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Autore: Ilhem_Rowling    11/05/2015    4 recensioni
Tutti hanno paura di quel complesso processo chiamato 'crescità'. Tutti, persino i figli di Grandi Salvatori del Mondo Magico.
E' giunto il loro momento.
Dal testo:
Se da Rose Weasley tutti si aspettavano che riportasse il massimo dei voti nei M.A.G.O., e che venisse coronata del titolo di ‘Seconda Migliore Studentessa di Tutta la Storia di Hogwarts’ – acquisito da sua madre al termine dei suoi studi dopo la Seconda Guerra Magica –, allo stesso modo, da Albus Severus Potter ci si aspettava un’ultima grandiosa annata e la vittoria per i Serpeverde della Coppa di Quidditch, strappatagli negli ultimi quattro anni dai Grifondoro, capitanati da James Sirius Potter.
Dal capitolo 4: (AlbusxScorpius)
« [...] Dici che vuoi essere qualcuno, indipendentemente dal tuo cognome, e dalla fama che ti porti dietro, ma, Scorpius, possibile che tu non te ne renda conto? Stai soltanto alimentando ciò che gli altri pensano di te»
«E CHE COSA PENSANO DI ME, EH? COSA VOGLIONO CHE FACCIA? COSA VUOLE IL MONDO MAGICO CHE IO FACCIA? [...]»

Rivisitazione dell'omonima fanfiction, pubblicata nel luglio 2013.
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Lily Luna/Lysander, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 1:
Albus Potter e la sindrome C.U.A.: Complessi da Ultimo Anno


Quella sera un’intera famiglia di teste dai colori ben assortiti era riunita sotto un manto addobbato di stelle estive, di quelle che illuminano tutta la volta celeste e che formano uno spettacolo mozzafiato, che nessuna magia potrebbe mai eguagliare.
Era il 31 Agosto, e di lì a poche ore due dei più rilevanti studenti di Hogwarts dell’ultimo mezzo secolo avrebbero cominciato il loro ultimo anno.
Se da Rose Weasley tutti si aspettavano che riportasse il massimo dei voti nei M.A.G.O., e che venisse coronata del titolo di ‘Seconda Migliore Studentessa di Tutta la Storia di Hogwarts’ – acquisito da sua madre al termine dei suoi studi dopo la Seconda Guerra Magica –, allo stesso modo, da Albus Severus Potter ci si aspettava un’ultima grandiosa annata e la vittoria per i Serpeverde della Coppa di Quidditch, strappatagli negli ultimi quattro anni dai Grifondoro, capitanati da James Sirius Potter.
Tutti scommettevano su di lui, soprattutto ora che il fratello aveva ultimato gli studi e aveva iniziato una carriera approssimativa come Cacciatore nei Cannoni di Chudley, anche se aspirava al ruolo di Cercatore. Quell’anno avrebbe avuto campo libero, senza alcun intralcio, perciò avrebbe strappato ai Grifondoro la Coppa senza troppa fatica. O almeno credeva.
Hugo Weasley e Lily Potter, infatti, avevano deciso di candidarsi entrambi come capitani, come successori di James, ma non in rivalità tra di loro, bensì insieme; erano tutti e due capitani. Una qualunque persona normale penserebbe: ‘Dovrei aver paura di due quindicenni che capitanano assieme una squadra?’, be’, con questi due precisi individui sì.
Lily era una furia rossa di un metro e sessant’otto, con grinta sufficiente a mobilitare due eserciti e un carro armato delle truppe americane d’assalto. Chi la provocava poteva benissimo rimetterci un occhio, o dire addio ad un arto, perché in quanto a mira, e ad incantesimi ben assestati non sbagliava un colpo. Non per niente era la miglior Cacciatrice dei Grifondoro da tre anni, e ora sarebbe entrata al suo quarto anno in squadra, assieme a Hugo, il suo immancabile braccio destro. Dove c’era Lily, c’era anche Hugo, e dove c’era Hugo, c’era Lily. Non li si staccava mai, ed era impossibile vederli separati per più di qualche minuto, a meno che non si trattasse di dormire, e in quel caso dovevano rimanere nei propri Dormitori.
Poi c’erano Molly e Roxanne, alla vigilia del loro sesto anno. Frequentavano le stesse lezioni e gli stessi corsi, ma non si sarebbero mai potute vedere persone più differenti; Molly era la fotocopia sputata e imbrattata di DNA del padre Percy. Un po’ presuntuosa, sempre scettica, a volte indelicata, e dotata di una schiettezza snervante. Per chi non la conosceva bene, risultava orribilmente antipatica e insopportabile e, a volte, anche la sua famiglia lo riconosceva, soprattutto quando si ostinava a criticare James e Fred e il loro ‘assurdo modo di sistemare i coltelli accanto alle forchette’, al che loro le urlavano un ‘MACHISSENEFREGA!’, mandandola in ebollizione e facendola borbottare come nonna Molly quando uno di loro non finiva le portate durante i cenoni WeasleyPotter.
Roxanne, invece, era la spina nel fianco dell’intera prole Weasley. Era disobbediente, totalmente irresponsabile e inaffidabile, e aveva l’assurda dote di distruggere tutto ciò che toccava, come suo fratello Fred. Preferiva passare il suo tempo alla Tana a creare trappole per i troll che infestavano il giardino, o a creare fuochi d’artificio con il dentifricio e i fiammiferi SuperScintilla del Mago Scintilla per l’Amore della Vostra Casa. Odiava passare il tempo con gli altri, perché non riusciva a concentrarsi per escogitare nuovi piani che prevedessero l’esplosione dell’intero guardaroba di Victoire che, ogni volta, tornando dalla settimana di vacanze in Francia dai nonni materni, riportava bikini, top, gonne, camicie, prendisole, abiti senza spalline, sandali, ciabatte, e altri indumenti di tutti i tipi, che venivano riposti nella stanza dove dormivano lei, Molly e Lucy, e occupavano il suo spazio. Era impossibile per lei vivere con le sue cugine più grandi.
Dopo Lily e Hugo, anche Lucy e Louis dovevano iniziare il loro quinto anno, ed entrambi erano terrorizzati all’idea di affrontare i G.U.F.O.
Sia Lucy che Louis erano molto timidi e introversi, e passavano tutto il loro tempo libero a studiare, o a leggere, infatti erano gli unici due della famiglia ad essere stati smistati in Corvonero (con grande disappunto di Rose, che avrebbe sempre voluto far parte della Casa della Sapienza, anche se il Cappello l’aveva riposta ingiustamente in Grifondoro, solo per le sue origini), come l’eccezione che costituiva Albus quando fu smistato in Serpeverde.
Erano probabilmente i ragazzi più silenziosi sulla faccia della terra, il che era incredibilmente raro nella famiglia: infatti, Victoire e Dominique ritenevano buono ogni momento della giornata per litigare tra di loro su chi avesse rubato un paio di scarpe all’altra; Rose non faceva altro che rimproverare Albus dei suoi continui piagnistei su quanto fosse ingiusto che ogni anno venivano battuti dai Grifondoro, e lei gli rispondeva puntualmente che nella vita non esisteva solo il Quidditch, e così partiva la lite sul Quidditch; James e Fred rendevano la vita degli altri impossibile con i loro continui scherzi e le esplosioni che facevano crepare le galline di infarto, e stecchivano i poveri conigli, mandando nonna Molly all’esaurimento; Lily e Hugo trovavano un capro espiatorio per litigare in ogni argomento di cui discutevano, per poi riappacificarsi sempre dopo pochi minuti, e poter ricominciare liberamente; Molly rimproverava sempre Roxanne di quanto fosse disordinata e di quanto odiasse dover trovare la sua biancheria dappertutto.
Insomma, bisognava ammettere che la famiglia WeasleyPotter non venerava molto il silenzio. Avevano finito una lunga cena di nove portate, esclusi il dolce e la frutta, che tutti avevano rifiutato, ritenendosi sazi, ma che nonna Molly aveva comunque sentito di dover portare in tavola, per suscitare un’acquolina in bocca di cui si sarebbero tutti pentiti.
L’unico che riuscì ad accettare la fetta enorme che gli veniva porta fu Ron Weasley, che venne rimproverato immediatamente dalla moglie. «Oh, Ron, per l’amor del cielo. Hai mangiato tre ciotole di zuppa di cipolle, cinque costolette, due pezzi di rustico al prosciutto e uno di focaccia ripiena di ricotta, credo che per stasera possa bastare!» borbottò, a braccia incrociate, fissandolo con una smorfia di disgusto, mentre addentava la prima forchettata.
«Hermione, quando vorrai imparare che, per quanto io possa rimpinzarmi, rimarrò sempre sottile come un ramo? E poi, me lo merito dopo aver lavorato così tanto, e dopo tutto quello che ho fatto per il paese» rispose, finendo in altre due forchettate il dolce, al che nonna Molly gliene passò un’altra fetta, che Hermione risospinse verso di lei con un sorriso. Ron fu indignato da ciò, «Non è così che dovrei essere ripagato. Mi merito tutte le fette di torta che riesco a mangiare!» «Ron, piantala. Usi sempre questa storia come scusa per ingozzarti come un maiale, ma non funziona più, e a dirla tutta io meriterei anche più di te questa torta» ribatté Hermione, «Ho contribuito molto di più a salvare il Mondo Magico, Ronald Weasley» e serrò le braccia e le labbra, segno che la discussione era chiusa e archiviata. Ron rimase in silenzio, e sprofondò sulla panca, sbuffando.
«Qualcuno ha visto Albus?» fece Ginny, mentre passava la torta a Louis, che la passava a Lily, che la passava a Hugo.
Rose si alzò dalla panca, «Probabilmente sarà dentro» disse «Gliela porto io» e prese due fette di torta.
A grandi falcate percorse la distanza che la separava dall’ingresso della Tana, e con il piede aprì la porta. Dentro erano accatastati i bagagli di tutti i ragazzi, pronti a partire la mattina dopo. Rose aveva ricontrollato nove volte che ci fosse tutto, perché si sarebbe sentita a disagio nel partire verso il suo ultimo anno ad Hogwarts senza qualcosa, e non sarebbe di certo stato di buon auspicio, e poi, non le andava di dover scrivere una lettera ai genitori per farsi rispedire ciò che mancava all’appello. Lei era impeccabile, non poteva dimenticarsi nulla.
Salì le scale, con i due piatti in perfetto equilibrio sulle mani, e arrivò davanti alla porta della camera che un tempo apparteneva a suo padre, e che ora ospitava Albus, James e Fred, durante la permanenza alla Tana. Bussò con la punta del piede, e senza aspettare un ‘Avanti!’, entrò.
«È la prima ed ultima volta che ti faccio da cameriera» disse alla chioma corvina che spuntava da dietro il letto con la trapunta verde. Si sedette sul letto, e posò i due piatti, poi scompigliò i capelli del cugino, e si allungò. «Allora, Al. Perché sei salito qui?» cominciò, come una vera analista con un paziente.
«Non si riesce a pensare, giù di sotto» rispose a mezza bocca il ragazzo, «C’è troppa confusione» «Credevo adorassi il rumore che proviene dalla nostra numerosa famiglia» fece Rose, posizionando il palmo della mano sotto la sua guancia.
Albus rimase in silenzio e non diede segni di vita per interi secondi, tenendo rivolto lo sguardo sul pavimento, o sulle sue scarpe di tela, difficile a dirsi.
Rose osservava attentamente il suo profilo, cercando di cogliere il benché minimo movimento, o quantomeno per essere sicura che respirasse ancora, ma il ragazzo sembrava avere la mente occupata da qualcosa di molto importante, che lo stava rendendo incapace di concentrarsi su altro, come la torta di nonna Molly. Era strano vedere Albus concentrato su un pensiero così tanto, visto che non gli capitava mai di rimanere bloccato completamente per rimuginare su un qualcosa… era così poco inusuale che ora, così immobile, sembrava fin troppo concentrato, e Rose pensò che dovesse essere davvero importante, per renderlo così zitto.
«Senti, Albus, se non mi parli io non riesco a capire cos’hai, e di conseguenza, non posso mettere in atto le mie doti da psicologa mancata» disse la ragazza, scrollando il cugino dalle spalle. Era come scrollare un cadavere. Si muoveva mollemente e senza peso.
«Non devo parlare di niente, Rose» rispose questi, muovendosi appena. Si voltò verso la cugina, con gli occhi spalancati, quasi fosse posseduto da un demonio, «Non devo di certo parlarti di quanto io sia terrorizzato di tornare a scuola, e iniziare il mio ultimo ma obbligatoriamente indimenticabile anno. Non devo parlarti di quanto i M.A.G.O. mi tormentino anche quando dormo. Non devo parlarti di quanto abbia paura di non dimostrare all’intera scuola che sono migliore di James, e che sarò in grado di portare i Serpeverde alla vittoria, quest’anno. Non devo parlarti del nulla assoluto che vedo di fronte a me, una volta che la scuola sarà finita. Non devo parlarti della paura che ho di deludere mio padre che spera io diventi un’Auror come lui. Non devo parlarti di come tutti si aspettino che io lasci un segno indelebile in quella dannatissima scuola! E di certo non devo parlarti di quanto ho paura di non essere in grado di fare qualsiasi cosa, Rose!» sputò tutto d’un fiato, facendo quasi sorridere Rose, perché sapeva che Albus era affetto dalla sindrome che lo visitava puntualmente ogni anno, prima del rientro ad Hogwarts; la C.N.A., ovvero Complessi del Nuovo Anno.
Quell’anno però sarebbe stato diverso: era l’ultimo anno per Rose e Albus, ed entrambi erano terrorizzati all’idea di entrare nel mondo reale.
Nella loro famiglia erano tutti cresciuti secondo vari principi, che loro seguivano da sempre alla lettera. I loro genitori gli avevano insegnato cos’era importante, e cosa c’era di giusto da fare, che non bisognava mai scegliere la via più semplice. Il duro lavoro ricompensava sempre, e Rose sapeva che tutto il suo studio l’avrebbe ricompensata non solo con i voti, ma anche in futuro. Era sempre stata una grande appassionata del sapere, della cultura, delle arti, e di qualsiasi branca della magia conosciuta, e della propria storia. Aveva imparato a leggere all’età di quattro anni, stanca di dover aspettare ancora per sapere, per conoscere. Era sempre stata una ragazza matura per la sua età, e agiva di conseguenza; sapeva sempre che doveva riflettere prima di agire e parlare, e non era impulsiva, come molti suoi coetanei. Rose Weasley non aveva mai corso rischi durante tutta la sua esistenza, e avrebbe preferito continuare su quella strada. Aveva sempre avuto obbiettivi premeditati, Rose Weasley, e non aveva mai avuto dubbi su cosa fare di sé stessa, in un ormai prossimo futuro. Da sempre avrebbe voluto intraprendere la carriera di insegnante, e lavorare ad Hogwarts, perché sapeva che quella era la sua casa, e non l’avrebbe mai lasciata.
Questa idea le era balenata in testa al suo secondo anno di studi, quando, in un pomeriggio burrascoso di Aprile, ritrovandosi in Biblioteca con una delle sue migliori amiche, Alexandra, aveva guardato d’istinto fuori dalla finestra, e una coltre di nebbia le aveva ostruito la vista, così aveva realizzato che il futuro era così incerto, e che presto – molto più di quanto avesse mai potuto pensare – avrebbe dovuto costruirsi una vita, che non prevedeva percorsi già scritti, come gli orari delle giornate scolastiche. Poi si era resa conto che Hogwarts era l’unico posto in cui avrebbe voluto passare il resto della sua vita, qualsiasi cosa avesse comportato, e aveva preso la decisione: «Voglio insegnare qui, ad Hogwarts!» aveva detto alla sua amica, al che lei l’aveva guardata un po’ di traverso, non avendo capito da dove le fosse venuta l’idea, e perché in quel momento.
Doveva ammettere però, che come scelta per il futuro, seppure fosse sempre stata buona, e l’avesse sempre usata come punto di riferimento, era un po’ azzardata, visto che proveniva dalla Rose dodicenne, che anche se matura, era comunque una bambina. Con il passare degli anni, Rose non aveva mai cambiato orientamento in merito alla sua carriera, e ne aveva anche parlato abbondantemente con il responsabile della sua Casa, il professor Paciock, o meglio zio Neville, che insegnava Erbologia ad Hogwarts, e lui aveva sempre mostrato il suo pieno appoggio a tale scelta, visto che era stata anche la sua, e convenendo che Rose sarebbe stata un’insegnante davvero perfetta.
Albus, invece, era sempre stato un indeciso patologico, nella sua breve esistenza: per lui era difficile persino scegliere se indossare una camicia bianca, o una nera. Di certo, non mancava di talenti; era uno dei migliori giocatori di Quidditch di tutta Hogwarts, e non era niente male nemmeno scolasticamente, in quanto si alternava in una media discretoalta. Eppure aveva sempre l’impressione di stare sbagliando qualcosa, anche se a vederlo, tutti credevano avesse sempre il controllo di ogni situazione, e infatti molti lo prendevano d’esempio come leader, e non solo per il Quidditch.
Per quanto gli altri lo ritenessero pacato, distaccato e sciolto, Albus era tutto l’opposto, e tendeva a far uscire questa indole soltanto con la cugina, perché mai si sarebbe sognato di mostrarsi così ai fratelli, che sicuramente gli volevano un gran bene, ma che sapevano essere due carogne di prima categoria. Perciò Rose sapeva che avrebbe avuto con lei quell’eccesso d’ira dovuto allo stress, e sapeva già da prima che si trattava della sindrome C.N.A., anche se le parve che ci fosse qualcosa in più. Consumò qualche minuto in silenzio, in modo che Albus si riprendesse da quella fuoriuscita di pensieri, e che tornasse in sé, avendo ormai liberato la mente da ciò che lo molestava, poi snocciolò la diagnosi: «Capisco di cosa si tratta, ma questa volta credo proprio che possiamo parlare di sindrome C.U.A., ma non spaventarti, non la ritengo più grave delle precedenti»
«Sindrome C.U.A.? Ma di che diavolo parli?» fece questo, inarcando un sopracciglio fino a farlo scomparire sotto la coltre di capelli neri.
«Semplice, mio caro. Complessi da Ultimo Anno, ecco di cosa parlo» ribatté spiccia, come se non esistesse un qualcosa di più facile da comprendere. La faccia di Albus si contrasse ancora di più, e Rose si mise a sedere sul letto, con le gambe incrociate, e raccolte tra le braccia «Non è una malattia, Albus, sei solo preoccupato per le aspettative che tutti ripongono in te, per quest’anno» spiegò, con il tono più dolce che potesse ottenere, «Hai paura del tuo futuro, e di quello che vuole tuo padre, tua madre, di non essere all’altezza di tuo fratello, o di Fred… Sei solo spaventato, e non c’è nulla di sbagliato» «Io non sono spaventato» la interruppe Albus, prendendo la difensiva, come se lo stesse accusando di essere un fifone che nasconde la testa sotto terra alla minima scossa.
«Avere paura non significa che tu sia stupido, o un fifone, Al. Significa solo che ci tieni. Crescere comporta cambiamenti, comporta distacchi, e comporta anche avere paura, ma è una delle paure più coraggiose che esistano, Albus… è la paura dell’ignoto»
«È l’ignoto che temiamo, quando guardiamo la morte e il buio, nient’altro*» recitò Albus, come un mantra, e Rose sorrise «Portare il nome di Silente ti implica alcuni benefici, a quanto vedo. Parli come lui» anche Albus sorrise, e prese il piatto con la torta, che si era mezza sciolta.
«Sarà anche vero che un anno passa in fretta, ma non permettere al tempo di portarti via ciò che ti resta del tuo ultimo anno. Non rimuginare troppo sulle tue scelte, e vedrai che, al momento opportuno, capirai» fece Rose «Ma guarda un po’ chi dà consigli a chi sul non rimuginare troppo. Dì un po’, sei Rose Weasley, o James Potter?» la schernì, Albus. Rose si finse indignata, e Albus cominciò a ridere, al che la ragazza prese la sua fetta di torta, e intinse un dito nella melassa; quando Albus si accorse di ciò che voleva fare la cugina, fu troppo tardi, perché Rose già aveva spalmato il suo dito sulla faccia del ragazzo.
«Sei sicura di voler imboccare questa strada, Weasley? E va bene, ma non supplicarmi poi» e con queste parole, tirò indietro la forchetta, con sopra un pezzo generoso di torta e prima che Rose riuscisse a dire “Non ci provare”, aveva il naso e la bocca ricoperta di melassa.
«Ah, è così» e raccolse in una mano tutto il pezzo rimasto nel piatto, cosa che fece anche Albus, e portatisi entrambi al cospetto dell’altro, contarono fino a tre, e poi, contemporaneamente… SPLAT!, avevano entrambi una torta al posto del viso.
Scoppiarono a ridere così fragorosamente che in un attimo si ritrovarono a terra, a rotolare come due individui in fiamme che cercano di spegnersi, tenendosi la pancia con tutt’e due le braccia.
Si sentì un miagolio, e sulla soglia comparve Milla, la gatta di nonna Molly. Si avvicinò ai due ragazzi per terra, e salì sulla pancia di Rose, fino ad arrivare alla faccia, e dopo aver sentito l’odore inconfondibile di uno dei piatti più famosi di nonna Molly, iniziò a mangiare la torta, direttamente dalla faccia della ragazza, che iniziò a ridere ancora di più, seguita da Albus. Quando la faccia di Rose fu completamente priva di melassa, la gatta passò ad Albus, che rimase immobile sotto lo sguardo del felino, per paura che scambiasse un brano della sua pelle come torta.
Rose si ridiede una pulita al viso con la bacchetta, «Ah, ehm… Rose, potresti togliermi questa palla di peli di dosso, prima che rovini l’ottava meraviglia del mondo?» «Uh, ma come siamo sopratono, non pare anche a te, Milla?» lo schernì la ragazza, dopo aver impedito al gatto di rovinare l’ottava meraviglia, prendendola in braccio «E pensare che fino a poco fa si sarebbe messo a piangere, il gradasso qui» disse, grattandola dietro le orecchie, mentre Milla esprimeva il suo assenso con una serie di fusa. Albus si alzò dal pavimento, e fece Evanescere una pezzolina umidificata, con cui rimosse ogni traccia di torta e di DNA felino dal suo viso, «Non sei divertente» le fece il verso, con una smorfia.
«Oh, invece sono molto divertente» rispose Rose, poi si alzò dal pavimento «Forza, torniamo giù. Altrimenti tua madre chiamerà una squadra di soccorso per venirti a cercare» disse, prendendo i piatti sporchi, e uscendo dalla camera. Albus la seguì.






Quella notte, Rose sognò il suo arrivo del primo anno ad Hogwarts.
Da quando era salita sull’Hogwarts Express, le si erano avvicinati i personaggi più assurdi e i più svariati, a presentarsi a lei, e al secondogenito del Prescelto, di cui si era parlato tanto soprattutto perché tutti dicevano che fosse la fotocopia sputata di Harry Potter. Di lei invece si diceva soltanto di quanto dovesse essere la fusione perfetta tra due personaggi così discordi tali Ronald Weasley ed Hermione Granger; ovviamente, tutti erano straconvinti che la ragazzina fosse intelligente perlomeno quanto la madre, e che avesse almeno il minimo talento nel Quidditch o la passione, come il padre. Sul cervello, nulla da controbattere, perché Rose si dimostrò sempre una studentessa eccellente, al di là dell’immaginario collettivo, venendo continuamente elogiata da tutti i professori, dagli studenti più grandi, e anche da tutta la famiglia, di cui aveva il continuo supporto. Sul fronte del padre, però, molti dovettero ricredersi, dopo che Rose si rifiutò categoricamente di partecipare ai provini per entrare a far parte della squadra dei Grifondoro, al secondo anno. Ammise lei stessa di odiare il Quidditch, e di non ritenerlo parte dei suoi interessi. Ovviamente tutto ciò deluse parecchio Ron, che aveva tanto sperato che entrambi i suoi figli acquisissero anche il suo corredo genetico, e non solo quello della madre, per quanto riguardava il carattere e il talento, perché per l’aspetto fisico, avevano entrambi il loro bel paio di occhi azzurri, e la foresta di capelli rossi, anche se di due toni un po’ differenti tra loro.
Tuttavia, Ron non fu completamente deluso, visto che, più tardi, Hugo si dimostrò un grande appassionato, e anche un grande giocatore di Quidditch, investendo il ruolo di Portiere a tredici anni, grazie a uno slancio di fiducia – e qualche lettera di supplica da parte di Ron – di James, che aveva deciso di farlo tentare almeno per un mese, e non ne era rimasto affatto deluso. Hugo era un prodigio del Quidditch. Anche se aveva qualche carenza in ambito scolastico; non era di certo un asino, ma nemmeno un secchione come la sorella. Studiava solo ciò che riteneva necessario, tagliando qualche volta ciò che era davvero necessario, ma riusciva comunque a cavarsela con una media piuttosto buona.
Quando varcò la soglia del castello per la prima volta, fu investita da un calore che non era quello proveniente dalle cucine di Hogwarts. Era un calore mai provato prima, nemmeno alla Tana, nemmeno durante la mattina di Natale, quando si trovavano tutti a scartare i regali assieme, nel salotto di nonna Molly e nonno Arthur. Un calore diverso, che sembrava sussurrarti nelle orecchie: “Sei a casa”. Quella sensazione, Rose non l’avrebbe mai scordata, e ogni volta che varcava la soglia del castello, all’inizio dell’anno, sentiva sempre un’aria differente, che le accendeva una lampadina nel cervello, e le annunciava che un altro anno era passato, e che lei era cresciuta, che le difficoltà erano altre, e avrebbe imparato di più.
Il castello di Hogwarts sembrava vivo, e non solo per via dei quadri chiacchieroni, dei fantasmi impiccioni, degli elfi, dei professori, e della miriade di studenti che vi abitava. Era vivo perché faceva sentire coloro che vivevano lì vivi. Era un posto che significava futuro, libertà, famiglia, amicizia, e magia. Era l’unico posto in cui Rose si sentiva la persona più speciale del mondo, sentiva che non le mancava nulla. E in un certo senso, era davvero così.
Quando la McGranitt aveva chiamato il suo nome, si era sentita mancare, e aveva guardato Albus; era lui il suo punto di riferimento, da sempre. Sapeva che poteva fidarsi di Albus, e che avrebbe potuto affrontare qualunque cosa, se avesse avuto il suo migliore amico con sé. Nelle situazioni più ardue, aveva sempre avuto Albus al suo fianco, e in qualche modo, ne era sempre uscita.
Le aveva sorriso, e detto: «Vai, stendili tutti»
Così Rose era salita, con la testa alta, fiera di sé. Ricordava che la Sala era improvvisamente scesa nel silenzio più profondo, al che si era sentito solo il lieve grattare dello sgabello alla seduta della ragazzina, e il fruscio della stoffa sgualcita del Cappello Parlante, mentre veniva adagiato sul suo capo. Furono minuti di grande attesa, e piuttosto lunghi, in realtà, infatti, più tardi, la McGranitt informò Rose che era stata una Testurbante, dopo quasi trentadue anni. Le disse anche che gli ultimi due Quasi-Testurbanti erano stati Neville Paciock, e sua madre, per via dei quattro minuti impiegati nella scelta.
Il Cappello Parlante aveva valutato con molta pazienza tra Grifondoro e Corvonero, anche se Rose ometteva sempre la parte in cui quel pezzo di stoffa l’aveva vista bene in Serpeverde. Quando aveva sentito le parole del Cappello, era impallidita – infatti Albus le aveva poi domandato se stava bene, e perché sembrava sul punto di svenire su quello sgabello – e aveva rivolto il suo pensiero alla sua famiglia, e all’infarto che avrebbe colto suo padre e suo nonno, una volta appreso che la dolce Rose era finita in Serpeverde. Forse era stato quello a salvarla dal suo destino verde-argento.
Il Cappello Parlante annunciò la sua scelta: «Mmh, mi auguro che non deluderà le vostre aspettative in…» «ROXANNE, RESTITUISCIMI LE SCARPE!» e si svegliò battendo la testa sulla mensola che sovrastava il suo letto, «Ouch».
La casa era in fermento, e i suoi residenti erano tutti operativi e urlanti.
«Rose, muoviti!» disse Dominique, entrando nella stanza, e togliendole il cuscino da sotto il viso, «Sono le nove e mezza, e non credo che riuscirai a smaltire la fila che c’è di fronte al bagno prima di un’ora»
A quelle parole, Rose balzò dal letto come una scimmia su un ramo, e iniziò a saltellare da un piede all’altro, raccattando i vestiti della sera prima e correndo verso il bagno al piano di sopra.
Purtroppo, Lucy e Lily avevano avuto la sua stessa idea prima di lei.
«Ma non è possibile» sbuffò, trascinandosi verso la porta con i vestiti che le ciondolavano tra le braccia. Intanto dal piano di sotto provenne un rumore di vetro che va in frantumi, e di una ragazza che sta per frantumarne un’altra, seguita da uno strillo da circa diecimila decibel. «Hai trovato comodo il letto, stamattina?» chiese Lily, voltandosi verso la cugina, che intanto sbadigliava ripensando a quanto stava dormendo bene. «Sai, ti sei svegliata davvero tardi, per i tuoi soliti standard» fece Lucy «Spero che James e Fred ti abbiano lasciato qualcosa da mangiare. Quando siamo saliti per andare in bagno, avevano già finito tutte le frittelle, e di ciambelle con il burro ne erano rimaste davvero ben poche»
«Ma si può sapere quanto ci vuole?» sbottò Lily, battendo un piede a terra «MAMMA! Non sei tu quella che deve prendere un treno alle undici! ESCI DA QUESTO BENEDETTO BAGNO!» gridò, picchiando mani e piedi sulla superficie di legno della porta.
«Ti consiglio di riprovare al bagno di sotto. Prima c’erano Roxanne e Molly in fila…» dalla cucina arrivò un altro urlo, e un coro di scimmie urlanti, che dovevano essere sicuramente James e Fred che incoraggiavano le due cugine a prendersi a botte. Insomma, Molly era tranquilla, pacata e tutto il resto, ma con Roxanne perdeva tutte queste qualità.
«Be’, credo che avranno ancora molto di cui, ehm, discutere» disse, mentre zia Ginny usciva dal bagno, rimproverando la figlia per le sue urla da scaricatore di porto, e lei la ignorava, chiudendosi dietro la porta.
Rose fece un cenno di ringraziamento a Lucy, e poi corse al piano di sotto per raggiungere il bagno prima che la lotta tra le due ragazze finisse.
Percorse la scalinata rischiando di precipitare di testa almeno tre volte, e quando finalmente arrivò al bagno, Hugo stava per avvicinarsi al pomello.
«No no no no!» fece Rose, prendendo la rincorsa. Impuntò i piedi per scivolare dolcemente sul pavimento, e invece… planò in maniera brusca a terra, cadendo su un fianco.
«Ah» gemette, e si tirò su un gomito. «Rose! Ma che stai facendo?» proruppe suo padre, appena sveglio «Oh, ma non è ovvio? Stavo contando i granelli di polvere che atterrano sul pavimento» rispose la ragazza, sbuffando ancora per la sua rovinosa caduta, e per la sottrazione del bagno da parte del fratello.
Finalmente si sentì provenire dal bagno il rumore dello scarico, e Hugo uscì dalla porta, strofinandosi una mano sul viso stravolto dal sonno. «Spero tu abbia finito, ma in caso contrario, mi dispiace; ho bisogno del bagno» disse Rose, e si lanciò direttamente nel bagno, chiudendo a chiave la porta.
Aprì il getto della doccia, e si tolse i vestiti. Si infilò sotto l’acqua, e si strofinò lo shampoo nei capelli.
«Meglio che mi lavi i denti ora» mise la mano fuori dalla tenda della vasca da bagno, e tastò il piano del lavandino per prendere il dentifricio e il suo spazzolino. Fortuna che non l’aveva lasciato in camera.
Ora che era sola, e completamente isolata dalla sua rumorosa famiglia, si fermò un attimo a rimettere a posto le idee, e a pensare che il giorno che temeva arrivasse da una vita, difatti era già lì, pronto a confonderla e a metterla in difficoltà per tutto l’anno.
Non le piaceva che qualcuno pensasse che Rose si sentiva in difficoltà con la prospettiva del suo ultimo anno, e fortunatamente, durante l’estate non aveva mostrato alcun segno di inquietudine o di timore in merito. Sapeva che quell’anno sarebbe cambiato tutto, perché era così, e doveva esserlo per forza. Lei stava crescendo. Tutti stavano crescendo. Bisognava affrontare tanti cambiamenti, tante situazioni, di differenti modalità, difficili e meno difficili.
Rose aveva sempre mostrato un certo timore ad affrontare la vita, anche se non in modo patologico, cioè di una paura dovuta forse all’ambiente famigliare iperprotettivo che l’aveva sempre ‘soffocata’, in un certo senso.
Si era sempre sentita protetta da tutto e tutti, e per questo si riteneva praticamente invincibile e intoccabile, ma molte di queste certezze erano già svanite con il tempo.
Sua mamma le ricordava sempre la difficoltà e le condizioni che comportavano crescere. Per una donna era anche più stressante e delicato. Quando sei una donna, ti viene chiesto molto, e spesso ti viene chiesto di sacrificare delle parti di te nel diventarlo. Sua madre era una donna così forte, così intelligente, così testarda e sicura di sé. Lei non aveva avuto necessità di dirottare la sua strada. Ne aveva intrapreso una, ed aveva continuato a seguirla, e lo faceva tutt’ora. Lei non stava al gioco.*
Nonostante avesse preso parte alla guerra, e a tutti gli orrori che la accompagnavano, tutte le cose che aveva visto, la sofferenza nel perdere i suoi genitori e Ron, lei era sempre stata la più forte, e aveva avuto anche il coraggio di tornare ad Hogwarts per finire gli studi, aiutando anche a rimettere insieme le macerie che erano rimaste della sua casa.
E invece Rose non le assomigliava per niente. Sapeva di non assomigliarle. L’unica cosa che avevano in comune era il cervello, perché, francamente, i capelli e gli occhi erano di suo padre. Forse il suo naso era della madre.
Rose avrebbe voluto essere una donna forte e indipendente. Non sapeva se ci sarebbe riuscita, ma ce l’avrebbe messa tutta, per imparare a crescere, e a conoscere la sua vera essenza. È difficile imparare a conoscere sé stessi, ma non impossibile. Insomma, se si convive con sé stessi, si dovrà pur imparare a conoscersi.
E Rose l’avrebbe fatto.




«Ho preparato a tutti dei panini per il viaggio, in caso vi venisse fame sul treno» fece nonna Molly, agitando tra le mani delle buste di plastica contenenti degli ammassi disgustosi di carne.
Albus deglutì, «Non ce n’era bisogno, nonna. C’è il carrello» «Oh, non dire sciocchezze, caro» ribatté nonna Molly con un gesto della mano «Non posso permettere che i miei nipotini mangino tutte quelle schifezze». Roxanne avrebbe avuto qualcosa da ridire sul termine ‘schifezze’ a proposito delle leccornie di Hogwarts e di Mielandia. Nonna Molly sapeva cucinare davvero bene, ma i panini con pasticcio di carne a sorpresa… be’, diciamo solo che erano perfetti come lassativi ad effetto istantaneo.
«Oh, per l’amor del cielo. I vostri genitori portavano sempre i miei panini in treno, e non si sono mai lamentati» disse. Tutte le teste rosse Weasley sbiancarono, soprattutto la faccia di Ron. «Giusto, cari?» fece Molly, aspettandosi una risposta pronta «Andiamo, cara, non vorremmo star qui a far perdere tempo ai ragazzi. Devono prendere il treno, per la miseria, faranno tardi» intervenne nonno Arthur, mettendo un braccio attorno alle spalle della consorte, salvando la pellaccia a figli e nipoti, che lo ringraziarono in silenzio.
«Certo, certo, è vero. Avete ragione» si scusò nonna Molly, avvicinandosi ai suoi ragazzi, e stritolandoli uno alla volta in un abbraccio spacca-costole. «Prometto di scrivervi ogni settimana» «Ci fidiamo sulla parola, nonna» intervenne Hugo. Nonna Molly era troppo affezionata ad ognuno dei suoi nipotini, e dal primo anno di ognuno di loro, ogni settimana aveva scritto una lettera ciascuno, perché erano la cosa più importante che aveva, quasi più dei suoi figli. Passava sempre il suo tempo con loro, e durante l’estate si faceva aiutare nei lavori domestici, nelle faccende, nell’orto, e nel pulire il giardino dagli gnomi (attività preferita di James e Fred).
Pur non avendolo mai ammesso nemmeno a sé stessa, Molly, dopo venticinque anni dalla morte del figlio, soffriva ancora troppo e amaramente come se fosse accaduto solo quel giorno. Sapeva che tenere corpo e mente impegnati l’aiutava a non pensare al figlio, e a quanto sentisse la sua mancanza. Lo faceva non per sé, ma per i suoi figli, per suo marito, per i suoi nipoti. Il cuore di Molly Weasley aveva perso un pezzo tanto tempo fa, e non sarebbe mai stato ritrovato.
I ragazzi lo sapevano benissimo, per questo odiavano portare dispiaceri alla loro nonna, che riponeva in loro qualunque cosa, e loro facevano in modo di renderla sempre fiera e felice.
Nonna Molly sorrise, e si asciugò una lacrima sfuggita al suo controllo.
«Oh, nonna, non fare così» fece Lucy, abbracciandola «Ci sentiremo ogni settimana, e potremmo vederci con la Metropolvere» «Sì, e Natale arriverà in un attimo» aggiunse Roxanne, mettendole un braccio attorno alle spalle. Era incredibile quanto fossero alti tutti i suoi nipoti. La superavano nettamente di svariati centimetri.
Molly sorrise di nuovo, e accarezzò la mano di Roxanne, e il viso di Lucy «Lo so, lo so. Non posso farne a meno»
«Su, ragazzi, salite in macchina» fece Harry. Si era fatto davvero tardi. «Buona fortuna a tutti» disse nonna Molly, mentre nonno Arthur salutava energicamente con la mano. Con un ultimo saluto, i ragazzi si infilarono a gruppi nelle macchine lungo il vialetto, e partirono.
«Oh, be’, sarà meglio iniziare a preparare il pranzo» annunciò dopo qualche secondo Molly, sfregandosi le mani, e rientrando in casa. Arthur guardò in cielo, e rise «Non cambierà mai»






«La prossima volta perché non indossa una maschera?» si lamentò Albus, guardando disgustato la scena di suo fratello circondato da una quantità assurda di ragazze, metà con la divisa già indosso, e l’altra vestita normalmente. Quell’idiota di James si divertiva ad affondare con un gesto innaturalmente naturale la mano nei capelli, facendo esplodere il gruppo in un coro di sonori sospiri. Continuavano a fargli domande su come fosse giocare nei Cannoni di Chudley, e lui, con nonchalance, rispondeva «Oh, sapete com’è: lo stress di dover apparire sempre come gli altri si aspettano, la pressione dei tifosi, e delle classifiche» «Mio Dio, come deve essere stressante» commentò una ragazzina di più o meno quattordici anni, con la divisa di Grifondoro, «Be’, ormai ci sono abituato» fece James, aggiustandosi il colletto della giacca. «E dimmi, James» proruppe una ragazza che apparteneva alla Casa di Albus, Octavia Greyster «Ce l’hai la ragazza?» chiese, con espressione speranzosa, «Mi sto ancora guardando attorno» disse, facendole l’occhiolino, al che mancò poco che la ragazza svenisse dall’emozione. Poi James alzò lo sguardo e si concentrò su una figura che si avvicinava a passo deciso e con la testa alta in direzione di sua cugina Rose.
«Ehi, Alexandra» si sbracciò, sferrando una gomitata ad una tredicenne, che ululò dal dolore. Si fece largo tra le ragazze del gruppetto di ammiratrici, e si avvicinò svelto alla ragazza, che lo salutò con un freddo «Ciao, James»
«Allora, come va?» disse, sfoggiando la sua mossa infallibile della mano nei capelli. Alexandra non lo degnò di uno sguardo, e si limitò a rispondere «Non c’è da lamentarsi. Grazie» senza nemmeno ricambiare la domanda, cosa che avrebbe fatto buttare James sotto al binario dallo sconforto.
Albus guardò la scena, e iniziò a colorirsi il volto di un rosso sempre più scuro, man mano che il colore si dilagava lungo tutta la faccia.
«Fortuna che ha finito l’anno scorso» disse a denti stretti, «Si ostina ancora a provarci con la mia ragazza!» esclamò, scrollando violentemente Rose per le spalle, che rimase con una smorfia in viso, e gli pestò un piede per farlo fermare. «Albus, lei non è la tua ragazza, e lo sai. È la ragazza del tuo migliore amico» lo rimproverò, «Lo so benissimo, Rose. Grazie per la precisazione indispensabile» e poi tornò a guardare quel cretino di suo fratello provarci con la ragazza più bella di tutta Hogwarts. O almeno secondo Albus. Oh, be’, insomma, non poteva esistere una ragazza più bella di Alexandra Nott. Aveva dei capelli lunghissimi e setosi, con la strana tendenza a cambiare acconciatura, in base a… in realtà Albus non sapeva in base a cosa diventassero lisci, e subito dopo mossi. Poi aveva degli occhi meravigliosi: non erano blu, non erano azzurro chiaro, non erano grigi, non erano indaco, non erano ciano. Erano di tutti questi colori mischiati in modo così armonioso da spaventare chiunque la guardasse negli occhi. Non erano in molti a saper sostenere quello sguardo così temporalesco. Ad Albus dava proprio l’idea di un cielo tormentato da pioggia e uragani.
Oltre questo, aveva un viso perfetto, e un fisico… un fisico da sballo, anche se Albus avrebbe voluto usare ben altri aggettivi.
«È incredibile che ti piaccia ancora, dopo tutti questi anni» continuò Rose, e Albus si accorse che, mentre lui si dilettava a descrivere la bellezza di quella ragazza, la cugina aveva continuato a rimproverarlo «Dov’è finito il rispetto per te stesso? Non pensi a Lorcan? Lui non sa che sei innamorato di Alexandra dal terzo anno, e…» «Innanzitutto, abbassa quella voce» esclamò «E poi non sono innamorato di lei. Apprezzo solo le sue qualità fisiche e intellettuali» si giustificò, «E ora piantala che sta venendo verso di te»
E infatti Alexandra si era avvicinata a Rose, con James che le stava col fiato sul collo, e a cui mancava poco che iniziasse a sbavare. Abbracciò Rose, che la strinse forte «Ti trovo un incanto» le disse, «Grazie, ma anche tu non scherzi!» rispose la rossa, facendosi un po’ indietro per guardare l’amica in tutto il suo splendore «Cosa diavolo hai fatto? Facevi colazione con il siero della bellezza? Credo di odiarti adesso» rise, e Alexandra si unì a lei.
Finalmente, dopo quelli che parvero un’infinità di minuti, Alexandra degnò Albus della sua attenzione «Potter» disse seccamente, e Albus rispose con un cenno ed un mezzo sorriso. Dietro di lei, James rideva in silenzio, spanciandosi per il saluto freddo che aveva ricevuto il fratello, come se a lui non fosse toccata la stessa sorte.
«Se volete scusarci» fece Albus, con ultimo cenno, afferrando James dalla maglia e trascinandoselo dietro.
James rideva ancora di gusto, e dovette appoggiarsi al muro della stazione, per non cadere lungo la banchina, «“Potter”» fece il verso al fratello, tenendosi la pancia per evitare che potesse sputare la milza o un polmone. «Fratello, spero che tu abbia rinunciato a quella ragazza, perché anche se io non sarò più tra i piedi, non starà mai con te» disse, appoggiando una mano sulla spalla di Albus, in segno di compassione. Albus serrò la mascella, e lo fulminò con lo sguardo, «Non avrai mai successo con lei, James. Ficcatelo nella zucca. Lei non è una delle tue ragazze che vengono a letto con te solo perché sei ‘James Sirius Potter, il Grande’. Lei ha la testa sulle spalle, e, oltretutto, è fidanzata con Lorcan, e lo sai benissimo» James scacciò l’informazione con un gesto della mano «Pfft! Lorcan Scamandro! Andiamo, non regge il confronto con me. Vedrai, fratello» disse, poi si voltò in direzione della cugina e di Alexandra, mentre loro si stavano allontanando lungo il binario. Sospirò, «Oh, sì. Vuole portarmi a letto, fidati» decretò, come se non fosse possibile nessun’altra opzione. Batté la mano sulla spalla di Albus, e lo guardò con un ghigno idiota stampato sul volto. Albus avrebbe volentieri voluto tirargli un pugno sui denti, almeno non avrebbe avuto più il suo sorriso accattivante e seducente come arma. Sarebbe stato fantastico.
«Zuccone» mormorò Albus tra i denti, mentre James continuava imperterrito a seguire Alexandra con lo sguardo, rivolto soprattutto alla zona fondoschiena. «Come?» mugugnò, ancora concentrato sulla vista, «Niente» rispose subito Albus, tirandoselo poi dietro, e allontanandolo dalla posizione strategica.
«Non dovresti andare a salutare Lily?» gli chiese, e James sembrò riprendere totalmente la coscienza, balzando di colpo «Giusto! Lascerò la squadra in mano a quelle due teste rosse!» esclamò battendosi il palmo sulla fronte. Avrebbe voluto farlo Albus. James aveva detenuto il titolo di Capitano dei Grifondoro dal suo terzo anno ad Hogwarts, dopo che aveva dato sfoggio del suo innato talento per il Quidditch al suo secondo anno (anche se era il figlio di Harry Potter, la McGranitt non aveva battuto ciglio sul fatto che gli studenti del primo anno non potessero partecipare, e così era stato per Albus e per Lily, e per tutti i ragazzi della famiglia Weasley). Ora stava per lasciare il comando a Lily e Hugo, che avevano deciso di capitanare insieme la squadra, essendo due dei migliori giocatori di Hogwarts, grazie anche al loro DNA. Ginny e Harry avevano sempre tenuto a cuore quello sport, che li aveva avvicinati tantissimo durante il sesto anno del ragazzo, e il quinto della ragazza. Avevano insegnato questo sport ai loro figli, quasi prima che imparassero a camminare, e loro prendevano il Quidditch con assoluta serietà e con la massima importanza, anche se Ginny teneva molto che avessero una media buona a scuola, e non come quella di Harry.
Hugo, invece, era l’unico amante di Quidditch insieme al padre, nella sua famiglia. Sia Rose che Hermione trovavano difficile anche solo tollerare quello sport idiota, e Rose era costretta a sorbirsi le partite a scuola solo perché altrimenti avrebbe avuto tre persone pronte ad ucciderla. E quando si tenevano le partite alla Tana, durante i pomeriggi freschi d’estate, visto che lei non giocava, si limitava a sedersi in fondo al giardino e a leggere, anche se avrebbe dovuto sorvegliare la partita e tenere il conteggio dei punti, visto che la nominavano arbitro.
James sapeva di potersi fidare della sorella e del cugino, ma era terribilmente preoccupato per la prima. Non in campo sportivo, ma in campo sentimentale; Lily riscuoteva fin troppo successo nel popolo maschile di Hogwarts, e lui era l’unico in grado di tenere lontani gli aggressori. Certo, c’era anche Albus, ma lui era a sette piani di distanza per quasi l’intera giornata scolastica e non, perciò non sarebbe mai stato in grado di tenerla costantemente sotto sorveglianza. James aveva condiviso la stessa Casa di Lily, e l’aveva controllata ventiquattr’ore su ventiquattro, be’, a parte le ore di sonno, s’intende, e quelle di lezione, e quelle in cui James si intratteneva con… insomma, la controllava abbastanza.
Ogni volta che un ragazzo si avvicinava a Lily, anche solo per chiederle l’orario, spuntava James dal nulla, e scacciava il maniaco di turno, spaventandolo a morte, in modo da avere un effetto di allontanamento duraturo.
«Mi stava solo chiedendo che ora era» si lamentava Lily, al che James le metteva un braccio sopra le spalle, e con un gesto teatrale, indicava l’orizzonte davanti a sé «Il mondo, mia cara, piccola e innocente sorellina, è pieno di maniaci pronti ad aggredire una povera e indifesa ragazzina come te» diceva. Lily odiava che i fratelli la credessero una povera e indifesa ragazzina, e soprattutto odiava che le stessero sempre fra i piedi pronti a interferire con le sue “relazioni”. Di questo passo avrebbe fatto la stessa fine di sua zia Muriel, oppure si sarebbe sposata a ottant’anni, quando i suoi fratelli sarebbero morti, se fossero morti.
«Torno subito» disse, e scattò verso sua sorella e il cugino.


Dieci minuti più tardi, la famiglia WeasleyPotter era posizionata lungo tutta la banchina, e come una grande catena meccanica, si passavano tutti saluti, baci, auguri per il nuovo anno e ultime raccomandazioni. Finalmente i ragazzi salirono sul treno, e una volta posizionati negli scompartimenti, con ultimo saluto ai genitori e ai fratelli di alcuni, il treno iniziò a fumare, e dopo qualche secondo cominciò ad allontanarsi lungo il binario, sempre di più, finché il tunnel non inghiottì la visuale dei ragazzi, e iniziò a portarli verso un nuovo inizio.

«Come mai sei voluta rimanere con me?» chiese Albus a Rose, mentre lei frugava nella borsa in cerca di un libro per ingannare l’attesa e l’ansia del viaggio.
«Tranquillo, appena arriverà il resto della tua banda mi sarò volatilizzata. Non ho alcuna voglia di sentirvi parlare di… qualsiasi cosa voi parliate» rispose questa, infilando quasi tutta la testa nella borsa, apparentemente troppo piccola per disperdere un libro al proprio interno.
«Fammi indovinare: Incantesimo Estensibile Irriconoscibile, eh?» ghignò Albus, guardando la cugina che spariva letteralmente nella borsa. «Già, ma mi dà ancora un paio di problemi. Tutti gli oggetti che metto dentro, dal modo ordinato in cui li ho riposti, si spostano in modo autonomo, creando un caos assurdo. E io non riesco a ritrovare le mie cose» disse, «La settimana scorsa Milla ci è finita dentro per sbaglio, mentre giocava con Lucy, e ho dovuto mandarla completamente dentro per recuperarla. È stato uno sbaglio madornale» e rabbrividì al pensiero di quella brutta esperienza.
Albus ridacchiò al pensiero di Lucy che tentava di salvare la gatta di nonna Molly, all’interno di una borsa, e di Rose che piagnucolava al pensiero dell’errore che aveva commesso con l’incantesimo.
«Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda, Rose» «L’ho dimenticata» disse, cacciando due pacchi di penne d’oca dalla borsa, e cinque quaderni di appunti, «Ti ho chiesto come mai sei rimasta con me. Tu odi stare qui in presenza degli altri» «Oh, credo che lo scoprirai presto, Al» rispose semplicemente Rose, mentre finalmente era riuscita ad afferrare il libro che cercava «Ti dispiace darmi una mano?» chiese, con la voce ovattata per via del busto di Rose infilato nella bocca della borsa. Albus afferrò la vita della cugina, e la cacciò dalla borsagrotta delle meraviglie, mentre lei, con i capelli elettrizzati per via del tessuto e il libro stretto al petto, boccheggiava per l’assenza di aria che l’era mancata dentro quella trappola per maghi.
Mimò un ‘grazie’, e tornò a sedersi, raccogliendo gli oggetti che aveva cacciato. «Che intendi?» domandò Albus, incuriosendosi della faccenda, «In realtà, non dovrei essere io a dirtelo» rispose Rose, poggiandosi allo schienale del sedile, e aprendo il libro «E non pensare chissà a cosa» continuò. Poi affondò il volto nelle pagine, e si isolò alla lettura.
Albus era ormai troppo curioso per non pensarci, e lasciare che Rose leggesse in santa pace, perciò si sedette accanto a lei e poggiò la testa sulla sua spalla, che si abbassò subito, avvertita la minaccia alla sua pace. Rose sbuffò, «Sai che se non me lo dici rimarrò qui a tartassarti senza lasciarti un solo secondo in pace, vero?» le fece Albus. Rose inspirò fortemente dalle narici, sbattendo in modo strano le palpebre, quindi chiuse controvoglia il libro.
«Non dovrei essere io a dirtelo, perché non sono affari tuoi» disse, ma Albus aveva capito che gliel’avrebbe detto comunque «Be’, forse saranno affari tuoi, in un certo senso, anche perché lo verrai a sapere comunque da uno dei due diretti interessati fra poco, quindi non so se devo dirtelo» «Ma me lo dirai perché mi vuoi tanto tanto bene, e perché sono il tuo cuginetto preferito nonché migliore amico da quando eravamo due pupi che finivano sui giornali al minimo starnuto», Rose scosse la testa sorridendo «Sì» disse «Ma prometti che quando te lo racconteranno, tu fingerai di non sapere un’accidenti, okay?» Albus annuì vigorosamente.
«Alexandra e Lorcan si sono lasciati» asserì Rose, e poi si preparò alla detonazione della bomba che aveva appena sganciato con quella notizia. Ad Albus si illuminò il viso, e gridò «COSAAA?» e Rose si fiondò su di lui a tappargli la bocca con la sua felpa, «Shh! ‘Sta zitto, Albus, per l’amor del cielo» lo supplicò, mentre Albus mugugnava esclamazioni di felicità e giubilo a quella meravigliosa (per lui) notizia.
Quando finalmente i suoi festeggiamenti cessarono, disse «Te l’ha detto Alexandra?» chiese, «Già. Era abbastanza triste» constatò Rose, pensando alla sua migliore amica.
«Cioè, mi stai dicendo che quel babbeo l’ha lasciata prima di partire per il nostro ultimo anno ad Hogwarts? Non ha un briciolo di umanità, quello zuccone. Aspetta che lo acchiappo: gli gonfierò la testa come una mongolfiera e gli farò prendere il volo. Ma tu guarda…» «No, Albus! Fermo un attimo. Sei il solito, non mi lasci mai finire» lo sgridò la ragazza, tirandogli una manata in testa «È successo un paio di settimane fa, dopo il compleanno di Alexandra. L’hanno deciso insieme. Nessuno ha lasciato nessuno. Si sono lasciati. In modo reciproco» spiegò Rose, gesticolando con le dita in modo che il ragazzo afferrasse completamente il concetto. Albus annuì lentamente.
Rose ritenne di aver soddisfatto la curiosità del cugino, e riprese il libro, accartocciando il corpo come una lumaca nel guscio, con le gambe contro il petto, e le braccia strette sul busto, con il libro a pochi centimetri dal suo naso, incastonato nello spazio che rimaneva tra le ginocchia e il viso.
Ma Albus aveva altre domande; «Credi che io debba fare qualcosa?» la domanda rimase per qualche secondo a fluttuare indiscreta nell’aria, come se Rose non avesse sentito, e magari era stato così, in un primo momento, perché poi la ragazza saltò sul posto, disgregando la sua posizione «Dì, ma sei pazzo?» esclamò, «Uno dei tuoi migliori amici si molla con la sua ragazza, e tu che fai? Vuoi subito provarci con lei? Fortuna che siete sempre stati leali tra di voi» disse, alzandosi in preda ad una crisi isterica.
«Non posso credere che l’unico pensiero che ti passi per la testa, prima di ‘Oh, uno dei miei amici sta male, forse dovrei aiutarlo’» asserì sconvolta, cercando di imitare la voce di Albus «invece sia, ‘Oh, adesso ho una possibilità con la ragazza del mio migliore amico’! Dio, Albus, ma ti rendi conto? Vuoi davvero finire nei guai con i tuoi amici?» si agitava e muoveva lungo tutto lo scompartimento, mentre Albus la seguiva con lo sguardo e a bocca aperta, «Oh, certo! Perché no, Rose! Magari faccio loro da Cupido e li faccio tornare insieme, no? È questo che suggerisci?» ribatté il ragazzo, alzandosi a sua volta, e agitando le braccia. Rose sbuffò, e si sfregò la mano sul viso.
«Credi che non sappia che lei è la ragazza di uno dei miei migliori amici? Credi che io voglia recargli dispiaceri? Rubargli la ragazza? Anche se Alexandra è stata con Lorcan, ciò non mi impedisce di avere la mia possibilità con lei! Lo sai che ho sempre avuto interesse per lei, e non voglio arrendermi così. È il mio ultimo anno, per Merlino! Voglio anche io costruirmi bei momenti, capire cosa fare di me stesso! Tu più di tutti dovresti capirlo, Rose» Albus era sempre stato frustrato all’idea del suo ultimo anno ad Hogwarts. Si lamentava spesso di voler trovare il suo posto nella comunità magica, e di non essere ricordato soltanto come ‘Il Secondogenito del Prescelto’ o come ‘Il ragazzo con gli occhi di Lily’. Voleva essere ricordato con un suo titolo, che non avesse niente a che fare con la sua famiglia. Dalla sua nascita era sempre stato in prima pagina, sui giornali del Mondo Magico, per qualsiasi stupidaggine; dal suo primo dentino, al suo primo bagnetto, alla prima volta su una scopa. Era stanco di tutte quelle attenzioni dovute solo al suo cognome.
Persino suo fratello era riuscito a distinguersi dal suo cognome, anche se era pur sempre legato ad un talento di famiglia, ma almeno aveva il suo futuro, lo stava costruendo, per quanto fosse un completo cretino.
Lui invece non riusciva mai ad avere abbastanza per far capire agli altri che non era solo Albus Severus Potter, figlio di Harry Potter, ma qualcuno che era bravo in qualcosa.
Rose, Molly, Lucy e Louis, erano gli studenti migliori di Hogwarts dopo sua zia Hermione. James era diventato campione nazionale di Quidditch. Victoire e Dominique avevano aperto una sua boutique insieme a Diagon Alley, partendo da un passatempo che avevano dall’età di dieci e cinque anni, che ora esportava anche in Francia e in Italia. Fred aveva creato una nuova linea di fuochi d’artificio spara-caramelle, e lavorava al negozio del padre. Roxanne ne faceva perfettamente le veci, dando il tormento alla McGranitt e persino a Pix. Lily e Hugo erano i gemelli teste rosse, bravissimi a Quidditch, e praticamente gli studenti più in gamba di Hogwarts. Chiunque passava due minuti con loro, voleva essergli amico, attiravano le persone.
E lui? Lui era il primo Serpeverde della famiglia. Cosa che, all’epoca, sconvolse l’intera comunità magica. Era sempre stato visto di traverso, Albus, come se avessero tutti paura che Voldemort potesse ritornare tramite lui. Erano girate moltissime storie su come Albus potesse essere finito in quella Casa purtroppo ancora inquinata di pregiudizi, malgrado gli sforzi dei suoi componenti per estirparli. Tutti avevano pensato che in realtà dentro di Harry fosse rimasto almeno un briciolo dell’anima di Voldemort, e così avevano tutti ipotizzato che Albus fosse la parte dell’Horcrux che risiedeva in Harry, e che probabilmente la fine di tutto sarebbe venuta per colpa sua. In fondo, “Com’è possibile che il ragazzo sia l’unico ad avere gli occhi del padre? Sarà un evidente segno della sua indole malvagia?” ribadiva sempre Rita Skeeter.
«Io non dico che tu non debba avere possibilità con lei, Albus» riprese dopo un po’ di silenzio Rose, «Dico solo che non mi sembra appropriato che tu ti faccia avanti ora che lei e Lorcan si sono appena lasciati. È meschino. E tu non sei un ragazzo meschino, Al. Tu sei la persona più gentile e adorabile che io conosca, e questo devi dimostrarlo anche ad Alexandra, se vorrai conquistarla come si deve» «Ma… Rose, io…» «Fammi finire» lo bloccò con un gesto della mano «So che aspetti da anni la possibilità di farti avanti, ma queste cose richiedono tempo, okay? Dalle il suo tempo, lo apprezzerà. Fai un passo alla volta, Albus. Promettimelo»
«Va bene. Lo prometto» rispose Albus, poi si risedette, e con sguardo triste osservò il finestrino.
Rose si rigettò sul sedile, riacquistò la sua posa e riprese in mano il libro, ma subito dopo le venne da imprecare contro tutti i maghi e le streghe di quella terra, anche se non lo fece, essendo una ragazza pacata e tranquilla, perché qualcuno bussò sulla porta dello scompartimento. Lanciò un’occhiata ad Albus, che era troppo occupato a seguire il tracciato delle montagne, e poi si alzò sbuffando.
Sulla soglia si stagliava la figura più irritante del popolo maschile di Hogwarts: Marcus McLaggen, un cafone di Grifondoro che le faceva la corte da tempo immemore, senza mai afferrare il concetto di rifiuto. Aveva la stazza di uno scimmione alto un metro e ottanta, con due spalle enormi, e la testa a pera, che lo facevano sembrare anche più stupido di quello che davvero era.
All’altezza del petto, portava una spilla terribilmente simile a quella che Rose aveva ricevuto insieme alla raccomandata che l’aveva informata del suo titolo di Caposcuola.
Alla ragazza venne praticamente da piangere. Un anno intero a pattugliare i corridoi con McLaggen. Non poteva esserci nulla di peggio. Anzi, no. Qualcosa di peggio c’era sicuramente.
«McLaggen» lo salutò freddamente. «Ehi, Rosellina. Come ti va la vita? Ti ho scritto svariate lettere quest’estate, ma non ho mai ricevuto una risposta. Hai avuto problemi?» fece Marcus, tutto d’un fiato, «Ehm, probabilmente non le ho ricevute perché ero alla Tana, dai miei nonni. Sai, passiamo sempre l’estate lì» rispose Rose «Io sapevo che ci passassi solo il mese di Luglio» ribatté McLaggen. Rose sgranò gli occhi. Come diavolo faceva a sapere una cosa del genere? Merlino, quel ragazzo era davvero una piaga.
«Oh, allora non saprei, magari il tuo gufo era ubriaco. Troppo idromele» e fece una smorfia simile ad un sorriso, poi fece per chiudere la porta dello scompartimento, ma McLaggen la fermò con un piede, «Dovevo dirti che tra un quarto d’ora ci troviamo alla Carrozza dei Prefetti per conoscere gli orari di ronda notturna, e quindi devi sbrigarti a mettere la divisa»
«Ti ringrazio molto dell’informazione, mi vado subito a preparare» rispose Rose, e spinse la porta per cercare di far spostare quel colosso che impediva la sua chiusura, ma McLaggen stava guardando all’interno dello scompartimento, «Sei da sola?» chiese.
«No, c’è Albus con me. Senti, ci vediamo alla Carrozza» disse la ragazza, spingendo di più la porta. Il ragazzo non si mosse, «Se vuoi posso rimanere con te» propose, «No, grazie. Devo cambiarmi» ribatté Rose a tono, «Per me non è un problema» rispose questi con un ghigno.
«Oh, ma lo è per me. Ciao» fece Rose, e riuscì finalmente a richiudere la porta dello scompartimento.
Rose si passò una mano sulla fronte, poi prese la valigia da sopra la reticella porta-bagagli, prendendo la divisa ben piegata e stirata. Si girò verso Albus, ancora profondamente concentrato sulla vista fuori dal finestrino, battendo un piede a terra. Il ragazzo si girò lentamente verso la cugina, e mugugno un: «Mh?»
«Devo cambiarmi. Vai fuori» disse semplicemente. Albus si alzò di malavoglia, e si trascinò verso la porta, la aprì, e uscì in corridoio.
«Fai la guardia», in risposta Albus batté la testa contro il vetro, facendolo traballare leggermente.
Rose si svestì in fretta, e si mise le calze e la gonna. Abbottonò la camicia, e la infilò nella gonna. Mise il maglioncino, e si fece il nodo alla cravatta, riponendola accuratamente dentro il colletto del maglione. Poi si infilò le scarpe, e appuntò sul petto la spilla da Caposcuola. Infine legò i capelli in una coda alta, cercando di riporre il suo ciuffo, che puntualmente ricadde sulla fronte della ragazza. «Ho fatto» decretò poi, e Albus rientrò. «Fortuna che sei veloce» fu il suo ultimo commento prima di ricadere in trance.
Anche Rose tornò alla sua postazione, riuscendo ad ottenere cinque minuti buoni di lettura, prima che la porta dello scompartimento si riaprisse di nuovo, facendo scattare in piedi la ragazza dalla frustrazione, e dopo che il disturbatore entrò nello scompartimento, la sua rabbia fu ancora di più.
«Ma cos’è, una maledizione?» esclamò verso il cielo, o meglio verso il soffitto.
Scorpius Malfoy era entrato con la divisa indosso, anche se non la portava di certo in maniera appropriata: non portava il maglione, aveva i risvolti alle maniche della camicia, che ora era praticamente una t-shirt a manica corta, la cravatta slacciata e penzolante, e i capelli completamente in disordine. Sembrava un maledetto barbone!
«Anche io sono contento di rivederti, Weasley. Non vieni a salutarmi?» fece Scorpius, aprendo le braccia, come ad accoglierla.
«Sono Rose Weasley, non Aberforth Silente. Io non parlo con le capre, Malfoy» rispose Rose, sputando sul cognome del ragazzo. Rose non aveva mai avuto pregiudizi, ma Scorpius Malfoy era il ritratto perfetto dell’arroganza, della meschinità e cattiveria della Casa Serpeverde, e non riusciva a capire come Albus potesse considerarlo il suo migliore amico.
Scorpius, in un gesto plateale, finse di prendere una freccia al cuore, mimando il dolore sul viso contratto in una finta smorfia, «Le tue parole feriscono più della spada, Weasley» disse «Ma, sfortunatamente, questa spada è smussata»
Rose ignorò le sue parole, «Sai che non è quello il modo di indossare la nostra divisa?» disse invece, incrociando le braccia, e squadrando il ragazzo con una smorfia di disgusto.
«Oh, ma se è la nostra divisa, ho tutto il diritto di indossarla come piace a me» ribatté con arroganza, tirando in su il colletto della camicia, ghignando «E poi, ho appena finito di chiacchierare con Martha Rogen, quindi» e il suo ghigno si aprì ancora di più alla faccia sconvolta di Rose, che esplose esclamando «Sul treno? Malfoy non hai il minimo del pudore! Sei l’essere più disgustoso dell’intero sistema solare» ed uscì dallo scompartimento, con i pugni serrati dalla frustrazione, e le orecchie rosse dalla rabbia.
Camminò a passo svelto, e si trovò a sbattere contro i gemelli Scamandro, che di sicuro stavano andando a raggiungere il resto della banda.
«Ehi, Rose, che hai?» fece Lysander, fermandola «Sembri furiosa» completò Lorcan.
«Io non sono furiosa, sono solo irritata! Oh, se sono irritata!» gridò, agitando le braccia, e proseguendo la sua avanzata, borbottando tra sé e sé.
I gemelli si guardarono sconvolti, e poi scrollarono le spalle, pensando che potesse essere facilmente giustificabile il perché dell’isteria di Rose.
Si diressero verso lo scompartimento di Albus, dove trovarono lui e Scorpius, e sembrava che il primo stesse rimproverando il secondo.
«Abbiamo visto Rose per il corridoio, sembrava una furia» incalzò Lysander, entrando e mettendosi a sedere di fronte ad Albus, sul sedile un tempo occupato dalla rossa. «Cosa è successo?» fece Lorcan, guardando Scorpius con le braccia incrociate, sedendosi di fronte a lui. «Ha cominciato lui» rispose Albus per il ragazzo, che saltò sul posto, boccheggiando come un pesce rosso, con le mani rivolte verso l’amico, «Ma cosa? È stata lei che ha cominciato ad urlare e a criticare il mio modo di portare la divisa» si difese questi.
«In effetti, è questo il suo compito» rispose Lorcan, «È una Caposcuola, ed è stata Prefetto. Deve far notare queste cose» «E anche tu sei un Caposcuola, idiota» intervenne Albus, incrociando le braccia, e appoggiandosi allo schienale.
«Ero con la Rogen! Quella ragazza è una belva!» tentò di giustificarsi, cercando supporto in almeno uno dei tre, ma tutti si dimostrarono impassibili, «Non sono cavoli suoi se sono con una ragazza, sul treno» «Non è il fatto che eri con una ragazza sul treno!» spiegò Albus, allargando le braccia «Ma quello che facevate! Te lo ripeto: è una Caposcuola, tu sei un Caposcuola. Non dovete permettere cose del genere, e tu in primis non puoi infrangere le regole, Scorpius» proseguì. Gli altri due annuirono.
Scorpius sbuffò sonoramente, e sprofondò nel sedile, con praticamente solo la schiena e la testa sopra.
«Ora che abbiamo chiuso il fascicolo di Scorpius, apriamo quello di Lorcan» annunciò Lysander dopo un po’.
Era arrivato il momento, e Albus si ricordò di fingersi più sorpreso e sconvolto possibile. Scorpius, con il mento e il collo che ormai erano un tutt’uno, inarcò le sopracciglia, e Lysander lanciò un’occhiata di incoraggiamento al fratello, che teneva lo sguardo basso e fisso sulle mani incrociate. Si scostò una ciocca di capelli dal viso, «Io e Alexandra ci siamo lasciati» disse, senza guardare in faccia nessuno. La frase rimase a fluttuare per un po’ sopra le loro teste, poi Scorpius rizzò la schiena, ed esclamò «Scherzi, vero?». Lorcan scosse la testa.
«Non è stato esattamente brutto. È stato solo… amaro» proseguì il ragazzo. Albus rimase completamente immobile, come se avesse paura che il minimo respiro l’avrebbe tradito, e la sua gioia per la notizia sarebbe evasa.
Però si rese conto che rimanere completamente in silenzio sarebbe stato peggio, «Che è successo?» chiese. Fortunatamente, nessuno lo guardò male, e rimasero tutti concentrati su Lorcan.
«Oh, niente di strano. Insomma, l’abbiamo deciso insieme. Non funzionava più» rispose, con una scrollata di spalle «Probabilmente non ha mai funzionato» sorrise mestamente.
«Non dire stronzate, Lorcan» intervenne Scorpius, «Stavate insieme dal quarto anno. È evidente che non funziona più per colpa sua»
Albus lo guardò fermo, pensando che avrebbe voluto ribattere che non era di certo colpa di Alexandra, se Lorcan non riusciva a soddisfarla, ma poi si rese conto di quanto quel pensiero fosse cattivo e sbagliato da parte sua, rivolto all’amico. Tornò a concentrarsi sul racconto di Lorcan.
«Non significa necessariamente che lei fosse contenta. A dirla tutta, nemmeno io lo ero. Insomma, la nostra relazione è sempre stata una situazione di convenienza. Non passavamo tempo insieme se non per studiare, e diciamo che era davvero l’unica cosa che facevamo» ammise mestamente. Scorpius parve sconvolto, «Non-non avete… mai? Mai sul serio?» domandò a bocca aperta. Lorcan, imbarazzato, annuì. Scorpius rimase di stucco, e poggiò la testa sullo schienale, «Ora capisco» rise «Ma tu guarda che stronza» «Scorpius, vacci piano» lo riprese Lysander «È anche tua amica» fece Albus, tentando di reprimere il desiderio di voler strozzare Scorpius per come aveva definito Alexandra, «Siccome sono cresciuto con lei, non significa che devo necessariamente essere il suo amico del cuore. È cinica e antipatica, e non la sopporto, mi dispiace» rispose Scorpius, alzando le mani per rendere inattaccabile la sua giustifica.
«È incredibile sul serio quanto le ragazze siano assatanate e dipendenti del contatto fisico. E voi che rimproverate me!» esclamò Scorpius, scuotendo la testa. «Ma che diavolo stai dicendo?» fece Lysander, con le sopracciglia inarcate. Scorpius sbuffò, pensando a quanto fossero stupidi a non aver capito le sue parole, «Ma insomma, non avete capito? Alexandra ti ha lasciato perché tu non te la sei fatta!» e fu il più schietto possibile. I ragazzi lo guardarono in un misto di sconvolgimento e confusione. «Non è il tipo» decretò Lysander, «Sono d’accordo» asserì Albus, senza aggiungere nient’altro che potesse metterlo nei guai. Lorcan rimaneva in silenzio, probabilmente valutando la questione.
«Se solo aveste idea di cosa farebbero le ragazze per un po’ di sesso, rimarreste più scioccati di quanto lo siete adesso. Poveri bambini» fece Scorpius, «Avreste dovuto vedere cosa mi ha fatto la Rogen. Quella ragazza è incredibile» disse, ripensando alla ragazza con aria trasognata. Gli altri tre fecero una smorfia, «Non vogliamo nemmeno lontanamente immaginarlo» rispose Lorcan, «Il fatto è, amico mio, che tu hai sbagliato. Dovevi fartela, e avresti risolto tutto. Non dovevi parlare. Dovevi solo agire. Ma, mio caro sprovveduto, zio Scorpius ha la risposta per te…» disse Scorpius, incrociando le braccia dietro la testa «Vai da lei, e sbattila al muro» fu la sua soluzione.
Probabilmente si aspettò degli applausi, ma quello che ricevette fu un pugno sul braccio da parte di Albus, che troppo tardi si accorse che così avrebbe destato sospetti, anche se invece, ricevette solo un «Grazie, Al» da Lorcan, e un lamento da Scorpius.
«Ti conviene non parlare più, Scorpius» gli consigliò Lysander, «Comunque» riprese Lorcan «Non potrei mai rimettermi con lei. Non voglio che sia infelice ancora. Quindi, ora, ognuno per la sua strada» concluse.
Albus lo guardò intensamente, aspettando quasi che cambiasse subito idea e si alzasse dal sedile per andare a eseguire la strategia di Scorpius. Rabbrividì al pensiero, ma Lorcan rimase lì, in silenzio.
«Bah, ma allora io a cosa servo?» proruppe Scorpius, alzandosi «Dove vai?» chiese Albus, «Ho la riunione con i Prefetti e i Caposcuola per l’assegnazione delle ore di ronda. Poi magari ripasserò dalla Rogen» disse, facendo l’occhiolino ai compagni, che però non ricambiarono.
All’ennesimo segno di incomprensione, Scorpius uscì dallo scompartimento, borbottando su quanto fossero idioti e su come non capissero niente dei piaceri della vita, e del sesso.
«Non irritare Rose» gli raccomandò dietro Albus, mentre Scorpius spariva dietro un gruppo di ragazzi che passava di lì in quel momento.



Dopo la riunione con i Prefetti e i Caposcuola, Rose era tornata nella carrozza insieme a Lily, non volendo assolutamente sopportare un minuto di più l’Albus silenzioso e arrabbiato, o peggio, un Malfoy cafone e arrogante che si vanta delle sue opere a bordo dell’Hogwarts Express. Ora se ne stava seduta in fondo allo scomparto che Lily condivideva con Hugo, Lucy e Roxanne, che giocavano a Spara Schiocco, senza nemmeno la possibilità di leggere il suo benedetto libro, visto che l’aveva lasciato dall’altra parte del treno.
Inoltre, aveva ricevuto parecchie notizie orribili riguardo quell’anno, che a quel punto, si avviava ad essere il più stressante della sua vita scolastica: i turni di ronda notturni per i Caposcuola erano stati organizzati in modo che due Case – quindi quattro Caposcuola – girassero a zonzo per il castello a controllare che non ci fossero scappatelle fuori orario, e studenti fuori dal letto. Quando Rose, sconvolta dalla notizia, aveva chiesto perché, Lucas Macmillan, che era stato il responsabile della cura degli orari, le aveva risposto che Gazza aveva chiesto alla McGranitt di poter intervenire direttamente con punizioni fisiche, in caso di studenti in giro dopo il coprifuoco, senza commissione della Preside, e lei aveva proposto di raddoppiare le guardie a sua disposizione, per coprire una parte della notte più avanzata.
“Certo” aveva pensato Rose, “così oltre a passare una notte con McLaggen, potrei avere la sfortuna di sopportare anche Malfoy”. Sbuffò sonoramente, ripensando alla sua entrata trionfale nella Carrozza dei Prefetti, dove si era intrattenuto nell’arte del fare l’occhiolino alle ragazze abbastanza stupide da cascarci o, come lo definiva Rose, l’epilessia della capra. Sul serio, sbatteva le palpebre come un individuo in preda ad una forte epilessia, infatti sembrava che tutto il corpo si muovesse insieme a lui in modo convulso, tanto da sembrare una scimmia che tenta di grattarsi le pulci. Rose rise del suo paragone, attirando l’attenzione del fratello, che inarcò la fronte, vedendo la sorella ridere da sola, senza un’apparente motivazione.
«Ridi anche da sola, fantastico» disse Hugo, facendo voltare le cugine per capire a cosa si riferisse. Rose arrossì un poco, colta nel fatto, e agitò le mani per far capire di lasciar perdere, «Ridevo per conto mio. Continuate pure» «L’ho notato, e mi preoccupi» ribatté il rosso, poi si concentrò di nuovo sul gioco.
«Indovinate cos’ho sentito in corridoio, prima» proruppe agitata Roxanne ad un tratto, scuotendo le braccia sopra la sua testa, come un mulino a vento in mezzo ad una tempesta «Chrystal Doyle si è ritirata»
«Cosa?»
«Fai sul serio?»
«Ma non è possibile, Roxanne!» scattarono le voci da tutti i presenti nello scomparto. Roxanne annuì, con l’aria di chi la sapeva lunga su tutto e tutti. «I genitori non l’hanno iscritta per il settimo anno»
Chrystal Doyle era una ragazza di Corvonero, che aveva il vanto di detenere un record di venti relazioni sessuali in un anno solo, il precedente. Nonostante ciò, nessuno si azzardava a soprannominarla ‘troia’, o ‘poco di buono’, perché ai ragazzi andava benissimo intrattenersi con lei, e in qualche modo, questo le procurava una buona dose di rispetto da parte di tutto il popolo maschile di Hogwarts, e l’odio profondo da parte di quello femminile. E non era nemmeno la parte più assurda della sua carriera, perché questa era iniziata praticamente come un business personale, avviato dal primo rapporto della ragazza, e stranamente, chi poteva essere stato a infonderle questa voglia irrefrenabile di avere rapporti? Scorpius Malfoy.
Dopo che il ragazzo l’aveva, come da protocollo, respinta dopo la loro notte passata insieme, lei aveva pensato bene di vendicarsi su di lui, facendosi tutto il resto degli studenti, come se a Malfoy fregasse qualcosa, come se gli fosse mai fregato qualcosa di qualcuno.
«Oh, ma non è ancora arrivata la parte più scioccante, perché… rullo di tamburi» fece, mimando le bacchette sulla batteria «È rimasta incinta!» e qui anche Rose saltò dal sedile, sconvolta.
«Non ci credo» boccheggiò Lily, mentre Roxanne annuiva con le sopracciglia alzate in segno di vittoria.
«Probabilmente è stato Malfoy a metterla incinta» intervenne aspramente Rose, «Non penso proprio, Rose» rispose Roxanne «Se l’era già fatta una volta. Malfoy non si ripassa mai le sue vittime. Per lui è come…» «Spolpare un osso senza carne» completò Lily, facendo poi una smorfia disgustata. Diciamo che Malfoy non era particolarmente simpatico a nessuna delle Weasley. Lily si limitava a tollerarlo e ad evitare di dire cattiverie in suo conto solo perché era il miglior amico di suo fratello, e perché suo padre riteneva che dovesse imparare a superare quei pregiudizi vecchi di un ventennio, e provare ad apprezzare certi cognomi. La verità era che Lily trovava Malfoy idiota, maschilista, narcisista, superficiale, meschino e tantissimi altri dispregiativi che non erano legati esattamente al suo cognome.
«In realtà pare che sia stato un ragazzo babbano, mentre era in vacanza con la sua famiglia in Spagna, quest’estate. Assurdo, no?» fece Roxanne, ridacchiando. Aveva sempre odiato quell’ochetta da strapazzo, e ora forse era la ragazza più felice sulla faccia della terra.
Chiuso l’argomento, i ragazzi ripresero a chiacchierare del più e del meno, mentre la partita di Spara Schiocco era stata abbandonata.
Dopo un quarto d’ora, quando ormai il cielo si era tinto di un blu che man mano diventava più intenso, Lucy indicò il finestrino, da cui finalmente si scorgevano le forme e le ombre del castello in lontananza, e la stazione di Hogsmeade si avvicinava.
Poco dopo entrarono in stazione, e con un ultimo movimento dei pistoni, e il fischio della locomotiva, le porte dell’espresso si aprirono, rivoltando all’esterno centinaia di studenti, tutti in divisa. Hagrid si stagliava in tutta la sua stazza sugli alunni del primo anno, e quando vide uscire varie teste rosse, cominciò ad agitare la sua manona per salutarli, spaventando i bambini, che tentavano di ripararsi sotto i mantelli dei compagni, per evitare che il mezzo gigante li sparasse sul binario. Rose, Lily, Roxanne e Lucy gli andarono incontro e lo abbracciarono, mentre Hugo, da bravo Prefetto, si assicurava che i novellini non fossero stati traumatizzati.
«Oh, eccovi qua! Vi aspettavo da parecchio, volevo essere il primo a vedervi. Per Diana, quanto siete cresciuti!» disse, allontanandosi di qualche passo per guardare bene i ragazzi, «E dov’è il resto della banda?» «Credo stiano scendendo… oh, ecco Albus. Ehi, Al!» chiamò Lily, vedendo il fratello uscire dalla carrozza, ma a questo non serviva di certo qualcuno che gli rivelasse la loro posizione: Hagrid era l’unica cosa visibile in mezzo a tutto quell’ammasso di teste e divise, di gufi, rospi, gatti e bagagli.
Al suo seguito c’erano i suoi compari: Lysander, Lorcan e Malfoy, con l’aggiunta delle guest star Avery, Mulciber e Mason.
Si avvicinò spintonando tra la folla, e corse ad abbracciare Hagrid, che lo stritolò, facendolo scomparire per metà corpo in mezzo alla barba. Poi salutò anche i gemelli e Scorpius, gli altri tre si mantennero a distanza: non trovavano Hagrid per niente degno di loro, e la cosa era reciproca.
Rose si guardò attorno, poi salutò velocemente Hagrid, e baciò sulla guancia Lily e il fratello, augurando loro in bocca al lupo con i piccoletti, poi si allontanò per recuperare Alexandra che di certo non si sarebbe avvicinata a lei con Lorcan affianco, ma non prima di sentire Malfoy dire: «E a noi non dai un bacino, Weasley?» scoppiando a ridere un secondo dopo, stroncato poi da una gomitata in pieno petto da parte di Albus.
«Finiscila» lo rimproverò, poi andarono anche loro a raggiungere le carrozze, dopo che anche Albus ebbe augurato buona fortuna alla sorella e al cugino.






Albus atterrò sull’ultimo scalino dell’entrata di Hogwarts, poggiandosi allo stipite del portone di quercia, «Io. Odio. Quelle. Carrozze» mormorò, scandendo a fatica le parole.
«Mamma mia, quanto sei melodrammatico, Albus» fece Lorcan, con un gesto della mano, «Ma io vi giuro che ‘stavolta li ho sentiti sul serio!» protestò il ragazzo, rialzandosi per raggiungere gli amici, che si apprestavano a fare la loro entrata trionfale senza di lui. Si posizionò al fianco di Scorpius «Ne ho sentito uno respirare sul mio collo!» fece, toccandosi il collo, e le clavicole attraverso la camicia, come se una forza oscura lo stesse opprimendo, togliendogli il fiato. Scorpius gli tirò una manata dietro la nuca, e Albus decise di lasciar perdere i Thestral. Da quando suo fratello James aveva iniziato a terrorizzarlo su queste innocue ma inquietanti creature, non era mai riuscito a superare la sua fobia, perché avvertire la loro presenza era come avvertire la morte che ti sfiora ma non ti tocca, e questo era un incubo. Quando Albus tornava ad Hogwarts, aveva i Complessi da Nuovo Anno, e tra questi era incluso il viaggio insieme ai Cavalli della Morte, che era forse la parte peggiore del tornare a scuola. Aveva provato tante volte a dire agli altri che gli sembrava di sentire i loro respiri, e visto che loro non tolleravano il discorso – che era diventato irritante – Albus pensava non riuscissero ad avvertirlo come lui, e che quindi, in qualche modo, fosse strettamente collegato alla morte.
I tre ragazzi sembrarono più concentrati sulla struttura che avevano davanti agli occhi, e guardarono intensamente la cima del portone, probabilmente pensando che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbero entrati il primo settembre ad Hogwarts. L’anno successivo sarebbero stati… be’, sicuramente altrove, visto che per molti era un’interrogativa assidua e irrisolta, quella sul futuro di ognuno di loro.
«Oh, be’, a questo punto, ci stanno superando tutti» fu Lysander a rompere il silenzio gravoso che era calato su di loro, che li avvolgeva nei loro pensieri «Meglio entrare prima che inizino senza di noi» «Non potrebbero mai» rise Scorpius. Ed entrarono con il cuore in mano.


La Hogwarts che avevano conosciuto loro, purtroppo, non era la stessa di quasi trent’anni prima: dopo la Guerra era stata ricostruita dal niente e in pratica non c’era nemmeno un mattone perfettamente uguale al suo antenato. A volte era brutto pensare che in realtà, Hogwarts era di per sé un surrogato di Hogwarts. Bruciava il cuore a pensarci.
Loro però non si erano mai fatti troppi problemi in merito, in quanto adorassero quella scuola, di trenta o di migliaia di anni che fosse. Era Hogwarts, non cambiava poi tanto. Certo, non potevano dire cose del tipo “Qui sedeva mia mamma trent’anni fa!” o “Probabilmente il mio letto apparteneva al mio stesso nonno”, ma insomma, faceva lo stesso.
Appena entrati, i ragazzi furono investiti dal chiacchiericcio frenetico ed eccitato degli studenti, ansiosi di cominciare un nuovo anno, e dall’odore inconfondibile delle cucine di Hogwarts a lavoro. In giro si vedevano anche alcuni gufi che sorvolavano le teste dei padroni, o si appollaiavano sulle colonne alte, «Spero non sentano alcun bisogno di espurgare, mentre sono in traiettoria delle nostre teste» commentò Lorcan, riparandosi con il lembo del mantello.
I quattro ragazzi si avviarono verso la Sala Grande, già occupata per tre quarti. In fondo alla Sala, la McGranitt sedeva sul trono che un tempo era appartenuto a Silente, e parlava animatamente con il professor Vitious, che in altezza le toccava la spalla da seduto, ma solo perché sul suo posto sistemavano sempre tre o quattro cuscini che lo rialzassero quel che bastava per non farlo rimanere con il naso che toccava la superficie del tavolo. Tutti i professori erano seduti e pronti ad accogliere i nuovi ed i vecchi studenti. Persino la Cooman si era degnata di far loro la grazia della propria presenza.
Albus individuò le cugine al tavolo dei Grifondoro, e mandò loro un cenno di saluto. Hugo e Lily probabilmente non avevano ancora finito di occuparsi dei novellini. Si concesse anche uno sguardo al tavolo dei Corvonero, con la scusa di salutare Lucy e Louis, ma in realtà cercava Alexandra: la ragazza però era occupata a chiacchierare con due ragazze – probabilmente sue amiche –, e oltretutto era girata di spalle. Lorcan li salutò, e si andò a sedere al tavolo dei Corvonero, e Albus pregò che non gli venisse in mente di mettersi accanto ad Alexandra. Fortunatamente non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello.
I tre presero posto accanto a Mulciber, Avery e Mason.
«Ci avete messo parecchio» constatò Mulciber, «Stavamo progettando un’entrata degna dell’ultimo anno» rispose Lysander, «Già, non puoi entrare e basta, al tuo ultimo anno. Deve esserci almeno una commemorazione» fece Albus.
Le porte della Sala si aprirono, e Hagrid fece il suo ingresso portandosi dietro una marmaglia di undicenni spaventati, che guardavano il soffitto, e che si lanciavano sguardi attorno, attenti a non incrociare gli occhi di nessuno, come per paura di dar inizio ad una battaglia corpo a corpo. Altri invece – più che altro i Purosangue di nascita – si vantavano con i compagni sulle loro conoscenze, e sul passato di Hogwarts, e alcuni salutavano amici o parenti seduti ai tavoli, e in risposta ricevevano dei pollici in su di incoraggiamento. Nel frattempo, il Cappello Parlante era stato portato davanti al tavolo dei professori, sopra il suo sgabello, e iniziava a fremere dalla voglia di cominciare la sua nuova canzone.
La McGranitt si levò in piedi, e la Sala calò in un religioso ed eccitato silenzio. L’anziana preside, ancora con il suo chignon – stavolta di capelli bianchi – ben in alto, e il cappello dritto sulla testa, avanzò a schiena dritta, per quanto la sua età lo permettesse, fiera come sempre.
Prese la pergamena con l’elenco di studenti nuovi che un Prefetto di Tassorosso le porse, e la McGranitt la spiegò. Il Prefetto tornò davanti al suo tavolo, insieme alla compagna: tutti i Prefetti da un po’ di anni a quella parte, venivano posti davanti ai tavoli delle loro rispettive Case, per accogliere meglio i ragazzini.
Il Cappello cantò la sua canzone, e la McGranitt chiamò «Aderly, Stephanie», dando inizio allo Smistamento.

«Miei cari studenti» esordì la McGranitt, dopo lo Smistamento, tornata al suo posto «Ci accingiamo a cominciare un nuovo meraviglioso e pieno anno, qui ad Hogwarts. Come sempre, le solite raccomandazioni valgono per tutti, e il mastro Gazza mi ricorda di informarvi che quest’anno, per motivi di sicurezza, i Caposcuola svolgeranno le loro ronde notturne, insieme ad un’altra Casa. Saranno quattro Caposcuola per ogni ronda, e a turno saranno girate le combinazioni delle Case. L’attraversamento della Foresta Proibita è severamente vietato e precluso a tutti gli studenti, anche i più adulti» disse, guardando tutta la Sala con sguardo truce «Come sapete, le lezioni riprenderanno Lunedì 4 settembre, per il finesettimana che abbiamo di mezzo, perciò siate liberi di considerarlo un allungamento delle vacanze estive, ma non ne approfittate troppo.
«Bene. Non voglio trattenervi oltre, facendovi desiderare troppo le nostre pietanze, quindi auguro a tutti un nuovo splendido anno, pieno di successi e gioie, e buon appetito a tutti» concluse, allargando le braccia come ad abbracciare tutti gli studenti, e risedette al suo posto. Da qui seguì uno scroscio di applausi da parte degli studenti.
I tavoli vennero ingombrati di ogni tipo di cibo, e i ragazzi iniziarono a servirsi, riempiendo i piatti fino a scoppiare.
Rose si concesse una manciata di minuti ad osservare i nuovi acquisti di Grifondoro di quell’anno, pensando amaramente che quello a cui aveva assistito sarebbe stato il suo ultimo Smistamento. Per lei sarebbe stato difficile godersi appieno quell’anno, senza avere il pensiero fisso che ogni suo sguardo, ogni suo respiro, ogni sua risata, ogni sua parola sarebbe stata l’ultima in quel luogo magico che l’aveva cresciuta proteggendola dal mondo di fuori dentro le sue calde mura. Rose aveva tantissimi ricordi, ed era convinta che quell’anno ne avrebbe dovuti costruire altri, un po’ più importanti dei precedenti, per non sprecare il suo tempo.
«Rose, lo sformato si fredda» la richiamò Lily, facendo un cenno verso il piatto della cugina, ancora intoccato, «Giusto. Stavo solo pensando che questo è stato il mio ultimo Smistamento» rispose, sorridendo amareggiata, abbassando lo sguardo verso il suo cibo. Lily e Hugo si scambiarono un’occhiata, «Oh, andiamo, Rose» intervenne il fratello «Sarà l’ultima volta da studentessa. Tra qualche anno tornerai qui ad insegnare a questi nanerottoli Trasfigurazione!»
«Hugo!»
«Be’, è vero, sono minuscoli…»
«Lo so, ma non puoi chiamarli nanerottoli!*» ribatté Lily, tirandogli il tovagliolo sul braccio.
Rose sorrise ai due ragazzi, contenta che l’avessero sviata da quel pensiero. Non poteva permettersi di amareggiarsi ogni qual volta le capitava un momento unico dell’anno scolastico, che sarebbe stato l’ultimo. L’avrebbe consumata.
La cena proseguì senza intoppi o eccessivi attimi di tristezza, fino a quando l’intero corpo scolastico non fu a pancia piena, e con il sonno che chiudeva loro gli occhi non si mosse con un sonoro grattare delle panche di legno, e gli studenti cominciarono a riversarsi fuori dalla Sala con una tremenda confusione, mentre i Prefetti cercavano di raggruppare i novellini.
«Ehi, primo anno! Qui!» gridavano i Serpeverde, che imposero i bambini in una riga perfetta.
«Forza, ragazzi, seguiteci» facevano amorevolmente i Tassorosso.
«Corvonero, primo anno» dissero semplicemente i Prefetti Corvonero, e gli studenti li seguirono a testa alta ma passo un po’ incerto.
Invece, i Grifondoro avevano avuto qualche difficoltà, «Voi, venite qui!» gridò Hugo a tre studenti che cercavano di sgattaiolare per conto loro «Credete di poter trovare la strada da soli? Be’, impossibile! Persino io che sono qui da più tempo di voi continuo a perdermi» fece, non scaturendo esattamente l’effetto voluto, perché i bambini al posto di prenderlo sul serio, cominciarono a deriderlo. A quel punto intervenne Lily, «Ascoltate un po’, è il vostro primissimo giorno del vostro primo anno, e io posso togliervi più punti di quanti mai riuscirete a far guadagnare alla vostra Casa nei sette anni che vi ritroverete qui. La Casa di Godric Grifondoro è una delle più rispettate degli ultimi due secoli, perciò se non volete essere la causa della sua rovina, state buoni, e ascoltate quello che diciamo io e il mio compagno. Sono stata chiara?» fece la ragazza, spaventando persino Hugo. I bambini si rannicchiarono terrorizzati.
«Sì» annunciarono in coro.
«Sì, cosa?» incalzò Lily, con perfetta aria da dittatrice.
«Sì, signorina…» i bambini non sapevano ancora il nome né tantomeno il cognome di Lily, perciò Hugo venne in loro soccorso, «Lily!» sussurrò loro.
«Sì, signorina Lily!» ripeterono all’unisono. Lily sorrise soddisfatta, poi salirono fino al settimo piano del castello, dove i Prefetti mostrarono la Sala Comune di Grifondoro agli studenti, indicando poi loro i Dormitori dove avrebbero alloggiato per il resto della loro carriera scolastica. Con un ultima minacciaconsiglio da parte di Lily, e l’invito di Hugo di rispettare il coprifuoco e andare a letto, i novellini si dispersero nelle camere da letto.
Hugo e Lily si rovesciarono accanto alle cugine, sedute di fronte al camino spento della Sala Comune.
«Non credo di voler passare il resto dell’anno a voler controllare questi marmocchi» si lamentò Lily, «Menomale che non dovevamo chiamarli marmocchi» la riprese Hugo, guardandola storto.
«Ho detto che non devi chiamarli nanerottoli, non marmocchi» si difese Lily, e Hugo le tirò il cuscino addosso, ma prima che la ragazza potesse ucciderlo, Molly fermò entrambi.
«No!» si lamentò Roxanne, «Volevo vedere uno sgozzamento di inizio anno! Sei una guastafeste, Molly» la cugina la liquidò con una smorfia, poi si risedette.
Trascorsero un’altra oretta buona a chiacchierare del più e del meno, dei progetti per il nuovo anno, del Quidditch, della Coppa delle Case, dei G.U.F.O., dei nuovi obbiettivi che si erano prefissi. Tutte cose che Rose avrebbe fatto per l’ultima volta, così la ragazza pensò di non voler rovinare l’entusiasmo delle sue cugine e di suo fratello, decidendo di togliere il disturbo.
«Sono stanca, andrò a dormire» annunciò, «Ma dai, Rose! È ancora presto» si oppose Lily, «Già. E poi stavamo arrivando all’argomento gossip» fece Roxanne, con un ghigno malizioso sul volto.
«No, sul serio. Ho sonno. Tanto abbiamo tutta domani per spettegolare» sorrise, poi salutò con un gesto della mano, e salì le scale diretta al Dormitorio.
Quanti momenti le sarebbero mancati, una volta finito giugno. Sapeva già cosa voler fare della sua vita, ma era come se ci fosse un presentimento sbagliato dentro di lei, come se avesse commesso un passo falso, senza accorgersene. Come se un tassello si fosse incastrato male, e lei, imperterrita, stesse continuando a premere su di esso per forzarlo a sistemarsi nel posto sbagliato.



*la citazione di Albus Silente è stata ripresa dagli scritti di J.K. Rowling, idem con la ripresa di uno dei dialoghi tra Ron e Hermione nell'Ordine della Fenice (edizione 2012, pagina 226), riadattata per Lily Luna Potter e Hugo Weasley.









Note di Ilhem: Ecco come promesso il riadattamento (anzi, la rivisitazione completa) del primo capitolo di 'The Countdown of the New Generation'. Il capitolo, come avete letto, è molto diverso da quello dell'altra versione, perché alcuni capitoli saranno riscritti da zero. Come avevo già detto nel messaggio di cancellazione dell'altro format (che a questo punto non ci sarà più), terrò alcune idee, ma ciò non implica che riscriverò interi capitoli. Sono ripartita da zero, diciamo.
Bene, ora passiamo al punto di presentazione per coloro che sono approdati solo ora su questa storia, mi ripresento: Sono Ilhem Rowling, una delle tante autrici di questo forum che raccoglie scritti di personaggi sconosciuti ed esordienti, che lo fanno per puro divertimento e per migliorare il proprio talento.
La storia qui presente era già stata pubblicata (con lo stesso titolo, s'intende) nel 2013, ma per ragioni di discordanza dalla trama originale, errori di distrazione e di inappetenza da parte mia, verrà riscritta, oserei dire, da capo.
Con il vostro aiuto spero di ritrovare i lettori di sempre, che mi hanno sopportata in questi due anni, e trovarne di nuovi che sapranno darmi i giusti consigli e si appassioneranno alla storia, così come io ci tengo tanto, spero anche voi vi affezionerete a questi personaggi ristrutturati, e alla trama riguardata.
Non vedo l'ora di affrontare di nuovo questo viaggio, con più passione e dedizione di prima.
Vorrei spendere due parole per scusarmi, e poi dare il giusto saluto alla vecchia storia: Innanzitutto, mi scuso per aver fatto aspettare, alle volte, mesi per gli aggiornamenti, ma purtroppo, lungi dalla mia volontà, non potrò mai tenermi troppo ai tempi, per via degli impegni scolastici che torneranno più numerosi a settembre prossimo (visto che la scuola sta per concludersi), e di tutto ciò che comportano. Lo stesso è capitato per la stesura di questo capitolo di inaugurazione, che doveva uscire la settimana dopo di Pasqua, e invece è qui a Maggio, perché nonostante i professori si ostinino a rifilarci (permettetemi la parola) la cazzata del mese di Maggio libero da ogni impegno scolastico, è tutta una bufala, perché non ricordo di aver fatto più compiti e interrogazioni in tutto un anno che nei mesi di Aprile/Maggio. Perciò, eccomi qui, chiedo perdono.
Vorrei comunicare che, probabilmente, alcuni volti dei personaggi saranno cambiati, ma non è un dato certo.
Per i vecchi amici, spero gradirete questa nuova versione (sicuramente più ordinata), e per i nuovi: Benvenuti, spero rimarrete con me, (cito la Rowling) fino alla fine.
Non dovrebbe esserci altro per questo capitolo, solo non preoccupatevi per i prossimi, perché le vacanze sono alle porte, perciò avremo la possibilità di vederci (mi auguro) più spesso.
Spero di ricominciare con tantissimi nuovi lettorilettrici, e tante nuove recensioni da parte vostra. Un'opinione per me è sempre importantissima.
A presto,
Un bacione a tutti.
Ilhem.



P.S.:
ovviamente, le immagini già pubblicate della storia sono ancora presenti sul sito, le trovate ancora QUI
   
 
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