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Autore: sese87    22/06/2015    4 recensioni
AU che traccia le vite dei protagonisti di Dragon Ball alle prese con il nostro mondo, dalla loro adolescenza all'età adulta.
*il cognome Arensay è un anagramma di mia invenzione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1998'
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Ragazzi, interrotti 

__________________________________________

 

 

Potete svolazzare avanti e indietro tra queste percezioni e provare una specie di vertigine mentale. E se è così, siete nel territorio della pazzia: un luogo dove le false impressioni hanno tutte le caratteristiche della realtà.

(Susanna Kaysen, da "Girl, interrupted")

 

 

«Adesso!?» Vegeta aspetta la risposta cercando di ignorare il rumore dall’altra stanza, in cui sono tutti in attesa del suo ritorno. Ha infatti abbandonato il tavolo da gioco per prendere una chiamata “che pare importante”, come gli ha riferito il ragazzo che gliel’ha passata, da parte di Diciotto.
Sbuffa sommessamente e poi richiude senza salutare. «Cos’è successo?» Chiedo, preoccupata, restando sotto l’uscio, indecisa se andargli vicino o lasciare almeno questa distanza tra noi senza essere ulteriormente invadente.
Ha ancora la mano sulla cornetta e solleva solo lo sguardo, incupito, su di me. Dice: «Nulla che debba interessarti.» Poi Si allontana da quell’angolo della stanza e, prima di uscire, aggiunge che devo continuare la partita per lui.
Scorro gli occhi dal suo labbro rotto alla macchina di sangue sul colletto della maglia. «Sei impazzito forse? Non ho intenzione di distruggermi la faccia!»
«Non accadrà, ho una buona mano e sicuramente vinco.»
«Sicuramente in base a cosa, scusa?»
«È l’unico modo che hai per aiutarmi, altrimenti vai pure al diavolo, non ho tempo di preoccuparmi anche delle tue paturnie.» Sbotta e mi scansa per passare. Ignora i richiami di Cell e, senza salutare nessuno esce in giardino dove ha lasciato la macchina. Faccio appena in tempo ad andargli dietro per vederlo partire. 

 

 Eravamo lì a mangiare la nostra pizza, quando è arrivata una chiamata e, naturalmente, Diciotto si è alzata per rispondere. Avreste dovuto vedere come cambiava la sua espressione mentre le parlavano; alla fine era terrorizzata, poverina! Irriconoscibile.
Ha subito chiamato Vegeta, giuro che le tremava la voce, e beh… insomma, io non ne sapevo nulla ma a quanto pare Vegeta ha un fratello più piccolo che non sta molto bene. È ricoverato alla Saint Orange, capite che vuol dire? Ieri notte gli infermieri si sono confusi e non gli hanno somministrato la solita dose di calmanti, così a un certo punto ha iniziato a dare di matto! Sì, scusate il termine, ma è proprio così che è andata. Si è barricato in camera, bloccando la porta con il letto, e urlava come un ossesso, non riconosceva nemmeno il posto; minacciava di uccidersi se non fosse arrivato il fratello, il quale non si è degnato di arrivare nonostante lo avessimo avvertito. Lo so perché ero lì con Diciotto, e per fortuna aggiungerei! Altrimenti quel poverino non avrebbe avuto nessuno a vegliare su di lui.
Alla fine hanno dovuto scassinare la finestra, arrampicandosi fino al terzo piano, per impedire a Turble (è così che si chiama) di rompersi la testa contro il muro. Ha riportato diverse contusioni.
Sono rimasto davvero impressionato: mentre lo tenevano per sedarlo scalciava e urlava come un indemoniato. Mi hanno spiegato che cos’ha e da quello che ho capito è paranoico: è convito che qualcuno gli stia sempre intorno per fargli del male. Per lo stesso motivo, Diciotto non ha voluto che mi avvicinassi troppo, per non turbarlo. È proprio una ragazza dolce! Vegeta dovrebbe trattarla con più riguardo, non capisco proprio come faccia ad esserne ancora innamorata e…

«Risparmiaci le critiche sulla loro relazione, Crilin, sarebbe davvero fuori luogo.» Lo rimprovero, interrompendo il suo racconto. Siamo seduti sul ciglio di un muretto all’esterno della palestra; gli altri compagni, non eliminati, continuano a giocare a Dodgeball. «Scusa tanto se ho qualche remora nei confronti di Vegeta, che non si è nemmeno degnato di andare dal fratello malato!» Si giustifica il mio amico, guardandomi con gli occhi stretti a una fessura. È da quando, questa mattina, ha messo piede in classe che fremeva di raccontarci la sua serata con C18 e della cattiva fede del nostro compagno.
«
Non hai idea di come stanno veramente le cose, Crilin, quindi faresti bene a tacere! Poi chi ti dice che Vegeta non sia arrivato in ritardo?» Nessuno sa che proprio ieri sera, noi tre (Vegeta, Goku ed io) eravamo insieme a casa di Cell, dalla quale Vegeta è partito per raggiungere la clinica psichiatrica in cui è ricoverato il fratello minore. Si tratta, infatti, di una clinica vicina al centro della città, non esattamente a un tiro di schioppo dalle campagne di Ginger Town.
Quindi ciò di cui accuso Vegeta non è la sua presunta noncuranza verso il fratello, ma la totale mancanza di fiducia nei miei confronti: ci frequentiamo, da amici, da mesi ormai e mi pare impossibile non abbia avuto occasione di parlarmi anche di questa sua faccenda famigliare; un’altra conferma di quanto poco mi consideri. Non riesco nemmeno ad arrabbiarmi con lui, il quale, questa mattina, è assente.
«Inoltre, non dovresti permetterti di parlare male di lui quando neanche Diciotto, che di motivi ne avrebbe, si azzarda a farlo.» Continuo, con la sicurezza di un mercante di grande verità.

 

Sono passati tre giorni da quando Vegeta è stato portato in carcere. E per tre giorni ho lavorato senza sosta sui codici racchiusi nella scheda che mi ha consegnato: lo scrigno del bilancio reale della Freezer Corporation, dei contatti e delle transazioni di una compagnia che ha fatto della minaccia la propria merce di scambio. La Freezer Corporation è riuscita ad inglobare le sei più grandi società del pianeta nel tentativo di creare un unico monopolio dell’industria bellica, tenendo sotto la propria ala i migliori scienziati del nostro tempo, tra cui spiccava il famigerato Dottor Gero e la società che, per anni, aveva rifornito le milizie delle nazioni più ricche: la Sayan, un tempo presieduta da Vegeta Aransay senior.
L’ultima e settima compagnia di ricerca avrebbe dovuto essere la mia, la Capsule Corporation. Il piano, stando ai dati forniti e raccolti da Vegeta era piuttosto semplice: Freezer avrebbe costretto i miei investitori, di cui lui controlla già le finanze, a ritirarsi dal mercato, se non avessi deciso di collaborare nel grande progetto di essere l’unico produttore di androidi e armi specializzate nella distruzione di massa da vendere ai Paesi in guerra.
Nei fuligginosi combattimenti, nelle costellazioni di vinti e vincitori, la Freezer Corp. è passata da una parte all’altra della barricata, patteggiando tuttavia solo per se stessa. E mi chiedo che ruolo abbia avuto Vegeta in tutto questo. Perché ha deciso di redimersi proprio adesso, portando allo scoperto i piani affaristici di quella che ha più le coordinate di un’organizzazione a delinquere, piuttosto di una società legale?
La mia sarebbe stata il tassello mancante di un piano diabolico al punto da sembrare legale sotto molti aspetti. Che Vegeta si sia deciso a scoprire le carte proprio perché, continuare, avrebbe significato mettermi in mezzo? Tuttavia, c’è qualcosa che non torna: dai dati che lui stesso mi ha fornito, risulta che ha lavorato per Freezer dal duemilauno al duemilacinque, e di nuovo dal duemilaotto al duemiladieci; per quale motivo c’è un intervallo di due anni? Nello stesso periodo, la Freezer Corporation ha incassato ben tre milioni di dollari da fonte sconosciuta (altro introito che, dubito, sia stato lecitamente dichiarato) e ha assunto Zarbon e Dodoria.
Mentre continuo a rimuginare sui motivi che mi hanno spinta fin qui, al Carcere di Ovest City, una porta si apre, dall’altro lato della stanza separata da un vetro, e Vegeta, ammanettato e scortato da due guardie, fa il suo ingresso nella sala d’accoglienza. Seguo ogni suo movimento finché non siede al posto parallelo al mio. Non prende subito in mano la cornetta che avrebbe veicolato la nostra conversazione, sorride ancora per un attimo prima di decidersi.
«
Come stai, Vegeta?»
«Non saprei, ma trovo che l’arancio mi doni.»
«Perché non metti da parte il tuo humour da due soldi, per una volta?»
Sbuffa divertito. «Sono inglese; se mi togli il mio humour non mi resta che parlare del tempo. Di’ un po’, scommetto che hai trovato molte informazioni interessanti nella scheda che ti ho dato
«
Molte, sì. Ma come tuo solito, lasci sempre le cose a metà, proprio sul più bello.» Non mi lascio sfuggire l’occasione di bacchettarlo per avermi usata, fingendo di fare l’amore con me.
«
Se ti avessi detto tutto, adesso non saresti qui. Come avrei resistito senza vederti per tutto questo tempo?» Continua a scherzare, sorridendo sornione sul volto da schiaffi.
«
Preferisci, forse, parlare del tempo, Vegeta?»
«Per carità!» Esclama. «Dimmi piuttosto che accidenti vuoi, credevo di aver detto tutto a quell’avvocato da due soldi che mi hai rifilato
«
Goku è stato qui?»
«Certo che è stato qui, non te l'ha detto? Se ti ho dato quella scheda, è stato solo perché lui sarebbe stato troppo stupido da decifrarla.» Nota come, nolente, mi rabbui alla sua ultima confessione e decide di rincarare. «Non avrai pensato l’avessi fatto per te
Stringo
la cornetta tra le dita fredde. «No. Ho solo pensato che sono stata una stupida a correrti dietro per tutti questi anni.» Continuo a guardarlo, nonostante il riflesso delle luci del soffitto sul vetro copra la sua immagine rendendola quasi impercepibile. «Ma oggi sono qui, decisa ad aiutarti, perché sono stufa di vivere nel rimorso di scelte sbagliate e ti sto dando l’opportunità di chiarire, una volta per tutte, la situazione in cui ti sei cacciato, sempre che, piuttosto, non ti diverta sguazzarci dentro
«
Senti, Bulma, non ti permetto di rinfacciarmi le scelte che nessuno ti ha obbligato a prendere.» Si altera, alzandosi in piedi, stringendo ancora la cornetta.
Svetto anch’io, cercando però di mantenere un tono più calmo. «A dirla davvero tutta, mio caro, ho saputo di come, proprio tu te la sia filata, il giorno prima del nostro appuntamento alla stazione. Quindi, ragionandoci un po’, sei stato tu a obbligarmi a sentirmi in colpa.» Gli sbobino quanto rivelatomi proprio da Goku la sera in cui hanno arrestato Vegeta. Il quale intrappola un guizzo di nervoso in una vena che gli pulsa in fronte, probabilmente pentito di aver rilavato troppo a quell’imbecille del suo avvocato. «Che razza di ragionamento sarebbe? Avevi deciso comunque che non saresti venuta
«
Per il meglio a quanto pare! Alla fine ci stai riuscendo a tenermi alla larga, tutti questi inutili sotterfugi quando un semplice “non ti voglio” sarebbe più che sufficiente. Ammettilo, una buona volta, che non ti è mai importato nulla
Sbatte
una mano sulla superficie che gli sta difronte. Una delle guardie presenti gli va vicino a stringergli unaìa spalla, e costringendolo a comportarsi bene. Gli dice qualcosa, che non sento per via del vetro di sicurezza, poi Vegeta torna a parlarmi attraverso la cornetta. «Quante volte te l’ho spiegato che non ti volevo
Torno
composta sulla sedia. Non avremmo nemmeno dovuto parlare di questo, e il tempo sta scadendo; prendo un fazzolettino dalla borsa e mi asciugo la fronte imperlata di sudore. Riabbasso i toni. «E tu quante volte non mi hai detto perché non mi volevi?» «Perché è un segreto.» Ghigna imperterrito; poi d’istinto, con ancora la cornetta poggiata all’orecchio, si avvicina al vetro divisore, abbassa la voce per impedire alla guardia di sentire bene. «Mi piaci, Bulma, ma per quanto mi sforzi non sono innamorato di te e suppongo tu sia grande abbastanza da capire la differenza. Tuttavia, rispetto ciò che tu continui a provare per me ed è per questo che mi trovo qui dentro: fosse dipeso da me, avrei fatto fuori anche Freezer, ma non voglio tu rimpianga un assassino senza capire il motivo delle mie azioni.» Dopo una pausa in cui si riappoggia allo schienale aggiunge: «Se quella notte non mi avessi incontrato, avrei fatto di testa mia.» Fa segno alla guarda che la nostra conversazione è finita.

 

Sono qui, ad aspettare seduta sui gradini del portone, da almeno mezzora ormai; mi chiedo chi sarà il primo a tornare, se Vegeta o C18.
Mentre riavvolgo il nastro dell’album che sto ascoltando, finalmente, scorgo la macchina di Vegeta svoltare l’angolo. Parcheggia e, dopo essere sceso, si carica addosso il passeggero addormentato sui sedili posteriori. Un ragazzino molto magro dai capelli lunghi e neri; suppongo sia il fratello di cui parlava Crilin.
«
Per qualche ragione non sono affatto stupito di vederti, Brief.» Mi saluta, una volta raggiunto il portone.
«Sono venuta a portarti i soldi di ieri sera.»
«Quindi ho vinto.» Afferma con un mezzo sorriso, mentre, senza chiedere il minimo aiuto, tenta a fatica di infilare la chiave nella toppa per aprire il portone e allo stesso tempo a tenere il fratello in braccio.
Gli prendo le chiavi con un gesto scocciato; mai una volta che si abbassi a chiedere aiuto. «Lascia, faccio io!» Sono quasi contenta di avere una scusa per salire con lui fino a sopra, quindi non gli restituisco il mazzo di chiavi, ma gli reggo il passaggio mentre lo attraversa e poi, insieme, saliamo le scale fino al sua porta di casa. «Hai bisogno di aiuto?» Chiedo, riferendomi al peso che ha tra le braccia.
«
Ovvio che no.» Nonostante si sia stato scorbutico, non mi sfugge come abbia abbassato il tono per non disturbare il ragazzino.
Una volta in casa, noto quanto l’arredamento sia cambiato e non solo per la batteria, quasi smontata, che Diciotto ha lasciato in un angolo; mancano alcuni mobili: la libreria è sparita e i libri sono impilati direttamente sul pavimento; i divani non ci sono più e la televisione poggia a terra, senza Nintendo e senza videogiochi. Anche lo stereo è stato portato via, ma alcune cassette e giradischi sono rimasti poggiati al muro.
«
Lo porto in camera.» Avverte Vegeta, evitando di raccogliere il mio sguardo indagatore. Vado con lui e sono sollevata nel constatare come la sua camera sia rimasta come allora. Lascia il fratello direttamente sul letto, con tutte le scarpe e con tutti i vestiti.
«Almeno sfilagli le scarpe.» Sussurro.
«
Lascialo in pace.» Stiletta afferrandomi per un braccio prima ch’io possa chinarmi a togliere le calzature al fratello. Mi riaccompagna in salotto e percepisco il suo disagio dalla distanza che tiene e da come mi scorta all’uscita, neanche fossi una criminale da richiudere in prigione. «Va bene, dammi i soldi e vattene.» Asserisce, affatto propenso al dialogo.
«
Eh no, scordatelo che me ne vada!» Esclamo forse un po’ troppo ad alta voce, do le spalle alla porta che richiudo con il mio peso, salvo pentirmi del rumore creato. Sia io che Vegeta affiliamo l’udito e ci voltiamo verso la stanza in cui dorme il ragazzino, per sincerarci non si sia svegliato.
Siamo uno di fronte all’altro, rivolti alla stessa direzione, e azzardo a poggiargli le mani sui fianchi, stringo tra le dita la sua maglietta, la stessa che portava ieri notte ma rigirata. Vegeta non può non accorgersi del mio contatto, ugualmente però non dice nulla, nemmeno quando i suoi occhi sono su di me. Poggio la testa sul suo petto. Ha un leggero odore di sudore e di sangue. Devo essermi spinta un po’ troppo, perché si allontana, però non mi invita più ad andarmene. «Allora i soldi
«
Non pensi ad altro, tu.» Lo pungolo, cercando di essere acida come al solito: non vorrei pensasse sia rimasta turbata dal suo gesto e dagli ultimi avvenimenti. «Sono duemila e cinquecento.» Gli spiego, passandogli la busta che tenevo in borsa.
«
Come sarebbe duemila e cinquecento, e il resto?»
«Il resto non c’è; ha vinto Goku ieri sera, mentre tu sei arrivato solo secondo. Tuttavia, siccome è molto gentile, questa mattina ha detto che potevi avere metà della sua vincita
«
E per quale motivo?» Inquisisce, braccia lungo i fianchi, lo sguardo ardente.
Gli tendo ancora la mano con i soldi. «Per aiutarti
«
Grazie tante, ma se le cose stanno così non li voglio.» Si volta e aggiunge. «In quanti sanno di mio fratello
«
Più o meno tutti… però non devi preoccuparti, a nessuno importa.»
«A me importa! Non bastava che tu e tutti gli altri mi guardaste già con quell’aria penosa. Giuro che domani a quell’idiota del tuo amico gli spacco la faccia. Nessuno gli ha chiesto nulla.» Minaccia, riferendosi all’unico che avrebbe potuto raccontare tutto: Crilin.
Faccio un passo verso di lui, gli poggio la mano libera sulla spalla. «Puoi stare tranquillo, non è esattamente pena quella che i miei amici provano per te. Sono troppo impegnati a chiedersi come mai tu ti sia rifiutato di andare da tuo fratello ieri notte
«
Si vede che sanno come impegnare bene il cervello.» Attacca sarcastico. «E tu cosa pensi
Mi
faccio coraggio. «Di non aver mai conosciuto nessuno complicato quanto te
Continua
a darmi le spalle. «Complicato? Non c’è nulla di complicato. Ieri notte ho sperato che finalmente la facesse finita, per una buona volta
«
Perché non lo ripeti guardandomi in faccia.»
Non esista un istante. «Volevo morisse.» Risponde, asciutto..
Gli sorrido con aria serena. «Penso, invece, tu abbia tentennato perché non volevi che tuo fratello, già in paranoia, si spaventasse ancora di più a vederti pieno di lividi e insanguinato. Non è forse questo il motivo per cui ti sei rivoltato la maglietta
Riesco
a sorprenderlo. «Complimenti per la deduzione Watson, devo ammettere che anche tu hai i tuoi momenti.»
«L’unico mistero, mio caro Sherlock, è capire perché ti nascondi così.» Ribatto saccente.
«
Prova a indovinare.» Mi prende in giro; finge di avere il controllo della discussione quando cammina fino al balcone, lo apre, e si appoggia con aria strafottente contro la ringhiera.
Vado da lui con grande sicurezza, poggio entrambe le mani sull'asta di ferro e lo blocco tra le mie braccia. Lo fisso in silenzio prima di iniziare a parlare, illuminati dal sole, circondati dai rumori cittadini che salgono dalla strada sotto di noi. Le mie prime parole vengono portate vie da un clacson, e lui mi chiede di ripetere. «Dire ciò che provi ti costa così tanto che preferisci allontanare tutti mostrando quanto tu sia stronzo
«
Ma davvero? E cosa pensi che provi?» Inizia a cedere, nascondendosi, ancora una volta, dietro una smorfia incredula.
Lascio la ringhiera e mi appoggio ad essa con la schiena. «Purtroppo la mia perspicacia non arriva a tanto, Vegeta. Ma se vuoi puoi parlarmi dei tuoi problemi. Ad esempio, che fine hanno fatto i mobili
«
Pignorati.»
«Immaginavo. E dimmi, credi davvero sia una buona idea tenere tuo fratello in casa? Quanti giorni di scuola hai intenzione di saltare per controllarlo, ti ricordo che quest’anno abbiamo gli esami
«
Lo so bene che abbiamo gli esami!» Si innervosisce. «Lo porto in un’altra clinica domani mattina. Non ho bisogno che tu mi dica come comportarmi.»

Non cedo ad alcun malumore e gli ricordo dei soldi. «Li ho in tasca. Prendili pure se vuoi.» Lo stuzzico indicandogli i miei pantaloncini, per smorazare i toni nervosi. Almeno in questo posso aiutarlo.
Non se lo fa ripetere e mi torna davanti, sfiorandomi l’addome scoperto da una maglietta troppo corta. «Sai, è proprio per queste tue uscite rozze che non mi piaci. C’ero quasi cascato, Brief, ma come al solito, sei solo una mocciosa.»  I soldi, invece,  non li prende , obbligato dal suo orgoglio  a rifiutarli.

 

È riuscito a mettermi a disagio, quasi una ripicca per aver tentato di scoprire i suoi intenti. Sento l’impulso di abbassarmi la maglietta, che ora considero davvero troppo corta, ma scelgo invece di continuare a comportarmi con naturalezza ché non gli venga in mente mi abbia messo in difficoltà!
«
I soldi ti servono per pagare le tasse, vuoi forse pignorino anche tutto il resto?» Arguisco rientrando, come lui, in salotto.
«
Li troverò altrove. E comunque mi servivano per pagare un investigatore privato.» Spiega, sorprendendomi.
«Un investigatore privato
«
Sì perché? Guarda che esistono sul serio. O ritenevi mi bevessi la storia del suicidio? Mio padre non può essersi ucciso. Succedono cose che non mi spiego ultimamente, come ieri notte. È strano che, proprio mentre ho iniziato ad indagare, alla clinica dimenticano di somministrare le medicine a mio fratello
«
Succede, non è poi così inusuale. Anzi direi che è quasi all’ordine del giorno.»  Tento di tranquillizzarlo, andandogli in contro.
Soppesa la mia osservazione, affatto convinto. «Si tratta di una delle migliori cliniche ed è il motivo per cui ci siamo trasferiti in questo schifo di nazione; inoltre, mio fratello è ricoverato lì da anni e non è mai successo nulla di simile, né a lui né a nessun altro
«
E questo dovrebbe provare che tuo padre è stato ucciso e che adesso ti trovi nel mezzo di un complotto?»
«Assolutamente.»
«E non consideri i risultati delle indagini?» Mi torna in mente il suo racconto, quella mattina a casa mia, il giorno dopo aver vinto il primo premio con il nostro progetto di scienze. Cerco di trovare una logica tra i fatti di allora e quelli di oggi e, nonostante possa esserci del vero, mi pare assurdo trovare una coincidenza con quanto accaduto ieri notte a suo fratello.
Si altera. «Certo che li considero, mi prendi per uno stupido? Ma non è detto che sia andata come sembra. Mio padre non si sarebbe mai tolto la vita, hai capito?»
In
realtà, essendo direttamente coinvolta in quanto accaduto, ho rimuginato molto sulla morte del padre di Vegeta e di motivi per uccidersi ne aveva. Tuttavia, il mio giudizio potrebbe essere fuorviato dal timore che qualcuno, l’assassino, sia ancora in giro e possa decidere di farmi del male nel caso sospetti sul serio che Vegeta sia sulle sue tracce. Lo penso perché sono stata l’ultima persona, presumibilmente, a vedere il signor Arensay da vivo e potrei essere presa per un testimone scomodo.
Così, un’altra volta, le assunzioni mie e di Vegeta tornano a frapporsi tra il mio amor proprio e i sentimenti che nutro per lui, mettendomi alla prova: dovrei assecondarlo o proteggere me stessa, tentando di distoglierlo dai suoi intenti? E se penso questo, non equivale forse a dargli ragione? Inoltre, non vorrei pensasse che non sia dalla sua parte.
«
Domani porto mio fratello in un’altra clinica, non dirò a nessuno quale.» Riprende fortunatamente il discorso, evitandomi di indagare sulle mie paure. «Spero solo che anche lui faccio lo stesso. Devo trovare un modo per metterlo in guardia senza assecondare la sua paranoia.» Parla rivolgendosi al muro di fronte. Se non fossi qui, presente, lo giurerei impegnato in un monologo.
«Ma che tipo di paranoie ha tuo fratello?» Domando a mia volta, per prendere tempo e pensare meglio ad una risposta a tutte le questioni, sia mie che di Vegeta.
«
Soffre di disturbi paranoidi di personalità.» Schiocca, quasi fiero di ricordarsi il termine clinico. «In parole povere, ha manie di persecuzione: crede di essere perseguitato da qualcuno che lo segue ovunque per ucciderlo o, semplicemente, per fargli del male. Capisci, adesso non posso dirgli che questo qualcuno potrebbe esistere davvero
A
sentirlo ragionare così vengo pervasa da un certo imbarazzo: non so se credere pazzo anche lui, assecondarlo, o proteggere me stessa. «E… pensi sia la stessa persona che ha ucciso tuo padre?» Infine, propendo per la seconda, attribuendo i suoi scatti nervosi anche all'assenza di sonno.
«
Evidentemente qualcuno non vuole che indaghi sulla sua morte. Ieri ne ho avuto conferma: sarà anche una delle migliori cliniche, ma ci lavorano delle semplici persone e, in quanto tali, corruttibili.
»
Il mio silenzio, inusuale per me, lo turba così mi afferra con rabbia per un braccio. «Io non ho manie di persecuzione!» Si difende, fuori dalle orbite della razionalità.
«
Non lo pensavo affatto, Vegeta.» Lo rassicuro, ma a giudicare da come mi guarda, mi è difficile convincermene del tutto. «Sono dalla tua parte, dovresti averlo capito ormai
Le
mia risposta lo riporta alla calma. «Bene. Perché sei l’unica a saperlo.» Ed è proprio in questo istante che entra in scena (o forse sarebbe più appropriato dire, “rientra”) l’ultimo personaggio della nostra commedia: C18, la quale varca la soglia con indosso la divisa di scuola, dove suppongo abbia passato parte del pomeriggio in rientro. I suoi occhi azzurri si increspano di sorpresa, prima di svettare, indagatori, su Vegeta e, infine, atterrare nell’inferno d'odio che prova per me. A ulteriore conferma della sua disapprovazione, ci sfila davanti senza aggiungere parola per richiudersi in camera sua.
Nel silenzio glaciale del salotto, non sentiamo sbattere alcuna porta, segno che desidera tenerci almeno sotto orecchio.
Vegeta infine mi molla in cucina. «Vado a fare una doccia. Ci vediamo domani a scuola, Brief. Chiudi bene la porta quando esci.»
«Aspetta un attimo, come sarebbe vai a fare la doccia?» Gli cammino dietro, non soddisfatta dal suo proposito.
«Hai altro da aggiungere?»
«Beh, no.» Tecnicamente, è lui a dovermi ancora molte spiegazioni.
«Quindi…»
Non si prende la briga di accompagnarmi all’uscita, mi lascia da sola in salotto. Accidenti a lui! Mi rifiuto di abbandonare così la nostra conversazione, se davvero ha dei sospetti riguardo qualcuno, esigo di sapere ogni cosa, perché anche io potrei essere presa di mira. Ho il diritto di prendere le mie misure, come lui. Così lo seguo fino a trovarmi davanti al bagno chiuso.
«
Vegeta! Ho cambiato idea, vorrei ancora parlarti.» Lo chiamo inutilmente, l’acqua inizia già scrosciare.
«Guarda che, se vuoi, puoi entrare: non ha chiuso a chiave.» M’informa Diciotto, con aria strafottente per vedere fino a che punto sarei capace di spingermi, in attesa di un confronto.
Poggio la mano sulla maniglia. «Hai ragione, Diciotto, grazie del consiglio.» E come lei stessa avrebbe detto in seguito, ho l’ardire di entrare in bagno.
«
Brief! Che diamine combini?!» Si scandalizza Vegeta, non appena mi richiudo dentro. È ancora mezzo vestito, ha tolto solo la maglia che, appallottolata, giace a terra tra i panni sporchi.
«
Beh, che c’è? Come se non ti avessi già visto in tutte le tue grazie.» Gli ricordo.
«
Esci. Subito.» Esorta, categorico, spingendomi contro l'uscita. A quest’ora starei già fuori in corridoio, se non mi fossi impuntata; così, ancora una volta, ci ritroviamo vicini, uno davanti all’altro.
«No. A meno che tu non preferisca che ti creda paranoico, adesso mi racconti tutto.»
Lesta blocco la serratura e nascondo la chiave in tasca, con i soldi su cui lui non ha voluto nemmeno posare lo sguardo.
«Perché invece non provi ad essere onesta e dici subito che temi per la tua incolumità, invece di girarci intorno.»
«Perché è scontato sia così, ti pare?» Lo sorpasso e mi siedo sul bordo della vasca. Testo la temperatura dell’acqua. «È calda, non entri
«
Non appena sarai uscita da qui.»
«Dobbiamo ancora finire la nostra chiacchierata, e questo è l’unico posto in cui non verremmo disturbati. Quindi, mi pare che resterò a farti compagnia per un po’, bello mio. O se preferisci, non ti resta che prendermi la chiava dalla tasca.»
«
Fai come accidenti ti pare.» Cede infine spogliandosi del tutto, mi sposta con un gesto brusco e si getta sotto l’acqua. Lo osservo mentre si insapona e mi rendo conto di non provare alcun istinto libidinoso, tutto ciò di cui ho piena la mente è la situazione in cui siamo finiti e la voglia di aiutarlo a risolvere i suoi problemi. Per questo è impossibile che la mia sia una semplice cotta, ormai c’è molto più di una semplice attrazione fisica. Perché non lascia che glielo dimostri? 

«Comunque ti consiglio di tornare di là, qui stai solo perdendo tempo: ti ho già detto tutto quello che so
«
Non capisci che voglio essere rassicurata? Tutta questa storia mi spaventa
«
Perché piuttosto non ammetti che volevi vedermi nudo?» Bercia di rimando. «Mi rincresce, ma i tuoi sotterfugi diventano sempre più scadenti, Brief, devi ammetterlo.»
«
Non è affatto come immagini!» Mi difendo. «Sono davvero preoccupata
«
Beh ad ogni modo non mi riguarda, tu sei l’ultimo dei miei pensieri.»
«Allora perché me l’hai raccontato? Non volevi forse mettermi al corrente, affinché anch’io stessi in guardia
Resta
in silenzio a rimuginare sulla mia supposizione, ancora una volta rivelatasi esatta, considerando la sua reazione. Chiude l’acqua. «Vorrei non averti sulla coscienza, tutto qui
Gli
passo l’asciugamano di spugna, che si avvolge in vita. «Ammettilo che sei preoccupato anche per me
«
Costringermi a ridirti ciò che non provo per te, non mi aiuterà a cambiare idea. Ti ho spiegato che credo ci sia qualcosa di strano in tutta questa storia, quello che potrebbe accaderti è affar tuo. Se avessi dei sospetti più concreti, non mi affiderei di certo a un investigatore. Adesso, a meno che tu non voglia approfittare della situazione, ti consiglio di riaprire la porta.
»
Quando
usciamo dal bagno, Diciotto ci viene incontro dalla cucina per informarci che ha ordinato una pizza. «Ho preso qualche porzione in più per te, Brief. Ho immaginato che, dopo aver avuto l’ardire di chiuderti in bagno con Vegeta, tu voglia restare anche a cena.» Mi sfida ancora, usando una psicologia che dovrebbe farmi sentire in colpa, senza riuscirci.
«
Hai fatto molto bene, ti ringrazio del pensiero.» Accetto imperterrita.

 

La cena si è però svolta nella peggiore delle aspettative: il giovanissimo Turble (come scopro chiamarsi), ubriaco di calmanti, è rimasto a dormire per tutto il tempo; mentre noi tre abbiamo finito la pizza in un silenzio intervallato da poche e spicciole chiacchiere imbarazzate.
Avrei voluto continuare a parlare con Vegeta, chiedergli se per caso, anche lui come me, non avesse capito che il momento non ci è affatto propizio e, date le circostanze, non potremmo mai essere insieme. Avrei voluto che proprio lui mi dicesse “Mi piaci, ma ho troppi problemi e non riuscirei a reggere una relazione.”
Invece
, adesso, mi ritrovo davanti l’odiosa C18! Abbandonata per l’ennesima volta dal mio motorino bizzoso (dovrei davvero decidermi ad aggiustarlo di persona, invece di attendere i comodi di mio padre!), ho poi gioito, invano, della possibilità di poter chiedere un passaggio a Vegeta, il quale ha preferito mandare la biondina.
«
Ti è andata male, eh?» Mi sfotte la ragazza, chiudendosi il portone alla spalle. «Vegeta non poteva lasciare Turble da solo
«
Guarda che l’ho capito!» Rimbecco, terribilmente delusa, ma forte della consapevolezza di aver compreso l’allontanamento di Vegeta: non è il momento di stare insieme, lui ed io. 
«
Sappi che rompe più a me di doverti accompagnare. Te l’avrei fatta fare a piedi
«
Mi spiace che i tram non passino più a quest’ora, forse non avresti dovuto invitarmi a cena, Diciotto.» Bercio, salendo in macchina. La biondina, però, è decisa a non lasciarmi godere della piccola vittoria verbale, così imperterrita rimarca la sua proprietà sul ragazzo.
Mette in moto, non solo la macchina, ma il discorso che immagino, le sia pesato sul petto per tutta la serata. «Scommetto che, se sapessi sul serio di chi ti sei invaghita, torneresti a correre dietro ai giocatori di rugby della tua scuola.» Svolta l’angolo con una manovra brusca costringendomi a reggere alla maniglia. Continua a guidare come una pazza. «Io invece scommetto che non vorresti ti vomitassi qui dentro. E comunque, non so a cosa tu ti riferisca
«
Sveglia, so benissimo di tutti i discorsi da scolaretta in calore che gli fai.» Racconta, ma non riesce a convincermi del tutto: non ce lo vedo Vegeta a ripeterle tutte le mie parole. Piuttosto, il suo è un tentativo subdolo per costringermi a confessare.
Continua subito il discorso, senza darmi occasione di esternare i miei dubbi. «Immagino tu abbia visto il morso che gli ho lasciato sul collo. Cosa penseresti se ti svelassi che l’ho fatto per impedirgli di violentarmi?» Domanda, senza mezzi termini.
«Non ci credo.»
«Sarebbe un male. Ma se hai il coraggio, potresti chiederglielo tu stessa. Digli: per quale motivo Diciotto ti ha morso, mentre tu cercavi di aprirle le gambe?» La sua voce cede in un tremore, rendendo vera quanto dolorosa la sua confessione, che non compro. «Allora perché continui a starci, se davvero ha tentato di farti una cosa del genere?»
«Perché ho iniziato io.» Sbotta, innervosendosi nel tentativo di capire lei stessa la sua reazione. «Se tu lo conoscessi bene, tanto quanto lo conosco io, sapresti che non potrebbe mai essere il tuo principe azzurro.» Frena davanti a un semaforo rosso, e distoglie lo sguardo dalla strada per posarlo alla sua sinistra e, nelle luci soffuse dell’abitacolo, scorgo una piccola lacrima sul ciglio del suo mento.
«Non è nemmeno il tuo.» Le dico, in un sussurro scomposto e imbarazzato.

 

Continua

Eccomi tornata! :) Spero questo capitolo sia stato di vostro gradimento, da parte mia posso dirvi che non è stato affatto semplice scriverlo. Avrei voluto aggiungere un pistolotto introspettivo riguardo i pensieri di Bulma, ma alla fine ho deciso di risparmiavi: ve lo propinerò al prossimo capitolo, così intatno, questa sera posso pubblicare qualcosa. Alla prossima! E grazie ancora a chi segue, a chi legge e a chi commenta! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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