20 anni dopo
Al poligono di tiro, Lara Derevko
prese in mano la sua pistola e inserì il caricatore con un colpo secco. Prese la
mira, strinse più forte l’arma e premette il grilletto. Continuò a sparare fino
a quando non esaurì i proiettili, e poi richiamò il bersaglio. Fece un piccolo
sorriso nel constatare il risultato: nessun colpo era andato sprecato, tutti
avevano colpito nel segno. Anche se principalmente il suo era lavoro d’ufficio,
non le dispiaceva essere abile anche con le armi da fuoco.
Sentì un rumore familiare di
tacchi arrivare dietro di lei, e sorrise più ampiamente, voltandosi con ancora
la pistola tra le mani.
“Ottimo lavoro” esclamò Irina,
vestita con un impeccabile tailleur da lavoro blu notte, simile a quello che
indossava anche sua figlia, di colore nero.
“Dev’essere una cosa di famiglia.
Anche tu hai una mira niente male.”
Detto questo, Lara appoggiò la
pistola e abbracciò sua madre, per salutarla a dovere.
“Finalmente. Sarà un mese che non
ci vediamo.”
“Almeno due, credo. A Taipei le
cose con quelle schegge impazzite dell’FTL hanno preso più tempo del previsto.
Come va l’università?”
“Va” disse Lara, prendendo la
madre sottobraccio e uscendo dalla stanza. “Considerato che sono in viaggio per
l’agenzia almeno per tre quarti dell’anno è un po’ difficile avere una frequenza
regolare.”
“Vuoi un po’ di tempo fuori
dall’agenzia?”
“Lo sai che non resisto lontana
dal lavoro… ho tentato di essere solo una brava studentessa, ma sapere cosa
succede in realtà, cose che le persone comuni ignorano… mamma, non fa per
me.”
“Una settimana per gli esami di
metà semestre. È un’offerta non negoziabile.”
“E va bene. Com’è andata in
Kenya?”
“Siamo arrivati tardi. L’SD-6 ci
ha soffiato il disegno di Rambaldi che volevamo per noi.”
“Pagherei per vedere questo Arvin
Sloane soffrire atrocemente, e con lui chiunque gli faccia le
soffiate.”
“Se saremo fortunate, li
vedremo.”
“Dovevi dirmi
qualcosa?”
Sì, Irina doveva dirle qualcosa,
e ad un primo sguardo, si disse Lara, non doveva essere una cosa piacevole.
“Lara, tu sai perché mi trovavo
negli Stati Uniti, te l’ho raccontato appena sei stata abbastanza grande da
capire. Ma il mio incarico non è stato portato a termine del
tutto.”
“Sapevo che dovevi eliminare
delle persone. Te n’è sfuggita qualcuna?”
“Sì…ma non fare quella faccia
sorpresa, ragazzina. Non sono vivi per caso. Alcuni sono agenti giovani, che
potrebbero diventare…come dire…una spina nel fianco. Per quanto riguarda gli
altri, i miei superiori al KGB erano dell’opinione che sarebbero diventate
pedine interessanti…ma ora vanno eliminati.”
“Avevo sentito delle
voci.”
“Bene, allora non andrò in
dettagli.”
“E hai pensato a
me?”
“Vladimir dice che hai una mira
incredibile, che sei molto abile con quel genere di arma e non sei tipo da
sbagliare bersaglio.”
“Perché io e non Sark? Ha molta
più esperienza di me. E non sono certo al suo livello!”
“Lara, tu e lui siete in due
situazioni diverse.”
“Ecco il perché…C’è ancora
qualcuno che mi guarda e si domanda cosa ci faccio qui, invece di vivere a Los
Angeles con…come si chiama? Jack Bristow?”
“Non ti manderei se dipendesse da
me, voglio che tu lo sappia.”
“È Khasinau, vero? Lui non si
fida di me…ma perché? Ho dato l’impressione di voler tradire
l’organizzazione?”
“Khasinau non si fiderebbe
neanche di me, se non fosse stato il mio superiore quando eravamo al
KGB.”
“E se tu non fossi stata la sua
amante.”
“Esatto. Ad ogni modo, i suoi
dubbi potrebbero far dubitare anche altri.”
“Non mi tiro indietro, mamma. Non
l’ho fatto prima e non lo faccio ora. Figurarsi se gli do questa
soddisfazione…”
Sua madre le porse una copia di
Delitto e Castigo.
“Sulle ultime pagine bianche sono
stampati i tuoi ordini. Sono invisibili, ma li potrai leggere mettendo una fonte
di luce dietro la carta.”
“Mi ricorda
qualcosa…”
“Un sistema che funziona non si
lascia.”
“Quando devo
partire?”
“Domani.”
“Tu e Khasinau avevate la
certezza che sarei partita con così poco preavviso e senza fare
domande?”
“Non noi. Sark.”
“Se ora mi dirai che di questa
missione sapevi tutto e non mi hai detto niente, spero mi perdonerai se deciderò
di ucciderti lentamente e dolorosamente!” esclamò Lara entrando come un uragano
nell’ufficio di Sark. Ogni volta che ci veniva – sempre più spesso di quanto
avrebbe mai ammesso con chiunque – si stupiva di quel posto, di come fosse…
perfetto. Non aveva altri aggettivi per descriverlo. Ogni cosa era dove doveva
essere, non c’era niente di superfluo, niente anche vagamente fuori posto. Il
suo sembrava invece un unico cumulo di fogli, libri e post-it, in cui però si
raccapezzava alla perfezione. Dicevano che gli accademici erano famosi per la
mente e non per l’ordine… se era così, allora lei rispettava il profilo alla
perfezione.
“Buongiorno anche a te, Derevko”
rispose Sark senza distogliere l’attenzione dal computer a cui stava
lavorando.
Il distacco di Sark di solito le
andava bene, ma non quel giorno. Si avvicinò alla scrivania, e con un gesto
secco staccò il cavo di alimentazione.
“Posso avere la tua attenzione,
adesso?”
Sark le lanciò un occhiata
eloquente, e si rilassò sulla sua poltrona, facendo segno a Lara di fare
altrettanto.
“Anche se te lo avessi detto non
sarebbe cambiato niente.”
“Mia madre mi ha detto perché
devo andare io. Dimmi la verità, che cosa c’è sotto?”
“Forse stai parlando con la
persona sbagliata.”
“Non credo
proprio.”
“Lara, non è un mistero che
Khasinau spera tu non faccia ritorno.”
“E tutto per via di un padre che
a malapena ricordo?”
“Forse. O magari perché se ci
fosse da scegliere con chi schierarsi tra tua madre, te, e lui, qui dentro si
ritroverebbe in schiacciante minoranza.”
Era questo? Khasinau aveva
tentato di tenerla lontana, screditarla, anche ucciderla, per evitare che un
giorno lei potesse prendere in mano tutto questo? Se avesse avuto di fronte
quell’uomo, si sarebbe fatta una bella risata. Lei da sette anni ormai aveva due
soli scopi: radunare tutte le opere di Milo Rambaldi, e fare in modo che nessuno
distruggesse quello che sua madre aveva costruito. L’ultima cosa di cui aveva
bisogno, era pensare ad un modo per rovesciarlo e prendere il potere là dentro…
anche se a pensarci bene, l’idea di Khasinau alla sua mercé la stava facendo
sorridere.
“Interessante… e tu per chi ti
schiereresti?”
“Il tuo aereo parte domani. Ti
conviene passare al reparto tattico a farti dare le specifiche e le armi. Hai
circa una settimana, anzi meno, di quiescenza, per prepararti a dovere, poi
dovrai iniziare il lavoro.”
Qualcosa nel tono della sua voce
le fece comprendere che la conversazione era finita, e Lara si diresse fuori
dalla stanza, mentre Sark riaccendeva il computer e recuperava il lavoro da un
file di backup.
Secondo i piani sarebbe dovuta
partire il giorno seguente, ma alla vigilia di una missione così importante e
pericolosa c’era solo un posto dove voleva andare. E finito il briefing tecnico,
andò a parlare con sua madre.
“Avrei intenzione di partire
stasera stessa.”
“Stasera?”
“Il piano non cambierà, solo che
prenderò il mio alias quando riprenderò l’aereo domani sera… da
Lugano.”
Irina non ebbe bisogno di
chiedere o di dire niente. Sapeva perché Lara voleva passare per quella città, e
non l’avrebbe fermata.
“Buona fortuna per la
missione.”
“Grazie.”
Lara ritornò nel suo ufficio, e
si lasciò cadere sulla sua poltrona con una mano sugli occhi. Amava la sua vita,
ma certe volte era così complicata…
Qualcuno bussò alla sua porta, ma
Lara decise che non aveva voglia di parlare con nessuno. Se la sbrigassero senza
di lei, per una volta.
Quel qualcuno però
insisteva.
“Lara, alzati e vieni ad aprire,
tanto lo so che ci sei. Ti ho vista entrare!”
Mary.
Per Mary avrebbe fatto
un’eccezione.
“Entra.”
Mary era più giovane di lei di
circa quattro anni, e tutte le volte che la vedeva girare per i corridoi della
loro base operativa si domandava che ci facesse lì… Un po’ come gli altri
facevano con lei, a dire il vero. Poteva sembrare la creatura più dolce e
fragile di questo mondo, e per certe cose lo era, ma la sua mente fredda e
lucida anche in situazioni ad alto rischio era stata di grande aiuto nella
pianificazione di molte missioni. A giudicare dall’altro membro della sua
famiglia, suo fratello maggiore, dovevano essere caratteristiche iscritte nel
loro codice genetico. Beh, non c’era da essere troppo sorpresi, se si
considerava che quella persona era Sark.
“Ho visto che sei stata assegnata
ad una missione a lungo termine a Los Angeles e dintorni. Come
stai?”
“Non lo so ancora. So però che
starò lontana per non so quanto tempo, e nel frattempo chi manderà avanti le mie
ricerche?”
“Le tue ricerche sono già molto
avanti. Hai dato lavoro a noi poveri strateghi ben un bel pezzo, credimi”
rispose Mary, avvicinandosi e sedendosi sul bordo della scrivania. Giocherellò
con un tagliacarte per qualche istante, poi squadrò di nuovo
Lara.
“Sai, quell’espressione l’ho già
vista.”
“Davvero?”
“Non su di te. Su Julian.”
“Julian?”
“Sark.”
“Scusami…tu sei l’unica a
chiamarlo con il suo nome di battesimo. Tutti gli altri credo pensino che non ce
l’abbia… sai, a furia di chiamarlo sempre Sark…”
“Certe volte lo devo chiamare
così anch’io, se no non si volta!” rise Mary, insieme a Lara. Poi ritornò
seria.
“Che tu ci creda o no, non è la
fredda macchina che sembra, e all’inizio non è stato facile neanche per lui…ma
sai come si dice, la vendetta comanda e uccide.”
Mary aveva ripreso a
giocherellare distrattamente con il tagliacarte, ma Lara sapeva a che stava
pensando, perché Mary stessa glielo aveva raccontato una sera di qualche anno
fa, davanti al fuoco del camino della casa che dividevano. Ripensare al passato
suo e di suo fratello non era una cosa piacevole, perché implicava ricordare
l’orfanotrofio dov’erano cresciuti e le difficoltà dentro e fuori quel posto.
Suo fratello Julian si era costantemente occupato di lei dopo la morte dei
genitori, e Mary lo aveva sempre adorato. Anche quando aveva deciso di diventare
un sicario, per inseguire i suoi piani di vendetta e cercare l’assassino della
loro famiglia, o quando era riuscito a trovarlo e lo aveva ucciso. Quando aveva
ricevuto l’offerta da Derevko e Khasinau, aveva accettato solo se Mary sarebbe
potuta venire con lui. Dopo essere stata assegnata agli archivi per
l’equivalente di una vita, aveva guadagnato il suo status quasi per caso.
Ascoltando il piano di uno dei tattici, e cogliendo una discrepanza tra le sue
parole e il materiale d’archivio, aveva avvicinato una delle agenti e aveva dato
a Lara un suggerimento su come condurre con successo la missione. Mary aveva
avuto ragione, lo stratega incaricato torto, e Lara aveva fatto in modo che Mary
potesse lavorare a tempo pieno al reparto tattico come meritava.
In breve le due ragazze erano
diventate amiche e confidenti. Mary era l’unica con cui Lara si apriva, e in un
certo senso lei ne era lusingata. Posando il tagliacarte, prese in mano una
fotografia e la mostrò a Lara.
“Come vanno le cose con
lei?”
“Bene.”
“Quando farai ritorno a
Lugano?”
“Parto stasera. Sarò a Lugano
domani mattina all’alba, e ripartirò verso sera per Los Angeles in pieno
rispetto della tabella di marcia.”
“Ti dispiace salutarla anche da
parte mia?”
“Tranquilla. Lo farò.”