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Autore: Jade MacGrath    23/02/2005    0 recensioni
Irina osservò il suo superiore, Alexander Khasinau, allontanarsi per parlare con i piloti che avrebbero pilotato il volo da Los Angeles fino alla base designata in Unione Sovietica. Sua figlia continuava a dormire, e trovato un posto dove sedersi Irina si rilassò aspettando l’ora di partire. Sua figlia si mosse leggermente nel suo abbraccio, e Irina con una mano le carezzò piano i capelli scuri, come i suoi. Ascoltando il suo respiro regolare mentre dormiva appoggiata a lei, capiva che se l’avesse lasciata a suo padre l’avrebbe rimpianto per tutta la vita. Non lo avrebbe fato a vedere, non avrebbe pianto, ma sapeva che lentamente il ricordo l’avrebbe logorata dentro. Facendo così, invece, questo destino sarebbe toccato a Jack. Jack, che non avrebbe potuto far altro che rassegnarsi e dimenticarle...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Laura Bristow aspettò la mezzanotte prima di alzarsi e di scendere al piano di sotto. Doveva fare attenzione, non voleva svegliare Sydney né tantomeno suo marito.

Soprattutto Jack doveva continuare a dormire… la donna sorrise al pensiero dell’uomo che aveva sposato ormai dieci anni prima. Un venditore di ricambi per aerei… Che stupido. Lei sapeva benissimo cosa faceva e per chi lavorava in realtà. Era l’unico motivo per cui era lì, l’unico motivo per cui l’aveva sposato e forse l’unico motivo per cui lei, Irina, aveva avuto una figlia. Certo era stato più facile di quanto potesse immaginare: accecato com’era dai suoi sentimenti, Jack non si era mai accorto dei microfoni che portava addosso praticamente ogni giorno, o di come lei ascoltasse sistematicamente tutte le sue conversazioni telefoniche quando era in casa.

Una cosa non prevista era stata la sua gravidanza. Avrebbe potuto eliminare la bambina subito, o appena nata, come volevano i suoi superiori, ma non se l’era sentita. Sydney era sua. Sua. Aveva già parlato con il suo contatto riguardo a questo. Con una dozzina di agenti CIA morti e un lavoro di spionaggio pressoché perfetto riguardo al Progetto Natale mandato avanti dall’agente Jack Bristow, poteva permettersi di dettare qualche regola sul suo ritorno in Russia.

Come tutte le notti, entrò nello studio di suo marito, e aprì la ventiquattrore dove lui conservava i documenti. Era questione di un attimo, solo fotografare i files segreti su cui stava lavorando. Quelli erano gli ultimi. Tempo qualche giorno, e lei e sua figlia sarebbero scomparse nel nulla.

Era già tutto deciso: lei sarebbe stata inseguita dall’agente Caulder, alias l’agente Valenko del KGB, sarebbero finiti fuori strada, e avrebbero finto le loro morti. Tempo qualche giorno per organizzare il rientro, e lei e sua figlia sarebbero partite. Di sicuro Jack non avrebbe avuto la stabilità emotiva per occuparsi di Sydney, se lo conosceva bene avrebbe assunto qualcuno. Bastava aspettare che uscisse per andare alla sezione della CIA a Los Angeles. Nello stesso tempo, la tata sarebbe stata da sola con la bambina, e un agente avrebbe preso sua figlia portandola da lei.

 

***

 

Sydney piangeva, e non capiva che stava succedendo. Un minuto prima si trovava nella sua casa con la sua tata, e un minuto dopo Rose era priva di conoscenza a terra e un uomo l’aveva presa e portata via, incurante delle sue lacrime e delle sue proteste, per portarla in un enorme hangar, insieme a persone che non aveva mai visto. Non appena aveva scorto sua madre era corsa tra le sue braccia, e Irina l’aveva stretta forte.

“Lo sapevo che non eri morta, lo sapevo!”

L’uomo con cui sua madre stava parlando le si era rivolto in una lingua che Sydney non capiva, e la madre gli aveva risposto usando la stessa lingua. Poi aveva preso in braccio sua figlia, e l’aveva portata in un angolo tranquillo, per calmarla e darle qualche spiegazione sul perché si trovassero lì.

Gli altri agenti fissavano la donna con curiosità, non capivano che ci facesse lì una bambina, ma lo sguardo fulminante di Irina mentre cercava di calmarla bastò per renderli zitti e senza voglia di fare domande.

“Mamma, dov’è papà?” piagnucolò Sidney, ancora spaventata per tutto quello che era successo.

“Papà non può venire con noi, tesoro” disse Irina rimettendola a terra. “D’ora in avanti saremo solo io e te.”

“Non voglio andare via!”

“Ti farò vedere il paese da cui vengo, la Russia. Ti piacerà, vedrai…cominceremo una nuova vita, con due nuovi nomi. Il mio nome sarà Irina Derevko, e tu ti chiamerai…vediamo un po’…Lara. Lara Derevko, come la nonna.”

“Lara?” domandò Sydney, tirando su col naso.

“Lara. Ti piace questo nome?”

“A me piace di più Sydney…”

“Tesoro, non è possibile” rispose Irina, inginocchiandosi di fronte a sua figlia. “Ci sono delle persone che ci cercheranno, ora, persone cattive. Se continuassimo ad usare i nostri nomi ci troverebbero subito… se invece li cambiamo, per loro sarà più difficile.”

“E se ci trovano lo stesso?”

“Non succederà, Syd… cioè, Larissa. Te lo prometto” sussurrò Irina, abbracciando la bambina “nessuno ci separerà mai…”

L’abbraccio di Sydney, così saldo all’inizio, iniziò piano a perdere forza. Sydney stava crollando dalla stanchezza, e Irina la prese in braccio cercando un posto per sedersi e lasciar riposare in pace la bambina.

“Agente Derevko, ho bisogno di parlarti” disse l’uomo che prima aveva parlato con lei.

“So già a che proposito, Khasinau” rispose Irina, con gli occhi che mandavano lampi “e la mia risposta è no. Lei viene con noi.”

“Offuscherà la tua capacità di giudizio. L’ha già fatto, a quanto vedo.”

“Non succederà mai. Prima di essere sua madre, sono un membro del KGB, non l’ho dimenticato.”

“Lo spero per te, Irina. Tu e gli altri agenti della tua squadra sarete rimpatriati questa notte. Ci vediamo a Mosca.”

Irina osservò il suo superiore, Alexander Khasinau, allontanarsi per parlare con i piloti che avrebbero pilotato il volo da Los Angeles fino alla base designata in Unione Sovietica. Sua figlia continuava a dormire, e trovato un posto dove sedersi Irina si rilassò aspettando l’ora di partire. Sua figlia si mosse leggermente nel suo abbraccio, e Irina con una mano le carezzò piano i capelli scuri, come i suoi.

Lara. Lara era sua, solo sua…la sua bambina. Ascoltando il suo respiro regolare mentre dormiva appoggiata a lei, capiva che se l’avesse lasciata a suo padre l’avrebbe rimpianto per tutta la vita. Non lo avrebbe fato a vedere, non avrebbe pianto, ma sapeva che lentamente il ricordo l’avrebbe logorata dentro. Facendo così, invece, questo destino sarebbe toccato a Jack.

Jack, che non avrebbe potuto far altro che rassegnarsi e dimenticarle.

  
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