Laura Bristow aspettò la
Soprattutto Jack doveva
continuare a dormire… la donna sorrise al pensiero dell’uomo che aveva sposato
ormai dieci anni prima. Un venditore di ricambi per aerei… Che stupido. Lei
sapeva benissimo cosa faceva e per chi lavorava in realtà. Era l’unico motivo
per cui era lì, l’unico motivo per cui l’aveva sposato e forse l’unico motivo
per cui lei, Irina, aveva avuto una figlia. Certo era stato più facile di quanto
potesse immaginare: accecato com’era dai suoi sentimenti, Jack non si era mai
accorto dei microfoni che portava addosso praticamente ogni giorno, o di come
lei ascoltasse sistematicamente tutte le sue conversazioni telefoniche quando
era in casa.
Una cosa non prevista era stata
la sua gravidanza. Avrebbe potuto eliminare la bambina subito, o appena nata,
come volevano i suoi superiori, ma non se l’era sentita. Sydney era sua. Sua.
Aveva già parlato con il suo contatto riguardo a questo. Con una dozzina di
agenti CIA morti e un lavoro di spionaggio pressoché perfetto riguardo al
Progetto Natale mandato avanti dall’agente Jack Bristow, poteva permettersi di
dettare qualche regola sul suo ritorno in Russia.
Come tutte le notti, entrò nello
studio di suo marito, e aprì la ventiquattrore dove lui conservava i documenti.
Era questione di un attimo, solo fotografare i files segreti su cui stava
lavorando. Quelli erano gli ultimi. Tempo qualche giorno, e lei e sua figlia
sarebbero scomparse nel nulla.
Era già tutto deciso: lei sarebbe
stata inseguita dall’agente Caulder, alias l’agente Valenko del KGB, sarebbero
finiti fuori strada, e avrebbero finto le loro morti. Tempo qualche giorno per
organizzare il rientro, e lei e sua figlia sarebbero partite. Di sicuro Jack non
avrebbe avuto la stabilità emotiva per occuparsi di Sydney, se lo conosceva bene
avrebbe assunto qualcuno. Bastava aspettare che uscisse per andare alla sezione
della CIA a Los Angeles. Nello stesso tempo, la tata sarebbe stata da sola con
la bambina, e un agente avrebbe preso sua figlia portandola da lei.
***
Sydney piangeva, e non capiva che
stava succedendo. Un minuto prima si trovava nella sua casa con la sua tata, e
un minuto dopo Rose era priva di conoscenza a terra e un uomo l’aveva presa e
portata via, incurante delle sue lacrime e delle sue proteste, per portarla in
un enorme hangar, insieme a persone che non aveva mai visto. Non appena aveva
scorto sua madre era corsa tra le sue braccia, e Irina l’aveva stretta
forte.
“Lo sapevo che non eri morta, lo
sapevo!”
L’uomo con cui sua madre stava
parlando le si era rivolto in una lingua che Sydney non capiva, e la madre gli
aveva risposto usando la stessa lingua. Poi aveva preso in braccio sua figlia, e
l’aveva portata in un angolo tranquillo, per calmarla e darle qualche
spiegazione sul perché si trovassero lì.
Gli altri agenti fissavano la
donna con curiosità, non capivano che ci facesse lì una bambina, ma lo sguardo
fulminante di Irina mentre cercava di calmarla bastò per renderli zitti e senza
voglia di fare domande.
“Mamma, dov’è papà?” piagnucolò
Sidney, ancora spaventata per tutto quello che era successo.
“Papà non può venire con noi,
tesoro” disse Irina rimettendola a terra. “D’ora in avanti saremo solo io e
te.”
“Non voglio andare
via!”
“Ti farò vedere il paese da cui
vengo, la Russia. Ti piacerà, vedrai…cominceremo una nuova vita, con due nuovi
nomi. Il mio nome sarà Irina Derevko, e tu ti chiamerai…vediamo un po’…Lara.
Lara Derevko, come la nonna.”
“Lara?” domandò Sydney, tirando
su col naso.
“Lara. Ti piace questo
nome?”
“A me piace di più
Sydney…”
“Tesoro, non è possibile” rispose
Irina, inginocchiandosi di fronte a sua figlia. “Ci sono delle persone che ci
cercheranno, ora, persone cattive. Se continuassimo ad usare i nostri nomi ci
troverebbero subito… se invece li cambiamo, per loro sarà più
difficile.”
“E se ci trovano lo
stesso?”
“Non succederà, Syd… cioè,
Larissa. Te lo prometto” sussurrò Irina, abbracciando la bambina “nessuno ci
separerà mai…”
L’abbraccio di Sydney, così saldo
all’inizio, iniziò piano a perdere forza. Sydney stava crollando dalla
stanchezza, e Irina la prese in braccio cercando un posto per sedersi e lasciar
riposare in pace la bambina.
“Agente Derevko, ho bisogno di
parlarti” disse l’uomo che prima aveva parlato con lei.
“So già a che proposito,
Khasinau” rispose Irina, con gli occhi che mandavano lampi “e la mia risposta è
no. Lei viene con noi.”
“Offuscherà la tua capacità di
giudizio. L’ha già fatto, a quanto vedo.”
“Non succederà mai. Prima di
essere sua madre, sono un membro del KGB, non l’ho dimenticato.”
“Lo spero per te, Irina. Tu e gli
altri agenti della tua squadra sarete rimpatriati questa notte. Ci vediamo a
Mosca.”
Irina osservò il suo superiore,
Alexander Khasinau, allontanarsi per parlare con i piloti che avrebbero pilotato
il volo da Los Angeles fino alla base designata in Unione Sovietica. Sua figlia
continuava a dormire, e trovato un posto dove sedersi Irina si rilassò
aspettando l’ora di partire. Sua figlia si mosse leggermente nel suo abbraccio,
e Irina con una mano le carezzò piano i capelli scuri, come i
suoi.
Lara. Lara era sua, solo sua…la
sua bambina. Ascoltando il suo respiro regolare mentre dormiva appoggiata a lei,
capiva che se l’avesse lasciata a suo padre l’avrebbe rimpianto per tutta la
vita. Non lo avrebbe fato a vedere, non avrebbe pianto, ma sapeva che lentamente
il ricordo l’avrebbe logorata dentro. Facendo così, invece, questo destino
sarebbe toccato a Jack.
Jack, che non avrebbe potuto far
altro che rassegnarsi e dimenticarle.