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Autore: RubyChubb    13/01/2009    8 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
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Grant my last request and just let me hold you,
don't shrug your shoulders, lay down beside me...
Sure I can accept that we're going nowhere,
But one last time let's go there.
Lay down beside me...
 
 
 
Aveva fatto davvero come lei gli aveva consigliato. Si era disteso sul letto ed aveva staccato la mente, si era riposato ed adesso tutto sembrava molto più chiaro. Così chiaro che avrebbe voluto dormire ancora, così la mente non lo avrebbe disturbato. Si rigirò sul letto, avvolgendosi nelle lenzuola ormai calde ed abituate al suo corpo, per poi alzarsi e infilarsi sotto la doccia, per evitare di presentarsi con la pesantezza di giornata faticosa.
Mentre l’acqua scorreva limpida su di lui, fu inevitabile sentire l’eco delle parole di Tamara.
‘Pensavo che tu mi amassi.’
 ‘Sei uno stronzo.’
 ‘Lo sapevo che avresti fatto come cazzo di pare.’
‘Io non conto niente per te.’
‘Stattene dalla tua amichetta e non farti più vedere.’
‘Sono contenta che sia finita, mi ero stancata di essere sempre al secondo posto’.
No, non si sarebbe arreso così facilmente. Non esistevano relazioni importanti che finivano con una telefonata dall’estero. No, non l’avrebbe accettato, se voleva lasciarlo doveva dirglielo in viso, e non tramite un cellulare. Con quello poteva arrabbiarsi, gridare, urlargli contro tutte le offese del mondo, ma tra lui e Tamara non era finita, come lei aveva detto. Si innervosì all’inverosimile quando sentì trillare ancora quell’aggeggio infernale, mentre Danny si stava asciugando i capelli, guardandosi allo specchio alla ricerca delle parole giuste con le quali recuperare la sua relazione.
Prese il telefono, fece per rifiutare la chiamata ma lesse il nome di sua sorella e, dato che non la sentiva da diversi giorni, decise comunque di accettare.
Perché ho provato a chiamarti tre volte e mi ha sempre risposto una strana voce registrata?”, gli chiese lei.
“Perché non sono a Watford, Vicky, sono in Italia.”
Percepì la sua perplessità sulla pelle.
E cosa ci fai da Joanna?”, sbottò Vicky, fintamente sorpresa.
“Smetti di fare la finta tonta, lo so che lo sai.”
Lei rise, l’aveva presa contropiede ma la conosceva troppo bene. Non si sarebbe fatta sconfiggere nemmeno da un carro armato puntato contro.
Allora suppongo che tu sappia anche che io so quello che tu non sai di sapere.”
Tipico discorso totalmente incomprensibile di sua sorella.
“Ok, Vicky, è stato un piacere sentirti.”, le fece, con l’intenzione di attaccarle il telefono in faccia.
E dai, non vuoi proprio sapere quello che la sorellina sa?”, lo stuzzicò lei, inutilmente.
Danny sospirò, arrendendosi. Perché le donne, di qualsiasi corporatura, bellezza e relazione di sangue, avevano sempre quell’effetto su di lui?
“Dai, spara.”, le fece, senza interesse.
Non ti farò il solito discorso, né la solita predica.”, anticipò Vicky, “Perché sono sicura che non mi ascolterai, pensando che io stia parlando di sane cavolate.”
“Vai avanti.”
L’ho sempre saputo!
Danny rimase allibito, ma non si lasciò stupire. Era solo un altro guazzabuglio made in Vicky Jones, prima o poi avrebbe capito a cosa si riferiva.
“Saputo cosa…”
Che stavi insieme a Tamara solo per dimostrare che mi sbagliavo su Joanna!”, ridacchiò l’altra, “Lo sapevo, lo sapevo e lo sapevo!
Sicuramente stava saltellando di gioia, felice nell’aver ancora sorpassato il fratellino scemo.
“Vic, ma di cosa stai parlando?”, le fece.
Ascoltami, demente, so benissimo di cosa sto parlando.
“E allora spiegati meglio.”
Sicuramente la tua mente bacata non si ricorda… Ma il giorno di Natale, o giù di lì, abbiamo avuto una delle nostre incazzature reciproche.”
“Certo che me la ricordo, mi chiamasti ‘rantolo strozzato che non vale la pena di essere tenuto in gola’…”
Non quella volta, quello è stato il Natale di due anni fa… Mi riferivo all’ultimo.”, lo contraddisse lei.
Ci pensò.
“Sputacchiera bucata.”
Esatto, ti chiamai proprio così.”, disse lei, con tono conciliante, “Insomma, l'argomento centrale della questione… Inutile dire altro. E chi mi presentasti, nemmeno due settimane dopo?
“Aspetta, fammi riflettere… Tamara per caso?”, le fece con sarcasmo.
Bravo Daniel Alan David.”, ripose la saccente Vicky, “Proprio così. Ora, dato che siamo famosi per i nostri tentativi di cercare di  avere ragione sull’altro, ammetti che sono sempre stata dalla parte del giusto e che ho visto lontano.”
“Tra noi due sei tu quella miope, io ci vedo benissimo.”
Eh, allora devi essere presbite, perché non riesci a vedere un bel cazzo ad un palmo dal tuo naso.
“Vic, senti, ho da fare.”
No, non hai un bel niente da fare. E se provi a chiudere la chiamata chiamo il Daily Mirror e vendo l’esclusiva sulla fine della storia con Tamara.”, lo intimò lei.
“Non lo faresti mai.”
Scommettiamo?”, lo sfidò lei, e lo costrinse ad immaginarsela con le braccia conserte, a dondolarsi, in attesa della risposta alla sua sfida.
Meglio non scherzare con Vicky, l’aveva imparato a sue spese più volte.
“Vicky, lo sai che non mi sono messo con Tamara per dimostrarti che non provavo niente per Little… Sarebbe un’assurdità!”
Infatti, lo è.”, e si mise ad esultare ancora.
“Amo Tamara.”
E chi lo mette in dubbio? Puoi volerle il bene di tutto mondo, ma di una cosa sono sempre stata certa. Quella Little è stata troppo spesso sulle tue labbra per essere semplicemente un’amica. Ti ricordi Max?
Max chi?
Ah, quel Max: era il ragazzo che Vicky aveva odiato fin dal primo giorno d’asilo, quello che non aveva mai smesso mai di nominare quando tornava da scuola, rivoltandogli contro tutto l’astio che provava per lui, e con cui poi era stata per ben tre anni, alle superiori.
“Ma non è la stessa cosa!”, protestò Danny.
Lombrico, siamo uguali. Per anni ho parlato male di lui, poi ci ho perso la verginità. Tu hai spezzato un intero esercito di lance a favore di Joanna, e scommetto che prima o poi ci sbatterai la testa come me.
“Il mio tempo è proprio scaduto, Vicky.”
Gira la clessidra, non ho mica finito!”, esclamò lei, “Devi dirmi che ho ragione.”
“Ciao Vic, salutami la mamma!”
Ma che caz…”
E chiuse la chiamata, censurando la parolaccia che sua sorella stava per pronunciare. Lui non si era innamorato di Tamara per dimostrarle che si era sbagliata, e durante quella lunga discussione di Natale, una volta tra le tante, era stato lui ad avere avuto ragione e lei torto. Tamara gli era piaciuta per il suo sorriso, perché lo aveva fatto stare bene e perché con lei si era sentito diverso da sempre, come quando provava qualcosa di più per una ragazza. No, non poteva essere assolutamente vero.
Smetti di prenderle in giro entrambe…
Nuovamente, la voce di Dougie si ripresentò nelle sue orecchie. Buttò il telefono sul comodino. Gli venne voglia di lasciare andare tutto e prendere a pugni qualcosa. Ma a che pro? A cosa poteva servire fare il bambino viziato, quello che fugge davanti ai suoi problemi?
“Signor Jones, è sveglio?”, squillò la voce di Arianna, nel corridoio.
Non l’aveva sentita rincasare e la ringraziò per averlo tolto da una possibile e poco jonesiana crisi isterica.
“Sì, entra pure.”, le fece.
“No, esci tu!”, disse lei, ridendo.
E la accontentò.
“Santissimo Dio, copriti!”, sbuffò la donna, ridendo “E’ già la seconda volta che attenti alla vita del mio vecchio cuore!”
“E perché?”, fece lui, guardandosi addosso e trovandosi solo in pantaloni, “Ti da fastidio?”
“Oh, no, figurati! E’ sempre un piacere!”, e si mise a ridere, “Senti, convinci la tua amica ad uscire di casa?” , borbottò Arianna,
La guardò curioso.
“Veramente oggi siamo già stati fuori.”, le disse, “Anche se non per molto, ma siamo comunque usciti insieme.”
“Oh, buono a sapersi.”, esclamò lei.
Sembrava avesse fretta di fare qualcosa: Danny notò la  borsa già in spalla, il trucco sistemato, i capelli a posto. Doveva essere tornata mentre lui dormiva e sicuramente stava per ripartire. La trovò tutto sommato strana. Doveva essere sua abitudine lasciare Little completamente sola in casa, oppure la sua continua assenza era consapevole e voluta.
“Vai da qualche parte?”, le domandò direttamente, indicando velocemente la sua borsa.
“Sì, un tizio mi ha invitato a cena.”
“Un tizio…”, disse lui, sorridendo.
“Maschio ottuso.”, bofonchiò la donna, con complicità.
“Dov’è Little?”, le chiese.
“Sta cercando di trovare il pelo nell’uovo.”
“Come scusa?”
“E’ in salotto, ho voluto impiegare il suo tempo nella pulizia della casa.”, gli spiegò lei, sempre più volenterosa di liberarsi di lui, “Lo avevo già fatto personalmente, ma sembra così volenterosa che ho deciso di non disturbarla.”
“Ah, ok.”, le rispose, “Comunque mi dispiace che te ne vada un’altra volta, sarebbe stato bello cenare tutti insieme, con normalità.”
“Figliolo, in questa casa la normalità non esiste.”, rise lei di gran gusto.
Gli rifilò poi un sorriso ampio e caldo, strinse la sua guancia tra il pollice e l’indice e se ne andò via, brontolandolo per avergli fatto fare tardi alla cena con il suo tizio. La sentì salutare Little e, quando percepì anche il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva, scese il piano. Si appoggiò allo stipite del soggiorno, incrociando le braccia. In piedi sull’ultimo gradino di una piccola scala, Little si stava occupando del ripiano più alto della libreria. Se l’avesse chiamata l’avrebbe sicuramente spaventata, rischiando di farla cadere per terra. Decise così di aspettare che terminasse il suo compito: una volta con i piedi per terra, sarebbe stato meno pericoloso disturbarla.
Se al mondo c'erano due persone totalmente diverse, erano proprio Tamara e Little. Talmente all’opposto che anche un cieco avrebbe notato la minima differenza tra loro. Di entrambe conosceva aspetti che amava ed altri che odiava, come era giusto che fosse, e come normalmente capitava ad ogni essere umano.
La vide scendere dalla scala, con movimenti traballanti ed incerti, ma alla fine atterrò con tranquillità.
“Little.”, la chiamò e, come aveva previsto, lei sussultò, “Scusami, non volevo spaventarti.”
“Non ti immaginavo proprio lì.”, fece lei, una volta ripresasi, “Da quanto è che stai come un fesso sulla porta?”
“Pochi secondi.”, le mentì, sottraendo una bella manciata di minuti al tempo speso ad osservarla.
Little richiuse la scala e gli andò incontro.
“Fame?”, chiese lei, sorridendogli.
“No, non ancora.”
“Oh…”, borbottò lei, aspettandosi forse una sua risposta positiva, “Sete?”
“Nemmeno.”
“Uhm… Qualcos’altro?”, chiese, ridendo.
“Niente in particolare.”, le disse.
“Ok.”, rispose lei, stringendosi nelle spalle ed uscendo dal salotto.
La seguì, accompagnandola in cucina, dove ripose la scala in una fessura tra gli scompartimenti della dispensa; gettò via lo straccio penzolante dalla sua tasca posteriore dei pantaloncini.
“E’ tutto ok, Danny?”, fece lei, sentendosi solo lievemente esaminata.
“Certo.”
“E allora perché mi segui?”, gli chiese, visibilmente a disagio.
“Non so cosa fare.”, le rivelò con semplicità.
“Vuoi dirmi qualcosa, per caso?”
“Non saprei… Prima ha telefonato Dougie. Voleva sapere come stavamo.”
“Sì, l’ho chiamato anche io.”, disse lei, in un sorriso stretto.
“Ah… Davvero?”
Si stupì dell’essere stupito di quel suo gesto. Little annuì.
“E perché?”, le chiese, di rimando.
“Beh… Avevo voglia di sentirlo, di sapere se aveva fatto buon viaggio di ritorno. Tutto qui.”, rispose, “C’è qualche problema?”
“Oh no, figurati!”, disse lui, prontamente, “E’ che ancora mi suona strano che voi due siate… Insomma, che siate tornati amici.”
Lei lo scrutò per qualche secondo.
“Non è stato facile da accettare neanche per me, ma ci siamo buttati tutto alle spalle.”, disse, appoggiandosi alla cucina, braccia conserte.
“E… Cosa avete fatto di bello… Quando non c’ero?”, le domandò.
Little si imbronciò.
“Scusami, non volevo essere invadente.”, le disse, “Volevo solo chiacchierare un po’ e, come sempre, ho scelto il punto di partenza sbagliato.”
Parve indecisa sul da farsi. Prese un profondo respiro ed intrecciò le dita, mentre gli occhi fuggivano velocemente.
“Mi ha baciato.”
Un’altra di quelle fottute aritmie al contrario.
“Come scusa?”, le chiese di ripetere. Non aveva capito.
 “Ci siamo baciati. O meglio, lui ha baciato me.”, ripeté Little.
Si erano baciati, lui l’aveva baciata, non c’era alcuna differenza.
“Beh, sono contento per voi.”
, disse a stento.
In fondo, a lui cosa doveva importare di quello che succedeva tra Little e gli altri ragazzi? Lei aveva tutto il diritto di trovare qualcuno con cui stare, da amare, così come lui aveva trovato Tamara, e le altre prima di lei.
“E poi... Cosa è successo?”, insistette, “Perché non me lo hai detto?”, le fece.
 "Sinceramente non ci ho nemmeno pensato.”, rispose lei, “Non ne ho avuto tempo…”
Danny scosse la testa, cercando in un attimo di dare un senso a tutto quello, tanto che i suoi poveri neuroni fecero corto circuito di lì a poco. Più che altro, più di tutto, si stava sentendo in giro da entrambi. Perché non glielo avevano detto?
“Ma come fai a non pensare ad un bacio, Little!”, sbuffò, “Insomma... E’ un bacio, significa tutto!”
Lei aggrottò la fronte, perplessa.
“Dan... Calmati.”, gli fece, con bizzarra tranquillità, “E’ stato un errore, ci siamo chiariti subito e la cosa è morta lì...”
“Ma questo vuol dire che Dougie…”, asserì, animandosi ancora di più, “Che Dougie ti sta prendendo in giro di nuovo!”
“No, non è vero, è capitato per sbaglio, perché era un momento...”
La interruppe.
“E’ uguale!”, esclamò, “Un bacio è sempre un bacio!”
Little roteò gli occhi ed alzò le spalle, segno che si stava arrendendo.
“Ora basta, non voglio continuare oltre.”, fece lei, scrollando le spalle, “Dimmi, hai più sentito Tamara? Hai cercato di sistemare le cose con lei?”
Tamara? Sintonizzò la mente su di lei ma sembrò non trovare campo, né frequenza. C’era solo quella fastidiosissima questione del bacio che voleva risolvere. Little comprese cosa gli stesse passando per la testa e sbuffò rassegnata, come se ormai non ci fosse stato più niente da  recuperare, ed anche la voglia di impegnarsi nel rimettere in sesto i cocci era evaporata come acqua al sole. Se lo era detto più volte: ogni volta che facevano un passo avanti, li aspettavano almeno dieci indietro.
“Cos’altro vuoi sapere?”, lo provocò Little, “Se abbiamo dormito insieme? Sì, lo abbiamo fatto, e non perché sia successo qualcosa tra di noi, non perché lui abbia cercato di farmi del male come pensi. Vuoi sapere se mi ha abbracciato? Sì, e lo sa fare anche meglio di te, perché non mi chiede niente in cambio. Vuoi sapere se mi ha mai detto di volermi bene?”
Esitò, ritrovando la forza che le era mancata.
“Sì, certo che me lo ha detto.”
Si sentì così in colpa che avrebbe voluto morire.
“Spiegami una cosa.”, fece poi, “Perché continui a prendere sul personale ogni cosa che mi riguarda? Ti ho detto del bacio perché volevo che  ne fossi a conoscenza, che capissi che era stato un errore. Fine della questione. Avrei potuto tenertelo nascosto, così come tante altre cose, ma ho voluto dirtelo. Sto cercando di migliorarmi, di cambiare perché so che il mio brutto carattere ci crea dei problemi, ma così non mi stai aiutando affatto.”
E poi scosse la testa.
“Te lo dico con sincerità, Danny.”, continuò Little, “Forse è solo per colpa di questo brutto momento, la morte di mio padre ha complicato così tante cose che nemmeno io riesco a farmene un’idea. Però... Ti ripeto quello che mi dicesti qualche giorno fa per telefono.”
Ebbe paura a chiederglielo.
“Cosa?”
Lei sospirò.
“Se continuiamo così, io non voglio andare avanti.”, disse, così piano che parve solo un sussurro lontano, “Danny, in questo momento non voglio altra pressione sulle spalle,  e tu non fai altro che aggiungerne sempre di più. Dovresti aiutarmi ad alleggerirla ma non lo stai facendo, stai solo peggiorando la situazione.”
Si passò una mano tra i capelli.
 “Scusami.”, riuscì a dirle, “Non volevo farti arrabbiare ancora...”
Il suo pentimento non la convinse affatto.
“Ti prometto che cercherò di aiutarti nel migliore dei modi possibili.”
“Da quando sei arrivato, non ci sei mai riuscito.”, disse lei lasciandolo solo, in cucina, in silenzio.
Nonostante le parole, i litigi, gli scontri e gli incontri, nonostante i buoni propositi e le intenzioni mancate, nonostante tutto, Little cercava ancora di venirgli incontro, di accontentarlo, di assecondarlo. Continuava a piegarsi alla sua volontà, alle sue pretese, alle sue stupide convinzioni. E nonostante tutto quello, nonostante anche la continua paura che aveva di perderla, lui non cambiava mai. Non avrebbe mai imparato niente. Forse  lo stava davvero meritando, forse qualcuno voleva punirlo, farlo stare male solo per impartirgli la più sonora lezione della sua vita.
La sentì salire le scale e, prima che fosse sparita per l’ennesima volta, decise di seguirla.
“Little.”, la chiamò, facendola voltare, “Scusami, davvero. Scusami.”
“Beh, non mi ci vuole niente perdonarti, lo sai.”, disse lei, “Ma poi tutto torna come prima.”
Danny allungò una mano verso di lei.
 “Ti prego.”, le disse.
Aveva avuto milioni di seconde occasioni, di nuove possibilità, di ulteriori chance. Finite tutte dritte nel cesso, una dopo l’altra.
“Te lo giuro, Little, ho davvero imparato la lezione.”
“Non si cambia in cinque minuti, Danny.”, disse lei, “Forse dovresti davvero tornare a casa e sistemare la tua vita. Qua tutto è troppo incasinato per te.”
No, non ci stava, quello non lo avrebbe davvero accettato. Non si sarebbe fatto sbattere la porta in faccia per la seconda volta, nello stesso giorno. Tamara poteva aspettare, ma non Little. Salì in coppia gli scalini che li separavano, fermandosi su quello immediatamente precedente al suo. Quel dislivello gli dava la possibilità di poterla guardare dritta negli occhi, senza alcuna differenza di altezza. Voleva essere al suo stesso piano.
“Anche io voglio essere sincero con te, Little.”, le disse, prendendo un profondo respiro.
Lei si mise in attesa delle sue parole, che sembravano non arrivare. Riusciva solo a spostare freneticamente gli occhi ovunque, tranne che su di lei. Doveva essere un comportamento che aveva assorbito a forza di starle accanto, oppure era semplicemente troppo difficile trasformare in parole certi pensieri difficili da sopportare. Tutto quello che aveva temuto, tutto quello che aveva cercato di esorcizzare per tenerla al sicuro non era stato la possibilità di una pace tra i due, di una nuova amicizia.
Era invece quel bacio, quella evenienza.
Quel bacio lo infastidiva, così come lo aveva infastidito quel sonoro schiocco che aveva sentito, l’altro bacio che si erano dati in cucina, il giorno dopo il suo arrivo. Se stavano insieme potevano anche dirglielo apertamente, non dovevano continuare a mascherarsi con questa farsa dell’amicizia... Sarebbe stato felice per loro.
“Non essere geloso di Dougie.”, lo anticipò Little, “Il rapporto che ho con entrambi è così diverso che non ne vale la pena.”
Era geloso di Dougie, lo ammetteva pienamente in quel momento come non mai, e se ne dispiaceva, perché odiava quel sentimento ma lo stava
inevitabilmente provando.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
“Non so perché ma il pensiero che tu e Dougie vi siate baciati mi resta veramente... Difficile da digerire.”, le disse.
"Perché? Qual è il problema?”, chiese lei, animandosi, “E’ stata una cazzata, un’idiozia! Non è successo nient’altro!”
“Lo so! Ti credo! Ma mi da comunque fastidio!”, voleva arrivare fino in fondo, “Così come mi ha dato anche fastidio vederti tornare con Harry, dalla gita a cavallo... Voi due che ridevate, io che mi preoccupavo....”
“Non so come fartelo capire, Danny.”, disse lei, scuotendo la testa ed allargando le braccia, “E’ un problema che io mi faccia altri amici? Ti lamenti tanto della gelosia di Tamara e sei addirittura peggio di lei.”
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
“Perché dobbiamo costantemente litigare, Dan...”, si riprese Little, “Non ne ho più voglia... Non ha senso continuare così.”, e si voltò, percorrendo gli ultimi scalini.
Aveva voluto rovinare tutto, fino alla fine.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
Che cosa sarebbe successo nel caso in cui avesse capito qualcosa che non avrebbe voluto sapere? Avrebbe preso gli ultimi pezzi di quel rapporto, raccogliendoli da terra per stracciarli e renderli polvere.
“Little.”, la chiamò, prima che lei chiudesse la porta della sua stanza, escludendolo una volta per tutte dalla sua vita.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
Quella domanda continuava a trafiggergli le orecchie e faceva così tanto male che preferì lasciare le scale, diretto verso qualcosa che avrebbe lo sicuramente distratto, come era sempre stata capace di fare.
La musica.
 
 
Si erano lasciati, per colpa sua. La relazione tra Danny e Tamara era finita e lei ne era responsabile, ma avevano già discusso su quel punto, lei gli aveva già detto di non voler essere colpevole per aver involontariamente causato la sofferenza di qualcuno, e quando lo aveva visto sconvolto, nervoso, e bisognoso di parlare era stata pronta ad assisterlo.
Come qualsiasi amico avrebbe fatto.
Anche se le costatava una fatica immensa ed una dose di autocontrollo che era sicura di non possedere né adesso né mai, voleva farsi in due per aiutarlo a farsi perdonare da Tamara, perché sapeva quanto lui le voleva bene.
Come qualsiasi amico avrebbe fatto.
Perché loro due erano quello, erano amici, e gli amici si aiutavano quando erano nel momento del bisogno. Ma ogni volta, ogni sacrosanta volta che Danny si comportava in quel modo, lei iniziava a sentirsi come dentro ad una prigione. Tutto quello che faceva, che diceva, che pensava, doveva renderne di conto a lui.
Aveva pianto una vita dentro ad una cella, e non voleva mai più tornarci dentro.
Forse era l’ora che Danny sapesse davvero.
Tutto.
Carica di rabbia e rancore, qualcosa di cui forse non si sarebbe mai liberata del tutto, uscì fuori dal posto più sicuro del mondo, la sua camera, e scese le scale. Sentiva della musica, piano, quasi sussurrata dalle casse dell’impianto del salotto. Danny doveva aver messo su qualcosa, tanto per ingannare il tempo e non sentirsi troppo in colpa, come era suo solito fare. Riconobbe le note dolci della chitarra di Eva Cassidy, una delle artiste preferite di Arianna e a cui lei si era abituata. Niente di meglio per rilassarsi e, se non ricordava male, anche a lui piaceva molto.
Si era seduto sul divano, il gomito ben saldo sul bracciolo mentre la mano aperta sosteneva la testa, lievemente inclinata, e le dita tenevano il tempo di una lenta ballata blues.
Prese un profondo respiro.
“Dan?”, lo chiamò.
Non rispose, né si mosse, e le dita si fermarono sui braccioli.
Inconsapevolmente, le stava rendendo le cose più facili, molto più facili.
“Puoi anche rimanere lì dove sei, non mi importa. Basta solo che tu mi ascolti. Che tu mi ascolti bene.”, gli disse.
Inspirò ancora, acquistando forza.
“Ti odio. Ti odio davvero tanto.”
Glielo aveva detto.
“Ti odio perché mi fai stare male. Da quando sono nata ad oggi, tutti quelli che mi hanno fatto sentire così li ho buttati fuori dalla porta di casa, oppure sono morti. E non avrei mai pensato che avrei odiato anche con te.”
Strinse i pugni.
“Ma prima di chiederti di lasciare questa casa e tornartene da dove sei venuto, ti voglio dire quello che hai preteso di sapere da sempre.”
Sì, glielo avrebbe detto, si meritava di andarsene con quel peso sulle spalle.
“Sai come si chiamava mio padre?”, gli fece, “Si chiamava Stefano. E sai da quanto tempo non pronunciavo più il suo nome? Da almeno tre anni. Hai un’esclusiva, Danny, e nemmeno  te ne rendi conto, perché odio talmente quel nome che mi fa schifo solo pensarlo. Dougie non lo sa, ora potrai sentirti realizzato nell’essere un passo avanti a lui.”
Aveva una valanga di particolari come quello che non aveva mai rivleato a nessuno, avrebbe potuto spendere tutte le ore della notte nel raccontarglieli, per la sua contentezza.
Ma non era assolutamente necessario.
“Ti chiederai perché non abbia tutta questa buona stima di mio padre, perché non lo abbia mai nominato, perché sia sempre stata reticente nel parlare della mia famiglia in generale. Danny, se tu avessi avuto qualcuno che ti picchiava continuamente, senza un valido motivo, credo che saresti stato esattamente come me. Con i miei stessi problemi, le mie stesse paure, e la mia stessa voglia di tenere tutto dentro.”
Odiava sentire riaprirsi quella ferita inguaribile e le venne da piangere, ma si trattenne.
“Ogni momento poteva essere quello giusto per alzare le mani su di me, per farmi del male. Ti chiederai perché nessuno abbia mai fatto niente per fermarlo. La risposta è alquanto scontata: tutti avevano paura di lui e l’unica soluzione era stargli lontano ma, questo lo sai anche tu, sono andata a finire nella rete di Miki, che non era peggiore dell’altra, però si somigliavano molto.”
Stava provando gusto nel trattarlo in quel modo.
“Vuoi sapere dove a lui piaceva picchiarmi particolarmente? Sulla schiena, perché lì non si vedeva, perché lì gli altri non avrebbero visto. Però qualche volta andava pesante anche sulle braccia, costringendomi a giustificare i lividi con la mia goffa presenza fisica. Evitava con cura di toccarmi il viso perché i segni sarebbero stati inequivocabili ma a volte, quando era veramente incazzato, non disdegnava darmi qualche schiaffo.”
Avrebbe smesso solo se lui si fosse voltato.
“Ora sai più o meno le stesse cose di cui anche Dougie è a conoscenza. Sei contento? Sei ancora geloso di lui? Oppure vuoi che mi tolga la maglietta e ti faccia vedere il più bel ricordo che ho di mio padre?”, gli chiedeva, “Ah no, è vero, come ho fatto a scordarmi che oggi sei entrato in camera e mi hai visto praticamente nuda! Tu l’hai già notata, sai di cosa sto parlando, e se fossi solo un attimo più intelligente capiresti anche un’altra cosa. Cioè che in piscina, a casa tua, indossavo la t-shirt non per paura di scottarmi, ma perché non volevo che tu la vedessi.”
La sentiva quasi bruciare, come se fosse ancora viva.
“E’ cambiato qualcosa tra di noi, ora che lo sai?”
E lui se ne rimaneva lì, con la testa appoggiata sulla mano, seduto, tranquillo. Sembrava addormentato. Non dava alcun cenno di aver ascoltato, né lo sentiva emettere qualsiasi rumore, neanche un solo e semplice respiro. Che cosa gli sarebbe costato voltarsi e parlarle? Ora che aveva finito poteva farlo tranquillamente, non aveva niente da aggiungere, aveva detto tutto il possibile e l’immaginabile.
“Dì qualcosa, almeno!”, lo provocò per l’ennesima volta, “Sembra che tu non abbia capito assolutamente un tubo.”
Qualche attimo di silenzio.
“Ho capito.”, disse, con voce terribilmente bassa.
Non le bastava, assolutamente no. Una risposta semplice come quella non era sufficiente. Aggirò il divano, bracca incrociate, e gli si pose davanti. Era bello, una volta ogni tanto, guardarlo dall’alto in basso, fargli provare un po’ di quel senso di inferiorità che i tipi della sua altezza inducevano da sempre nelle ragazzine come lei.
Testa bassa, nessuna volontà di darle l’attenzione che si meritava. Danny l’aveva tartassata, lui e le sue richieste di spiegazioni, e ora che gli aveva fornito i dettagli più importanti sembrava fregarsene. Dal canto suo non fece niente, aspettò solo che lui alzasse gli occhi per degnarla di un po’ di rispetto. Dovette attendere una manciata di tempo prima che lui la accontentasse, facendole gelare il sangue. Le si bloccò il respiro in gola.
Danny si passò una mano sulla guancia, cancellando via il segno trasparente che la imbruttiva.
“Potresti farmi gentilmente passare?”, le chiese, ancora seduto, “Vorrei andarmene.”
Non seppe rispondergli.
Si alzò, annullando ogni senso di stupida superiorità.
“Ti ho chiesto di spostarti.”, si spiegò meglio, “Dovrei andare a cercare di rimettere a posto le cose con Tamara.”, e si asciugò anche l’altra lacrima.
Un borbottare simile ad un ‘va bene’ precedette il suo spostarsi di lato, per permettergli di uscire dal salotto a passi veloci. Il rumore delle scarpe sugli scalini la svegliò.
“Dan!”, lo chiamò, correndogli dietro.
Più o meno nello stesso punto in cui lui le aveva teso la mano, nel tentativo di farsi ascoltare e perdonare, Joanna si trovò a fare la stessa medesima cosa. Prese il suo polso e lo costrinse a fermarsi.
“Danny, per piacere, stammi a sentire…”, cercò di trattenerlo.
“No, ho sentito abbastanza.”, si oppose lui, “Adesso lasciami, devo telefonare a Tamara.”
Le sue dita si erano strettamente saldate al suo polso, stringendolo più che poteva, e comunque non fu sufficiente, perché non riuscì a resistere alla mano libera di Danny, che un dito dopo l’altro si sbarazzò della sua presa.
Aveva avuto ragione Dougie.
Se sbagliava, se continuava a sbagliare e se avrebbe sbagliato per sempre in futuro, era sempre e comunque colpa del suo dannato vittimismo. Lei e il suo vedere tutti, compreso Danny stesso, come un nemico sempre pronto ad attaccarla. Se fosse stata più calma, se non si fosse fatta prendere dal panico, la questione del bacio si sarebbe potuta risolvere con tranquillità, facendo capire a Danny che era stato un errore e che non doveva preoccuparsene, perché tra lei e Dougie si era chiarito tutto e subito. Quello sfogo crudele era stato completamente gratuito.
Danny poteva essersi preoccupato per lei, pure un pochino troppo, ma di certo quello non giustificava la cattiveria con cui gli si era rivolta.
Prigioni. Prigioni…
Ma quali prigioni, era lei che si strozzava con le sue stesse mani.
 
 
 
 
Una decina di chiamate perse. Aveva un unico modo di contattare il mondo d’oltremanica e lui lo dimenticava, come se fosse stato inutile. Controllò ed ebbe la netta sensazione che Tom lo stesse cercando con urgenza, era stato lui a telefonargli con così tanta urgenza. Accantonò per un attimo Tamara per dedicarsi a lui, che rispose dopo qualche squillo.
Dan, mi stavo decisamente preoccupando.”, gli fece, “E’ tutto a posto?
“Hai una domanda di riserva?”, ridacchiò, piuttosto che piangere ancora, “Perché non è che abbia molta voglia di rispondere.”
Ok, ho capito…”, disse Tom, con il suo solito tono conciliante.
“Cosa volevi, Fletchy?”, gli domandò.
Uhm… Beh, niente di importante…”, rimase sul vago, “Solo sapere come stavi.”
“Meno male che non sai dire le bugie così come scrivi le canzoni, altrimenti saresti da rinchiudere.”, lo colse in contropiede, “Dimmi cosa c’è, Tom.”
Ma no… Non è poi così… Importante.
“Fletcher, per cortesia.”
Ci mancava solo quello, che si mettesse a fare il prezioso. Quella era una giornata di merda, perché cercare di renderla migliore, di alleggerire la pillola? Sentì dei rumori di fondo, gli parve quasi di riconoscere la voce di Harry.
“C’è Drummer McHot lì con te?”, gli fece.
Sì, è qua a casa mia.”, rispose Tom.
“Potrei parlare con quel coglione?”, distinse nettamente le parole di Harry.
Tom si preoccupò di tappare la cornetta, cosicché non potesse sentirlo, ma l’orecchio fine del musicista serviva anche a quello, cioè ad ascoltare conversazioni a lui estranee.
No, lascia fare a me.”, rispose Tom a loro batterista, “Glielo dico io.”
Tu sei sempre troppo buono, fammici parlare.”, ripeté Harry.
Ti dico di no, ci penso io, credi che sia deficiente?
Sei totalmente incapace di dare notizie del genere, dammi quel telefono.”
No!
Fletcher!
Danny sbuffò in una risata. Come rimedio anti-tutto, i McFly erano meglio di qualsiasi altro conforto.
Ti ho detto di no, torna a giocare con la X-Box!”
E dammi ‘sto cazzo di telefono…
La breve litigata, seguita da una piccola colluttazione sul possesso del cellulare di Tom, lo distrasse dall’idea di dover ricevere una notizia dai duellanti.
Jones, ci sei sempre?”, prevalse la voce di Harry su un definito vaffanculo da parte di Tom.
“Sì, sono qua. Cosa c’è?”, gli disse.
Judd si schiarì la gola.
Tamara se n’è andata di casa. L’abbiamo vista uscire con le sue cose e salire in macchina di una sua amica, quella con i capelli rossi e ricci.”, sciorinò con semplicità.
Ma ti sembra questo il modo di dirglielo!”, protestò Tom in sottofondo, prontamente zittito da Harry.
“Ah… Ok, grazie per avermelo detto, Harry.”, gli disse, “Hai nient’altro da farmi sapere?”
Oh, sì, visto che ci sono un paio di cose devo proprio dirtele, Jones.”, fece l’altro.
La pianti?”, lo sgridò ancora Tom.
“Dimmi pure.”, lo esortò Danny.
Senti, sono sicuro che appena capirai quello che voglio dirti inizierai subito col darmi del demente e del visionario”, anticipò Harry, “ma voglio comunque continuare.”
“Vai pure, tratterrò ogni commento fino alla fine del tuo discorso.”
Perfetto…
“Non è che siete incazzati con me perché sono partito senza dirvi niente?”, lo interruppe subito, fulminato da quell’idea improvvisa.
Ma no, figurati.”, rispose l’altro, e notò subito la lieve inflessione sarcastica della sua voce, “Mica siamo incazzati per quello.
“Però siete arrabbiati.”
Sì, abbastanza.”
Era stanco di continuare a giustificare il motivo della sua partenza. Non era già chiaro e lampante?
Potevi rendertene conto anche prima.”
Rimase spiazzato.
“Di cosa? Scusami Judd, ma non ti seguo.”
L’altro stronfiò pesantemente.
All’inizio mi sono voluto cullare su una nuvola, pensando che avessi messo la testa a posto. Ma mi sono sbagliato, di grosso.
“Harry, per cortesia…”
Ti ci voleva proprio la morte di suo padre per capire che ne sei innamorato?
Judd! Chiudi quella cazzo di bocca!
L’urlo di Tom sovrastò completamente la voce di Harry, ma Danny aveva capito benissimo.
Dovevi proprio partire per l’Italia, litigare con Dougie, mentire a Tamara e tenerci all’oscuro di tutto per capire che sei innamorato di Little come un…”
Dammi questo coso!
E la chiamata si chiuse, tacendo una pesante imprecazioni di Harry.
Si sedette sul bordo del letto, così come aveva fatto tante volte, in quei giorni confusi. Cancellò un’altra lacrima e poi un’altra ancora, vergognandosi del crollo che stava avendo. Le aveva mostrate a Little solo per farle vedere il male che la cattiveria nelle sue parole gli aveva fatto provare, ma si era sempre vergognato di piangere in presenza di altre persone.
Innamorato di Little? Si pose quella domanda a raffica, come se la prima risposta data a caso avesse potuto rivelarsi quella giusta, ma non ne arrivò comunque nessuna.
Quando era con lei si sentiva bene, sé stesso, rilassato e tranquillo, come se tutto stesse tremendamente andando per il verso giusto. Gli veniva voglia di scherzare, di prenderla in giro, di farla arrossire… Di farla stare bene, così come quando lui era con lei. Gli piaceva vederla sorridere, e pensava di avere in comune con lei la caratteristica peculiare di veder contenti prima gli occhi e poi le labbra. Ma gli piaceva anche quando si innervosiva, quando stringeva i pugni ed alzava la voce, per farsi sentire da chi non la ascoltava, nonostante le sue parole potessero essere letali come le lame della sega di un falegname.
Che si fosse ingannato? Non gli sembrava plausibile, soprattutto perché quei mesi con Tamara erano stati speciali e sapere che se n’era andata di casa, che Harry e Tom l’avevano vista salire con le valige in un’auto e lasciare tutto... Era impossibile da sopportare.
Aveva sempre saputo di avere le spalle abbastanza forti da sorreggere pressioni impensabili per un individuo comune, per il cosiddetto uomo della strada. Ma era comunque fatto di pelle e di ossa, e prima o poi anche quelli come lui cedevano.
Se ne fregò di tutto, dei dubbi e delle incertezze, di chi non era lì con lui, e uscì dalla stanza. Con sicurezza, posò le dita sulla maniglia dorata e la abbassò. La luce del sole, ormai tramontato, era tiepida ed illuminava solo parte della stanza.
“Che vuoi!”, protestò subito Little, che gli dava le spalle distesa sul letto, su un fianco, senza nemmeno voltarsi.
Si avvicinò al letto e vi salì sopra, stendendosi accanto a lei. La sentì irrigidirsi ma la ignorò, passandole un braccio sopra i suoi, rannicchiati al petto. Lei cercò di allontanarlo, ma con caparbia insistenza tornò ad abbracciarla.
Non cercava assolutamente niente da lei, solamente sentirla vicina.
“Little Joanna, per favore.”
Per l’ultima volta lei cercò di liberarsi del suo abbraccio, che prontamente la avvolgeva di nuovo. Non vedeva oltre i capelli biondi e lievemente mossi, né al di là del suo collo, delle  sue spalle piccole e coperte da quella maglietta nera, un po’ larga. Però sapeva che stava piangendo, e che stava trattenendo a stento le lacrime.
Con difficoltà, l’altro braccio riuscì a passare sotto al suo collo, per chiudersi poi davanti a lei, insieme al destro. Danny chiuse gli occhi, ascoltando il rumore del respiro di Little che sussultava ad ogni singhiozzo.
“Stai tranquilla, ci sono io.”, le disse, sentendo la sua voce rompersi.
Il magone alla gola diventò un dolore insostenibile ed affondò i denti nelle labbra, incapace di resistere ancora. Little non era l’unica a cercare di mangiarsi le lacrime, piuttosto che piangerle.
Prese un profondo respiro, deglutì, ma niente.
Si lasciò andare solo quando sentì la propria mano aprirsi e le dita di Little incrociarsi con le sue.




Eccomi, in ritardo... Sono breve: la canzone che dà il titolo al capitolo ed anche il brano estratto sotto di esso è di Paolo Nutini. My Last Request non è stata usata da me con scopo di lucro. Direi che ci siamo, non credete? ^^ Vi chiedo scusa se ci saranno errori in questo capitolo, ortografia e varie, ma non l'ho riletto -_-
Bene, passo ai ringraziamenti!

ludothebest: ti ho stanato!!! Ma c'è qualcuno che ha fatto la spia... Ed entrambi sappiamo chi è! Tana per Silvia XD Ti ringrazio, davvero tanto **  La sfuriata di Dougie è piaciuta a molti (tutti) ed anche  a me. Anch'io avevo iniziato a sopportare poco questa ragazza, ho deciso quindi di farle aprire gli occhi :)  Alan, oooooh Alan... Ci sei o ci fai, Alan? XD Credo che sia la frase che lo caratterizza meglio in questo sequel :) Beh, cosa mi rimane da dire, se non GRAZIE.... Quindi, grazie :) Davvero, con il cuore.

Ciribiricoccola: Se si incontrano, credo che passerebbero la serata a consolarsi a vicenda, pensando che sarebbe meglio dimenticare tutti i DAD di questo mondo XD  La Fiat Duna per quella famiglia? Mmh... Non c'è una Pandora familiare? XD Grazie, scema che non sei altro **

Picchia: oh eccoti! Ti stavo dando per dispersa! Ma tanto ti trovo su feisbuc! XD Baciamo le mani e grazie del pensierino... Mi ha fatto piacere ** Grazie ancora!

CowgirlSara: e gliel'ho detto anch'io a quei due, ma non mi ascoltano mai! Fanno sempre come cavolo gli pare, ma sarà possibile???? La penso esattamente come te... Che si diano una mossa, per Diana!

Giuly Weasley: certo che l'ho vista XD Haroldo, anche se mi sta antipatico, stavolta ha detto il giusto, non credi? Forse ha stasato un po' il cervello otturato di Danny, che poveretto sta impazzendo... Per una volta, fa qualcosa di buono quel ragazzo! Grazie anche a te, Emily XD **

kit2007:  ieri sera mi hai ricordato involontariamente che non avevo aggiornato, ma comunque non ce l'ho fatta a postare... Beh, sono pienamente d'accordo con tutto quello che hai detto, non ho da aggiungere niente. Credo che Tamara abbia bisogno di essere capita, e non solo criticata. Mi dispiace solo di non averle dato lo spazio che si meritava... Grazie anche a te XD Sono esaurita!

_Princess_: il ritardo è diventato patologico, affligge anche la mia pubblicazione. Non è voluto da parte mia, che torno ogni sera alle otto dal lavoro e trovo a fatica il tempo e la volontà di mettermi qua. Non ho manco la voglia di mettermi a correggere il capitolo, figurati un po'... Se poi penso che dovrei mettermi sulla tesi anche la sera dopo cena, mi sparo. Se non ti leggo, è per questo, così come non leggo la Sara, Ciribiricoccola e tutti gli altri aggiornamenti che seguivo da tempo. Ti dico queste parole in risposta alle tue: so che non avevano alcun tono accusatorio nei miei confronti, ma purtroppo ho provato un po' di fastidio nel leggerle.  Mi dispiace, non ho potuto farne a meno, ho troppa pressione sulle spalle e non sempre risco a scaricarla nel modo più corretto :) Ti ringrazio comunque con il cuore, perchè i pensieri che mi lasci, così come tutti gli altri, non possono non farmi piacere. E' fuori discussione.


Bene, ho finito :) scusatemi ancora. Ruby.
   
 
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