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Autore: Ilhem_Rowling    20/06/2015    1 recensioni
Tutti hanno paura di quel complesso processo chiamato 'crescità'. Tutti, persino i figli di Grandi Salvatori del Mondo Magico.
E' giunto il loro momento.
Dal testo:
Se da Rose Weasley tutti si aspettavano che riportasse il massimo dei voti nei M.A.G.O., e che venisse coronata del titolo di ‘Seconda Migliore Studentessa di Tutta la Storia di Hogwarts’ – acquisito da sua madre al termine dei suoi studi dopo la Seconda Guerra Magica –, allo stesso modo, da Albus Severus Potter ci si aspettava un’ultima grandiosa annata e la vittoria per i Serpeverde della Coppa di Quidditch, strappatagli negli ultimi quattro anni dai Grifondoro, capitanati da James Sirius Potter.
Dal capitolo 4: (AlbusxScorpius)
« [...] Dici che vuoi essere qualcuno, indipendentemente dal tuo cognome, e dalla fama che ti porti dietro, ma, Scorpius, possibile che tu non te ne renda conto? Stai soltanto alimentando ciò che gli altri pensano di te»
«E CHE COSA PENSANO DI ME, EH? COSA VOGLIONO CHE FACCIA? COSA VUOLE IL MONDO MAGICO CHE IO FACCIA? [...]»

Rivisitazione dell'omonima fanfiction, pubblicata nel luglio 2013.
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Lily Luna/Lysander, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 2:
La lettera


Quell’anno, gli studenti avevano avuto la fantastica opportunità di iniziare le lezioni due giorni dopo il rientro del primo settembre. Era uso ad Hogwarts, in caso il rientro del primo settembre cadesse di venerdì o di sabato, ricominciare l’anno appena entrata la settimana, e anche quell’anno era andata così. La maggior parte degli studenti aveva usufruito dei due giorni che dovevano essere di vacanza, per finire i compiti che erano stati accantonati durante l’estate per causa di forza maggiore, o meglio per affannarsi a scopiazzare qualcosa dai compagni che avevano finito tutto da un bel pezzo, o per cercare di salvarsi la pelle per miracolo. Proprio per questo motivo Rose, che ovviamente aveva svolto tutti i suoi compiti durante il mese di giugno, non aveva trovato nemmeno un posto in Biblioteca, stracolma di idioti che cercavano di finire il lavoro di tre mesi in due giorni. Ovviamente era rimasta molto irritata dalla mancanza di responsabilità da parte degli alunni, ma conoscendo anche i suoi cugini, sapeva che era normale. Era stata costretta a rimanere in Sala Comune entrambi i giorni, perché Lily doveva aiutare Hugo a finire i compiti, e lo stesso Molly con Roxanne, mentre Alexandra… be’, aveva deciso di lasciarle un po’ di tempo per sbollire la rabbia e la tristezza del momento. Era convinta che non passasse tutto il suo tempo a piangere nella sua camera, come avrebbe fatto la maggior parte delle ragazze sul pianeta Terra, dopo aver rotto con il proprio ragazzo, ma Alexandra era più il tipo da sofferenza silenziata. Aveva bisogno solo di tempo per riflettere su come affrontare il nuovo anno senza creare troppo scompiglio nella sua vita quotidiana a causa di quell’imprevisto. Insomma, lei e Lorcan appartenevano anche alla stessa Casa! Era ovvio che non potessero ignorarsi; sarebbe stato da immaturi, e loro non erano di certo due bambini. Rose sapeva che si sarebbero chiariti e sarebbero scesi a compromessi per continuare a convivere in pace tra di loro e con loro.
Comunque, durante tutta la mattinata del loro primo giorno effettivo di scuola, Alexandra non mostrò mai segni di turbamento, e Rose non sapeva se dovesse interpretarlo come un “non voglio parlarne”, o un “sto bene, non c’è bisogno”. Conosceva quella ragazza da molto tempo, ma era troppo difficile interpretarla.
Dopo il pranzo di quel primo giorno, si erano date un quarto d’ora di pace prima di riprendere con le lezioni pomeridiane, che sarebbero cominciate alle due. Erano sedute sulle scale che davano sul Salone d’Ingresso, appena fuori dalla Sala Grande, e osservavano i ragazzini che correvano da ogni parte, impauriti all’idea di fare tardi, o peggio di non trovare l’aula della prossima lezione, e qua e là qualche Prefetto che cercava di riprenderne alcuni per aiutarli e indicare loro le direzioni, anche se questi non ascoltavano una lettera.
«Ti ricordi quando c’eravamo noi al loro posto? È assurdo che sia già finita» disse Rose, che li osservava attentamente, con una punta di amaro sulla bocca. Alexandra si voltò verso di lei, «Rose, non ci devi pensare così tanto» la rimproverò «Finirai per sprecare il tuo ultimo anno» «Non so più ormai quanta gente mi abbia detto questa frase» rispose Rose, «Non sei l’unica»
Alexandra si rigirò i pollici tra le dita, «Mia madre vuole che io faccia il mio debutto in società, come figlia di una delle ultime famiglie Purosangue in circolazione. È ancora estremamente convinta che io debba continuare la tradizione, ma sinceramente, ho solo diciassette anni. Non mi pare il caso di pensarci ora» disse, «I miei fratelli hanno cercato di convincerla a regalargli qualche anno per… insomma, trovare il loro posto nel mondo, da soli senza il loro cognome. Be’, gliene ha dati a sufficienza, in realtà. Tra qualche mese Michael compirà vent’anni, e a quel punto non avrà più scelta» rimase a fissare il corridoio febbricitante, con un riflesso di angoscia incastonato nello sguardo «E anche Cadmo è agli sgoccioli, da troppo tempo, anzi»
«Purtroppo ci sono ancora tradizioni che, per quanto sia diverso ora il nostro mondo, e tutte le sue istituzioni, rimangono e assillano le persone che appartengono alle famiglie di antico stampo. Non possiamo farci praticamente nulla» ribatté Rose, mettendo una mano sulla spalla di Alexandra, che piegò l’angolo della bocca in un mezzo sorriso, «Già, è vero. Comunque, puoi chiedermelo»
Rose la guardò con un sopracciglio inarcato, non capendo a cosa alludesse. Fece per chiedere, ma Alexandra specificò da sé, «Su Lorcan» e Rose rimase sorpresa del fatto che avesse avuto addirittura il coraggio di cacciare personalmente il discorso «Rose, è meglio chiamare le cose con il proprio nome, non trovi? Chiedimi quello che vuoi»
La ragazza rifletté un momento, considerando che forse non stesse dicendo sul serio, poi le venne in mente una domanda che le premeva in petto, che riportava al discorso iniziale della Corvonero. Probabilmente aveva introdotto quella questione proprio per spingere Rose a fare quella domanda che Alexandra temeva così tanto da riuscire a trasmettere il proprio terrore anche a lei.
«Prima hai detto che i tuoi fratelli avevano chiesto degli anni a tua madre. Fino a quando sei stata con Lorcan, avevi anche tu una riserva di anni a disposizione… ma ora… che farai?» chiese Rose, e poté giurare di aver quasi sentito il cuore di Alexandra battere lento e scandito, come se il tempo si fosse fermato, «Fin quando mia madre non verrà a saperlo, non dovrò risponderne» rispose la ragazza dopo un po’.
«Che cosa? Stai scherzando? Lei non lo sa?» si agitò Rose sul gradino delle scale, cercando di non pensare a cosa avrebbe fatto la madre di Alexandra, dopo aver scoperto che la figlia poteva essere presa e modellata a sua immagine e somiglianza.
Ad Alexandra venne da ridere, pensando alla situazione disastrosa in cui prima o poi si sarebbe dovuta trovare, infatti rise leggermente, soprattutto per cercare di tranquillizzare Rose, che era diventata più bianca di quanto non fosse dalla nascita.
«Troverò una soluzione. Magari chiederò anche io un prestito di anni dalla banca Nott» sorrise di nuovo, ma Rose non si sentì di ricambiare, avvertendo lo sconforto della sua amica.
«Non fare quella faccia, e andiamo a lezione, altrimenti chi lo sente Vitious»



«Bene, ragazzi, cominciamo in fretta la lezione. Oggi affrontiamo un incantesimo abbastanza semplice per iniziare il programma per i M.A.G.O. di quest’anno. Non voglio caricarvi già dal primo giorno. Quest’anno dovrà essere indimenticabile, giusto? Avrete tutti fatto dei progetti, come immagino, perciò su, su, cominciamo» esordì Vitious, ruotando e muovendo freneticamente le braccia, come per accelerare il movimento degli studenti che si riversavano nella sua aula. Quando tutti presero finalmente posto, andò a prendere posizione sulla pila di libri dietro la sua scrivania. Ci volle un po’ per arrampicarcisi – e un aiuto da parte di qualche studente –, ma quando salì, un po’ rosso in viso, la lezione poté cominciare.
Vitious si aggiustò la veste, e si schiarì la voce: «Ehm-ehm… finalmente possiamo iniziare. Prendete le bacchette. Ottimo»
Prese anche lui la bacchetta, e la puntò in direzione degli studenti che, non avendo idea dell’incantesimo che il professore avesse intenzione di insegnare loro, si accucciarono sotto i loro banchi. Vitious ridacchiò, «State calmi» fece «Non vi farò del male»
Poi si schiarì di nuovo la voce e disse: «Carpe Retractum» puntando la bacchetta contro un libro, che subito si fiondò sul piccolo professore, che con un salto, fece atterrare il libro assieme alla pila su cui era seduto.
I ragazzi lo guardarono sconvolti e confusi. «Ma è soltanto un incantesimo di Appello!» si lamentò qualcuno di loro. Vitious non rispose, e si limitò ad appellare non verbalmente altri tre libri.
Ora era un po’ troppo in alto, visto che si teneva in equilibro su sette tomi, a loro volta posizionati sulla cattedra, che era rialzata rispetto ai banchi degli studenti. I ragazzi pensarono che il professore fosse impazzito, e rimasero in silenzio, aspettando che desse prova della sua scelleratezza.
«Mi raccomando, state fermi al vostro posto»
I ragazzi annuirono in trance.
Poi Vitious saltò dalla pila di libri.
Seguirono le urla di alcune ragazze, e alcuni ragazzi partirono per andare a raccogliere il professore prima che cadesse a terra, ma in tutto questo Vitious aveva già riformulato l’incantesimo, chiamando a sé la sedia – che lui non poteva chiaramente usare – dietro la scrivania, che si era prontamente posizionata sotto il suo corpicino, ancorandolo saldamente alla seduta, per riscendere dolcemente di fronte agli alunni ancora terrorizzati dal tentato suicidio di Vitious.
I ragazzi rimanevano immobili, come in un fermo immagine, bloccati sul pensiero di cosa poteva succedere, ma che in realtà non era fattibile accadesse.
«Oh, forza, non fate quelle facce. È magia, non dovreste sorprendervi. Nemmeno gli studenti del primo anno avrebbero reagito così» ridacchiò il professore, toccandosi la pancia.
«Bene, ora tocca a voi»
«Ma è pazzo?» sussurrò Albus a Scorpius, che stava a braccia conserte, con gli occhi fissi su Vitious, come se la lezione l’avesse interessato davvero, cosa che non era mai accaduta in tutta la sua carriera scolastica. «Io non mi vado a buttare dalla scrivania» commentò Lysander.
«Neanche io» fece Albus, constatato che Scorpius non lo stava calcolando di striscio.
Poi Vitious riprese gli studenti, battendo le mani per attirare la loro attenzione: «Non perdiamo tempo, ragazzi. Ognuno di voi si sistemi in un punto per sé, e cominci a provare l’incantesimo. Forza»
I ragazzi rimasero per qualche secondo ad indugiare ai propri posti, poi iniziarono a sparpagliarsi, inquieti. Rose e Alexandra si sistemarono a poca distanza l’una dall’altra, anche per intervenire in caso di cadute libere, o qualsiasi altro possibile incidente causato dall’incantesimo. Albus e Lysander si sistemarono in fondo all’aula, e lo stesso fecero Scorpius e Lorcan, ben attento a stare il più lontano possibile dalla sua ex ragazza.
«Molto bene, molto bene» fece Vitious, girando tra le gambe degli studenti, e sistemando qua e là alcune delle posizioni in cui erano «Al mio via, eseguite l’incantesimo»
Rose pensò in fretta ad un appoggio saldo che poteva usare, cercando di non pensare all’eventualità in cui avesse scelto lo stesso supporto di un altro studente creando il disastro. Alla fine trovò perfetta, per l’uso che doveva farne lei, un’asse di legno che era appoggiata accanto alla libreria in fondo all’aula, proprio di fronte a lei.
Vitious contò uno. Rose si sistemò in pugno la bacchetta. Vitious contò due. Rose chiuse un attimo gli occhi, e pensò all’incantesimo, provando la pronuncia a fior di labbra.
«Tre!»
«Carpe Retractum» l’intera aula scoppiò in queste due parole, pronunciate a tempi diversi, con toni diversi, e con diversa enfasi. Diversi oggetti cominciarono a volare per la stanza, cercando coloro che li stavano chiamando in aiuto.
Rose saltò un attimo prima che la tavola arrivasse, posizionandosi sopra di essa, in equilibrio perfetto. «Bravissima» le disse Alexandra, che intanto aveva trovato atterraggio su una lavagna.
Rose, però, compiaciuta del risultato, non si accorse di un orribile scricchiolio che proveniva da sotto i suoi piedi, e subito dopo si ritrovò schiantata al suolo, dando via ad uno scroscio insopportabile di risate.
Si mise subito a sedere, massaggiandosi la nuca. Alexandra scese dal suo appoggio, e le andò incontro «Tutto bene?». Rose annuì, cercando di ignorare le continue risate. L’occhio le cadde in fondo all’aula, dove Albus la guardava preoccupato, un po’ per via della caduta, e un po’ per la reazione cha avrebbe avuto poi riguardo il suo fallimento. Rose non sopportava l’idea di fallire. Accanto a lui c’era l’idiota di Malfoy, che rideva come un completo cretino, cadendo addirittura a terra per l’ilarità della situazione. Chissà per quanto tempo gliel’avrebbe rinfacciato.
«Signorina Weasley, niente di rotto, mi auguro» arrivò il professor Vitious, «No, io sto bene, professore. Non si preoccupi» rispose Rose, conservando la sua dignità professionale da strega di diciassette anni, che è sicuramente molto più matura di un gradasso idiota come Malfoy, che ride degli insuccessi altrui, non pensando ai propri, e soprattutto ignorando contro chi si stia mettendo.
«Bene, bene. Riproviamo tutti ancora una volta» fece poi, distogliendo l’attenzione degli alunni dall’errore commesso da Rose.
E la lezione riprese abbastanza tranquillamente.






Albus si era concesso solo un’ora di studio, perché sosteneva di non poter cominciare con orari impossibili già dal primo pomeriggio ad Hogwarts. Non esisteva per niente al mondo.
Perciò aveva deciso di uscire per un paio di orette, per rilassarsi nel parco, prima dell’ora di cena. Ovviamente non era riuscito a trovare nessun accompagnatore che rendesse il suo pomeriggio meno noioso di come si era rivelato nei suoi primi tre quarti d’ora: Rose era rimasta a studiare nel suo Dormitorio dalle cinque e mezza del pomeriggio, Scorpius aveva dato una rapida occhiata ai libri, e poi era andato a imboscarsi con la Rogen, Lysander era stato costretto da Lorcan a chiudersi con lui in Biblioteca per la promessa che aveva fatto a sua madre prima del rientro a scuola. Visto che l’anno precedente si era salvato per il rotto della cuffia, e solo grazie all’aiuto e ai sacrifici che gli erano stati imposti di fare da Rose, Lorcan e Alexandra, a metà agosto, Lysander si era visto costretto a promettere a Luna che non si sarebbe verificato nulla di simile in quel suo ultimo anno. Doveva essere impeccabile, altrimenti sua madre l’avrebbe reso impiccabile.
E quindi eccolo lì, tutto solo a girovagare per il Campo di Quidditch, tirando calci al terreno, dopo aver fatto visita ad Hagrid, di cui aveva potuto godere la compagnia per una scarsa mezz’ora, visto che il guardacaccia era impegnato con qualsiasi cosa fosse di cui Albus non voleva sapere nulla.
Per un po’ si era messo a pensare a cosa avrebbe fatto quell’anno per la squadra dei Serpeverde, alle tattiche, alle formazioni di gioco, alle nuove reclute… Pensava costantemente a cosa dovesse fare per lasciare un’impronta indelebile nella storia di Hogwarts, ma più ci pensava, più non vedeva come potesse essere possibile una cosa del genere senza dover abbattere un troll, scoprire una camera segreta con l’accesso nel bagno, disdire una credenza di vent’anni su una casa maledetta, assistere al ritorno del più malvagio mago oscuro mai esistito, creare un esercito di maghi, o peggio ancora, dover salvare l’intera comunità Magica.
Ad Albus venne da imprecare pensando che, di quel passo, sarebbe impazzito letteralmente per trovare una via che lo portasse alla gloria personale e universale, ma si trattenne e si mise le mani nei capelli, emettendo un mugugno strozzato, che fosse un surrogato del suo urlo, constatando poi che aveva un anno intero davanti a sé per valutare, tentare, scartare e scegliere varie possibilità.
Non poteva immaginarsi di essere sempre e costantemente all’ombra di suo fratello, non poteva e non voleva rimanere solo ‘il secondogenito di Potter’. James si era sempre distinto di gran lunga dagli altri, dimostrando di sapersela cavare, pur facendo la figura del tronfio idiota in più di una circostanza. Ma almeno di lui si ricordavano a dispetto del suo cognome. Lui era sempre il ragazzo più ambito, il più simpatico, il più affabile, il più popolare, il più – secondo le ragazze – sexy, il più furbo. Non era nemmeno poi tanto stupido, in quanto a medie scolastiche. Se l’era sempre cavata con voti abbastanza sopra la media, e poi sapeva davvero il fatto suo. Era un bravo giocatore di Quidditch, come molte riviste sportive nel Mondo Magico accennavano, facendogli anche una discreta pubblicità, infatti era stato scelto per le selezioni della nuova formazione dei Cannoni di Chudley. E, ammettiamolo, aveva avuto molte più avventure sentimentali di Albus, però egli sosteneva che fosse solo perché James non era ancora stato colpito dalla persona giusta, e perciò vedeva tutte quelle faccende amorose soltanto come un passatempo.
Albus era stato semplicemente attratto da alcune ragazze, e ci era uscito, al massimo una pomiciata e se andava, andava, ma se non andava lo diceva chiaro e tondo, perché non gli piaceva per niente fare la parte del ragazzo bastardo e brucia cuori, che pensa solo alla relazione fisica, ignorando bellamente cosa poi potrebbe provare una ragazza.
Aveva provato a spiegarlo tante volte a Scorpius, ma lui si divertiva troppo per poter smettere. Scorpius trovava la sensazione migliore, quella di dominare e squarciare la propria vittima (in senso metaforico, ovviamente), e lasciarla poi agonizzante al suolo.
Ma, per quanto gli costasse ammetterlo, Malfoy aveva avuto una cotta seria per una ragazza, circa cinque anni prima, ed era rimasto davvero affranto quando si era sentito rifiutato.
In realtà c’era una storia molto buffa, legata dietro a questo episodio, ma Albus era stato praticamente minacciato di morte affinché non ne facesse mai parola con nessuno, e per nessuna ragione. Era sul serio imbarazzante.
A ricordarlo solamente, Albus ridacchiò tra sé, pensando a quando Malfoy non era altro che il figlio di Draco Malfoy, e basta: niente fama da gigolò, ruba cuori, consuma carne a tradimento, e chi più ne ha, più ne metta. Probabilmente nessuno si ricordava del periodo oscuro di Scorpius Malfoy, come se tutti l’avessero conosciuto a partire dal gennaio del 2021.
Comunque Albus non aveva le capacità di seduzione che aveva il suo amico, o forse le aveva ma trovava ingiusto abusarne come era solito fare Scorpius. In quanto a numeri, Albus era decisamente in svantaggio rispetto a Scorpius, che probabilmente aveva perso il conto di ragazze con cui era andato a letto dopo la metà del loro sesto anno. Lui, invece, probabilmente aveva avuto si e no quindici ragazze, anche se la quota di quelle che gli sbavavano dietro era praticamente equiparabile a quella del suo migliore amico, o almeno sperava fosse così.
Quell’anno non sapeva cosa avrebbe fatto, in campo sentimentale; non sapeva se andare avanti e magari innamorarsi di un’altra ragazza, anche fuori dalla scuola (magari Dominique poteva presentargli una delle sue amiche, durante le vacanze di Natale), oppure continuare imperterrito con il suo obbiettivo proibito.
Ammetteva che l’idea di conquistare una ragazza che gli si era sempre rifiutato, e che soprattutto piaceva anche a James ma non in modo corrisposto, sarebbe stata una vittoria assoluta in tutti i campi, in primis per l’immagine della faccia di suo fratello nel vedere lui e Alexandra insieme. Sarebbe stato come vincere all’estrazione del ‘Super Galeone’*.
Albus continuò a camminare, sorridendo di tanto in tanto per l’assiduo pensiero di James e delle sue reazioni e domande in caso una cosa del genere fosse mai accaduta, tirando di tanto in tanto qualche calcio alla terra del campo di Quidditch.
Qualcosa però, attirò la sua attenzione: accanto agli spalti, anche se il ragazzo non riusciva a riconoscere chi fosse, c’era la figurina minuta di una ragazza (o bambina, non si poteva dire) che camminava spedita verso il punto più alto delle gradinate, con una specie di pacchetto in mano, e la testa china, e i capelli lunghi fino alla base della schiena che sbatacchiavano di qua e di là.
Se Albus non fosse riuscito a individuare l’unica persona di sua conoscenza che aveva capelli del genere, e una camminata così furibonda, avrebbe detto di stare invecchiando prematuramente.
Si domandò seriamente se fosse davvero il caso di andare da lei, perché Molly Weasley era facilmente inquadrabile sul suo stato d’animo attraverso la sua camminata, e tutti loro in famiglia, avevano imparato cosa volesse dire ogni suo singolo movimento: se era triste, il piede destro barcollava in modo visibile, se era preoccupata, camminava agitando il braccio sinistro, e grattandosi le unghie, se era contenta o serena, ciondolava leggermente con la testa.
Molly aveva diverse sfumature di camminata, una più strana dell’altra, ma i cugini, che avevano imparato ad interpretarla in ogni secondo della giornata, sapevano quando era il momento di intervenire o no.
Quello era decisamente un momento no. La camminata veloce, e i capelli che volano di qua e di là non erano un buon segno, mai. Indicavano senza dubbio rabbia e ferocia.
Purtroppo, Albus Potter non era un ragazzo altamente giudizioso, e raggiunse la cugina, scalando tutte le gradinate.
Quando fu abbastanza a portata d’orecchie la sentì borbottare alcune parole incomprensibili, che il ragazzo riuscì a distinguere dopo alcuni passi: morte, lenta, e dolorosa.
Ripeteva queste parole di continuo, come un mantra, o un’invocazione coinvolta in un rito voodoo, o qualcos’altro del genere. Pregò con tutta l’anima di non doversi pentire un giorno della scelta di aiutare Molly schizofrenica Weasley.
«Ehi» sussurrò cauto, per evitare che la ragazza saltasse a più di un metro di altezza per lo spavento di trovarsi qualcuno alle spalle. Inutile dirlo, Molly saltò anche più in alto; Albus avrebbe detto un metro e sessanta. Il ragazzo indietreggiò al sussulto della cugina che, appena riconosciuto il suo aggressore, trillò «Albus Severus, vuoi farmi morire di infarto?» «Ho fatto piano apposta!» protestò lui, sedendosi accanto alla ragazza, che prontamente lo fece rialzare, «No, no. Quante volte dovrò ripetertelo, Albus? Quando ti siedi vicino ad una ragazza senza il suo permesso, passi per maleducato e anche abbastanza sfacciato» lo rimproverò.
Questa qua è tutta matta”, pensò e prese in considerazione l’idea della fuga, ma poi si limitò a dirle: «Ma se siamo cugini!» «Oh, quindi stai effettivamente ammettendo che sei uno sfacciato anche di fronte alla famiglia, e per questo io, essendo tua parente, lo sappia già di mio» fece, al che Albus si mise le mani sulle tempie per cercare di tradurre la frase «Ti capisco» fece poi la ragazza, prendendo il libro al suo fianco, e posandolo sulle ginocchia, cominciando a leggere.
«Che cosa?» mormorò Albus, più rivolto a sé stesso che alla cugina.
Molly, dal canto suo, era impegnata a seguire il filo narrativo del suo libro, e sembrava dal suo sguardo che fosse davvero divertente. «Che leggi?» le chiese Albus, che evidentemente non aveva imparato, dopo i mille rimproveri da parte di Rose, che non si deve mai interrompere qualcuno che sta leggendo, soprattutto non chiedendogli cosa stesse leggendo. La ragazza chiuse il libro di scatto, e si voltò per fulminare Albus con lo sguardo, «Un saggio sull’occupazione di Hogsmeade durante la rivolta dei goblin del ‘612. Comunque, di cosa hai bisogno, Albus Severus? Un aiuto per i compiti? Ripetizioni? Che ti scriva dieci centimetri di qualche tema? Non ho tempo da perdere» fece, parlando così in fretta che il ragazzo faticò un po’ a seguirla.
«Quando perderai il vizio di chiamarmi con il mio primo e il mio secondo nome, Molly? E no, non sono venuto per questioni scolastiche» disse Albus, «Volevo solo sapere come è andata oggi. E non guardarmi così, lo sai che tengo anche a te, persino quando sei una scassa pluffe senza pari!» la riprese quando vide che stava per ribattere, «Ti ho vista prima, mentre salivi le gradinate. Non mi sembravi molto… tranquilla». Molly aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo, chinando il capo, e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Albus la scrutò preoccupato, «Molly, è successo qualcosa?» chiese dolcemente, mettendole una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Lo sai che puoi dirmelo. Forza, sono tutt’orecchi» e sorrise per incoraggiarla a confidarsi con lui. Se Albus sapeva fare qualcosa, quello era di certo l’ascoltatore di problemi; magari avrebbe trovato una carica al Ministero che implicasse ascoltare i problemi delle persone e tentare di aiutarli a superarli, come uno psicologo di quelli babbani. Forse era quella la sua vera vocazione.
Molly però non sembrava molto propensa alla parola, o alla confessione. Rimaneva in silenzio, come se sperasse che Albus si stancasse e la lasciasse sola, in modo che non le toccasse raccontare nulla. Evidentemente non aveva afferrato le intenzioni del cugino, che per niente al mondo avrebbe lasciato lì Molly, in quello stato.
Albus le picchiettò un dito sul braccio, per spingerla a girarsi verso di lui, almeno per gridargli un “Piantala, idiota” che era già qualcosa.
«Ti prego, non costringermi a parlarne» disse la ragazza, scostandosi «E tu non costringermi a ricorrere alle maniere forti, altrimenti ti faccio stramazzare a terra per il solletico» ribatté invece Albus, «Conterò fino a tre» «Albus, dai» si lamentò la ragazza, per niente intimorita dalla minaccia.
«Uno…» cominciò Albus, portando le mani davanti alla cugina.
«Non ne voglio parlare»
«Due…»
«Non provarci, Albus»
«TRE!» gridò il ragazzo, afferrando la cugina e cominciando a farle il solletico su tutto il busto, mentre Molly saltava di qua e di là, cercando di liberarsi dalla presa, con i capelli che sbattevano sul viso di Albus.
«Ti supplico, smettila!» esclamò in preda alle lacrime, cercando di spostare le mani del ragazzo, anche se aveva dimenticato che Albus aveva delle mani fortissime, che non lasciavano mai la presa, a meno che non lo volessero. Non per niente era uno dei migliori Cercatori che i Serpeverde avessero mai avuto in tutta la storia del Quidditch ad Hogwarts.
«La smetto solo se mi spieghi cosa è successo» rispose Albus, continuando a farle il solletico, mentre Molly si divincolava come un pesce sull’asfalto. «Va bene, va bene, va bene» accettò, ancora con le lacrime che fuoriuscivano a getti dagli occhi. Molly era il soggetto più sensibile al solletico nell’intero sistema solare. Iniziava a dimenarsi anche solo se qualcuno le sfiorava per sbaglio una ciocca di capelli.
Quando si fu calmata, si mise le mani in grembo e cominciò ad accarezzarsi le dita «Oh, Albus, ho creato un casino» cominciò, guardando in cielo, come se avesse commesso chissà quale peccato e cercasse redenzione da parte di Dio. Albus decise di non interrompere, e di non fare domande, sperando che continuasse a spiegare senza essere incalzata troppo.
«Ho commesso un errore madornale, e probabilmente non avrò più il coraggio di far vedere la mia faccia in giro» fece poi, e si voltò a guardare il cugino, aspettandosi quasi che stesse per fuggire da quella svergognata che era ora. Prese un respiro così profondo che pareva si stesse preparando ad una gara di apnea, «HO BACIATO UN RAGAZZO!» esclamò, iniziando a piangere con il volto tra le mani.
Albus spalancò la bocca, e gli venne quasi da dire “Ah, ma allora anche lei è un po’ normale”, ma poi optò per gettare indietro la testa e scoppiare a ridere, tenendosi la pancia per paura che qualche organo decidesse di abbandonare la sua solita ubicazione. Molly, invece, continuava a piagnucolare e, quando vide che la reazione di Albus era stata tutta l’opposto di ciò che lei aveva pensato, si infuriò.
«Ma come, non mi dici nulla? Capisco che tu non abbia una dignità a cui badare, che tutti pensano che ti piaccia spezzare il cuore alle ragazze, e tutto il resto, ma io non sono come te!» pianse gridando, con Albus che invece stava starnazzando come una gallina che ha ingoiato un topo per sbaglio. Probabilmente sarebbe anche potuto cadere dagli spalti, di lì a poco.
«Prima di tutto; io non faccio il ruba-cuori. Mi confondi con Scorpius. Secondo; Molly, è solo un bacio. Anzi, è una fortuna che tu abbia baciato un ragazzo, cominciavamo a pensare che avessi scelto la via del Signore» fece, unendo le mani in preghiera e guardando al cielo.
Molly, in risposta, gli sferrò un pugno sul braccio. «Ahia! Vi prego, non cominciate così l’anno, perché altrimenti ne uscirò senza braccia» piagnucolò il ragazzo, massaggiandosi le spalle. «Comunque volevo solo dire che non hai fatto nulla di sbagliato, e sono felice per te»
«Sei felice della mia rovina? AH, grazie tante!» saltò su Molly, spalancando le braccia sopra la testa.
Albus fece davvero di tutto per non prenderla per i capelli e farle battere la testa sulle assi delle sedute sugli spalti. Fortuna che aveva una pazienza infinita, lui.
«Ma non sei rovinata, Molly!»
«E invece sì! Tu non sai cosa ha fatto, quando l’ho baciato» rispose questa, iniziando a grattarsi le unghie, come quando era inquieta. “Oh, santo cielo, ma perché non me ne sto mai buono, e non mi immischio in queste faccende?” pensò disperato Albus, alzando per una frazione di secondo gli occhi al cielo.
«Sentiamo, cosa avrà fatto di tanto ignobile?» chiese, «Ha ricambiato il bacio, Albus!» fece Molly, sbuffando poi per la mancanza di comprensione per una questione così estremamente delicata «E… con la lingua» disse poi, ritraendosi quasi spaventata che quel ragazzo potesse ricomparire, e iniziare a prenderla a linguate. Davvero disgustoso.
Albus si schiaffò una mano in fronte per lo sconforto, «Molly» iniziò con pazienza «Evidentemente significa che, come presumo lui piaccia a te, anche tu piaccia a lui, e parecchio viste le circostanze. Perché ti costa tanto ammetterlo?»
«Perché io non sono come te! Non sono come voi!» esclamò questa, quasi scoppiando a piangere.
«Molly, adesso smettila di esaltare il tuo ego. Andava bene quando avevi undici… dodici anni, ma adesso è il momento di capire che la tua è solo arroganza, quando sopravvaluti il tuo potenziale. Non devi continuare a credere di essere migliore degli altri, perché siamo tutti uguali, e non devi disprezzare chi fa cose diverse da quelle che fai tu!» sbottò Albus, sinceramente stanco di tutte le volte in cui Molly li definiva una banda di babbuini saltellanti senza sufficiente materia grigia per capire come funziona lo sciacquone di un gabinetto. Era una ragazza davvero intelligente, sì, ma non doveva andarsene in giro vantandosene e disprezzando al contempo gli altri, perché li riteneva inferiori.
«Ma…» protestò questa, e Albus la interruppe subito «No, fammi finire. Non pensare che, siccome io sono a volte apprezzato fisicamente da qualche ragazza, sia un gigolò strappa cuori. O che Roxanne sia idiota solo perché le piace scherzare. O che Victoire sia superficiale solo perché ha la passione per la moda, e quelle altre cose lì. O che tutto il genere maschile non ti apprezzi abbastanza perché troppo cerebrolesi da comprendere i tuoi punti di vista…»
«Albus, io…»
«Perché, a quanto pare, c’è qualcuno che ti apprezza per come sei, nonostante i tuoi difetti»
«Io stav-…»
«E, soprattutto, smettila di pensare che l’amore sia solo per i deboli e per le persone con mentalità sottosviluppata, e che chi ami è un perfetto idiota, D’ACCORDO?» concluse tutto d’un fiato Albus, con la faccia rossa per la rabbia, e per aver parlato senza sosta e troppo velocemente.
«Hai finito?» chiese Molly, apparentemente per nulla toccata dalla strigliata del cugino. Questi si limitò ad annuire, deluso di aver sprecato tutto quel fiato per senza motivo.
«Quando ho detto di non essere come voi, intendevo dire che voi siete più interessanti di me…» cominciò la ragazza, portandosi di nuovo le mani in grembo «Come hai detto tu. Ognuno di voi ha qualche talento speciale, una dote, la bellezza, la simpatia… io ho solo la mia arroganza, Albus. Io non so perché ho baciato Sean, so solo che c’è stato qualcosa che è scattato: come una molla che mi ha spinta a darmi una mossa e agire, senza doverci pensare troppo. Quando mi sono interessata a lui, l’anno scorso, pensavo di essere diventata una completa idiota, come dici tu» abbozzò un sorrisetto amaro «Ma ero convinta che non mi avrebbe mai notata, visto che io, tra i tanti Weasley, sono la meno riconosciuta» «Molly, non dire stupidaggini» la corresse Albus, sentendosi in colpa per le cose che le aveva detto un momento prima. In fondo, Molly si era sentita solo a disagio, come qualsiasi altra ragazzina che ha appena dato il suo primo bacio, e non sa come comportarsi.
«Invece è così: Victoire e Dominique sono le ragazze più belle che abbiano mai frequentato Hogwarts. Rose è bellissima, intelligente e forte. Lily è indipendente, e piace un sacco ai ragazzi, Roxanne è idolatrata da chiunque conosca le sue malefatte, ed ha una capacità di strategia da far spavento agli dei greci della guerra. E mia sorella è la ragazza più dolce del pianeta» fece, «Io, invece, sono solo un’isterica egocentrica con manie di protagonismo» e sospirò mestamente.
Albus la guardò, poi si avvicinò e la strinse in un breve abbraccio, «Non devi pensare, nemmeno per un momento, a tutte queste assurdità che hai detto, Molly» le disse, accarezzandole i capelli.
«Tu sei una ragazza bellissima, e lo sai bene. Non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno, sei forte, intelligente, e quando vuoi sai essere simpatica e anche dolce. Scegli solo quali sono le persone più adatte a meritarsi questo da te, tutto qua. Questo è solo un vantaggio in più» Albus le asciugò una lacrima che le era sfuggita, «Ora però, dimmi chi è questo tizio, perché se prova a fare qualcosa che non mi va a genio, se la vedrà con me… ah, ovviamente poi rischierà di vedersela anche con James, Fred, Hugo, Louis…» «Va bene, va bene, ho capito» rise leggermente la ragazza, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. «È Sean Finnigan» rispose, piegando istintivamente un angolo della bocca all’insù. Ad Albus non sfuggì questo dettaglio, «Ti piace proprio tanto, eh?» fece, punzecchiandola con il gomito «Ragionevolmente» rispose questa, rimanendo il più vaga possibile.
«Ma come sarebbe ‘ragionevolmente’?» protestò Albus, «Se ti fosse piaciuto ragionevolmente, non l’avresti baciato! Non costringermi a farti il solletico per cacciarti le prove» disse, preparando le mani. Molly lo allontanò con una spinta, ridendo «Non ci provare, Albus! Ti Pietrifico, se ci provi» fece, mentre Albus cercava di rialzarsi «Allora ti conviene parlare» rispose questi, «Sì, mi piace un sacco. Contento?». Il ragazzo annuì, poi, nonostante avesse detto il contrario, cominciò a fare il solletico alla cugina, che si dimenava come in preda ad una crisi epilettica.
Dopo una buona manciata di minuti, Albus la lasciò andare. «Grazie» fece Molly, abbracciandolo. Dapprima, Albus rimase di sasso: Molly non ringraziava, né tantomeno abbracciava. Poi, però, ricambiò l’abbraccio, «Non dirlo neanche. Io ci sono sempre» e anche se suonò come una frase già detta e già ripetuta innumerevoli volte da chissà quanti personaggi, Molly si sentì di crederci davvero, e si ritenne così fortunata di avere avuto una persona con cui parlare di quella storia, senza sentirsi in colpa, o giudicata.
Quando si sciolse l’abbraccio, Albus disse «Forza, andiamo. La Sala Grande sarà già piena, a quest’ora» e insieme si diressero verso il castello.






La settimana seguente arrivò in un lampo, e lo scorrere borioso della routine cominciava ad asfissiare il popolo di Hogwarts, che non aveva alcuna intenzione di sentirsi già in piena stagione scolastica. Le giornate erano ancora meteorologicamente vivibili, anche se le prime pioggerelle si erano già fatte maledire durante il secondo weekend dopo il rientro ad Hogwarts. Gli insegnanti avevano evidentemente ritenuto di poter cominciare a caricare di compiti e verifiche i ragazzi, soprattutto quelli del quinto e del settimo anno, che avevano già iniziato ad escogitare piani di fuga, o a pensare di tentare il suicidio di massa, così che, magari, constatando le condizioni che si erano venute a creare per colpa degli impegni scolastici già così carichi soltanto alla prima metà di settembre, avrebbero accordato una soluzione che potesse prevedere il rientro nella scuola il primo gennaio, magari.
Ovviamente, il talento degli studenti di ingigantire sempre le situazioni aveva diversi stadi da seguire, in base agli anni in cui erano: alcuni dei novellini avevano già cominciato a farsi prendere dal panico, o spedire lettere ai genitori per farsi venire a riprendere; quelli del secondo anno erano tutti convinti che la loro vita sarebbe finita durante quell’anno; i ragazzi del terzo e del quarto erano gli unici abbastanza controllati, che riuscivano a rimanere sereni, nonostante la mole dei compiti che iniziava a crescere; i quinti erano i più preoccupati, perché sapevano di dover iniziare a pianificarsi una strada, un futuro, si sarebbero costruiti una vita di lì in poi; gli alunni del sesto cercavano di mantenere la calma, per riprendersi dall’anno precedente, e prepararsi con adeguata premura a quello successivo; quelli del settimo si erano divisi in quattro categorie, tra cui gli agitati, gli entusiasti, i nostalgici, e i disperati.
Lily Potter, invece, aveva deciso di dividersi l’organizzazione mentale in due parti perfettamente identiche: una per lo studio, e l’altra per lo sport. Si era già prefissa che non avrebbe mai tolto nemmeno un minuto ad una parte a causa dell’altra. Quell’anno sarebbe cambiata ogni cosa. Avrebbe dovuto scrivere la sua storia, e l’avrebbe fatto responsabilmente, se l’era giurato.
Ovviamente era spaventata, ma aveva già cominciato ad optare per la carriera sportiva, dopo la scuola, come sua madre. Probabilmente lei non l’avrebbe gradito molto, visto che considerava che la figlia potesse ottenere di più di quel che si proponeva per sé, ma quella sarebbe stata un’altra sfida per Lily, ovvero dimostrare la sua capacità nel prendere decisioni.
Anche Hugo aveva pensato alla carriera sportiva, a prescindere da qualsiasi circostanza si fosse parata davanti a lui. Dopotutto, rimanendo in tema, con il suo talento da Portiere, sarebbe stato in grado di parare qualsiasi difficoltà, rigirandola a suo favore.
Non era mai stato molto bravo nelle scelte, Hugo Weasley, ma pensava che fosse ormai il momento di cominciare a costruirsi un castello mentale in cui organizzare il suo futuro.
Sapeva che suo padre avrebbe scelto per lui la carriera da Auror, perché ne avevano parlato per parecchio tempo, durante quell’estate. Se c’era una cosa, però, che il ragazzo non sapeva fare, era imporre la propria opinione, soprattutto davanti al padre e alla madre, ma non perché avesse paura di esprimere la sua davanti a loro; Ron e Hermione avevano sempre insegnato ai loro figli che il dialogo e lo scambio di pareri era una delle cose più importanti in un qualunque tipo di rapporto, ma Hugo non era quel tipo di ragazzo che riesce a parlare e contrastare un’ideale del proprio genitore. Aveva quasi paura di poterli deludere, dicendo che la strada che si era scelto per sé, era diversa da quella che loro avevano prescelto per lui.
Hugo credeva che non ci fosse bisogno di spiegare ai genitori cosa volesse fare lui realmente, credeva che, non rispondendo mai alle domande del padre riguardo all’intraprendere la carriera da Auror, e accettando senza batter ciglio le ammiccate che gli faceva sull’argomento, potessero avvertire che non era quella la sua aspirazione. Però Hugo non conosceva il detto babbano che sventrava la sua teoria del silenzio, ovvero che “Chi tace, acconsente”.
Parlava di queste sue titubanze solo con Lily, perché probabilmente la riteneva l’essere umano più simile a lui, e non solo fisicamente. Lily, da parte sua, sapeva che se Hugo non si fosse mai deciso a prendere la parola con i suoi genitori, spiegandogli tutto, sarebbe stato inutile continuare a fantasticare sul loro futuro nel mondo del Quidditch.
Probabilmente, se Hugo fosse arrivato, tra qualche anno, al Ministero insieme al padre per il suo primo giorno di lavoro, avrebbe continuato a rimanere in silenzio e ad accettare la sua condizione, e il suo futuro già scritto. Niente togliendo al lavoro dell’Auror, che era senza dubbio uno dei migliori che si potesse mai desiderare di fare, però Hugo non si sarebbe mai sentito a suo agio: Hugo si sentiva sé stesso solo sul Campo, a cavallo della sua scopa, con la pioggia battente e il cappuccio tirato fin sopra alla fronte, o con il sole cocente e in canottiera e mutande. Lily questo lo sapeva perfettamente, ma il punto non era che lo capisse lei, ma che Hugo lo dicesse ai genitori.
Ovviamente il ragazzo tergiversava sempre, e si limitava a bofonchiare: «Ho tutto il tempo. Ho ancora due anni!», mentre sapeva che anche quei due anni si sarebbero consumati senza lasciare un dito di cenere.
Però Lily aveva cominciato a capire che quell’argomento stava diventando un po’ più delicato di quanto pensasse, ma era ovvio che fosse così, dopo tutta la pressione che lei gli aveva fatto durante l’estate.
Comunque era convinta che ne avrebbero riparlato, prima o poi, forse settembre era ancora troppo presto per ricominciare ad affrontare il discorso, ma probabilmente sarebbe riuscito fuori circa durante le vacanze di Natale, quando tutti iniziavano ad essere in defibrillazione per la fine del primo quadrimestre, e l’inizio del secondo. Per ora si sarebbero limitati ad aggirare le domande sul loro futuro, dopotutto, da una parte Hugo aveva ragione: c’era tempo.
«Stamattina abbiamo un’ora di Babbanologia»
«Sì»
«Poi una di Artimanzia»
«Mh-mh»
«E un’ora di Antiche Rune prima di pranzo» fece Lily, portando il conto sulla mano, e dopo aver finito, sorrise soddisfatta, saltellando intorno ad Hugo, che la guardava incredulo con il foglio degli orari in mano. Lily lo guardava con un ghigno di sfida, per vedere se il ragazzo osasse controbattere o smentirla. Incrociò le braccia dietro la schiena, «Allora?» lo incalzò «Ho ragione, no?» «Mi spieghi qual è l’utilità di imparare a memoria l’orario scolastico, se ci danno questi foglietti apposta?» ribatté Hugo, sventolando l’orario in faccia a Lily, che lo riprese dalle mani del cugino.
«Mi serve per allenare la memoria» si giustificò, «E anche perché non vorrei mai che mi capiti di dimenticare il foglio in camera, e perdere qualche lezione. Se imparo gli orari, non corro il rischio; semplice. Dovresti farlo anche tu» fece, con un cipiglio da so-tutto-io.
«Ascolta, Lily, ho già parecchie spine nel fianco in famiglia, almeno tu non abbandonarmi» disse disperato il ragazzo, inginocchiandosi e facendo finta di asciugarsi le lacrime sull’orlo della gonna di Lily.
Lily alzò gli occhi al cielo, e scosse la testa «Merlino, come sei melodrammatico» fece, scostandosi e di conseguenza far atterrare Hugo sui gomiti prima che cadesse a terra. Fortuna che aveva dei riflessi perfetti. Si alzò con un balzo, e raggiunse la cugina che, nel frattempo, era andata avanti.
«Ho imparato dalla regina delle melodrammatiche» rispose questi, allargando le braccia. Lily lo fulminò con lo sguardo, «Dai, muoviti. Siamo in ritardo»
«Ehi, non è colpa mia se non riuscivi a decidere che “tonalità di lucidalabbra mettere”» si lamentò, rifacendole il verso «Nessuno ti stava obbligando ad aspettarmi, se è per questo. E poi, alla fine non l’ho neanche messo!» esclamò Lily.
«Come se fosse indispensabile» commentò Hugo, roteando gli occhi, e superando la cugina giù per le scale.
«Ah!» sbottò questa, «Nemmeno mi aspetti ora! Quando ti servirà un favore ne riparleremo, bello» «Bello?» partì il ragazzo dal Salone d’Ingresso, «Fantastico, adesso mi chiama pure bello»
«Senti, Hugo, anche io sono una ragazza, e devi smetterla di prendermi in giro se faccio qualche minuto di ritardo la mattina, perché sono indecisa su un qualcosa» continuò Lily, raggiungendo il rosso davanti alla porta della Sala Grande.
«Oh, ma sentiti, Lily! Ne fai una questione di importanza vitale» bofonchiò Hugo.
Dall’altra parte della Sala, Roxanne annunciò alle sue cugine, che già stavano mangiando da parecchio, l’arrivo dei due rossi «Uh, chissà di cosa staranno discutendo ‘stamattina» e si fregò le mani.
«Roxanne!» la richiamò Molly, guardandola male.
«Che c’è? Lily e Hugo litigano sempre per le cose più assurde. Mi diverte sentirli argomentare le loro parti mentre Rose fa’ da giudice delle cause perse» rispose, «Si dice avvocato delle cause perse, Roxanne» ribatté Rose, con il cucchiaio a mezz’aria.
«Non sarà qualcosa di serio, mi auguro» intervenne Natalie Miller, una delle migliori amiche di Rose fin dal primo anno. Condividevano lo stesso Dormitorio, e per i ragazzi Weasley era diventata una presenza di famiglia, come Alexandra. Era una ragazza troppo dolce e affabile, per non farci subito amicizia.
Lei e Rose si erano scambiate solo qualche parola, durante la loro prima settimana ad Hogwarts, anche se si vedevano tutto il loro tempo, per via del fatto che erano parte della stessa Casa, ma erano diventate amiche solo dopo che Rose aveva consolato Natalie, per via di quell’idiota di Malfoy che, ancora evidentemente troppo piccolo per capire – anche se adesso non faceva poi tanta differenza –, le aveva dato della Nata Babbana ladra di magia perché, secondo vecchissime, anzi preistoriche credenze, i maghi credevano che i Nati Babbani rubassero la magia a chi la possedeva per nascita e per legittimità soprattutto. Infatti, i genitori di Natalie erano babbani, e abitavano in Irlanda. Rose li aveva conosciuti, ed erano delle persone semplicemente meravigliose, ed entrambi professori: la madre di Natalie era professoressa di letteratura, e il padre di storia.
Ovviamente però, Malfoy non poteva capire una cosa così semplice, e soprattutto, a quei tempi, era fermamente convinto che la feccia della magia fossero i Nati Babbani, i Mezzosangue e i Maghinò, essendo cresciuto secondo la filosofia di vita del nonno paterno.
Comunque, anche se a Rose costava ammetterlo più di ogni altra cosa, era grazie a Scorpius Malfoy, se lei aveva trovato un’amica. Subito dopo si era iniziata a sentire più sicura di sé, e a fare amicizia più in fretta.
Hugo e Lily, nel frattempo, erano arrivati alla zona del tavolo dove erano sedute le cugine e Natalie, dopo aver percorso metà tavolo continuando a discutere, l’uno ad un capo e l’altra all’opposto, mentre la gente tra di loro li fissava contrariati.
«Ehi, ehi, ehi!» li divise Rose, visto che cominciavano ad alzare troppo la voce. Si alzò anche lei, «Seduti» ordinò «Ma…» si opposero questi all’unisono, «Subito!» fece invece la ragazza. Hugo si sedette accanto alla sorella, e Lily vicina a Roxanne.
Anche Rose si risedette, «Bene, cosa c’è questa mattina?» «C’è che Lily è una ritardataria!» spiegò Hugo, «E che Hugo è un’idiota» ribatté invece Lily.
«Be’, buongiorno anche a voi» commentò Roxanne, mordendo un panino, per poi risputarlo nel piatto, dopo che Molly le sferrò un calcio da sotto al tavolo.
«Ahio!» si lamentò a bocca piena, «Finisci di masticare» la rimbeccò invece la cugina.
«Potete essere più espliciti, per l’amor di Morgana?» sbottò Rose, stanca di dover sempre scongiurare le liti tra quei due bambini troppo cresciuti. Era incredibile come riuscissero a trovare il capro espiatorio per iniziare una lite sempre e comunque. Erano sfiancanti e insopportabili.
«Tuo fratello trova stupido che io possa essere in ritardo perché scelgo di truccarmi, una volta tanto, la mattina» cominciò Lily, «No, io trovo ridicolo che voi ragazze dobbiate impiegare mezz’ora per scegliere la matita, l’ombretto, la cipria, il fard, il rossetto, lo smalto…» fece Hugo tutto d’un fiato, rimanendo quasi secco per la velocità con cui aveva esposto l’elenco «Va bene, va bene, va bene! S’è capito» disse Rose. Poi prese un limone dalla ciotola della frutta, e lo tagliò con il coltello, poi spremendolo mescolò il succo con l’acqua nel suo calice. Lo faceva ogni mattina, da chissà ormai quanto tempo. Era stata abituata da piccola a bere acqua e succo di limone.
«D’accordo» ribatté Lily, «Quando dovrò truccarmi mi farò accompagnare da Rose, e tu non dovrai patire questa sofferenza d’animo» e fece il verso a Hugo, che incrociò le braccia, e la guardò con una smorfia scocciata.
E così si chiuse la questione.
Continuarono a fare colazione tutti assieme, e in pace tra di loro, tanto che, dieci minuti dopo l’accaduto, Hugo e Lily avevano già lasciato perdere la discussione, e avevano ricominciato a chiacchierare per conto loro.
Un fruscio d’ali annunciò l’arrivo tempestivo dei gufi con la posta del mattino. «Io mi auguro che non decidano mai di defecare mentre sono in volo, una di queste mattine» commentò Hugo, mettendosi la testa al riparo. Al secondo anno era stato traumatizzato per via di un gufo che si era andato a schiantare sulla sua testa, impiumando i suoi toast e rendendoli immangiabili. Rose ricordava che aveva pianto per una buona mezz’ora, prima che fosse riuscita a calmarlo. Hugo era sempre stato un bambino timoroso.
Subito si sentì un urlo di panico da qualche parte lungo la tavolata, avviso che Leotordo II aveva colpito ancora: Leotordo II era un gufo Elfo, che Ron aveva regalato a Hugo per il suo undicesimo compleanno. Ovviamente, il bambino non aveva pensato che il nome avrebbe destabilizzato totalmente la capacità intellettiva dell’animale, rendendolo idiota e maldestro come il primo padrone di quel nome. Infatti, Leotordo era il nome del gufo che Sirius Black, padrino di Harry, aveva ceduto a Ron, alla fine del loro terzo anno, dopo che il suo “topo” si era rivelato essere Peter Minus. Quando Ron aveva raccontato ad Hugo la storia di quel gufo iperattivo, il bambino si era subito innamorato di quell’animaletto che sembrava così simpatico e gioioso, e così aveva deciso di onorarlo cedendo il suo nome al suo primo gufo. Grande sbaglio.
Qualche attimo dopo, il gufo arrivò zampettando accanto alla ciotola di pane, dove si appollaiò, facendola rovesciare subito dopo.
Hugo si passò una mano sulla fronte, poi prese il gufo e slegò la busta dalla zampa, poi l’animaletto si strofinò contro la mano del ragazzo, e afferrò un pezzo di pane dal suo piatto, «Ehi!» si lamentò quest’ultimo, ma Leotordo aveva già ripreso il volo.
Il ragazzo sbuffò, e poi ricominciò a mangiare. Subito dopo arrivò Peleo, il gufo di Albus, che passava prima da Lily, e poi andava dal suo proprietario.
Teneva attaccate alla zampa sinistra due buste, e alla destra una sola: due erano rosa, come quella di Hugo, e l’altra rigida e beige. Lily la voltò, e lesse l’inconfondibile calligrafia di…
«James…» mormorò, aprendo subito la busta, e trovandovi una foto che raffigurava un campo da Quidditch che Lily era riuscita a vedere soltanto in poster e fotografie di giornali. L’altezza da cui era stata fatta la foto doveva essere davvero assurda, perché quel campo era di per sé enorme, e si vedeva interamente, perciò James doveva averla fatta a cavallo della scopa, e da una distanza da capogiro.
Lily voltò la foto:

Sono sicuro che mi stai strangolando con il pensiero.
Spero mi vorrai ancora bene lo stesso.
Dì ad Albus di controllarti, altrimenti tornerò io e stanerò tutti quelli che si avvicinano a te.

Ti voglio bene,
James

«Fa’ un po’ vedere» fece Roxanne, prendendo la foto dalle mani di Lily. Poi spalancò gli occhi e iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, «Que-questo… è…» «Dai qua» intervenne Hugo, strappandogliela dalle mani. Ebbe lo stesso effetto anche su di lui, «Non ci credo!»
«Ma è uno stupido campo di Quidditch» constatò Rose, prendendo a sua volta l’immagine. Si beccò tre occhiatacce dal fratello e le due cugine.
«Non è uno stupido campo di Quidditch» la corresse Hugo, «È il campo di Quidditch» «Il campo dove si allena il Puddlemere United!» diede manforte Roxanne.
Rose girò la foto, «Ma non stava facendo le selezioni per entrare nei Cannoni di Chudley?»
«Ha ricevuto offerte anche dal Puddlemere, dai Tornados, e dai Kenmare Kestrels**» spiegò Lily, «Un bel jackpot» commentò Hugo, con una punta di amaro in bocca.
Rose restituì la foto a Lily, che la ripose nella borsa, dentro un quaderno, in modo che non si rovinasse, e aprì la lettera settimanale di nonna Molly, quella nella busta rosa. Molly e Roxanne avevano già letto le loro.
Ovviamente, per nonna Molly non era stato facile trovare il modo di scrivere a tutti i suoi nipoti, soprattutto dopo che anche i più piccoli erano entrati. Una volta, convinta di aver scritto già a Lucy, avendo confuso la lettera di Louis con quella della bambina, non gliel’aveva spedita, e la povera Lucy aveva pensato si fosse dimenticata di lei. Ci aveva pianto per giorni, fino a quando la nonna non si era accorta della svista.
Duerre, il barbagianni di Hermione, arrivò sul tavolo, e Rose le diede un buffetto sulla testa, prendendo la sua busta rosa, e un volantino giallo.
«Hugo, deve essere tuo» fece la ragazza, porgendo il foglio al fratello, che si rivelò essere una brochure del Ministero «Te lo manda papà. Se ha ben pensato di non affidarlo a Leotordo, significa che è abbastanza importante»
Hugo non rispose, e si limitò a fissare il volantino, per poi aprirlo e chiudersi in un religioso silenzio, che le altre interpretarono come concentrazione adeguata ad una lettura di quel calibro, ma che Lily avvertì come panico totale. Duerre, intanto, aveva ricevuto la sua razione di cibo mattutino, e aveva ripreso il volo per tornare a Londra, nell’ufficio di Hermione.
Cinque minuti più tardi suonò la campana che segnalava l’inizio delle lezioni mattutine. Rose saltò in piedi di colpo, come se le avessero messo dei cubetti di ghiaccio nel mantello «Accidenti!» imprecò, raccattando subito le sue cose, il più in fretta possibile, e cacciandosi in bocca il panino che stava finendo di mangiare. All’altro capo del tavolo era comparsa Alexandra, che stava facendo cenno a Rose di muoversi.
«Ohi, quanta fretta» commentò Roxanne, che ovviamente non aveva intenzione di alzarsi dal tavolo molto presto, «Non posso fare un secondo di ritardo» spiegò Rose, salutando le cugine e il fratello – ancora preso dalla lettura – con un bacio, «Ho Antiche Rune alla prima. Stiamo studiando l’Ordine dei Druidi di Stonehenge; sapete che è uno dei più importanti religiosi del Mondo Magico? E che i loro rituali…» «ROSE!» scattarono all’unisono le cugine, il fratello e le amiche, «Siamo in ritardo» la rimbeccò Alexandra.
«Giusto, giusto! Eccomi» e cominciò a correre attraverso la Sala, seguita da Natalie ed Alexandra.
«Non corra, signorina Weasley» la rimproverò il professor Paciock, che aveva scampato per un pelo di essere investito dalla furia rossa che era la ragazza.
«Mi scusi, professore. Siamo in ritardo» si giustificò di rimando questa, anche se sapeva che quello di Neville non era un rimprovero vero e proprio.
«Dovremmo muoverci anche noi» fece Lily, guardando Hugo, ancora completamente risucchiato da quella lettura, e quando il ragazzo non diede segni di aver capito, o di avere almeno sentito, la ragazza gli tirò un calcio da sotto il tavolo, «Ohi, ehi! Che c’è?» si riprese subito questi, «Siamo in ritardo, Hugo»
«Ah, sì!» e saltò su immediatamente, riponendo con cura il volantino nella borsa, come se temesse che il padre lo potesse vedere in qualche modo, e prenderla a male se l’avesse semplicemente gettato nella borsa senza cura.
Molly e Roxanne si erano già incamminate, con disappunto della seconda che non voleva passare due ore a sentire Rüf che analizzava il culto magico mondiale.

Avevano passato la prima mezz’ora a sentire la loro professoressa di Babbanologia, Costance Proust, introdurre il concetto di Elettricità Babbana, spiegando che si trattava della più alta manifestazione dell’ingegno dei babbani e, in sé, che fosse una forma diversa di magia.
La professoressa Proust era arrivata ad Hogwarts nel 2012, carica di una vitalità e un tenore di vita pari a quella di un bambino di cinque anni. Era una donna molto affabile e disponibile con gli alunni, ogni qual volta c’era da aiutare uno studente in difficoltà con la sua materia. L’importante per lei non erano i voti, e le valutazioni, ma che i ragazzi imparassero in un perfetto ambiente scolastico, e a loro agio, senza avere il fiato sul collo.
Molte volte, infatti, si era battuta nella sua causa di abolire i voti scolastici, e mantenerli solo durante gli esami finali, con sommo disappunto da parte della McGranitt, e anche di alcuni studenti e genitori.
Costance Proust era nata da due Maghinò, e durante il periodo di Guerra si era trasferita in America, trovando lavoro come professoressa di storia in un’università babbana. Hippy convinta, e femminista perfetta, sembrava la caricatura di una di quelle donne degli anni ’70, con i fiori nei capelli e le ascelle colorate. Proprio per il suo aspetto buffo, ma incoraggiante, era una delle professoresse più acclamate dagli studenti, semplicemente perché sembrava l’unica umana, in quella scuola.
«I babbani non creano, ma trasformano! Difatti l'energia elettrica viene generata all'interno di costruzioni chiamate “centrali” in cui l'energia reperibile in natura viene riutilizzata come energia elettrica» aveva detto la professoressa, disegnando poi uno schema che mostrava come tutto potesse partire addirittura da un fulmine che tocca terra.
Ovviamente il concetto non era nulla di troppo nuovo per Lily e Hugo che, da quando erano bambini, avevano sempre passato miliardi di giornate assieme al nonno che spiegava loro tutto ciò che sapeva sui babbani, e soprattutto sulla loro misteriosa magia chiamata ‘elettricità’. Poi, c’era anche da tener presente che entrambi i bambini avevano avuto a che fare con il mondo babbano innumerevoli volte, essendo Harry cresciuto per i primi undici anni della sua vita senza essere a conoscenza della sua natura da mago, ed Hermione altrettanto essendo una Nata Babbana.
Hugo era completamente assente, e si limitava a fissare la Proust dal fondo dell’aula, con occhi vitrei, mentre Lily si impegnava nel prendere almeno qualche appunto, giusto per impiegare un po’ della lezione facendo qualcosa.
«Vi sono varie forme di energia naturale» fece la donna, cerchiando la parola ‘energia’ scritta in stampatello sulla lavagna, e tracciando, a partire da questa, due frecce «Fonti rinnovabili, e fonti non rinnovabili» e Lily scrisse.
«Ora, chi sa dirmi un esempio di fonte rinnovabile? Forza, ne conoscerete almeno uno!» esclamò la professoressa, alzando le braccia sopra la testa e invitando i ragazzi a farsi avanti.
Lily tentò di nascondersi dietro la schiena di un suo compagno, scivolando piano piano sulla sedia. Ovviamente non servì a nulla.
«Signorina Potter, vuoi dirlo tu?»
Lily si grattò la nuca, risalendo dal suo nascondiglio, «Ehm, non so se…» «Oh, non preoccuparti, fiorellino» fece la professoressa con la sua solita voce mielosa, «Avanti»
«La principale dovrebbe essere l’energia solare, che proviene appunto dal sole» cominciò, un po’ titubante. Suo nonno le aveva spiegato quali fossero, in realtà, ma grazie alla sua esperienza, Lily aveva imparato che era meglio non fidarsi troppo delle informazioni sul mondo babbano da parte di nonno Arthur.
La Proust invece annuì.
«Poi mi sembra ci sia quella eolica» disse la rossa, tirando una gomitata ad Hugo per chiedergli aiuto, ma il ragazzo si limitò a urlare – piuttosto forte –, «Che c’è?»
«Qualche problema, signor Weasley?» si informò la professoressa, avvertendo il trambusto, «No, no. Ehm, nessun problema» rispose Hugo, imporporandosi le orecchie, e guardando in cagnesco Lily.
«Qual è la fonte naturale dell’energia eolica, signor Weasley?»
«L’aria» rispose prontamente Hugo, saltando quasi dalla sedia, come un soldato che riceve un ordine dal suo comandante.
«Bene, bene» commentò la professoressa, impressionata dalla prontezza del ragazzo, «Signorina Potter, la terza fonte rinnovabile?» «Energia idrica» risposero all’unisono sia Lily che Hugo, evidentemente convinto che la domanda fosse rivolta a lui, ignorando che la professoressa avesse specificato che era per Potter, e non per Weasley.
«Davvero fantastico» si complimentò la professoressa con entrambi, «Chi vi ha già insegnato queste cose?» «Mio nonno» risposero di nuovo insieme.
La professoressa sorrise, «Oh, è adorabile la vostra sincronia, fanciulli. Quindici punti a Grifondoro» e dopo qualche esultanza da parte dei compagni Grifondoro, e lamenti e brusii da compagni di altre case, e continuarono la lezione.






«Non ce la farò mai»
«Oh, avanti. Non dire sciocchezze. Il giorno in cui non ce la farai tu, sarà il nostro ultimo sulla terra»
«Ma se ti dico che non ce la faccio, non ce la faccio»
«E se ti diciamo noi che ce la fai, ce la fai»
Rose gettò il capo a peso morto sul libro di Trasfigurazione che aveva davanti a sé.
Era tutto il pomeriggio, ormai, che le tre ragazze si trovavano in Biblioteca attorno ad un tavolino a studiare quell’ardua materia, dopo che la McGranitt aveva richiesto, per il giorno successivo, un tema di cinquanta centimetri di pergamena sulla Trasfigurazione Umana, elencando, se possibile, esempi di metamorfosi uscite male.
Rose era andata in crisi dopo aver scoperto di non riuscire ad andare oltre i trentadue centimetri di pergamena, e da più di un’ora stava piagnucolando, mentre valutava l’idea di lasciare la scuola prima che fosse troppo tardi, per evitare la vergogna, o magari inscenare la sua morte, e cambiare nome, per poi trasferirsi in Alabama, dove nessuno avrebbe mai riconosciuto Rose Weasley.
«Scommetto che fallirò i M.A.G.O., e che verrò bocciata, e che dopo essermi rifatta tutto il settimo anno, verrò bocciata di nuovo, e ancora, e ancora, fino a quando non avrò cinquanta anni, e sarò la donna più stupida del pianeta» disse, alzandosi dal tavolo e iniziando a camminare per il reparto in cui si erano rifugiati da Madame Mel, la bibliotecaria.
«Ma io non capisco: perché ho ereditato solo una parte del cervello di mia madre? A quanto pare deluderò tutti, non sono così intelligente» proseguì, poi si mise di colpo le mani nei capelli e si gettò in ginocchio sul pavimento. Le ragazze si guardarono attorno, sperando che Madame Mel non fosse nei paraggi, altrimenti le avrebbe cacciate ed esiliate per il resto della loro vita.
«I miei ne moriranno. Vedo già Duerre portare la lettera che testimonia la mia bocciatura a mia madre, in ufficio. La apre» e simulò Hermione che apriva la busta, mentre dava un buffetto al gufo, «E comincia a leggere, incredula. Ad un tratto, un urlo agghiacciante. La gente accorre a vedere cosa è successo: Hermione Granger è svenuta. È a terra, priva di sensi. C’è una lettera accanto a lei: Rose Weasley. Sua figlia. Bocciata al settimo anno, non ammessa ai M.A.G.O.» Rose si spiaccicò la mano sulla fronte, e si accasciò sulla sedia «Alcuni colleghi di mia madre corrono nell’ufficio di mio padre per avvertirlo del malore che ha colto la moglie. Ron Weasley diventa bianco come un cencio. Stava discutendo alcune pratiche su un caso insieme ad Harry Potter – che delusione, lo sapranno entrambi! –»
«Mio padre si precipita sulla scena. Gli porgono la lettera. E poi… sviene anche lui» disse Rose, gettandosi a terra.
«Wow» commentò alla fine Alexandra, «La drammaturgia deve essere proprio un talento di famiglia, a quanto sembra» «Oh, Rose, alzati» fece Natalie, aiutando l’amica a rimettersi sulla sedia.
«Capite ora che cosa accadrà?» insisté la rossa, mentre le altre due riprendevano il loro lavoro, «Certo, Rose, i tuoi ne sarebbero distrutti. Ma non accadrà mai tutto ciò. Voglio dire, tu sei una delle migliori studentesse che Hogwarts abbia mai avuto. Non devi perderti d’animo per diciotto centimetri di pergamena» fece Natalie, prendendo una mano di Rose tra le sue e sorridendole per confortarla.
Rose inspirò profondamente, e da lì parve riacquistare tutta la lucidità persa in quei pochi minuti. «Grazie» mormorò rivolta a Natalie, «Mi dispiace esservi così di peso quando ho questi acciacchi» si giustificò «Rose, sai che per noi è normale vederti nei peggiori stati di confusione mentale» rispose Alexandra, ridendo. A lei si unirono anche le due ragazze.
«Ricordatevi che avete il permesso di prendermi a sberle, in caso arrivi a questo punto» fece Rose, «Allora non vedo l’ora che ricapiti» ribatté Alexandra. Rose spalancò la bocca in una teatrale interpretazione del suo sconcerto. Alexandra rise della sua espressione.
«Questa la paghi» la minacciò Rose, «Quando vuoi» disse invece Alexandra.
«D’accordo, d’accordo» intervenne Natalie, prima che iniziassero la lotta con il solletico, o la lanciata di gavettoni d’inchiostro, così da rischiare l’espulsione sul serio, «Ora rimettiamoci al lavoro, così poi andremo a sgraffignare qualcosa dalle cucine prima di cena» le altre due annuirono, poi si rimisero tutte e tre al lavoro.
Ovviamente però, doveva esserci per forza un altro intoppo.
«Non possiamo stare qui» arrivò dalla parte opposta dello scaffale di fronte a loro una voce femminile che dava l’idea di trovarsi in una situazione piuttosto inusuale per una Biblioteca.
Le tre ragazze si guardarono. Rose mimò con la bocca: «Chi è?»
Alexandra scrollò le spalle. Natalie prestò più attenzione, e si mise un dito sulle labbra per indicare alle due di non emettere il minimo fiato.
A quella voce seguì un rumore come di un lavandino che si stappa di colpo, e un gemito davvero poco casto. “Oh, fantastico. Adesso pomiciano anche in Biblioteca. C’è un posto che non sia ancora stato destinato ad ospitare tale atto?”, pensò Rose, ruotando gli occhi, e guardando le amiche per accertarsi che avessero capito cosa stesse accadendo dall’altro lato. Evidentemente dalle loro facce, sì: Natalie aveva una smorfia disgustata stampata in viso, mentre Alexandra sembrava sul punto di alzarsi e avventarsi con una ramanzina su quei due che stavano disturbando la quiete pubblica della Biblioteca. Speravano soltanto che potesse arrivare Madame Mel per cacciarli e far tenere presente alla preside l’idea dell’espulsione con effetto immediato, come minimo.
Poi si sentì un tonfo sordo, di qualcosa che va a cozzare contro un muro di pietra, e a seguire altri baci.
«Sul serio, Scorpius, troviamo un altro posto» si lamentò la ragazza. Natalie, Rose e Alexandra si guardarono furibonde. “Ovviamente” fece Rose “Chi poteva essere se non lui? Chi poteva farsi una ragazza in Biblioteca se non Scorpius Malfoy?”
«Cos’è, dolcezza, hai paura che quella megera all’ingresso ci scopra? Credevo ti piacesse infrangere le regole» ed ecco la voce arcigna, fredda e serpentina del ragazzo che Rose odiava di più in tutto il sistema solare. Non poteva esserci ragazzo più ignobile, sconsiderato, attaccabrighe, insensibile, arrogante, maschilista, ninfomane e idiota di lui. Nessuno.
Per qualche secondo susseguirono solo rumori di baci che potevano sembrare innocui baci sulle labbra, ma che Rose sapeva andassero in tutt’altre direzioni, e che si confermavano tali per via dei gemiti che uscivano dalla bocca della ragazza. Probabilmente altri pochi secondi, e Rose avrebbe vomitato sul pavimento.
Ad un certo punto, si sentirono dei passi, e qualche attimo dopo, Scorpius Malfoy e Martha Rogen si rivelarono sull’entrata del reparto in cui si trovavano le tre ragazze. Martha era attaccata alle labbra e ai capelli di Malfoy, con la gonna molto più alta di come in realtà dovrebbe essere portata, e i capelli scombinati, e Scorpius, rivolto con il viso verso di loro, con la camicia tutta aperta, se non per l’ultimo bottone – il che era praticamente ridicolo, pensò Rose –, appena le vide, sorrise.
Si staccò dalla ragazza, «Oh, ma guarda qui» fece, e si girò anche Martha, contrariata che qualcuno avesse interrotto il loro scambio di saliva, «Che coincidenza» sorrise Scorpius a trentadue denti, guardando Rose.
«Ti ostini a rimanere una secchioncella, Weasley? Ammirevole» disse, riattaccandosi i bottoni della camicia, con grande disappunto della Rogen, che rimase in disparte. Anche lei aveva la camicia sbottonata, lasciando in bella vista il reggiseno.
«È, più che altro, cercare di crearmi un futuro che non dipenda dal mio cognome, e dalla mia famiglia, ma solo dalle mie capacità intellettive, Malfoy. Non so se comprendi» ribatté Rose, toccandosi la tempia con due dita, e con una smorfia in viso che sembrava indicare uno sforzo immane per tentare di ricordarsi qualcosa che le sfuggiva, «Ah, già. Tu preferisci fare l’ereditiera viziata che vive come un parassita sulle spalle dei genitori» «E poi ti ostini a dire di non conoscermi bene» rise Scorpius, spalancando le braccia. La Rogen sembrava sul punto di andarsene, scocciata della situazione.
Alexandra e Natalie si guardavano preoccupate, pregando in cuor loro che i due non cominciassero a litigare.
Scorpius prese la sedia vuota affianco a Rose, e si sedette.
«A proposito, non ho avuto occasione di chiedertelo prima: come stai? Insomma, dopo la caduta che hai fatto la settimana scorsa, non mi stupirei se fossi ancora incapace di muoverti, o fare incantesimi che ti riescano» fece il ragazzo, rigirandosi la piuma di Rose tra le dita.
«Oh, certo, Malfoy. Visto che durante tutta la settimana scorsa non mi hai fatto la stessa domanda abbastanza, è giusto continuare» rispose Rose, riprendendo la penna dalle mani di Scorpius.
Il ragazzo assunse uno sguardo di ammirazione, «Bella presa» commentò, «Ovviamente non direi la stessa cosa per come prendi la bacchetta, ma va bene comunque, no? Si va avanti a piccoli traguardi» le sorrise sarcastico, come si fa ad una bambina che non può arrivare a capire più di tanto, e le diede un buffetto sulla guancia.
Rose spalancò gli occhi, sconcertata dalla briga che si era preso Malfoy di toccarla, «Come osi?» saltò irata dalla sedia, mentre Scorpius sorrideva soddisfatto dal limite che aveva varcato ancora una volta. Si posizionò di fronte a Rose, con le braccia conserte.
Alexandra e Natalie rimanevano immobili, attente a captare le minime intenzioni di Rose, per fermarle seduta stante.
Infatti, la ragazza sguainò di scatto la bacchetta, mentre Malfoy la sfidava con lo sguardo ad agire, ma le amiche la presero subito dalle spalle, «Rose, lascialo perdere» le fece Alexandra, mentre Scorpius rideva, «Sì, Rose. È solo un pallone gonfiato. Tu sei troppo matura per vedertela con lui» approvò Natalie.
«Certo, Rose» fece Malfoy, imitando la voce di Natalie, «Lasciami stare. Non puoi tenermi testa»
Rose si sradicò senza preavviso dalla presa delle due ragazze, che rimasero sconcertate dalla sua liberazione, e pregarono che non si avventasse su Malfoy, ma invece la rossa si ricompose, e raccattò la sua roba, non degnando il ragazzo nemmeno di uno sguardo. Le altre due fecero altrettanto.
«Meglio anticipare la nostra pausa» disse loro, per poi uscire dal reparto, e poi dalla Biblioteca.

Le ragazze erano rimaste in silenzio per tutto il tragitto che le aveva portate dalla Biblioteca alle cucine, e in quel momento erano sedute a piluccare qualche panino al tacchino donato loro dagli elfi e ogni tanto a scambiarsi sguardi incerti. Alexandra e Natalie preferivano rimanere zitte e non cominciare alcun discorso, viste le circostanze, e soprattutto dato lo sguardo vitreo ma infuriato di Rose, che rimaneva a fissare gli scalini, come nella speranza di incenerirli con il solo sguardo.
Le due ragazze non volevano che iniziasse a parlare male di Malfoy con il solo risultato che potesse poi venirle un attacco nervoso, e cominciasse ad urlare, e magari che le venisse in mente di piombare nella Sala Comune dei Serpeverde e prenderlo a randellate sulla faccia.
Sapevano ovviamente che stava architettando, come minimo, un modo di fargliela pagare, o addirittura gli stesse progettando una lenta e dolorosa morte, magari un volo inaspettato dalla Torre di Astronomia.
Scorpius Malfoy aveva iniziato a tormentare Rose Weasley più o meno dal loro terzo anno. Prima erano abbastanza tolleranti, quando si trovavano nella stessa stanza, perché nessuno aveva nulla contro l’altro. Per quanto Rose non volesse ammetterlo, però, tutt’ora lei non aveva nulla contro il ragazzo, era solo Malfoy ad avercela con Rose, e nessuno aveva mai capito perché, in tutta la scuola, quei due litigassero così tanto e perché non si potessero vedere in faccia, senza dare il via ad una guerra senza esclusioni di colpi subito dopo.
Era impossibile capire che cosa prendesse ad entrambi, quando si vedevano. Scattava una specie di interruttore nei loro cervelli, che dava il via alla sparatoria, macchinando al loro interno gli insulti più pesanti, e le battute più disprezzanti che avessero nel proprio arsenale.
Dopo quattro anni passati così, era assurdo che nessuno dei due si fosse ancora stancato di quella situazione a dir poco insostenibile e sfiancante. Persino per i loro amici era un dolore vederli continuamente l’uno contro l’altra, sempre a lanciarsi frecciatine e commenti pungenti.
Era impossibile per loro conciliarli, e viste le circostanze che li doveva vedere per forza insieme, quando si stava tra amici, contando il fatto che frequentavano le stesse persone, per gli altri stava arrivando il momento di rottura, in cui probabilmente avrebbero dato un ultimatum definitivo ai due ragazzi.
Purtroppo quell’anno la situazione era molto spinosa, soprattutto dopo la rottura di Alexandra e Lorcan, anche se magari questo avrebbe significato un distacco tra tutti loro, e quindi una riduzione notevole di morti e feriti, che secondo il calcolo delle probabilità, si erano rivelate numerose.
Dopo quelle che parvero ore, Rose si riprese dalla sua trance, e ripose in un fazzoletto il panino che non aveva fatto altro che rigirare tra le mani per tutto il tempo in cui erano rimaste lì sedute, e si alzò, «Credo sia meglio che io ritorni a studiare, mi mancano ancora quei diciotto centimetri» annunciò, battendosi le mani sulla gonna per togliersi la polvere del pavimento di dosso.
Anche Natalie si alzò, e si diede una sistemata ai vestiti, «Giusto, è vero» fece.
Rose la guardò, «Non c’è bisogno che tu mi accompagni»
«Oh, no, tranquilla. Tanto devo finire anche io di studiare»
«No, sul serio. Io non vado in Sala Comune» ribatté Rose.
«Va bene comunque, ti accompagno solo per un pezzo di strada» insisté Natalie, agitando una mano a mezz’aria.
«Davvero, vado da sola»
«Ma no! Ci facciamo compagnia per un tratto» fece la ragazza, avvicinandosi a Rose, «Ti ho detto di no!» esclamò questa, facendo fermare l’amica sul posto, spaventata dalla voce di Rose, che non si era mai rivolta a lei in quel modo.
Alexandra si alzò per intervenire, «Uhm, ehi, ti va di accompagnarmi un secondo a controllare una cosa nella mia Sala Comune?»
Natalie sembrava sul punto di piangere, così Alexandra la prese e la portò via, «Ci vediamo a cena, Rose» disse alla rossa, e poi salirono le scale fino a rimuoversi dalla vista della loro amica.
Quando furono a un piano di distanza dalla furia Rose, Natalie disse «Non posso credere che si sia rivolta a me con tale accanimento. Cosa credeva, che fossi io Malfoy?»
«Ma certo che no» rispose Alexandra, «È che Malfoy stavolta l’ha fatta sul serio ardere di rabbia, perciò è normale che se la sia presa con la prima persona che ha avuto davanti. Tu non c’entri nulla, Natalie. Rose ti vuole un bene dell’anima, e appena si calmerà verrà subito a chiederti scusa per come si è rivolta a te, e in maniera così brusca»
Natalie annuì, un po’ diffidente. «Andiamo, ti pare che la nostra Rose si rivolgerebbe ad una di noi due in questo modo? Non sta né in cielo, né in terra» continuò imperterrita Alexandra, prendendo l’amica per un braccio, «Forza, fammi un sorriso» le disse, allargando le braccia. Natalie la guardò supplicante, e Alexandra lasciò perdere.
«D’accordo»
«Apprezzo che tu voglia tirarmi su, ma adesso sono veramente dispiaciuta di questo, quindi me ne andrò in Biblioteca a finire quello che Malfoy ha interrotto» disse con rabbia, girando i tacchi e andando dalla parte opposta di quella dove erano dirette.
«Va bene, allora anche a te: ci si vede a cena!» le urlò dietro Alexandra, «Mamma mia, qui un po’ di persone hanno bisogno di una bella tazza di camomilla» mormorò poi tra sé.
Visto che non le rimaneva nient’altro da fare, tanto valeva tornare in Sala Comune e completare i suoi cinque centimetri mancanti di tema.
Arrivò al batacchio a forma d’aquila posizionato sulla superficie nera che era l’accesso alla Sala Comune di Corvonero, nella torre ovest del castello di Hogwarts.
Diversamente dalle altre Sale Comuni, il guardiano dell’accesso alla loro Sala non richiedeva una parola d’ordine, ma la risposta ad un indovinello, che differiva ogni volta dal suo precedente. In tutta la storia di Hogwarts, il batacchio-aquila non aveva mai proposto lo stesso indovinello due volte.
Alexandra se l’era sempre cavata bene negli indovinelli, ma sicuramente c’era un individuo molto più bravo di lei, in questo, e lei doveva proprio ammetterlo. Lorcan era imbattibile in campo. Impiegava pochissimi secondi a risolvere un qualsiasi enigma, di una qualunque difficoltà.
“Come se tu avessi bisogno di un cavaliere che ti apra la porta” la schernì una voce maligna nella sua testa, “In effetti non mi serve. Sono abbastanza intelligente per risolvere indovinelli, non credi?” si rispose a tono. L’altra voce non ribatté, o perché sapeva che Alexandra aveva ragione, o semplicemente perché voleva vedere cosa fosse capace di fare.
La ragazza si mise davanti al batacchio, e allungò la mano verso il becco di bronzo. Bussò, e immediatamente il becco si aprì, lasciando uscire una dolce voce musicale che le recitò: «Radici invisibili ha, più in alto degli alberi sta, lassù fra le nuvole va e mai tuttavia crescerà»
Alexandra rimase un attimo a pensare a cosa potesse esserci con radici nascoste, che fosse più alto degli alberi, e stesse fra le nuvole, ma che non crescesse.
«Più in alto degli alberi, ma lassù fra le nuvole… mh» mormorò la ragazza. Intanto l’aquila rimaneva ferma e immobile, come se nessuno l’avesse mai svegliata dal suo sonno catatonico.
«Ah! Ce l’ho, ho capito!» esclamò ad un tratto, «È la montagna! Vero?»
Ma il batacchio non rispose, e si limitò a farla entrare. La Corvonero varcò la soglia soddisfatta di sé stessa.
La sala era gremita di studenti, vista soprattutto l’ora: i ragazzi di Corvonero, dopo le lezioni pomeridiane, impiegavano tutta la sera, prima della cena, nello studio per il giorno dopo. La loro sala era molto ampia, circolare come la Sala dei Grifondoro, – contando anche il fatto che fosse su una delle torri – e dava l’idea di trovarsi praticamente a un dito dal cielo. Lungo i tre quarti delle pareti circolari si aprivano delle finestre ad arco, a cui erano appesi dei drappi blu e bronzo, di seta. Dalle finestre, gli studenti godevano di una vista meravigliosa sulle montagne circostanti, e durante la giornata la luce che irrompeva nella stanza era impagabile. C’era sempre un’aria così serena e pacifica, così rilassante e quasi asettica nella torre di Corvonero. Gli studenti si riunivano lì a studiare, anche se, a volte, essendo troppo piena di persone, alcuni dovevano rinunciare alla loro bellissima Sala e andare in Biblioteca. Molti studenti di anni più avanzati aiutavano i più piccoli nei compiti da fare, o organizzavano gruppi di studi per ripassare le materie. Insomma, era verissimo che la Casa di Corvonero era la più accogliente. Non c’era distinzione tra chi fosse più intelligente e chi meno, chi fosse più grande e chi più piccolo, chi fosse più capace e chi non. Ognuno dava il meglio che poteva, e chi poteva di più, dava anche agli altri.
In ogni centimetro di spazio che non fosse occupato dalle finestre, vi era una libreria, o un gran numero di scaffali stracolmi di libri e qualsiasi oggetto che fosse utile nello studio delle materie di Hogwarts, come telescopi, mappe stellari, calderoni, fialette per ingredienti e chi più ne ha, più ne metta.
Dall’altro lato della stanza erano posizionati tavoli in legno di ogni forma e dimensione, in grado di accogliere vari numeri di studenti, e di fronte a questi, incastonato tra le due librerie più grandi della Sala, vi era un caminetto di marmo bianco, di fronte al quale vi era un divano di velluto blu (logoro in più punti), e due divanetti ai suoi lati, blu anch’essi, con un tavolino da caffè nel mezzo.
Al posto delle comuni sedie, ad accogliere gli studenti, e a renderli più comodi nello studio c’erano delle comode bergère rigorosamente blu, poltroncine che si usavano nelle corti reali come quelle della Francia nel 1700.
Il soffitto e il pavimento erano identici, come se si riflettessero l’un l’altro: una cupola trapuntata di stelle dipinte si specchiava sulla moquette blu notte, con le stelle ripetute anche in essa.
Proprio di fronte alla porta, invece, vi era il busto di Priscilla Corvonero, in marmo bianco. Chiunque vedesse quella statua provava un senso di paura, con un solo sguardo la donna di pietra incuteva timore e un moto di inadeguatezza, come se nessuno fosse in grado di reggere la sua saggezza, che sembrava aleggiare dal busto per tutta la torre.
I bambini avevano paura di guardare quella statua, e quando dovevano recarsi in Dormitorio, la cui porta era situata affianco alla statua, abbassavano la testa e si mettevano una mano a parare gli occhi.
Il volto di quella donna, vissuta secoli prima, metteva a disagio anche Alexandra, che era ormai di casa lì. Non perché Priscilla fosse brutta, o di sguardo cattivo, ma perché il suo viso così distinto emanava un’aura di potenza che era ineguagliabile per qualunque altro mago famoso. Era minacciosamente bella, e sembrava potesse sfidare chiunque ad un gioco di logica pur sotto forma di statua.
Sulla testa della fondatrice vi era scolpito un cerchietto incastonato tra i capelli di marmo. Era una tiara con un’aquila posta al di sopra del cerchio, e nello stomaco di questa una gemma. Incise sul cerchio vi erano queste parole: «‘Un ingegno smisurato per il mago è dono grato’» il motto della loro Casa.
«Ehi, Alexandra!» la chiamò qualcuno, appena la ragazza fece il suo ingresso. La Sala era in pieno fermento. Le poltrone erano tutte occupate da ragazzi curvi su tomi più grandi delle loro teste e, sulla moquette, accanto al tavolino vi erano tre ragazzine che stavano provando degli incantesimi – probabilmente di Trasfigurazione – su un topolino che mangiava ignaro un biscotto. I tavoli erano stati presi da cinque gruppi di studio: due con dei ragazzi di Corvonero degli stessi anni, un tavolo si occupava di Pozioni (Alexandra lo capì dai due calderoni sul tavolo, e da tutte le provette sparse sulla superficie) e un altro di Artimanzia, e gli altri tre gruppi erano formati da bambini del primo e del secondo anno, guidati da tre tutor. Uno di questi aveva chiamato Alexandra, e le stava facendo cenno di avvicinarsi.
La ragazza gli sorrise, «Ciao, John» salutò arrivata al tavolo. Diede un’occhiata ai libri che il ragazzo aveva davanti, e salutò i bambini del secondo anno a cui il ragazzo faceva da tutor.
«Incantesimi, mh? Non è un tantino confusionario farlo qui?» gli chiese, «Oh, no. È solo teoria, per oggi. Avevano bisogno di una mano con le pronunce in latino dei nuovi incantesimi che ha spiegato loro Vitious» rispose John, agitando una mano a mezz’aria. John Meridian era da sempre stato il ragazzo più bravo nel corso di Incantesimi da quando erano arrivati ad Hogwarts al loro primo anno, e manteneva la carica di migliore da quasi sette anni. Era ovvio il perché i bambini lo volessero come aiuto per i compiti di Incantesimi.
«Cinque minuti di pausa» fece ai ragazzini, che si dispersero in un lampo.
«Allora» fece Alexandra, sedendosi «Hai finito i cinquanta centimetri di pergamena per Trasfigurazione?» «Oh, sì» rispose John, «Ho fatto i primi venticinque durante il pranzo, visto che non avevo tanta fame, e poi dopo la fine delle lezioni di questo pomeriggio. È stato abbastanza pesante» disse, riponendo un paio di libri che non gli servivano più nella borsa.
«E a te com’è andata?»
«Oh, mi mancano ancora cinque centimetri. Ci sono stati degli intoppi inaspettati, perciò andrò a finirli in camera, adesso. Magari salterò la cena per ripassare meglio. Dopotutto, mi è passato l’appetito» fece Alexandra, giocherellando con una matita sul tavolo, appoggiando la guancia sul palmo della mano.
«Cos’è successo? Se posso chiedere» s’informò John, ma Alexandra non fece in tempo a rispondere e a raccontare gli sviluppi di quel pomeriggio in Biblioteca, che una voce femminile spaccò i timpani dei due ragazzi.
«Alexandra!» gridò una ragazza, Margaret Cristall, per tutti Maggie. Frequentava la stessa classe di John e Alexandra, ed era la ragazza più vivace e attiva in tutto il castello. Aveva un talento innato per Pozioni, anche se la maggior parte delle volte disubbidiva alle istruzioni dei libri per mescolare vari ingredienti di testa sua, creando filtri che fossero letali per qualsiasi specie, umana e non. Lumacorno, infatti, le sequestrava sempre le boccette, per evitare che radesse al suolo più della metà della popolazione di Hogwarts, e quando le ricreava in Sala Comune, o in Dormitorio, ci pensavano i suoi compagni, sia i grandi che i piccoli, a cui era stata data l’istruzione precisa di chiamare un Prefetto o un Caposcuola, in caso la ragazza venisse vista con in mano una fiala, o davanti ad un calderone. Comunque riusciva a creare filtri di ogni genere con qualsiasi cosa. Era il non plus ultra dei pozionisti.
Lei e Alexandra condividevano la stanza da quando erano al primo anno, e c’era tra di loro una simpatia e un rispetto reciproco, anche perché nessuno al mondo era in grado di odiare quel caschetto castano iperattivo. Si muoveva come una gazzella, e al posto di camminare saltava, e ogni passo suo corrispondeva a cinque passi di un normale essere umano.
In due balzi arrivò alla postazione dei due ragazzi, «Alexandra, ti stavo cercando dalla fine delle lezioni, ma visto che non ti trovavo ho preferito aspettare che tornassi in Sala Comune, avevo chiesto in giro ma nessuno ti aveva visto, pensavo fossi in Biblioteca, ma siccome dovevo fare i cinquanta centimetri di pergamena sulla Trasfigurazione Umana ho cercato tutto il pomeriggio informazioni su metamorfosi uscite male durante l’ultimo secolo, quindi sono rimasta in Sala Comune, perché, come dice sempre mia madre: “prima il dovere, poi il piacere”» disse tutto questo senza prendere nemmeno un respiro, e alla fine la ragazza dovette fermarla, per paura che altrimenti potesse iniziare a fumarle il cervello, e che le scoppiasse la testa.
«Ehi, ehi, ehi! Respira, Maggie, respira» le fece. John la guardava ad occhi sbarrati, e aveva paura che ricominciasse a parlare per non fermarsi più, «Credo che tu non debba più bere caffè a colazione. Ha un effetto a lungo termine, su di te» mormorò «Siediti e prendi fiato»
«No, non ho tempo! Ero venuta solo a cercare Alexandra» esclamò la ragazza, saltando sul posto, «Cosa c’è, allora? Se non me lo dici non posso indovinare» rispose Alexandra.
«Me lo sono dimenticata!» gridò questa, facendo voltare quasi tutta la Sala Comune in sua direzione. I ragazzi la guardarono in cagnesco.
«Scusate» fece Alexandra al posto di Maggie, «Comunque, se l’hai dimenticato magari non era importante, Maggie. Ora, mi scuserete, ma devo andare a finire il mio rotolo di pergamena, quindi mi devo ritirare in camera mia» «GIUSTO! In camera tua! Cioè, nostra. Cioè, insomma, il Dormitorio» esclamò di nuovo la ragazza, poi assunse un atteggiamento serioso, e smise di saltellare, «Sì, ehm. Oggi pomeriggio sono rientrata dopo le lezioni, e mi sono stesa un po’ sul letto per riposare. Di solito non lo faccio, ma oggi ero davvero stanca e…» «Ti prego, arriva al dunque, Maggie» la interruppe Alexandra.
«Oh, sì. Scusa» ridacchiò Maggie, un po’ in imbarazzo «Comunque, ho sentito un fruscio d’ali alla finestra, così mi sono affacciata, perché mi piace vedere i gufi che fanno avanti e indietro dalla guferia, lo sai…» «Maggie!» «Perdonami, sì. In pratica, fuori c’era Cànace» disse, e Alexandra sbiancò di colpo. Cànace era il gufo reale che apparteneva a suo padre, Theodore Nott. Quell’animale non si era mai fatto vedere ad Hogwarts, in sette anni che Alexandra era lì. Era incaricato solo ed esclusivamente di recapitare le missive del Ministero a suo padre, o le lettere per sua nonna, una delle donne più influenti nella comunità magica. Non aveva mai avuto l’ordine di portare le lettere dei suoi ad Alexandra, e poi, la ragazza ne era certa, quel gufo la odiava.
Comunque, Maggie l’aveva visto solo una volta, quando il signor Nott era venuto l’anno precedente a tenere un seminario per i ragazzi del settimo anno di allora, presenziando come capo dell’Ufficio per la Cooperazione Internazionale Magica, e visto che Alexandra aveva voluto assistere, l’aveva portata con sé. Lì con suo padre c’era Cànace, il gufo più odioso della storia, ed avendo Maggie una potente memoria fotografica, aveva impresso per tutta la vita l’aspetto dell’animale, e sarebbe stata capace di riconoscerlo anche se si fosse trovato in uno stormo di cinquanta gufi, con la pioggia battente e lei avesse avuto un occhio nero.
Alexandra rimaneva in silenzio, preoccupata per la ragione che aveva visto Cànace arrivare fin lì, per recapitarle chissà cosa.
«Aveva una lettera legata alla zampa, e mi ha permessa di prenderla, quando ho aperto la finestra per farlo entrare» continuò Maggie, preoccupata per l’espressione della ragazza, «L’hai aperta?» chiese accalorandosi Alexandra, facendo indietreggiare la compagna di qualche passo. Anche John la guardava ansioso.
«Ma no, che non l’ho aperta! Non mi permetterei mai. Te l’ho lasciata sul letto. Non c’è scritto il mittente, sulla busta» ma non fece in tempo a completare la frase, che Alexandra corse alla velocità della luce su nel suo Dormitorio.
Il suo letto si trovava proprio di fronte all’ingresso, quindi si fiondò con un balzo sul materasso con la trapunta blu notte, e vi scoprì sopra la fatidica lettera.
Era chiusa in una busta verde smeraldo, il che rese Alexandra inquieta e tranquilla al medesimo modo. Sapeva chi le aveva spedito la lettera e, fortunatamente, il mittente non era suo padre, né tantomeno sua madre. A confermare la sua teoria, c’era il profumo sulla carta da lettere che le investì il volto quando prese il foglio: vaniglia e gelsomino. C’erano solo due persone che profumavano così le proprie lettere, ed erano lei e il suo mittente.
Il foglio era piegato a metà, e sulla sua superficie vi era lo stemma dei Nott, un dannatissimo gufo reale con le ali spiegate in volo, su uno sfondo di rovi grigi che lo tenevano intrappolato.
Strano che il suo mittente avesse usato lo stemma che nemmeno gli apparteneva. Odiava usare la carta della famiglia.
Alexandra aprì la lettera con mani tremanti, ma poi pensò che si sentiva troppo a disagio nel leggerla con tutte le persone che vi erano giù di sotto, come se potessero salire tutte in camera sua per sbirciare la sua lettera.
Ripose il foglio nella busta, e si allacciò il mantello. Poi prese a correre fuori dal Dormitorio, giù in Sala Comune, dove John aveva ripreso la lezioni con i bambini del secondo anno, e Maggie era tornata al suo studio. Non appena videro Alexandra correre sbatacchiando il mantello da tutte le parti, cercarono di richiamarla, «Alexandra!» fece John, «Ma che è successo?» esclamò invece Maggie, ma la ragazza si era già precipitata fuori dalla Sala, e si era richiusa la porta alle spalle. I due si guardarono scrollando le spalle, e scuotendo la testa, poi si rimisero a lavoro.
Alexandra sapeva che l’unico posto in cui poteva rimanere tranquilla, era la Guferia. Quello schifoso buco con il pavimento pieno di sporcizia, cacche di gufo e scheletri di topi era il posto più odiato da quasi tutto il popolo di Hogwarts, perciò la maggior parte evitava di salirci il meno possibile, se non in casi urgenti ed eccezionali. Proprio per questo Alexandra lo “adorava”. Nessuno la disturbava lì. Oh, be’, a meno che un gufo le defecasse in testa, a quel punto avrebbe sporto denuncia contro la scuola, probabilmente.
La Guferia si trovava sempre sulla torre ovest del castello, proprio in cima a quella di Corvonero, perciò era molto più semplice e veloce sgattaiolare lì. Il bello è che nessuno aveva mai pensato di cercarla lì, quando non era nei paraggi, ma probabilmente, per il cinquantacinque percento delle volte in cui non si trovava, doveva essere lì.
Salì la breve rampa a chiocciola che portava alla stanza, poi si nascose nell’unico pezzo di pavimento pulito di tutta la Guferia, dietro alla colonna dell’entrata. La stanza era, come al solito, fredda e umida, conseguenza logica della mancanza di finestre. Ovviamente il pavimento era sempre lo stesso, infatti nessuno passava mai a pulire quella torre, soprattutto Gazza, che ormai non arrivava a pulire più oltre del terzo piano. Era piuttosto anziano e decrepito, e i ragazzi sapevano che non si sarebbe mai licenziato di sua spontanea volontà, perché aspettava ancora il giorno in cui la McGranitt gli avesse dato il permesso di punire i ragazzi rinchiudendoli nelle segrete del castello, appesi per i pollici. La cosa che il custode puliva di più di tutto il castello, erano le sue amate catene cigolanti. Probabilmente quelle erano la cosa più pulita in tutta Hogwarts.
La torre era ingombra lungo tutte le pareti, fino su in cima, di trespoli, che ospitavano per periodi brevi o lunghi gufi di ogni genere, specie, colore, dimensione, età, tutti appartenenti a studenti, professori, o qualsiasi altro elemento della scuola. La maggior parte erano degli alunni, per il resto erano normali gufi al servizio della scuola, che venivano usati liberamente dagli studenti, o dal corpo docenti.
Alexandra aprì la lettera, dando uno sguardo ai gufi sopra di lei, che ormai si erano abituati alla presenza costante della ragazza, e non vi facevano più nemmeno caso. Se ne stava semplicemente lì, a pensare, e ogni tanto scambiava qualche breve parola con loro.
Loro non disturbavano lei, lei non disturbava loro. Era un tacito accordo preso molti anni prima.
Alla vista della lettera, la ragazza sospirò profondamente, chiuse gli occhi per un paio di secondi e poi cominciò a leggere:


Mia cara bambina,

spero vivamente di non averti spaventata con l’arrivo di Cànace, e tutte queste cerimonie da quattro soldi, ma non volevo destare sospetti in tua madre e tuo padre, perché sai come sono contrari al fatto che io mi occupi della tua educazione. Non me l’hanno mai permesso, e in un momento così delicato della tua vita come questo, sta’ pur certa che non mi permetteranno nemmeno di parlarti, quando farai ritorno a Dicembre.
Sono davvero mortificata, per la notizia che, purtroppo, devo darti. Se non lo facessi così in anticipo mi odierei per il resto dei miei giorni (che dopotutto, non saranno poi molti ancora), e spero solo di non allarmarti in maniera eccessiva o quant’altro, nell’apprendere ciò che seguirà:
Per quanto detesti ammetterlo a me stessa, Alexandra, tu sei una donna ormai. Troppo bella, purtroppo. In una condizione normale, sarei orgogliosa di ciò che sei, delle doti che possiedi da… be’, da sempre, bambina. Nella nostra, invece, mi vedo costretta a rammaricarmi per la tua bellezza, intelligenza, grazia, fascino, classe. Doti che non sfuggono a persone di cui tu non vorresti mai che io parlassi.
Lo so che tu ti fidi di me, e io proprio per questa ragione sono qui a scriverti questa lettera, anche se non credo riuscirò ad arrivare al punto. Non voglio che questo foglio si imbratti delle tue lacrime, come sto facendo io con le mie.
Ti prego di stringere i denti, e leggere con quanto sangue freddo possibile.
Due sere fa, io, tuo nonno Cenred, tuo padre e tua madre e i tuoi fratelli, eravamo a cena, come al solito. Purtroppo è sorto un argomento molto spigoloso per tutta la famiglia, e a questo punto, per la tua perspicacia, sono certa tu abbia già afferrato di cosa io stia parlando.
Tua madre ha riferito a tuo padre di aver ricevuto già alcune proposte da alcuni figli di famiglie Purosangue che chiedono della tua mano.
La lettera qui parve un po’ fradicia, e l’inchiostro era leggermente rovinato nel tratto.
Lo sai che io non ho mai desiderato per voi il destino che di solito tocca ai figli dei Purosangue, perché l’amore per voi giovani, è l’unica cosa che dovrebbe contare. Voi dovete credere nell’amore, continuare a sperarci, ad affidarvi a esso, a cercarlo.
Io so che tu speravi un amore più platonico – come si suol dire – di quello che hai avuto fin ora, bambina mia, ma so che lo troverai, perché sei giovane, bellissima, e così intelligente.
So che sarai forte. Non buttarti d’animo. Mi sentirei mancare se sapessi che in qualche modo, avvertirti in anticipo di ciò che ti aspetta una volta tornata a casa, ti possa nuocere in maniera così terribile da farti passare mesi di inferno e sconforto. Ti prego di continuare con la tua vita di diciassettenne spensierata, che rende orgogliosa la propria nonna.
Sentiti libera di scrivermi ogni volta che credi di non riuscire a superare la giornata. Ti prego, fallo. Affronteremo la questione insieme.
Non pensarci ora, bambina mia. Non pensarci.
Voglio solo che tu sia felice e, ti supplico, non odiarmi per questa lettera. L’ho fatto solo per il tuo bene. Sei la cosa a cui tengo di più della mia vita.

Un abbraccio, Nonna.

Galatea Burke


Alexandra, finito di leggere la lettera, si strinse le ginocchia al petto, e poggiò la testa sulla lettera.
Rimase così, in silenzio. Non le veniva da piangere, o qualcos’altro del genere, perché quella lettera aveva solo confermato una realtà già insinuata nel cervello della diciassettenne: quando lei e Lorcan si erano lasciati, lei sapeva a cosa sarebbe andata incontro poi, e aveva giustamente deciso di non farne parola nemmeno con il ragazzo. L’alternativa era sposare un Purosangue scelto dalla famiglia, o sposare Lorcan, una volta usciti da Hogwarts, ed essere infelici entrambi per il resto della loro vita, portandosi come zavorra l’un l’altro.
Era assurdo che alcune famiglie Purosangue fossero ancora fermamente convinte di dover portare avanti la tradizione del sangue, costringendo i propri figli a sposare persone sconosciute, e ad essere infelici.
Sapeva che la stessa sua sorte era toccata, e sarebbe toccata, anche a molti dei suoi coetanei, ed era triste pensare che nella loro vita potesse essere permesso di innamorarsi solo fino ad una certa età, per essere poi destinati a sposare qualcuno, in età giovanissima, di cui non si era innamorati.
Le ragazze dovevano sposarsi appena finiti gli studi, mentre gli uomini potevano aspettare fino ai vent’anni.
Alexandra aveva due fratelli più grandi, Michael e Cadmo, rispettivamente di diciannove e ventitré anni, la cui madre aveva già dato un ultimatum ad entrambi: Cadmo era in età di scelta da tre anni, ormai, e dopo il suo debutto come primo erede della famiglia Nott, la madre aveva insistito più e più volte che iniziasse a scegliere una donna di una famiglia Purosangue da sposare. Michael, invece, dopo il suo debutto come secondo erede aveva iniziato a viaggiare per il mondo, e a visitare luoghi babbani che erano indicati come storici. Dopo aver lasciato la scuola, aveva visitato tutti i luoghi storici dell’Inghilterra, con l’approvazione del padre. Poi, l’anno dopo aveva visitato tutta la Francia, e quell’anno, invece, la madre lo aveva costretto con delle stupide scuse, che non reggevano certamente, a farlo rimanere a casa, dicendo soprattutto che quello sarebbe stato l’anno del debutto di Alexandra, e che voleva lui fosse presente per accompagnare, insieme al fratello più grande, la ragazza.
Solo all’idea di tutte quelle cerimonie che avrebbe dovuto svolgere soltanto fra quattro mesi, le si incrinava il respiro e le mancava l’aria nei polmoni. Era terribile il fatto che il suo tempo stesse per scadere, e lei non potesse fare niente per fermare tutto ciò. Nemmeno sua nonna aveva potuto. L’unica cosa che era stata in suo potere era scrivere una lettera bagnata di lacrime, e mandarla di nascosto alla sua bambina.
E lei aveva potuto solo leggere l’orrore di quella realtà.
Accucciò la testa sulle ginocchia, in silenzio, dimentica persino del rotolo di pergamena per Trasfigurazione, e di quei dannati cinque centimetri. Dimentica di Rose infuriata dopo la litigata con Malfoy, di Natalie rimasta ferita dal comportamento dell’amica. Dimentica della lettera. Dimentica della nonna.
Clang!, un rumore di metallo che viene urtato fece riprendere immediatamente la ragazza dal suo assopimento di disperazione. «Maledizione, chi ha messo qui questo secchio!» sbraitò una voce maschile lì accanto al pavimento. Alexandra alzò subito la testa, spaventata e curiosa allo stesso tempo sull’identità di quella persona che, come lei, sceglieva la Guferia come luogo di ritiro. Non l’avesse mai pensato.
Albus Potter stava a terra, probabilmente seduto su qualche escremento di gufo, a massaggiarsi una chiappa per il contraccolpo subito con il pavimento di pietra.
«Ma che cavolo…» mormorò Alexandra, che fissava il ragazzo con le sopracciglia inarcate. Il ragazzo, al suono di una seconda voce si mise a gridare come una donnicciola spaventata, per ritirarsi contro il muro, ovviamente molto meno pulito della parte del pavimento su cui era atterrato. La ragazza spalancò la bocca, e poi se la tappò con la mano, mentre il ragazzo imprecava contro i gufi e il sistema scolastico, cercando di rialzarsi senza finir di far danno.
«Ma è mai possibile!» esclamò, alzando lo sguardo al soffitto, e guardando male i gufi, che invece rimanevano lì, appollaiati sui trespoli, non capendo perché quel babbeo umano se la prendesse con loro, innocenti creature.
Alexandra rimase lì, a guardarlo, con la mano ancora sulla bocca, indecisa se ridere per la sua incredibile goffaggine, o insultarlo per aver disturbato il suo momento così personale e intimo.
Non si ricordava più della lettera, che ora giaceva riversa sulla fredda pietra, accanto alla ragazza. Albus, invece, si stava guardando le mani disgustato, e sembrava sul punto di mettersi a piangere, «Se vuoi, ho un fazzoletto» disse Alexandra, in uno slancio di commiserazione e collaborazione.
Il ragazzo si accorse completamente della sua presenza, che prima era passata in secondo piano, per via dei gufi. Rimase a fissarla per un paio di secondi, mentre la ragazza si frugava nelle tasche del mantello, e ne estraeva un fazzoletto immacolato. Albus continuò a fissarla anche dopo che Alexandra gli aveva cacciato il quadratino di stoffa bianca, e quella lo guardò con una smorfia di impazienza, «Allora, ti serve, o no?» gli fece, agitando il fazzoletto a mezz’aria. Albus scosse la testa, sia per riprendersi che per rifiutare l’offerta, «No, grazie. Devo togliere completamente la macchia. Non posso farmi sette piani con il sedere… uhm, fa niente» rispose, lasciando poi correre l’ultima frase, che sembrava terribilmente equivoca.
Sfilò la bacchetta dalla tasca, e se la puntò ai pantaloni «Tergeo!» e le macchie su di essi vennero assorbite completamente, se non per una leggera traccia che era la forma rimasta. Eseguì lo stesso incantesimo anche sulla giacca, e sulle mani, per quanto quell’incantesimo fosse applicabile sulla pelle nuda.
Albus rialzò lo sguardo, pensando che la ragazza avesse approfittato della smacchiatura in atto per andarsene senza domande, ma invece la trovò ancora seduta lì. Si rigirò la bacchetta tra le mani.
«Ehm…» fece, voltandosi verso la finestra, e poi girandosi di nuovo in direzione di Alexandra «Credevo di essere l’unico pazzo che viene qui, a quest’ora» disse, poi spalancò gli occhi, «Cioè, non che tu sia pazza!» mise le mani davanti a sé, come per chiedere perdono «Intendevo per me. Cioè, io sono un’idiota, e vengo qui a quest’ora della sera. Sono due cose completamente scollegate tra loro, non fraintendere»
«Ma io non ti ho detto nulla» ribatté fredda Alexandra, «Giusto» annuì Albus, leggermente in imbarazzo, guardandosi le scarpe.
Rimase un po’ in silenzio, poi la guardò di nuovo, «Tu… insomma… non che siano affari miei, per carità… ma, tutto bene, sì? Insomma, sei qui, da sola. Niente di grave, spero» le chiese, massaggiandosi la nuca, e distogliendo lo sguardo.
Era incredibile: sei anni che veniva lì sopra, senza incontrare mai nessuno, e adesso aveva avuto addirittura la fortuna di trovarci Alexandra Nott! Era assurdo. Sembrava che il loro incontro fosse stato scritto dal destino, e magari da lì sarebbe cominciato qualcosa, e… SMETTILA, ALBUS, pensò schiaffeggiandosi mentalmente. “È la ragazza del tuo migliore amico” fece il suo buon senso, “Ex” rispose invece Albus.
“Potrebbero tornare insieme”
“Ne dubito fortemente. Lorcan non ha niente da offrirle, in quanto a sentimenti”
“È il tuo migliore amico, non dovresti dire così”
“La smetti di ripeterlo?”
“Sono la tua coscienza, è il mio compito mantenerti sulla retta via”
“Oh, ma va’ al diavolo”
E chiusero la discussione.
«Niente di importante» rispose Alexandra, «Come?» fece Albus, per un attimo dimentico della domanda che aveva fatto alla ragazza, e soprattutto in che situazione fosse. Alexandra lo guardò preoccupata della sua sanità mentale, «Stavo rispondendo alla tua domanda» fece.
«Oh, certo» ribatté Albus, «Sì, scusa»
«Figurati»
Albus notò la lettera rivolta a terra, e la indicò con un cenno del capo, «Brutte notizie?»
Alexandra si sentì montare il sangue al cervello per la rabbia. Non erano affari suoi! Come si permetteva di chiederle una cosa del genere, pretendeva sul serio che lei gli rispondesse? Era pazzo a pensarci. Non erano amici, perché mai avrebbe dovuto rispondere ad una domanda così personale? Fece per aizzarsi contro il ragazzo, ma questo parve precederla, battendosi il palmo della mano sulla fronte con una violenza non nella norma, «Oddio, no. Scusa, sul serio» esclamò, poi mormorò tra sé «Ma perché devo sempre fare macelli?»
«Forse vuoi rimanere solo» fece Alexandra, alzandosi dal pavimento. Albus iniziava non solo a preoccuparla seriamente, ma anche a spaventarla: sembrava affetto da qualche strano disturbo della doppia personalità, che lo stava dividendo in due parti contrastanti, che stavano lottando come in un ring dentro la testa del ragazzo.
Albus alzò le mani davanti a sé, «No!» esclamò, facendo saltare Alexandra di una decina di centimetri per lo spavento. La ragazza rimase a fissarlo ad occhi sgranati. «Merlino, scusa. Davvero, scusami tanto. Non intendevo dire che non te ne devi andare. Ovviamente, tu sei libera di andartene quando ti pare… io non ti trattengo» si mise le mani sulla faccia, «Che figura da idiota» Alexandra rimase lì a guardarlo inquieta, come se avesse paura che il ragazzo potesse avere una crisi epilettica da un momento all’altro.
«Quindi, posso andarmene?»
Albus si ridestò, «Ma certo, scusa»
«L’hai già detto»
«È vero, scusa»
«D’accordo, ne ho abbastanza» disse la ragazza, alzando le braccia in segno di resa. Albus si voltò dall’altra parte, quando Alexandra fece per uscire. Non voleva vedere come era stato bravo a mandarla via in così poco tempo. Era un completo idiota.
«Bravissimo, Albus» si disse, dopo che Alexandra si fu volatilizzata. «Probabilmente hai bruciato l’unica possibilità di instaurare un qualsiasi tipo di rapporto con lei. Sei da premiare» mormorò, camminando per la stanza, mentre i gufi lo guardarono con lo stesso pensiero di Alexandra in testa: quello era pazzo.
Albus rimase lì per un bel po’, con un pensiero fisso che lo tormentava: James non avrebbe mai fatto una gaffe del genere.



*parodia del Lotto Babbano. Completamente inventato.
**Tutte squadre di Quidditch Britanniche. Certificate dalla Rowling.









Note di Ilhem: Sono di nuovo qui, vi sono mancata? Non penso proprio. Innanzitutto, buone vacanze a tutti!
Finalmente l'ostacolo della scuola è scomparso, e ne avremo di pace per tre mesi (due e mezzo, forse). Spero vi sia andata bene in quanto a risultati, e in caso contrario, pensate: "In realtà dovrei essere ad Hogwarts"
Comunque, evitiamo di fare premesse troppo lunghe e\o inutili, come sono solita. Colpa mia, perdono.
Una cosa che mi dà fastidio è che, quando scrivo i capitoli, mi vengono in mente punti su cui farvi soffermare, o spiegazioni da fare, ma quando arrivo a scrivere le Note dell'Autore, sono più vuota di un palloncino sgonfio.
Partiamo dall'inizio, che magari non sbaglio: allora, ho deciso di iniziare dal principio a spiegarvi la continuità di Sangue Puro attraverso i matrimoni dei pargoli. Nonostante la Guerra sia finita, ci troviamo comunque in un mondo reale nel nostro immaginario, diciamo pure così, e perciò sappiamo bene che non esiste il lieto fine, e che la storia continua, seppur con i suoi difettucci.
Alcune famiglie Purosangue (più che altro, gli eredi degli ex-Mangiamorte), nonostante non vi sia più l'obbligo di portare avanti le antiche tradizioni, continuano imperterrite sulla loro via, come, ad esempio, la famiglia Nott.
Ovviamente, man mano che la storia proseguirà, spiegherò sempre più le dinamiche e i dettagli. Ho iniziato a spiegarlo adesso per non fare metà del lavoro, e non farvi trovare spaesati al punto clou, in cui potreste pensare "E adesso cosa si è inventata questa?".
Sappiamo tutti che c'è un fondo storico in questo, infatti allo stesso Draco è toccato il matrimonio combinato. Che sia un matrimonio felice, o sereno, questo noi non lo sappiamo. Io immagino di sì, perché mi piace davvero molto la coppia Draco\Astoria (o Asteria), anche se non è mai stata spiegata in nessun modo. Peccato.
Come alcuni potrebbero ricordare, ho inserito di nuovo la crisi di panico di Molly dovuta al suo primo bacio con Sean Finnigan (sì, dovrebbe essere il figlio di Seamus). All'inizio, pensavo di lasciar perdere la loro piccola parentesi, ma poi una persona sinceramente scassa pluffe con il titolo famigliare di 'mia cugina', mi ha chiesto (e richiesto, e richiesto) fino all'esaurimento nervoso (sono una ragazza poco paziente) di re-inserire gli approfondimenti su Molly, e di farli anche su Lucy, Louis e Roxanne, che sembra solo la spalla comica, fino ad ora. Spero siate anche voi del suo stesso avviso, perché altrimenti la strangolo.
Ah, un punto importante su cui vi volevo far cadere l'occhio: Albus inizia il suo P.o.V. con il pensiero di non essere all'altezza del fratello, e l'argomento continua a cadere nella sua testa, come se ogni suo gesto dovesse venir sovrapposto al 'come si sarebbe comportato James?'. Allo stesso modo, chiude l'intero capitolo, concentrandosi su questa assidua; James non avrebbe fatto così.
Poi, il momento tra lui e Alexandra è stato breve, giusto per iniziare ad allacciare una situazione tra di loro in modo logico e per gradi, senza affannarsi troppo ad arrivare al sodo. Lo stesso per Rose e Scorpius, che continuano soltanto una reciproca punzecchiatura.
Devo dire che mi sono divertita molto a descrivere nel dettaglio la Sala Comune di Corvonero, perché l'ho sempre adorata, mi ha sempre dato un'idea di aria, pace e serenità. Sarebbe la mia camera ideale, direi. Ovvio non è una camera, ma il concetto è chiaro, no?
Ringraziamo un'altra volta Yates per aver eliminato l'unica volta, in sette libri, che la Sala Comune di Corvonero è stata anche solo menzionata, e di non aver nemmeno registrato la scena di Harry e Luna. *tutti in coro* Grazie, Yates!
Aspetto una vostra recensione!
Approfitto un attimo per salutare definitivamente la vecchia storia! E ringrazio tutti quelli che hanno recensito in passato (sappiate che vi tengo nel cuore, e nel mio hard-disk, visto che ho salvato tutte le vostre recensioni). Grazie di cuore.
Un bacio a tutti,
Ilhem.
(nel banner Alexandra Nott aka Alexandra Daddario)
   
 
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