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Autore: Manto    22/06/2015    3 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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XI – Il Sorriso delle Moire




Quella notte si banchettò a lungo.
Accoccolata nel nostro giaciglio, sorridevo vedendo le ombre dei guerrieri che ridevano e si stringevano attorno al fuoco, e ascoltavo le mille storie che raccontavano sul duello avvenuto nella piana e sull'encomiabile ardore con cui il re di Argo aveva affrontato i Troiani.
Mi addormentai abbracciata ad Eurisace, serena, perché gli Dèi vegliavano su di noi. Provavo nel cuore la stessa euforia di quei guerrieri, condividevo la loro speranza che presto tutto sarebbe cessato e le navi sarebbero ripartite verso le terre d'Acaia, dove avremmo trovato l'agognata pace. Quella notte sognai Salamina, così come Aiace e Teucro me l'avevano raccontata: profumata di fiori, così bella da togliere il fiato.
Nel cuore della notte mi svegliai perché Aiace aveva fatto ritorno, ed Eurisace si era alzato per andargli incontro. Alla luce dei fuochi ancora accesi vidi il padre abbracciare il figlio, e una dolcissima nenia riempì la tenda e mi fece salire le lacrime agli occhi per la commozione.
Poi, quando Eurisace si addormentò, Aiace si stese accanto a me; io allungai una mano, gliela passai tra i capelli.
Lui mi prese tra le braccia baciandomi con passione, quindi mi portò fuori dalla tenda; e in quel momento lo vidi, il frutto di quella notte: il gigantesco muro costruito su consiglio di Nestore, l'unica cosa che, ora che la guerra sembrava giunta ad una violenza inarrestabile, avrebbe potuto proteggere le nostre navi dai Troiani.
Aiace mi portò fin sotto di esso e si lusingò dei miei sguardi stupiti mentre fissavo quell'opera gigantesca, toccandola per assicurarmi che non fosse un inganno dei sogni; poi il mio eroe mi prese per mano, mi condusse sulla spiaggia.
Io mi strinsi al suo braccio, lo baciai. “A volte ricordo la prima notte che mi portasti qui. Allora desideravo la tua morte... mentre adesso, se gli Dèi me lo permettessero, morirei al posto tuo.”
Aiace sorrise. “Ricordo anche io, quando scende la notte e finalmente posso vedere i tuoi occhi. Ricordo e vorrei dirti tante cose, ma alla fine non riesco a fare nulla se non guardarti, e guardarti ancora.
Questa Guerra ci sta privando anche di noi stessi; ma io, almeno per una notte, voglio che non sia così.”
Il suo tono si incrinò mentre diceva queste ultime parole, e la mia presa si fece più forte. Lui chinò il capo senza dire niente, poi mi fece virare verso un piccola altura, una collinetta arsa dal sole, dove solo un gigantesco albero era riuscito a crescervi.
Si fermò sotto di esso, mi guardò. “Lo so cosa stai pensando: che siamo invincibili.
Ma la verità è un'altra: giorno dopo giorno, i Troiani sembrano aumentare il loro impeto, farsi più forti... mentre noi siamo sempre più stanchi, sfiduciati e senza scopo. Ma non tutti; io combatto ancora per qualcosa.”
Fece una pausa e io attesi, impaziente. Lui mi fece girare intorno all'albero e scostò alcuni cespugli che erano cresciuti alla base del tronco.
Nascosta tra le radici, comparve una specie di tana; quindi Aiace staccò un ramo dall'albero, e con delle pietre accese un fuoco per farne una torcia.
Mi aiutò a scendere in quell'umido anfratto, e ai miei occhi apparvero le pareti di un cunicolo.
Il mio guerriero mi prese per mano, iniziò a percorrerlo. “La spiaggia poco più avanti fa una curva, una rientranza, che è impossibile notare dal pendio; essa è abbastanza ampia perché una nave vi si possa nascondere. Il cunicolo conduce proprio là.”
Iniziai a comprendere; ma aspettai che fosse lui a dirlo. Uscimmo dalla galleria e ci trovammo in una spiaggia riparata, dove l'aria era più calda e la sabbia bianchissima.
Ci fermammo, e lui si sedette con me in grembo. “Tecmessa, da adesso in poi dovrai ascoltarmi attentamente, e fare tutto quello che ordinerò. Se io...”
Le parole gli mancarono per qualche istante. “Se i Troiani dovessero sfondare il nostro muro, voglio che tu sia pronta. In questi giorni, ti chiedo di stare vicina alla spiaggia.
Se l'esercito Acheo dovesse cedere, tu lascerai immediatamente il campo con Eurisace, e senza voltarti correrai qui. Alcuni dei miei guerrieri hanno già ricevuto gli ordini: mentre gli altri saranno impegnati a combattere, prenderanno una nave e verranno a prendervi, per portarvi in salvo a Salamina.”
Chinai il capo, in silenzio, e lui mi sollevò il viso.
“Vuoi salvarmi da una vita di vergogna... come se tu non sapessi cosa farei, se tu non tornassi”, risposi lugubre.
Aiace si fermò, mi afferrò per un braccio. “Se fosse questo ciò che vorrei, allora nel momento della disfatta lascerei la battaglia per venirti ad uccidere con le mie stesse mani!
Non mi ingannare, donna. Sarebbe come se tu mi uccidessi due volte.”
Esitai, e Aiace mi strinse a sé. “Il mio palazzo ha trenta stanze [1], e le tue saranno quelle più belle. I miei genitori ti ameranno come una figlia e tu conoscerai solo pace, rispetto, e felicità.”
Mi divincolai dalla sua presa. “Il cuore mi detta altro, Aiace. Se tu morirai, io ti seguirò.
Non ti lascerò scendere da solo nella casa di Ade.”
Aiace si imporporò, sferrò un pugno sulla sabbia. “Pensi forse che tutto questo sia un gioco?” Mi morsi le labbra, chinai il capo.
“Non darmi questo dolore, Tecmessa... mia regina.”
I miei occhi si inumidirono, quindi affondai il viso nel suo petto. “Ti attenderò là, nel palazzo dalle trenta stanze. Ma tu dovrai tornare.”
“Tecmessa...”
“Gli Immortali mi hanno donata a te, non possono dividerci. Tu sei il mio Destino!”, singhiozzai.
Lui mi accarezzò una guancia, e io piansi. Alzammo lamenti come un canto funebre. Tutto era già stato deciso, e una mortale cosa può contro le mani del Fato?

Come se le nostre parole l'avessero evocato, quel giorno funesto venne.
Eurisace giocava sulla riva con Partenia, la cui pancia sembrava ingrossarsi ogni giorno di più, ma io non guardavo, non prestavo la benché minima attenzione alle loro risate.
La testa posata sulle gambe di Athanassa, la mia mente era concentrata sui suoni che provenivano dalla piana, oltre il grande muro, e quasi non udii le parole che la ragazza mi rivolse.
All'improvviso la sentii ridere. “Sembra che questa notte il Sonno non ti abbia concesso sollievo”, disse, e io aprii gli occhi. Mi accorsi di essermi assopita, e feci un lieve sorriso. “Oscuri pensieri che non riesco a reprimere.”
“Attenta a non soccombere al loro potere. In particolare se ciò che temi è ancora lontano.”
“Nessun male è troppo lontano, in Guerra.”
“E allora, godiamoci ogni istante di pace.”
Iniziò a canticchiare e a passare le dita tra i miei capelli con delicatezza, e con la sua voce mi calmai un poco. Dovetti assopirmi di nuovo, perché quando mi svegliai ero stesa sulla sabbia e avvolta nel velo di Athanassa.
E così vidi il marchio violaceo che portava alla base del collo. Erano i segni di un morso e io balzai a sedere, le afferrai un braccio sapendo bene chi era stato ad affondare i denti nella sua carne.
Lei arrossì. “Non temere, Tecmessa. Sono stata io ad andare da lui”, mormorò.
Non dissi niente, anche perché in quel momento intravidi il giovane Patroclo che si avvicinava a me agitato, come se fosse in ansia. Mi alzai in piedi, mentre Athanassa si allontanava.
“Tecmessa”, disse il giovane, facendo un debole sorriso.
“Sei inquieto, Patroclo.”
“Lo sono. La situazione degli Achei mi preoccupa. Oggi gli Dèi ci sembrano avversi.”
Gli presi le mani. “Che cosa sta accadendo?”
Il giovane scosse il capo. “Non ho mai visto i miei compagni così disperati, e i Troiani così numerosi. Se Achille fosse con gli altri... se solo la sua forza li aiutasse...”
Restammo per un attimo a fissare il mare, quindi deglutì. “Wanax Nestore ha proposto che io scendessi in campo con le armi di Achille per infondere paura nei Troiani, e coraggio ai nostri.”
Strinsi un braccio al giovane, e lui scosse la testa. “Non posso rimanere più a guardare, dolce Tecmessa. Se la rovina calerà su di noi solo io potrò allontanarla.
Io non sono nato per stare a guardare i miei fratelli morire nel sangue, come arieti immolati sull'altare dell'Odio. Io li salverò.”
Distolsi lo sguardo, e Patroclo lo stesso. “Sono venuto per salutarti, wanaxa.”
“Smettila di chiamarmi così. Non lo sono.”
Patroclo sorrise. “Lo sei, invece. Sei l'unica che la prigionia non ha piegato.”
Sorrisi, lo guardai andare via. Mi sedetti, guardai per un poco Athanassa e Partenia giocare con il mio bambino e poi udii, sempre più forte, il boato della guerra.
Mi alzai, i sensi all'erta. Netto, distinto, udii un grido. “Non devono entrare! Presidiate il muro, sono sempre di più!”
Era la voce di uno dei capi Achei, anche se non mi ricordavo a chi appartenesse. Un freddo brivido mi percorse e corsi da Athanassa, la tirai in disparte. “Fai uscire Partenia ed Eurisace dall'acqua. State pronte a fuggire.”
Lei mi guardò stupita, poi annuì e ubbidì, mentre io correvo al muro. Vidi la struttura tremare e io mi fermai, lasciai da parte ogni altro pensiero e corsi dalle mie compagne.
“Svelte! I Troiani stanno per entrare”, urlai, prendendo per un braccio Eurisace.
Partenia non si mosse. “Fuggite voi. Io non riesco a correre... e la cala la conosciamo solo noi.
Sarò al sicuro là.”
Boccheggiai. “Partenia... se dovessero prendere il campo...”
“Non pensate a me.”
“Partenia...”
Un nuovo boato. Attonite, vedemmo il muro vacillare. Non potevamo più aspettare.
“Gli Dèi ti proteggano, amica mia”, dissi infine, il cuore gonfio di tristezza.
“Lo stesso facciano con voi. Ma fuggite, ora!”

Mentre cercavo con gli occhi l'albero che Aiace mi aveva indicato, ricordai il giorno in cui la mia terra cadde in mano agli Achei. Sperai che i Numi non avessero stabilito per me una nuova prigionia, perché allora niente avrebbe potuto frenare il proposito di uccidermi.
“Tecmessa!”, sentii urlare Athanassa, e mi voltai indietro: la ragazza mi indicò una piccola nave nera che si stava staccando dalle altre.
“Madre, sono Troiani?”, chiese Eurisace.
“No, piccolo mio. Sono amici. Ci porteranno al sicuro.”
“E mio padre?” Tuo padre ha seguito il suo Destino. “Ci raggiungerà. Non temere, lui verrà.”
Finalmente l'albero comparve alla mia vista, e io lo indicai. “Alla sua base vi è l'imboccatura di un cunicolo. Dobbiamo nasconderci lì”, dissi. Ci calammo dentro velocemente e scivolammo lungo le pareti, stremate.
Eurisace nascose il viso nel mio grembo. “Madre, madre, ho paura.”
Lo abbracciai forte. “No, non averne. Ce la faremo”, dissi, cercando di non far trapelare la mia angoscia. “Athanassa, dobbiamo percorrerlo”, sussurrai, “alla fine di questo cunicolo vi è una spiaggia, dove ci sta attendendo una nave.”
La ragazza rimase in silenzio e io annui, rispondendo alla tacita domanda che i suoi occhi mi rivolgevano: tu già sapevi?
Procedemmo e davanti a noi, infine, si aprì il mare: era agitato dalle onde, in mezzo alle quali stava la nave che doveva portarci a Salamina.
Athanassa mi strinse forte, mentre attendevamo che venisse in nostro aiuto; quindi, quando la nave giunse sulla spiaggia e ne scesero alcuni guerrieri, mi affidò alle loro braccia, mentre prendeva tra le sue Eurisace.
Mentre ci allontanavamo dal lido fissavo il mare sotto di me farsi sempre più scuro e non riuscivo a non pensare ad Aiace, che abbandonavo nella piana e che forse mai più avrei rivisto, e improvvisamente sentii un colpo fortissimo; un'onda enorme si rovesciò sulla nave riempiendola d'acqua ed essa, senza alcun governo, era trascinata qua e là dalla furia del mare.
I guerrieri urlavano, disperati, vedendo i remi rompersi uno dopo l'altro, e come in sogno vidi delle scogliere, e qualche istante dopo la nave andò a infrangersi contro di esse.
Fui risucchiata fuori e sprofondai nell'acqua alta, senza possibilità di muovermi e senza vedere niente se non ombre indistinte... e poi subii una spinta. Forse fu lo stesso Mare a darmela, perché il mio Destino non era di morire allora, e mi ritrovai a galleggiare in superficie.
Sentii un paio di braccia che mi afferravano, quindi uno dei guerrieri mi sollevò e mi issò su una trave; le onde mi spinsero a riva, dove mi scontrai con gli scogli. Girai lo sguardo intorno, e vidi con sgomento cadaveri sanguinanti... e non solo per la furia della tempesta.
Un drappello di Troiani aveva visto e seguito la nave, e ora ci stava dando battaglia. I Salaminii che riuscivano a reggersi in piedi combattevano con ardore e disperazione cercando di resistere il più possibile.
Io mi rannicchiai tra gli scogli per non essere scoperta. Il mio pensiero era ad Eurisace ed Athanassa, che non riuscivo a vedere.
“Madre! Madre!”
Mi voltai a quel grido, e con orrore vidi due Troiani che prendevano per le braccia il mio povero bambino e lo trascinavano via.
“Eurisace! No!”, urlai disperata gettandomi in avanti e lacerandomi in ogni parte del corpo, accecata dall'acqua e dalle lacrime.
“Lasciatelo!”
Intravidi Athanassa, pari ad una fiera, balzare fuori dalle onde con una trave in mano e sferrare un colpo alla schiena di uno dei due guerrieri, che lasciò andare il bambino; ma l'altro colpì la ragazza con il piatto della spada, con tale violenza da farle perdere i sensi.
Impotente, rimasi a guardare mentre la prendevano tra le braccia e la portavano nel cunicolo, da dove provenivano le urla spaventate di mio figlio.
Anche i Salaminii videro questo, e la loro furia raddoppiò. Il loro urlo sovrastò anche la furia del mare. “Aiace Telamonio! Aiace Telamonio!”
Mi trascinai con le ultime forze rimaste sulla spiaggia e lì mi adagiai, lasciando che il Destino avesse il suo corso, perché non potevo più fare niente. “Perdonami, mio amato. Perdonami, bambino mio”, sussurrai prima che le tenebre mi prendessero.

Quando mi ripresi mi ritrovai in una tenda che non era la mia, e balzai a sedere, un urlo che nasceva nella mia gola.
Un paio di mani mi rimisero supina, una voce si fece largo nella mia testa. “Calmati, giovane frigia”, udii, e io riconobbi la voce di Idomeneo.
“Tecmessa.”
Voltai il capo e vidi Aiace che usciva dall'ombra. “Eurisace”, sussurrai, e lui sorrise lievemente. “Lui e la tua amica stanno bene. Ma ora riposa, sei ancora molto debole.”
“Le tue parole si sono avverate”, mormorai.
“Ma non le mie speranze. Quella tempesta ha ucciso molti dei miei uomini... e poteva uccidere anche te.”
Rimase per un istante in silenzio. “Tutti noi oggi abbiamo dovuto dimostrare chi siamo. Ti ringrazio per avermi ubbidito... e mi dispiace per ciò che ti dirò: i Troiani sono riusciti a entrare nel campo Acheo, nonostante i nostri tentativi di resistere. Abbiamo perso molti fratelli, e... Tecmessa... non hanno avuto pietà per nessuno... e per nessuna. E lei ha scelto di morire, pur di salvare...”
“Aiace, la verità.”
Un breve silenzio. “Partenia è morta. Era alla cala quando due Achei sono giunti lì, feriti ed incalzati dai Troiani.
Lei li ha nascosti lì e ai Troiani che la minacciavano non ha voluto rivelare il luogo in cui si rifugiavano. L'hanno torturata per farla parlare, poi le hanno tagliato la gola come ad un'agnella.
E... e hanno ucciso anche lui. Ci ha ridato il coraggio indossando le armi di Achille e facendoci credere che fosse lui, ed Ettore lo ha ucciso.
Ora Achille sta urlando il suo dolore e tutto il campo ne risuona... e temo che questo sia solo l'inizio... della fine.”



NOTE DELL'AUTRICE

[1] Nel 2001, nel villaggio di Kanakia di Salamina sono state trovate le rovine di un palazzo miceneo, definito “palazzo di Eaco”. Si pensa che esso sia stato abbandonato all'incirca all'epoca della guerra di Troia.
   
 
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