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Autore: Sselene    23/06/2015    1 recensioni
Partecipante al contest Legendary Tales di Yuko Majo | Dopo quasi sedici anni di lutto, la città Erdner torna a brillare: la Principessa Lisabelle, rapita da un'Arpia quand'era solo un'infante, è stata finalmente ritrovata e riportata a casa. Ma dopo quasi sedici anni passati lontano dagli umani in compagnia di una belva, c'è tanto che deve di nuovo imparare, a partire dal'alfabeto. E per lei, mezza umana e mezza belva, non c'è insegnante migliore di Ryan, che ha sulle spalle sia l'addestramento da guardia reale che l'insegnamento da pedagogo.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quella che seguì fu una pessima notte e poi una ancor peggiore giornata.
Mia madre era venuta fino al castello con me, ma poi ci eravamo separati mentre io andavo da Tcho e lei invece seguiva Bryn. La mia mente era rimasta con lei per tutto il tempo, neanche tutto ciò che Tcho si era impegnata a fare per distrarmi dai miei pensieri mi aveva aiutato.
“Cosa?” Mi chiese ad un certo punto, il capo inclinato su di una spalla.
“Mia madre sta parlando con i Regnanti, in questo momento,” le spiegai, carezzandole i capelli. “E non so perché.”
“Hai paura?” Domandò ancora Tcho.
“Non lo so,” ammisi con un mezzo sorriso. “Non so proprio cosa possano volere da lei.”
Tcho si limitò ad annuire, venendo a stendersi con il capo sulle mie gambe.
“Vai via?”
“No, non credo,” risposi rassicurante, carezzandole dolcemente i capelli. “Non sarei venuto qui oggi se i Regnanti avessero voluto mandarmi a casa. Forse vogliono chiedere a mia madre un secondo parere, dato che è una pedagoga davvero molto capace.”
“Ryan,” mormorò Tcho, rannicchiandosi meglio contro di me e chiudendo gli occhi. “Katarina è mia mamma?”
Esitai con le dita tra i suoi capelli, tenendo lo sguardo fisso sul suo viso per capire se fosse davvero qualcosa di cui voleva discutere, dato che il giorno prima aveva evitato accuratamente ogni accenno alla rivelazione.
“Sì,” risposi cautamente. “È colei che ti ha portato dentro di sé e che ti ha fatto nascere, ma... Tzee ti ha amato e ti ha tenuto con sé, non è sbagliato definirla tua madre... Ci sono tanti modi per essere madri.”
Tcho rimase in silenzi a lungo, mantenendo gli occhi chiusi, poi inspirò profondamente.
“Tzee è mia mamma,” disse dopo qualche istante. “E non voglio un'altra mamma.”
“Non sei costretta ad averne,” la rassicurai. “Regina Katarina ti ha fatto nascere, ma non hai alcun dovere nei suoi confronti, non c'è motivo di chiamarla mamma, se non lo desideri.”
“Okay,” sussurrò Tcho, rannicchiandosi su se stessa. “Devo stare qui uguale?”
“Che intendi?”
“Non... mi piace tanto qui...” ammise lei, scuotendo un po' il piede incatenato, per sottolineare le sue parole. “Se Katarina non è mia mamma posso... andare?”
“Non lo so,” ammisi, carezzandole i capelli. “Posso provare a chiedere, dopo.”
“Okay,” rispose solo Tcho, sempre con quell'insolito tono basso. “Sono un po' stanca.”
“Dormi un po' allora... ti sveglio prima di andarmene.”
Mi lanciò un'occhiata, come temesse le stessi mentendo, ma poi annuì appena e richiuse gli occhi, sistemandosi meglio contro di me.
“Buonanotte...”
Mi resi conto di essermi addormentato solo quando mi svegliai di soprassalto, a causa dell'aprirsi della porta.
“Buongiorno,” mi canzonò Laura, guardandomi con le sopracciglia inarcate.
“Mh...” mugugnai appena, cercando di alzarmi a sedere senza disturbare troppo Tcho, che era rannicchiata su di me. “Che ore sono?”
“Tranquillo, non hai dormito tanto, sono solo le quattro,” mi rassicurò Laura. “Ci sono i tuoi genitori qui fuori, volevo assicurarmi che tu avessi il tempo di avvisare Tcho.”
“I miei genitori?” Ripetei confuso. “Beh, falli entrare...”
Lanciai un'occhiata curiosa ai miei quando entrarono nella stanza, mia madre con un quieto sorriso in viso e mio padre con un'espressione confusa non dissimile dalla mia. Poi mi chinai su Tcho, scuotendola appena.
“Tcho, sveglia, abbiamo visite...”
Tcho schiuse gli occhi, ma poi li chiuse di nuovo, con forza.
“Odio visite,” borbottò.
“Ma queste sono belle visite,” la rassicurai. “Sono i miei genitori.”
Aprì di nuovo gli occhi, lanciando un'occhiata curiosa ai miei, che erano avanzati nella stanza rimanendo comunque alquanto distanti.
“Ciao,” mormorò, alzandosi lentamente a sedere.
“Ciao, Tcho,” la salutò mia madre, accucciandosi a terra. “Io sono Malia, sono la mamma di Ryan. Ti ha già parlato di me, non è vero?”
“Sì,” rispose la Principessa, tenendo a lungo lo sguardo su di lei, prima di portarlo su mio padre.
“Io sono Conrad,” si presentò lui, rimanendo comunque in piedi.
“Tcho,” si presentò a sua volta lei, facendo seguire al nome quello schiocco che ormai non sentivo da tempo.
Mio padre ripeté il nome con tanto di schiocco, un tono interrogativo, e Tcho si illuminò.
“Sì!” Esclamò, afferrandomi per un braccio e indicandomi mio padre. “È così!”
“Sul serio?” Non riuscii a non chiedere. “Mio padre ha pronunciato correttamente il tuo nome?”
“Sì!” Confermò lei, entusiasta. “Ancora!” Aggiunse poi, rivolta a mio padre.
Papà guardò me, poi Tcho e pronunciò di nuovo il suo nome, emettendo con naturalezza anche lo schiocco.
“Sì!” Ripeté Tcho, sorridendo con estrema gioia.
“Beh, complimenti, papà, ha rinunciato a farlo pronunciare da me, non schiocco nello stesso modo...” ammisi.
“Forse perché schiocchi la lingua contro la parte anteriore del palato, mentre nel suono che emette Tcho devi schioccarla contro il retro,” spiegò mio padre, rivolgendo ancora un'occhiata a Tcho, che annuì con decisione.
“Molto interessante,” commentò mia madre, voltandosi poi verso papà. “Ma tu come lo sai?”
“Usiamo diversi tipi di schiocchi, a volte, per educare... beh... per educare i cani...” ammise lui, incerto.
“Oh, cielo,” borbottò mia madre, passandosi una mano sul viso.
“Come mai siete qui?” Chiesi, per cambiare rapidamente discorso.
I miei si scambiarono una lunga occhiata che riuscì a mettermi immediatamente a disagio. Fu mia madre a parlare.
“I Regnanti mi hanno assunto per occuparmi dell'educazione dell'erede al trono...”
“Io mi occupo di Tcho,” ribattei, tirandomi vicino Tcho in un gesto spontaneo.
“E questo non cambierà,” mi rassicurò mia madre, passando lo sguardo da me alla Principessa e poi di nuovo su di me. “I Regnanti hanno deciso di adottare il nipote del Re e di renderlo l'ufficiale erede al trono. Hanno deciso che... la Principessa Lisabelle non è più in grado di avere quel ruolo.”
“Oh...” mormorai sorpreso, senza sapere che altro aggiungere.
“Che... vuol dire?” Chiese curiosamente Tcho, guardandomi fisso.
“Non ne sono sicuro,” ammisi con un mezzo sorriso, baciandole i capelli ma tenendo lo sguardo su mia madre. “Che vuol dire?”
I miei si lanciarono un'altra lunga occhiata, discutendo mutamente, ma infine fu mio padre a parlarmi.
“I Regnanti credono che sia meglio se la Principessa cambi un po' aria, si trasferisca in un posto più tranquillo, un po' più... lontano dalla città...” mi spiegò.
“Cioè, vogliono esiliarla...” commentai.
“No!” Ribatté mia madre, esattamente mentre mio padre rispondeva: “Sì.”
“Conrad!” Esclamò ancora mamma, lanciando un'occhiataccia a papà, che si strinse nelle spalle.
“È inutile passare per la via diplomatica,” disse. “I Regnanti non vogliono che lei resti in città, è giusto che lo sappiano.”
“Ci sono modi e modi per dire le cose, però,” fece notare mamma.
“Va bene,” intervenne Tcho, sorprendendo tutti e tre noi. “Va bene, io non voglio stare qui,” precisò, stringendosi nelle spalle e poi guardò me. “Prima ho detto: devo restare? E tu: posso chiedere. Ora hanno detto no. Non voglio restare.”
“E dove vorresti andare?” Domandai confuso.
“Ovunque!” Rispose lei, scoppiando a ridere. “Ovunque, con te.”
Schiusi sorpreso le labbra a quell'affermazione, eppure non era davvero qualcosa di sorprendente. Portai lo sguardo sui miei genitori, che risposero alla mia occhiata con l'espressione più fintamente neutra avessi mai visto sui loro visti. Persino loro si aspettavano qualcosa del genere e, mi resi conto, erano già sicuri della scelta che avrei preso.
“Ryan?” Mi chiamò Tcho, chinandosi un po' verso di me. “Cosa?”
“Vieni per un po' a casa nostra,” dissi, tornando a guardarla. “Così... possiamo decidere dove andare, poi.”
Tcho batté un paio di volte le palpebre, sorpresa, poi si aprì in uno dei suoi immensi sorrisi, spingendosi contro di me e abbracciandomi stretto.
“Sì,” disse solo, spingendo il capo contro il mio petto.
Le passai le braccia attorno al corpo, tenendomela stretta. Portando lo sguardo sui miei, li trovai a sorridere e mio padre annuì anche, contento della scelta che avevo fatto. Posai il capo su quello di Tcho, cercando di immaginare il modo in cui sarebbe potuta cambiare la mia vita a quel punto, dove avrei potuto portare Tcho, cosa sarebbe successo.
Avevo solo interrogativi, davanti a me, eppure ero sicuro della scelta che avevo preso, anche se ci avevo pensato solo qualche istante.
In tutto questo tempo, non me ne sono mai pentito.
   
 
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