, piena di alti e bassi, io ti devo tutto. Mi hai dato un futuro, un amore che mi è arrivato fin dentro l’anima. Quindi, Brian, io ti porgo questo anello come impegno per i miei sentimenti verso di te.” Finita la dichiarazione, Justin fece scivolare la fede all’anulare di Brian Kinney. “Brian?” Il moro guardò scettico il compagno e si fece porgere l’anello dal proprio migliore amico. “Devo dire che questo non me lo aspettavo. Insomma, stavo dormendo ed ora sono qui a doverti dichiarare il mio amore. *Tutti i presenti sorrisero.* Bene, lo faccio.” Si schiarì la voce e prese la mano sinistra di Justin. “Sei sempre stato una palla al piedi. Mi seguivi ovunque e non ti sei mai arreso! Sei stato un uragano che mi ha scompigliato la vita e fattomi mettere in discussione le mie scelte. Sono stato un vero stronzo, ma tu…Tu sei stato il mio raggio di sole. Mi hai fatto innamorare e crescere…Sei diventato quella parte della mia routine alla quale non posso rinunciare. Tu sei la mia. La mia anima gemella.” Con un sorriso dolce, Brian inserì la fede all’anulare di Justin Taylor. “Con il potere conferitomi dallo Stato del Canada, vi dichiaro compagni.” Fu con quelle parole che tutti iniziarono ad applaudire, e fu in quell’istante che Brian attirò a se il marito per coinvolgerlo in un bacio passionale che sapeva di nostalgia, felicità e amore.

 
[…]
 
Due anni dopo, ovvero il 21 Ottobre 2008, Brian e Justin divennero genitori di una bambina. Grazie ad una madre surrogata, ovvero la migliore amica di Justin, venne al mondo la piccola Taylor Kinney, una dolce creatura bionda da parte di Justin, e dagli occhi verdi castano da parte di Brian.

 
Fine.
   
 
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