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Autore: Poesie_en_rouge    22/06/2015    1 recensioni
Ci fu un tempo in cui l’aria che respirava era diversa, la terra sulla quale camminava era diversa, lei stessa era diversa. Quel tempo era finito da così tanto che a volte le sembrava essere stato solo un sogno, o un incubo, ad occhi aperti, come se fosse stata la vita di qualcun altro e non la sua. Tutto ebbe inizio quel giorno d’Ottobre. Mentre le foglie gialle e arancioni cadevano silenziose sulla strada, un rombo risuonò nell’aria e il cielo si oscurò.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 1. Quel giorno d’ottobre.

La ragazza si bloccò all’entrata vedendo tutto quel trambusto intorno a lei. Tutti si muovevano: chi andava a destra, chi a sinistra, nessuno che stava fermo… tranne lei. Si guardò intorno confusa finché non sentì una voce chiamarla.
-Charlie! –
Si voltò e vide una donna alta, in divisa, venirle incontro quasi correndo. La ragazza le lanciò uno sguardo curioso mentre le andava incontro. La donna l’abbracciò quando la raggiunse e lei s’irrigidì, non aspettandosi una reazione simile.
- Che cosa è successo, Lucille? -  domandò visto che l’altra non sembrava aver intenzione di lasciarla né di dire alcunché.
- Oh, Charlie, sono così felice che tu stia bene! - le disse per tutta risposta la donna per poi rialzarsi. I loro sguardi si incrociarono e Lucille vide lo sguardo sconcertato della ragazza. Sgranò gli occhi appoggiando le mani sulle sue spalle.
- Ma ... Tu non sai nulla...-  Dal tono non sembrava una domanda, più una constatazione.
- Che cosa dovrei sapere? - chiese con un sorriso incerto.L’altra respirò pesantemente e le prese le mani guardandola intensamente con una faccia serissima. Si morse le labbra prima da parlare.
-Charlie, siamo stati attaccati. -
La ragazza alzò un sopracciglio mentre il suo sorriso svanì lasciando posto ad un’espressione seria e irata. – Sono stati quelli dell’Unione Siberiana? Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Quando…- Si interruppe vedendo Lucille scuotere la testa lentamente.
- No, Charlie... Sono stati…. Sono stati gli alieni. - La ragazza spalancò gli occhi e sbatté le ciglia cercando di metabolizzare quelle parole. Guardò in faccia l’altra per poi scoppiare a ridere di gusto tenendosi la pancia.
- Lucille, sei stata brava! Ci stavo quasi per cascare dalla faccia che hai fatto! – Uno schiaffo sulla nuca la fece tornare leggermente in sé mentre il sorriso continuava a persistere sul suo volto. Lucille sbatté un piede a terra frustrata.
- Ma io sono seria! Guardati intorno! Credi davvero che potrei scherzare in una situazione simile?!-La ragazza deglutì e fece come le era stato detto. Loro due erano le uniche persone immobili, gli altri correvano, parlavano con le centrali, sembravano tutti impazziti. Ma non ci poteva credere! Gli alieni? Gli alieni nell’ Unione Nord Atlantica? Era impossibile! Certo, da un punto di vista logico una loro possibile esistenza era plausibile, ma…. Sul serio degli alieni li stavano attaccando? Charlie si voltò verso la donna che la guardava ancora pallida e seria.
- Ok, Lucille…. Ma…. Cosa…come...? -  Ancora non sapeva se credere a tutto quello che la donna le aveva detto, le sembrava tutto uno scherzo di pessimo gusto… ma ora che ci pensava… le strade vuote… Ma no, se ci fosse stato un attacco alieno come avrebbe fatto a non notare nulla? Insomma ci sarebbe stato panico, gente che correva ovunque, tutte quelle cose che scrivevano nei libri. Non potevano esserci gli alieni, era tutto così assurdo.
- Tu non hai sentito i messaggi dell’Unione, vero? Dov’eri ieri notte? - Lucille osservando lo sguardo perso della ragazza non si era trattenuta dal fare quelle domande. Charlie le lanciò un’occhiata colpevole: le aveva promesso che avrebbe smesso di rubacchiare qua e là. La donna capì anche senza che l’altra rispondesse e strinse le labbra mostrando disappunto. Poi sospirò ferita.
- Ormai non importa più, Charlotte…- scosse la testa e le lasciò le mani per poi darle le spalle ed allontanarsi. Charlie la guardò colpevole torcendosi le mani: Lucille era stata la prima a porgerle la mano quando era stata ammessa nell’archivio, la prima a preoccuparsi per lei quando tornava a lavoro con lividi e graffi. Deluderla era sempre qualcosa che le faceva male. Si morse le labbra e si guardò intorno. Era meglio mettersi la divisa ed iniziare a fare qualcosa.  Alieni…. Ma per favore! Scosse la testa incredula quando una mano si appoggiò sulla sua spalla facendola sobbalzare.
- Archivista Ellis, come mai si è presentata oggi? Era stato dato un comando a tutta la popolazione. - la voce profonda del comandante Hirshfeld interruppe i suoi pensieri. Si voltò verso l’uomo e lo salutò con il saluto militare.
- Comandante Hirshfeld. - deglutì – Sono venuta ugualmente perché mi sento in dovere di dare una mano in questa situazione difficile. - le parole vennero fuori prima che riuscisse anche solo a riflettere su come affrontare la situazione al meglio.Il comandante, dopo una lunga occhiata severa, le sorrise. – La sua devozione è encomiabile, Ellis. Anche se ha violato un ordine…- le lanciò uno sguardo divertito per poi indicarle la stanza dei radar – Vada ad aiutarli… Lei sa dove sono archiviate tutte le possibili informazioni su casi di avvistamenti... non ordinari. -
L’uomo schioccò le labbra per poi lasciarla andare e dedicarsi ai soldati dell’accademia già armati dalla testa ai piedi.
Charlie respirò pesantemente sempre guardandosi intorno confusa. Lentamente iniziò ad andare verso la sala radar per sapere cosa cercare. Gli archivi erano il suo lavoro: se doveva fare delle ricerche, se la sarebbe potuta cavare. Mentre camminava acquistava sicurezza e una postura degna di chi lavorava con l’Esercito dell’Unione, anche se la sua testa era tutt’altro che sicura di quello che stava avvenendo.
Spinse la porta a vetri della sala radar ed entrò. C’erano molte più persone di quante la stanza potesse ospitarne. La sala radar era una semplice stanza con una parete in vetro che dava sugli uffici, mentre le altre tre pareti erano occupate da radar di tutti i tipi. Prese un bel respiro ed iniziò a sgusciare tra i soldati fino a trovarsi davanti agli schermi. Li guardò e i suoi occhi si spalancarono.
- Fa paura, vero? - Charlie si voltò guardando il sergente Collins, la moglie del soldato Lucille. Lentamente annuì per poi chiedere – Ma che cos’è? -
- E’ la nave spaziale…. Non crediamo sia quella ammiraglia, ma solo una sentinella. Sino ad ora non hanno fatto né vittime né prigionieri… almeno a quanto ci risulta. Stanno lì, a guardarci. -
Lo sguardo della venticinquenne si diresse ancora agli schermi mentre un brivido la percosse. Ma quindi Lucille non l’aveva presa in giro... Ieri notte…Ieri notte era in un negozio di alimentari in gestione all’Unione, era piccolo e si trovava in un angolo ben nascosto della città. Lì aveva preso il pane e la frutta da portare ai bambini. Ecco perché non era a casa, ecco perché non aveva saputo nulla: aveva speso la notte a nascondersi dalla polizia con la sua refurtiva.  Si morse le labbra. Si voltò verso la donna. – Cosa posso fare, sergente? - Questa sorrise e le ripeté le stesse parole del comandante. Lei annuì e si diresse verso gli archivi stringendosi le spalle. Come avrebbero fatto ad uscire da questa situazione? Che intenzioni avevano quegli… quegli esseri?
Sentiva l’ansia crescerle nel petto, ma quella situazione era assurda, non aveva nulla di normale! Era impossibile! Le stava per venire un attacco di panico. Affrettò il passo, ma prima di raggiungere l’archivio si sedette su una sedia vuota lì vicino. Aveva bisogno di riflettere, di metabolizzare tutta quella situazione. Si mise con la testa tra le mani. Cercava di regolarizzare il suo respiro e di ignorare tutte le persone in movimento attorno a lei quando si sentì l’inno dell’Unione risuonare dagli altoparlanti.
- Popolazione dell’Unione Nord Atlantica, è la presidentessa Skye More che vi parla. Siamo giunti in comunicazione con la nave ammiraglia dei nostri…ospiti. I nostri specialisti stanno tentando di analizzare il loro messaggio, ma sino ad ora, nulla lascia presagire intenti non pacifici. Consigliamo comunque calma e di restare in casa sino al prossimo messaggio. – La comunicazione si chiuse.Charlie si guardò intorno e vide che tutti si erano fermati come in attesa. Deglutì ed abbasso le mani lentamente guardando una delle casse che ora non emetteva alcun suono. E ora?
 
…………………………………………………………………..       ……………………………………………………………………..
Era passata un’intera giornata da quell’ultimo messaggio del presidente e le cose non erano cambiate affatto dal giorno prima. L’unica differenza erano i rumori nel cielo che si facevano sentire sempre più spesso. Nell’accademia e negli uffici tutti lavoravano a più non posso su… beh, nulla: non avevano dati a sufficienza. Almeno i comandanti avevano organizzato allenamenti di gruppo ed eventuali schieramenti da utilizzare anche se, senza conoscere nulla dell’avversario, era tutto un enorme salto nel vuoto.
Charlie aveva fatto ricerche su ricerche, ma era stato tutto vano perché nessuno degli avvistamenti “non ordinari” si poteva ricondurre ad abitanti di altri pianeti. La ragazza sbuffò chiudendo l’ennesimo fascicolo. Quella ricerca si stava rivelando frustrante. Se fosse stata un soldato, almeno, sarebbe potuta essere di una qualche utilità, invece non aveva mai superato gli esami fisici: troppo magra a causa di anni ed anni di mal nutrizione. Grazie a quel lavoro, però, era riuscita a rimettersi in forma ed acquistare salute: era rinata.
Si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio ed osservò le persone intorno a lei. Sospirò. Erano tutti in attesa. Posò il fascicolo e ne prese uno nuovo iniziando a leggerlo. Prese a sfogliarlo lentamente, quando il suono dell’inno la fece sobbalzare. Questa volta la musica proveniva dagli schermi. Un bellissimo ragazzo stava al centro della schermata. Aveva capelli neri corti, una pelle rosea e le labbra erano piegate in un cipiglio serio. Aveva un’aria importante. L’unica cosa che le faceva storcere il naso erano i suoi occhi: viola acceso. O quel ragazzo aveva il pessimo gusto di indossare lenti a contatto colorate in un momento come quello o…
- Buonasera, popolo della Terra. – partì una sorta di doppiaggio, ma il ragazzo sembrava muovere le labbra senza emettere alcun suono. - Io sono il Principe Ahrry’ del pianeta Zaythea. Il nostro pianeta ha studiato la Terra per numerosi anni prima di ottenere le tecnologie per raggiungerla. Osservando il vostro pianeta abbiamo notato come questo sia vicino alla distruzione e siamo giunti per aiutarvi. Sta a voi accettare o rifiutare il nostro aiuto. – finito il discorso guardò in modo minaccioso la telecamera e la comunicazione si interruppe lasciando lo schermo inesorabilmente nero.Charlie non poteva credere a ciò che aveva appena sentito dire, tutto le sembrava ancora un enorme scherzo, ma provava solo angoscia. Cosa voleva dire quello sguardo dopo quella frase “sta a voi accettare o rifiutare”? Era una velata minaccia? La ragazza si guardò intorno notando di non essere la sola a star cercando di metabolizzare il tutto.  Come avrebbe risposto il presidente? Come avrebbero fatto a decidere? Che la Terra stesse facendo di tutto per liberarsi degli umani, poi… che diavolo diceva quel tizio dalle lenti colorate? Voleva gettare la gente nel panico, questo era sicuro.  Inoltre tutto il discorso che aveva fatto era ridicolo: da qualsiasi punto lo si guardasse sembrava pensato da un ragazzino. Scosse la testa disgustata da tutta quella faccenda.
Alzò lo sguardo verso l’orologio appeso alla parete. La stanza era piena di militari, ma sin dal giorno prima stava pensando ad una qualche strategia per poter uscire ed andare all’orfanotrofio. Si era informata in maniera, sperava, per nulla sospetta se la polizia facesse ancora ronde notturne. La risposta era stata unanime: no, anche loro seguivano l’ordine dell’Unione di stare rinchiusi. Bene, per una volta quella situazione le veniva in aiuto: almeno per una volta non avrebbe rischiato la vita per portare cibo ai bambini. Aveva ancora la frutta e il pane nella borsa, doveva concludere la sua missione.
Si mosse dalla sua postazione. Il suo piano iniziava: erano le 23:25. Recuperò la sua giacca e la sua borsa. Iniziò a camminare rasente ai muri facendo attenzione a non farsi vedere. Il suo obiettivo? I bagni. Aprire la porta principale avrebbe dato nell’occhio e allertato tutti, doveva fare il tutto il più silenziosamente possibile. Raggiunse i bagni più vicini lentamente, ma ostentando un passo sicuro come se non stesse facendo nulla di male. In effetti stava solo andando in bagno, nulla di più.
Una mano le afferrò un braccio. Lei si voltò esibendo una sicurezza che non aveva, ma doveva stare calma. Non aveva dubbi su chi fosse la persona che la stava fermando.
- Lucille, dimmi. – sorrise fintamente.
- Charlie…. So cosa vuoi fare… Non è sicuro, non puoi uscire. Siamo ancora sotto attacco, checché ne dica occhi viola. – Lucille aveva uno sguardo triste.La ragazza sospirò. – Lucille, sto solo andando in bagno. Non ti devi preoccupare. – La faceva soffrire mentirle. Sapeva che la donna voleva evitare che lei si facesse male, ma i bambini contavano su di lei, si rifiutava di lasciarli a loro stessi proprio in questo momento.
Lucille sospirò. – Va bene, ho capito. Addio, Charlotte. Ti voglio bene. -  Scosse la testa e se andò raggiungendo sua moglie. Charlie la guardò per un po’ mentre la tristezza le velava gli occhi, poi decise di muoversi: erano le 23: 28, aveva due minuti per uscire di lì. Raggiunse i bagni e chiuse la porta diedro di sé piegando della carta e infilandola sotto la porta: quel sistema non avrebbe retto ad una poderosa spinta, ma avrebbe impedito di aprire subito con facilità. Si avvicinò alla finestra a ghigliottina e l’aprì bloccandola poi con uno scopino per la toilette. Gli archivi si aprivano al piano terra per poi distendersi nei piani sotterranei. Guardò la strada fuori dalla finestra: deserta. Gli unici rumori erano i rombi che ormai aveva imparato essere associati alle astronavi. Prese un bel respiro e scavalcò la finestra. Si trovò subito fuori. Prese lo scopino da fuori facendo richiudere la finestra dietro di sé.  Gettò lo scopino nel primo cassonetto a disposizione e si allontanò in fretta.
Con la complicità della notte e della conoscenza delle sue scorciatoie, riuscì ad evitare di camminare nelle strade principali e di fare brutti incontri. Si strinse la giacca sulla gola: c’era umidità nell’aria, la pioggia era vicina. In lontananza vide un lampo e poi sentì il rumore del tuono. Si strinse nelle spalle ed iniziò a camminare più velocemente. Svoltò l’angolo e vide dall’altra parte della strada un gruppo di persone. Non riusciva a distinguerle bene, ma non avevano la divisa della polizia. Una goccia di pioggia le sfiorò il volto. Alzò lo sguardo al cielo vedendolo carico di acqua: sarebbe scoppiato un bel temporale. Doveva sbrigarsi, ma come avrebbe fatto con quelle persone? Ad occhio e croce ne contava 4, ma potevano essercene altre nascoste alla sua vista. Dall’apparenza sembravano uomini.
Deglutì sentendosi il cuore in gola. Si mosse nel vicolo senza fare rumore, aprì la sua borsa e prese due moschettoni da arrampicata: erano grandi abbastanza da essere usati come tirapugni, avrebbe potuto usare le chiavi, ma facevano rumore e avrebbero allertato quei quattro uomini. Si alzò il cappuccio della giacca, si sistemò la borsa e si avviò lungo il vicolo. Purtroppo l’orfanotrofio si trovava dall’altra parte e quella era la strada più nascosta per raggiungerlo: doveva superare quelle persone, non aveva altra scelta.
Prese un bel respiro e a passi felpati si avvicinò sempre più alla fine del vicolo. Sentì le voci degli uomini giungerle alle orecchie: non aveva mai sentito quella lingua, doveva essere un qualcosa di asiatico. Assottigliò gli occhi cercando di capire chi fossero: dal portamento sembravano soldati. Soldati asiatici nell’Unione Nord Atlantica? Non era possibile…. Poi di notte e con l’ordine del presidente? Quella cosa puzzava. Mise un piede fuori dal vicolo mentre un tuono rimbombava nelle vicinanze: doveva essere veloce. Gli uomini erano di spalle e camminavano. Ce la poteva fare, doveva solo correre. Dopotutto lo aveva fatto altre volte per evitare la polizia. Trattenne il respiro e si gettò nella corsa senza guardarsi indietro: doveva attraversare la strada, imboccare un altro vicoletto, girare a sinistra e sarebbe arrivata.
“Forza Charlie, forza!” Sentì la pioggia infrangersi sul cappuccio. Strinse i moschettoni con forza e corse come se non ci fosse un domani. Ce l’aveva quasi fatta quando un lampo si infranse sull’albero a destra della via che doveva prendere facendola sobbalzare. Penso che sarebbe caduta dallo spavento: per l’ansia le sue gambe non reggevano benissimo, invece qualcuno l’aveva afferrata per le braccia prima che cadesse. Il respiro le si mozzò in gola e si voltò pronta a colpire la persona che l’aveva afferrata. Preparò il pugno, fece perno sul tacco degli stivali e si voltò. I suoi occhi si sgranarono spaventati, mentre il suo corpo sembrava improvvisamente incapace di reagire: davanti a lei stava un ragazzo bellissimo dagli occhi del verde più innaturale che avesse mai visto ed era circondato da altri tre ragazzi tutti di bell’aspetto e dotati di occhi altrettanto innaturali. Uno di questi lo aveva già visto: Occhi viola. Era terrorizzata, ma loro stavano fermi a fissarla. Bene. Li squadrò malissimo, si voltò e riprese a correre più veloce di prima. Raggiunse la fine della stradina e si voltò indietro: non l’avevano seguita. Con il cuore che riprendeva a battere normalmente corse fino alla porta dell’orfanotrofio. Un sorriso si aprì sulle sue labbra: casa. 


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Ciao a tutti! 
Grazie per aver letto questo primo capitolo :) eeee vi ringrazio in anticipo se avrete la voglia di lasciarmi una recensione. 
A lunedì prossimo con il secondo capitolo: Our finest hour.
  
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