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Autore: Paperback White    24/06/2015    1 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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16. THE SILVER BEETLES 
(You've got to hide your love away)

 
Hey you've got to hide your love away
Hey you've got to hide your love away
 
How can I even try?
I can never win
Hearing them, seeing them
In the state I'm in
How could she say to me
Love will find a way?
Gather round all you clowns
Let me hear you say
 
Hey you've got to hide your love away
Hey you've got to hide your love away
 
Quando arrivai a casa il sole era sorto da poco tempo e mia zia non si era ancora svegliata. Sospirai di sollievo notando che la porta della sua stanza era chiusa: almeno ero riuscita ad evitare che non mi avesse vista dormire a casa. Mia zia non era una tipa ansiosa, ma come qualunque genitore o tutore si sarebbe davvero preoccupata non trovandomi a casa e avrebbe aspettato il mio ritorno in preda all’ansia, non sapendo se chiamare la polizia oppure attendere ancora. Fu per me un pensiero in meno, sottratto alle idee che mi affolavano la mia mente e che mi accompagnavano mentre tentavo di addormentarmi: tra i vari sentimenti si facevano largo la rabbia, i sensi di colpa e la frustrazione per non aver saputo gestire quello che era successo. Ma cosa avrei dovuto gestire? Dare un nome a quella sensazione non era per me una cosa semplice e soprattutto non avevo alcuna voglia di affrontarla. Sapevo che quel nome avrebbe portato ulteriori guai, ulteriore dolore ed io non né potevo più: ero solo stanca di soffrire, ed era meglio per me evitare di approfondire ancora di più la questione. Non sarei dovuta finire a letto con Stuart, non avrei mai dovuto farlo. Mi coprii il volto con la coperta, come a volermi nascondere da tutto il mondo che mi circondava, vergognandomi di ciò che avevo fatto. Ma forse era davvero quella l’unica soluzione, l'unica idea che sembrava avere un senso: non dire nulla a nessuno di quello che era successo e conseguentemente dimenticarmi qualsiasi sentimento avesse dettato tutto ciò. Gelosia o qualsiasi altro tipo fosse stato. Nascondere nel più profondo angolo quel mio affetto nei confronti di John e Paul, riprendere in mano la nostra amicizia e andare avanti.
Fu con quel proposito che mi addormentai, e come se quella dormita mi avesse convinto maggiormente, mi sveglia con una forza del tutto nuova. In me vi era un sentimento positivo, la voglia di migliorare tutto, la consapevolezza che se non agivo avrei perso quello che avevo guadagnato in quegli anni; con i miei sforzi avrei potuto aggiustare anche quello che avevo involontariamente rotto.
Mi presentai a casa dei miei due amici, per potermi scusare con entrambi. John fu più comprensivo, in realtà non sembrava essersi mai davvero arrabiato, e accettò la mia scusa banale. Forse era stanco per le prodezze che doveva aver compiuto quella notte con Cynthia per pormi altre domande e mettermi in difficoltà. Finito con lui lasciai Mendips e attraversai il campo da golf che la separava da casa di Paul, e potei parlare anche con lui. A differenza di John, Paul era più lucido e anche più furioso. In effetti lo avevo insultato, nonostante stesse cercando di scusarsi, e questo lo aveva infastidito ancora di più. Avevo decisamente esagerato e solo in quel momeno potevo capire quanto fossi stata sciocca: Paul non aveva agito contro di me, ma io avevo preso tutto sul personale, comportandomi come una ragazzina viziata. Tentai anche con lui una qualche scusa, girai intorno al fatto che fossi gelosa di questa sua fidanzata e lo pregai di perdonarmi. Nacque una nuova discussione a toni più pacati, poiché io avevo il peso della notte precedente sullo stomaco, e quello mi impediva di arrabbiarmi. Sentii tutte le parole di Paul, le sue lamentele su come si fosse snervato a dover litigare con me, ed ogni mia risposta era un “hai ragione” oppure “scusami”. Fosse stata una situazione diversa probabilmente avrei anche risposto a tono, avendo anche io un carattere suscettibile, ma in quel caso non potevo fare altro. Alla fine accettò le mie scuse, forse perchè la mia partenza si avvicinava e nessuno dei due voleva che ci lasciassimo in quel modo così brutto.
Salutai Liverpool e quella mia dimenticabile esperienza, decisa a non commettere di nuovo gli stessi errori. I primi di novembre ero già in viaggio per Londra e al mio rientro ricevetti continue notizie da John e da Paul, segno che comunque quel litigio era stato superato. Qualsiasi atteggiamento sgradevole era stato dimenticato da entrambi e con un sospiro di sollievo potei ricominciare la mia vita lavorativa, sommergendomi di lavoro ed evitando di pensare a quella notte. Decisi di non riferire mai nulla nemmeno a Claire e Josh perché il riparlarne, il ricordare quei momenti, mi avrebbe fatta stare solo peggio. I primi tempi non fu facile, le immagini di quella sera si ripetevano nella mia mente ogni volta che prendevo in mano una lettera di John e di Paul, e il non potermi sfogare con i miei amici londinesi appesantiva quella mia sensazione. Temevo che anche loro mi avrebbe potuta mal giudicare, per cui era meglio evitare che la notizia si diffondesse in giro: meno persone erano coinvolte e meglio era.
A conclusione di quel periodo negativo, due furono gli eventi principali nella quotidianeità dei Moondogs. Furono due situazioni diverse, a cui risposi quasi alla stessa identica maniera.

Procedendo cronologicamente, prima ci fu la tanto sospirata finale a Manchester, il 15 novembre, a cui non potei partecipare per via del lavoro. Purtroppo i ragazzi non vinsero la gara, anche se utilizzare la parola sconfitta è piuttosto inappropiato: il gruppo non aveva potuto assistere alla fase finale perché erano stati costretti a rincasare prima della fine dello spettacolo, con la loro conseguente espulsione (1). L’unico guadagno che ricevettero fu che "magicamente” John si ritrovò in possesso di una nuova chitarra (2) e quindi potè presto tornare a suonare anche lui.

L'aspetto “positivo” fu l'ammissione di Stuart nella band.

Tutto avvenne per caso, se si può chiamare in questo modo. Diversamente da John, Stuart era amato dai professori, essendo uno studente modello dotato di grande talento e deciso a fare di quel mondo il proprio lavoro. E proprio per questo fu invitato a presentare un suo quadro alla John Moores Exibition (3), dove parteciparono molti giovani artisti. Si presentò un dipinto monumentale intitolato Summer Painting (4), un'enorme tavola di cui solo una parte venne esposta, ricevendo grandissimi consensi dal pubblico. Il suo fu un successo non solo dal punto di vista morale ma anche finanziario: lo stesso John Moores rimase talmente colpito dal lavoro del nostro amico che volle comprare la tavola alla fine della mostra, pagandola 65 sterline.
Stuart era tutto eccitato, aveva appena venduto un suo quadro! Tutti gli facevano i complimenti e preannunciavano il suo futuro successo in campo artistico. Ma finite le pacche sulle spalle e gli elogi, vi era in sospeso una domanda: "Cosa fare con quei soldi?"
Stuart illustrò vari modi su come poteva utilizzare quella somma, tutti orientati su divertimenti e altro materiale per realizzare un nuovo dipito; ma John non era esattamente dello stesso parere.

"Buffo che tu abbia quella somma, è la stessa per comprare un basso Hofner (5)"

Ma Stuart non era interessato alla musica, lui voleva solo dipingere. Le insistenze di John su come sarebbe stato fantastico averlo nel gruppo, sul fatto che mancasse proprio un bassista e che fosse un buon modo di impiegare quella somma furono davvero pressanti.

"Stu, ascolta, amore. Un Hofner, un poker d'assi... la fama!"

Spalleggiato da un Paul meno partecipe e convinto del maggiore, Stuart cedette, e si recò al solito negozio di musica per acquistare quello strumento. Fu in questo modo che Stuart riuscì ad entrare in quel particolare nucleo che al tempo si faceva ancora chiamare Johnny and the Moondogs (6).
E la mia reazione alla notizia fu una sola: paura. Paura perché avrei dovuto vedere con maggiore frequenza l’oggetto dei miei dispiaceri e dei miei sensi di colpa, paura che lui potesse cedere, come se il fatto che suonasse con loro lo rendesse più vicino e debole, pronto a raccontagli tutto. Ed inoltre, sapevo che appena avrei incrociato il suo sguardo mi sarei sentita persa e io stessa non avrei saputo cosa fare. Esattamente come quando i miei occhi erano annegati dentro i suoi, mentre le sue mani scorrevano lungo il mio corpo, io ero imprigionata dentro quella situazione. Lessi più volte con rabbia la lettera di John che mi annunciava quella che lui riteneva una stupenda notizia, seduta a gambe incrociate sul mio letto, rigida nella mia posizione. Gettai quei fogli di carta lontano da me e sprofondai tra le coperte, respirando piano. Fosse stata un’altra situazione sarei stata ben contenta del suo ingresso… ma come potevo esserlo dopo quello che era accaduto? Al momento anche lui sembrava aver mantenuto quella frettolosa promessa che ci eravamo dati al nostro ultimo incontro, ma cosa sarebbe successo appena ci fossimo rivisti? Quello fu il mio primo pensiero, che mi faceva battere forte il cuore e sprofondare in una baratro oscuro di paura. Chiusi gli occhi e tentai di calmarmi un momento. No, non mi sarei fatta sconfiggere dalla sua presenza, avrei metabolizzato anche questo e sarei riuscita a trattenermi: il pensiero di poter perdere John o Paul se lo avessero scoperto mi spaventava più della presenza di Stuart, ed era il motivo per cui avrei resistito. Ci volle qualche giorno però prima che davvero cercassi di non farmi prendere dal panico appena i miei occhi si posavano sulla lettera, ricordandomi quella che per me era una tragica notizia. Tentati di guardare i risvolti positivi, sperando mi fossero d’aiuto in quella missione: ora la band era più grande con un nuovo strumento al suo interno, il che sicuramente la rafforzava. Era una bella cosa, a prescindere da chi fosse il nuovo arrivato, e dovevo quindi gioire per i miei amici. Ora rimaneva solo da trovare un batterista fisso, e quello fu un problema importante per i ragazzi. Sembrava sempre che nessuno fosse adatto e tutti duravano sempre pochissimo, abbandonati da John e gli altri, oppure anche viceversa.  Ma questo non fermava i ragazzi che sembravano pervasi da un’energia nuova, che li spingeva a fare sempre di più.

Mentre i Moondogs andavano consolidandosi sempre più, la fine del 1959 era ormai giunta. Gli anni della nostra adolescenza lasciavano lo spazio alla nuova decina, gli anni '60, periodo dove la cosidetta Beat generation (7) americana non solo si era fatta sentire, ma sarebbe entrata prepotentemente nelle nostre vite.
Ma ci volle ancora del tempo, perché il nostro “Beat” emergesse.
Se gli anni ’50 erano stati il periodo dei primi divertimenti, dei primi cambiamenti, delle prime ribellioni, quello stile di vita andava sempre più aumentando: la quotidianeità dei ragazzi era ormai piena tra musica, cinema, ballo, sport, moda e qualsivoglia passatempo, divenendo centro dei nostri pensieri. E fu per questo che non ti devi stupire se, al limite di quelle decadi, nel 1959 e nel 1960, tutta una generazione pianse disperate lacrime per due vite che si erano appena spente: già colpiti dalla morte di Buddy Holly (8) ora dovevamo scontarci con la perdita di Eddie Cochran (9), che gli stessi John, Paul e George avevano potuto ammirare dal vivo, in quel fatale tour britannico che lo vide calcare le scene per l'ultima volta (10). Ma la tragedia non era abitudinaria nelle nostre vite? Se prestavamo attenzione alle notizie di cronaca avremmo potuto scorgere titoli che erano nuovi solo all'apparenza, ma che in realtà avevano un'eredità più antica: come la notizia della cessazione degli accordi economici tra USA e Cuba, che ne faceva di nuovi con URSS (11), quell'ombra che aveva minacciato tutti quanti, anche quando non potevamo rendercene conto. Quel sentimento ci era in realtà familiare, quella paura per qualcosa di così grande che negli anni avrebbe tinto di rosso le nostre giornate, nonostante non fossimo fisicamente presenti al centro dell’azione. Ma il rosso era un colore che non ci piaceva: alla mia generazione piacevano tutti i colori, il giallo, il blu, il verde, l’arancio e il rosa; il bianco e nero della televisione, i disegni geometrici, e una sola parola doveva regnare sovrana: divertimento. Fu questo concetto a cambiare quegli anni scuri, ad essere il bianco sul nero dello guerra, l’altra faccia della medaglia, il bello in un periodo che politicamente non lo era. Questa è l’unicità degli anni ’60, l’essere così diversi da qualsiasi periodo che fosse mai esistito e non più in grado di ripetersi con la stessa energia e la stessa autenticità.
 
***
 
Per me l'inizio di quel nuovo decennio non fu molto diverso dal precedente. L’unico cambiamento fu la mia occupazione: diminuii il mio impegno con i bambini per poter lavorare al mattino in un negozio di stoffe dentro il nuovissimo centro commerciale di Stratford (12). Questo mi permise di avere un'entrata economica più sicura, che potesse quindi essermi utile per poter aiutare la mia famiglia e tenermi momentaneamente occupata. Non era il massimo del lavoro, per lo più era un noioso apprendistato poco pagato in cui mi si insegnava a compiere piccole riparazioni: ma era qualcosa. Quello era un periodo apatico per me, non sapevo bene cosa volessi fare della mia vita; non avevo grandi notizie sulle ricerche sui miei parenti e mi sentivo al capolinea, come bloccata ad un punto morto. L’unica cosa che volevo fare era scrivere, scrivere un romanzo che potesse essere pubblicato e che avrebbe avviato la mia carriera. Certo, il poco tempo libero non mi avvantaggiava, e nemmeno la mia occupazione mi dava una qualche soddisfazione. Forse questo mi condizionava in qualche modo, perché quando mi mettevo davanti alla mia Olivetti riuscivo a produrre ben poco. Avevo appena iniziato una storia, o per lo meno la bozza di qualcosa che aveva una vaga forma di un racconto senza un vero e proprio genere. I personaggi erano a malapena descritti e anche tutto l’impianto generale era totalmente da sistemare: insomma quello che stavo creando proprio non mi piaceva. Ma l’idea era buona e sapevo che avrei dovuto solo continuare a lavorarci per tirare fuori il meglio da quelle poche pagine. Inoltre, quel periodo coincise con la rottura tra Claire e Thomas, il suo storico fidanzato, e le mie energie erano rivolte verso di lei, per aiutarla a superare quel brutto periodo. In realtà era stato lei a lasciarlo dopo aver capito che quel rapporto la soffocava. Fu una decisione sofferta, ancor di più perché lui voleva sposarla ma lei non si sentiva ancora pronta. Sentiva di doversene stare per conto suo, per realizzarsi e fare le sue esperienze: queste le avrebbero fatto capire chi fosse davvero Claire Morgan e cosa volesse fare della sua vita. Il suo lavoro le piaceva, la sua vita le andava bene… ma se ci fosse stato altro? Altro da fare e da vedere, prima di mettere un sigillo sulla sua vita. Fu un gesto coraggioso e maturo, che affrontò davvero nel migliore dei modi. Era solo una ragazza di appena vent’anni in preda all’ansia, ma nonostante questo prese in mano la situazione e vi pose fine, volenterosa di affrontare un futuro totalmente incerto. Non sapeva se aveva fatto la scelta giusta o sbagliata ma aveva dovuto farla, ed io ero orgogliosa di lei e della sua forza. Per questo mi feci volentieri carico di raccogliere tutta la sua disperazione, che riversava sulla mia spalla in calde lacrime appena ci trovavamo sole io e lei, in un ambiente chiuso e protetto dagli sguardi del mondo. Si sentiva un mostro per quello che aveva fatto, ma per me non lo era; anzi ammiravo quello che era riuscita a compiere, e che doveva essere il bene per lei e Tom. Dopotutto non poteva sposare un uomo che realmente non amava. Ma di sicuro Tom non la pensava così: ed ecco là che per lui lei era il suo mostro personale. Come il mio era stato Ben, il ragazzo che aveva spezzato il mio cuore, la cui presenza era ancora ingrombrante nel mio subconscio. E forse chissà, anche lui si sentiva distrutto come lei, piangendo per il dolore che mi aveva procurato. Per quanto mi sforzassi di capire non potevo minimamente paragonare Claire a Ben: erano sempre e comunque due atteggiamenti diversi no? Non potevo vedere Claire, la mia meravigliosa migliore amica, al suo stesso livello. A prescindere che per qualcuno fosse un mostro, per noi era solo la nostra amica, e per questo io e Josh le fummo sempre vicini, sostenendola in questa scelta difficile e cercando in tutti i modi di aiutarla a superare la situazione.

E fu anche per questo che la notizia di Josh ci arrivò inaspettata.

Eravamo entrati nel quarto mese dopo la separazione della mia amica e stavamo passeggiando vicino a Trafalgar Square (13), approfittando di una giornata gradevole dopo quasi una settimana di pioggia. Claire sembrava dare i primi segni di miglioramento, essendo disposta ad uscire e partecipando ai nostri discorsi. Mentre camminavamo scorgemmo poco distante una libreria, e decidemmo di entrare per cercare qualche nuovo libro. Era stata la stessa Claire a proporci di farci un giro in quel negozio, ed entrambi ci eravamo guardati sorridenti, accettando quella proposta. Il vederla gironzolare tra quegli scaffali era uno dei primi segni positivi dopo un periodo davvero brutto. Certo non era la solita Claire, capace di farti sorridere con il suo modo di fare allegro e coinvolgente, ma rivedevo l’impronta della mia vecchia amica in quei suoi gesti, il che mi rendeva davvero felice.
Forse fu l'attegiamento più aperto della cugina che indusse Josh a volerci parlare.

-Ragazze vorrei dirvi una cosa- ci fece lui, interrompendo la nostra ricerca tra gli scaffali.
Io e Claire lo guardammo incuriosite, domandandoci entrambe cosa dovesse dirci. Sperai che fosse una bella notizia, che sarebbe davvero servita a tutti quanti.
-E' qualcosa di buono?- fece Claire.
-Si, anche se non so se sia il momento adatto per parlarvene...- si morse il labbro, guardandosi intorno –Forse non è nemmeno il luogo adatto-
-Ormai ci hai incuriosite, quindi sei costretto a sputare il rospo!- gli dissi, divorata dalla curiosità.
Claire annuì convinta, e lui alla fine si arrese.
-Bè... ecco... diciamo che mi sto frequentando con una persona...-
Io e Claire spalancammo gli occhi e lo guardammo stupite.
-Hai trovato un ragazzo??? E perchè non ce l'hai detto prima?!- urlai senza nemmeno rendermene conto.
-Shhhh- fece Josh, guardandosi intorno. In effetti alcune persone si erano girate, sentendomi gridare.
-Scusa- feci io, arrossendo.
Claire sorrise della mia goffagine, e io la guardai un momento, contenta di vederla così.
-Non sapevo se fosse… se potevo…- iniziò lui, in imbarazzo. Capì che il suo disagio era legato alla situazione della cugina.
-Sei un testone!- lo rimproverò dolcemente lei –Non devi farti simili problemi. E una gran bella notizia e non posso che esserne felice. Anzi sono proprio notizie come queste che mi fanno stare bene-
L’espressione del nostro amico si distese mentre sentiva le parole della mia amica. Sembrava essersi tolto un gran peso sulla coscienza, come se non potesse essere felice ora che lei non era al massimo della forma.
-Josh sei sempre il solito...- scossi la testa io, unendomi a quella gioia collettiva.
Quell'avvenimento era davvero una notizia eccezionale: Josh aveva trovato un ragazzo. Quello che ai suoi occhi era sembrata una cosa impossibile alla fine si era avverata; certo sarebbero stati costretti a nascondersi, ma era comunque una cosa bellissima. E se già la situazione non era già semplice così, a complicare il tutto ci fu altro: il ragazzo di Josh, Roy, era il figlio del fotografo presso cui il mio amico lavorava.
-Non sarà facile- disse, facendo un piccolo sospiro -Ma voglio tentare. Non voglio avere rimpianti-
La serietà con cui ci guardò ci convinse, frenando qualsiasi parola in più. Josh era cosciente in cosa si stava andando a cacciare, i rischi che avrebbe corso: ma per lui anche solo una parvenza effimera di felicità valeva qualsiasi cosa. E uno come Josh si meritava questo e anche di più.
-Io direi che dobbiamo festeggiare- feci io, abbracciando i miei due amici –Josh porta queste due donzelle a mangiare qualcosa!-
-ahah cos’è questo, un modo per farti offrire del cibo?- mi rispose lui.
Claire annuì –Mi merito un racconto dettagliato e sdolcinato del vostro primo bacio-
-Vi siete messe d’accordo per caso?- sbuffò, fintamente annoiato –E va bene vi offrirò qualcosa, furbone-
-Ce ne hai messo per deciderti!- gli dissi io.

Ridendo come matti e guadagnandoci le occhiatacce di alcuni clienti per il chiasso, lasciammo la libreria tutti e tre abbracciati, tornati ad essere almeno in quel momento i vecchi Freddie, Josh e Claire. E’ davvero unico e incredibile il modo in cui un vero amico possa mettere da parte il proprio stato d’animo per essere partecipe della gioia o della tristezza dell’altro. Questa era il tipo di rapporto che legame me, Claire e Josh, un qualcosa di talmente speciale che non credevo mai avrei provato e che mi riempiva il cuore, rendendomi euforica e dannatamente felice.
 
***
 
Se per me fu un momento morto, per i ragazzi invece la situazione iniziò a prendere un'accellerazione improvvisa e inaspettata. Il 1960 fu davvero un'anno importante per la crescita del gruppo, un anno che segnò un nuovo corso. Era iniziato con l’entrata di Stuart nel gruppo, e anche se non vi furono veri e propri concerti, i Moondogs continuavano ad esibirsi durante alcune feste scolastiche. Spesso andavano all'accademia frequentata da Stuart e John, dove suonavano a questi party organizzati dall'associazione studentesca, di cui faceva parte anche Bill Harry, quel loro amico che avevo conosciuto al Casbah (14).

Nel frattempo il legame tra John e Stuart divenne ancora più stretto e questo creò le prime gelosie di George e soprattutto di Paul (15). Non lo disse apertamente ma io conoscevo bene Paul e sapevo che la quasi totale assenza di Stuart nelle sue lettere e la freddezza con cui ne parlava aveva un solo motivo: era un qualcosa che conoscevo bene, un sentimento che non era semplice antipatia ma vera e propria gelosia. Paul e George si impegnarono il doppio per non sfigurare davanti ai due ragazzi più grandi, per dimostrare che erano alla loro altezza nonostante fossero solo dei liceali. In effetti, John era maggiorenne ormai e loro due erano ancora dei ragazzini: in quel momento, quei pochi anni di differenza avevano un certo peso non indifferente. Inoltre, il mondo del college aveva le sue attrattive, fatte di libertà, spericolatezz, e soddisfazioni a livello intelletuale, tutte cose che attiravano anche Paul e George, ma che erano come l’aria per un tipo come John. Ed erano, purtroppo per loro, cose che non potevano ancora entrare nelle sfere d’interesse dei due minorenni, totalmente spaesati in confronto alla grande apertura mentale di quello studente d’arte. Ad esempio, la breve avventura estiva dei The Dissenters (16) che coinvolse John e Stuart, un gruppo di studenti guidati dal professor Ballard (17), che erano soliti riunirsi allo Ye Cracke (18) oppure a Gambier Terrace, discutendo di vari argomenti. Oltre a vaghi esercizi culturali, questa parentesi fu per Paul l’ennesima prova di come Stuart e John fossero davvero affiatati e pronti a gettarsi nei progetti più diversi, in cui lui era escluso. E per di più era con quello stesso Stuart che non dimostrava grandi miglioramenti con il basso, strumento inadatto nelle sue mani da pittore (19). Agli occhi di Paul quel ragazzo aveva sconfinato in un territorio che era suo e di John e che oltrettutto sembrava non competergli; spesso faceva un enorme fatica nel nascondere il suo disappunto per le scarse qualità musicali di Stuart, sicuro che lui avrebbe potuto fare di meglio. Paul ci teneva davvero molto al gruppo, quindi l’incapacità di quel ragazzo fu solo un ulteriore motivo di fastidio per lui. Ma non poteva dirlo a John perché forse non avrebbe capito. John era un ragazzo sensibile ma non sembrava davvero notare la tristezza di Paul, che sentiva che il suo amico lo stava pian piano abbandonando. Se solo si fosse confidato come me gli avrei fin da subito detto cosa ne pensavo: ovvero che Paul e John erano due anime affini e nessuno poteva dividerli. Purtroppo, quando ci si trova all’interno delle situazioni non ci si rende conto di quello che si ha intorno, e si creano solo paranoie e paure anche immotivate. Certo, era vero che ora vi era Stuart come presenza importante nella vita di John, lo avevo notato persino io, ma questo non implicava che non vi fosse più spazio per Paul. Se lui avesse osservato bene John avrebbe comunque notato che non era davvero cambiato nulla, che per John il parere di Paul contava, come era importante il suo supporto e la sua frequentazione. E il viaggio che compirono nella primavera del 1960 doveva dimostrare questo a Paul. Lui e John si recarono verso sud, ospiti per qualche giorno da una cugina di Paul che gestiva un piccolo pub in una zona che non era il massimo del divertimento (20). Eppure John aveva accettato perché il poter passare le vacanze di pasqua con il suo amico Paul gli faceva piacere, oltre al fatto che poteva evitarsi le solite lamentele di Mimi, pronta a riempirlo di domande sulla scuola. Ed inoltre fu anche un’occasione per potersi esibire, solo loro due, facendosi conoscere nella tranquilla e forse noiosa Caversham (21). A testimonianza di quella esperienza, conservo ancora una cartolina che mi mandarono in quei giorni, la foto di panorama gradevole panorama e poche parole scritte sul retro:
 
Per la signorina Auster Martini dall’emergente gruppo dei The Nerk Twins (22),
la cui scoppiettante carriera li ha portati al top in due giorni
conquistando tutto il pubblico di Reading,
ma ahimé, già costretti a sciogliersi dopo due brillanti performance.
La tua pasqua come procede?
Ti salutiamo con due grandi baci
John e Paul.
 
Sorrisi a quelle parole, immaginandomi quei due ragazzi sul palco di un pub che non avevo mai visto, con le loro chitarre in grembo ad intonare canzoni dei nostri artisti preferiti. Quando mi arrivò quella piccola cartolina erano già finite le vacanze e John e Paul erano tornati a Liverpool, di nuovo dai Moondogs, chiudendo quella breve parentesi. Entrambi mi parlarono con entusiasmo di quella esperienza, e lo stesso John mi disse che se fosse andata male col gruppo avrebbe proposto a Paul di fondare un duo, sicuro che avrebbero avuto successo.

“Il duo Lennon/McCartney? Oppure McCartney/Lennon?” mi chiesi io, pensando tra me e me ad unire i loro due nomi, notando che non suonavano affatto male.

Lasciata quell’esperienza alle loro spalle, arrivò subito maggio, che fu un mese ricco per tutti loro: il proprietario del Jacaranda (23), un certo Alan Williams (24), divenne il primo vero manager dei miei amici (25). I ragazzi lo avevano conquistato dopo averlo persuaso a farli esibire, mostrandogli la loro bravura, capace di convincere il signor Williams a farli suonare al suo club; ma il suo interesse non si fermò là, e ben presto si propose a loro come manager. Era una notizia importante perché avere qualcuno che li avrebbe agevolati a sponsorizzarsi e a trovare nuovi spettacoli era quel balzo in avanti che serviva al gruppo per rafforzare la propria immagine, che passava ora a quella di semi-professionisti, anche se non ancora al livello di gruppi come Rory Storm and The Hurricanes oppure i Cass and the Cassanovas. La presenza di Williams si rilevò importante sin da subito, trovando per loro un batterista disponibile, un certo Tommy Moore (26), un tipo che in realtà non piaceva molto ai ragazzi ma che decisero di tenere con loro finché non fosse spuntato uno migliore.
Ora avevano un manager, un batterista e una nuova credibilità: non erano più gli scanzonati Quarry Men e nemmeno quel piccolo e accroccato nucleo che erano i Johnny and the Moondogs. E proprio per questo meritavano un nome più adatto, come gli suggerì lo stesso Williams, un nome che potesse colpire il pubblico.

Fu proprio per quello che in una discussione stravagante tra John e Stuart che nacquero i The Silver Beetles. Fu Paul a darmi per primo la notizia: durante una serata in cui si ritrovavano tutti e quattro a camminare per Gambier Terrace, nei pressi della cattedrale di Liverpool, John disse "Ehi chiameremo il complesso The Beetles". Paul e George obiettarono "Non è un po repellente?", ma John e Stuart gli mostrarono cosa li aveva spinti a quell'idea: entrambi avevano rivisto insieme Il selvaggio (27) di Marlon Brando e si erano a dir poco eccitati all'idea di potersi chiamare come la banda di teppisti di quel film. Inoltre, se già esistevano i The Crickets, la band di Buddy Holly, perchè non potevano esserci anche altri coleottori ad entrare a far parte del panorama musicale? (28)
A completare il titolo con “Silver” fu una proposta di Stuart, che avrebbe reso il nome meno orripilante alle orecchie di Williams. Fu durante un concerto a Seaforth il 14 maggio del 1960 che sul palco si presentarono ufficialmente i Silver Beetles (29), cinque ragazzi che facevano timidamente il loro ingresso nel vasto panorama musicale che stava appena nascendo, e che avrebbe poi preso il nome di Merseybeat (30).
 
NOTE
(1)= Johnny and the Moondogs si esibirono alla finale all'Hippodorme Theatre di Manchester, eseguendo la canzone Think it over. Però non poterono attendere l'annuncio perché l'ultimo treno per Liverpool partiva prima della fine della serata, per cui non vinsero quella competizione.

(2)= In un'intervista è Paul che ci rivela che John si era "procurato" una chitarra dopo lo spettacolo, e che "qualcuno si sarà trovato sprovvisto del proprio strumento" a fine concorso.

(3)= John Moores Exibition era una mostra biennale che ebbe luogo dal 17 novembre 1959 al 17 gennaio 1960 alla Walker Art Gallery di Liverpool, sponsorizzata da sir John Moores (25 gennaio 1896-25 settembre 1993; è stato un uomo d'affari e filantropo inglese, fondatore della "John Moores Foundation" nata nel 1964 come ente di beneficenza per raccogliere soldi per altre organizzazioni comunitarie nella zona del Merseyside e nell'Irlanda del Nord).

(4)= Summer Painting è un dipinto di Stuart Sutcliffe realizzato su un'asse di legno, grande circa due metri e mezzo per due metri e mezzo, che esprimeva l’irruenza e l’inquietudine della sua generazione. Il lavoro procedeva con estenuante lentezza ma valeva lo sforzo: la tela aveva una grande risonanza con un velo di figure irregolari in un campo sfumato di verde e azzurro, caratterizzata da una astratta energia, alla base della vocazione di Stuart. Vista la grandezza dell'opera essa fu collocata su due tavole diverse, e per via della misura solo una parte venne portata alla mostra, per poi essere comprata da John Moores.

(5)= Il basso Hofner president è uno strumento della marca Hofner, oggi fabbricato in Cina. Rispetto alla versione di Stuart il basso ordieno ha la cassa molto piu grande (almeno il doppio di spessore) che fa si che per suonarlo comodamente bisogna tenerlo allacciato molto basso. Il suono è molto profondo e caldo, è di colore ambrato, sfumato dall'esterno all'interno della cassa, e presenta le tipiche chiavi di violino che caratterizzarono questo strumento.

(6)= Questo fu come più o meno John e Paul riuscirono a convincere Stuart ad entrare nella band. Le fasi trascritte in corsivo sono le stesse che i protagonosti hanno usato per raccontare come si svolsero i fatti.

(7)= La Beat Generation fu un movimento artistico, poetico e letterario sviluppatosi dal secondo dopoguerra e principalmente negli anni cinquanta negli Stati Uniti. Nasce da un gruppo di scrittori americani e venne alla ribalta dagli anni '50, così come i fenomeni culturali da esso ispirati. Gli elementi centrali della cultura "Beat" consistono nel rifiuto di norme imposte, le innovazioni in stile, la sperimentazione delle droghe, sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo e rappresentazioni esplicite della condizione umana. Della Beat Generation fanno parte inoltre i movimenti culturali afferenti al maggio 1968, l'opposizione alla guerra del Vietnam, gli Hippy di Berkeley e Woodstock; ha anche contribuito a rinforzare il "mito americano". Jack Kerouac ha introdotto l'espressione Beat Generation nel 1948, per caratterizzare quel movimento giovanile anticonformista che si faceva spazio nell’underground newyorkese. Il nome nasce da una conversazione con lo scrittore John Clellon Holmes. John Clellon Holmes definisce il movimento in un articolo in qualità di manifesto estetico, pubblicato sul New York Times nel mese di novembre del 1952, dal titolo “This Is the Beat Generation”.

(8)= La prematura scomparsa di Buddy Holly a soli 22 anni, in un tragico incidente aereo in cui perirono anche Ritchie Valens e Big Bopper, fu spesso denominata "la prima grande tragedia del rock" e ha considerevolmente contribuito ad alimentarne il mito. E' stata dedicata una canzone all'evento, avvenuto il 3 febbraio 1959, ed è intitolata "The Day the Music Died" (traducibile in lingua italiana come “Il giorno in cui la musica morì”), talvolta indicata anche come “The Day the Rock Died”. Poco dopo l'una di notte il Beechcraft Bonanza guidato dal pilota Roger Peterson (che volle decollare nonostante le cattive condizioni meteorologiche), perse quota all'improvviso andandosi a schiantare in una piantagione di granturco poco fuori Mason City, la località da cui era decollato, otto miglia a nord di Clear Lake, nello Iowa (USA). Nell'impatto il pilota e i tre passeggeri persero la vita. I tre musicisti, impegnati in una lunga tournée nel Midwest, si erano esibiti quella sera alla Surf Ballroom di Clear Lake e si erano rimessi subito in viaggio: la sera dopo avrebbero dovuto tenere un altro spettacolo nel Nord Dakota. L'inchiesta giudiziaria condotta subito dopo il fatto consentì di accertare che il disastro aereo fu dovuto ad una combinazione di maltempo abbinato ad un errore del pilota (il giovane e inesperto Peterson, che stava ancora perfezionando la preparazione per il volo notturno) dovuto probabilmente a disorientamento spaziale.

(9)= Eddie Cochran morì alla giovane età di 22 anni, durante un suo tour britannico. Secondo alcune voci, durante una visita a Blackpool, Eddie è stato preso da un cattivo presentimento di morte, al punto tale da cercare una chiromante per essere tranquillizzato. Nei giorni successivi, Eddie si accompagnava solo ad una bottiglia di bourbon, cercando di dimenticarsi delle preoccupazioni. Nel mese di aprile del 1960, stanco e preso dalla nostalgia di casa, accolse quasi con liberazione la notizia del termine del tour. Il volo di ritorno era previsto per il 17 aprile, ma Eddie chiese di organizzare il viaggio di ritorno a Londra già la sera successiva. Il conducente della Ford Consul su cui si trovarono Eddie, Gene Vincent, Sharon Sheeley e il manager Pat Thompinks, era un certo George Martin, che era già stato presentato a Cochran e a Vincent durante il tour. Lo scontro avvenne intorno alle 23:50 a Chippenham, nel Wiltshire, contro una vecchia e malmessa A4: procedendo ad alta velocità, il loro autista sbagliò strada e Thompinks lo avvertì subito dell'errore. Nel tentativo di fermarsi troppo bruscamente, egli perse il controllo dell'automobile che sbandò e si schiantò contro un lampione con un basamento di cemento. Vincent, Sheeley e Thompinks sopravvivono all'impatto, pur con diverse fratture, mentre Eddie fu sbalzato prima contro il tettuccio dell'auto e poi sulla strada, riportando gravi danni cerebrali e una emorragia interna al torace. Trasportato in stato di incoscienza all'ospedale St. Martin di Bath, venne dichiarato clinicamente morto alle 4:10 di Domenica 17 aprile. L'autista venne condannato a sei mesi di reclusione per omicidio colposo a causa della guida pericolosa, ad un'ammenda di 50 sterline e alla sospensione della patente di guida per quindici anni. Eddie venne seppellito al Forest Lawn Cemetery, a Cypress, il 25 aprile.

(10)= Nel marzo del 1960 i ragazzi erano andati a vedere Eddie Cochran e Gene Vincent all'Empire di Liverpool, anche se il solo George vide altri loro concerti nel nord dell'Inghilterra.

(11)= La fine dei rapporti economici dell'America con Cuba e il suo avvicinamento alla Russia fu il primo segnale che portò ad un nuovo ciclo di guerre più forti e violente che scossero tutto il mondo, anche in quei paesi che non erano direttamente colpiti.

(12)= Stratford è un quartiere situato nel borgo londinese di Newham, a 9,8 chilometri a est-nordest di Charing Cross. Già area rurale appartenente alla parrocchia di West Ham, sviluppatosi lungo la strada che collega, fin dall'epoca romana, Londra con Colchester, Stratford si trasformò in area industriale con l'arrivo della ferrovia nel 1839. Con l'apertura delle fabbriche più inquinanti, durante il XIX secolo, le condizioni per i residenti di Stratford sono peggiorate a causa principalmente della povertà, del sovraffollamento e della scarsa igiene e salute. La deprivazione della zona continua anche nel XX secolo, quando, a causa della massiccia disoccupazione in cui tutta la Gran Bretagna versava nel periodo tra le due guerre, Stratford è stata teatro di proteste e sommosse. Durante questi anni di declino, la reputazione di Stratford è diventata nettamente negativa principalmente a causa dell'alto tasso di criminalità e della presenza di gang, in particolare dei Stratford Mandem, della gang di Abbey Lane e dei Maryland Bloods. Progetti di riqualificazione di Stratford cominciano a partire dagli anni 60, quando vengono aperti il nuovo centro commerciale Stratford Centre e il nuovo scalo merci di Londra.

(13)= Trafalgar Square è una piazza di Londra dedicata al ricordo della Battaglia di Trafalgar (1805), in cui la Royal Navy di Horatio Nelson sconfisse le flotte combinate di Francia e Spagna, durante le guerre napoleoniche. In origine doveva essere intitolata a Re Guglielmo IV, ma l'architetto George Ledwell Taylor suggerì e ottenne di darle l'attuale nome. L'area era sede delle stalle reali (King's Mews) fin dal tempo del re Edoardo I. Negli anni '20 del XIX secolo il Principe Reggente (il futuro Giorgio IV) assunse l'architetto John Nash per riqualificare la zona. Nash inserì la piazza nel suo progetto relativo a Charing Cross. La sistemazione odierna della piazza è dovuta a Charles Barry ed è stata completata nel 1845. Nella piazza, che è spesso sede di manifestazioni politiche, si trova la famosa Colonna di Nelson. L'obelisco della piazza rappresenta l'occhio del drago che, secondo la leggenda, si pensa abbia combattuto contro Enrico VII d'Inghilterra. La piazza ospita dal 1824 la sede della celeberrima National Gallery. A sud della piazza, inserito armoniosamente nel contesto architettonico, trova luogo l'Admiralty Arch. Progettato da Sir Aston Webb, è dotato di un monumentale cancello che dà accesso a The Mall, il viale delle parate ufficiali della famiglia reale, che conduce direttamente a Buckingham Palace. Dalla parte opposta invece parte un'altra importante arteria di Londra: lo Strand.

(14)= Al college suonavano il rock camuffandolo con il blues, poiché non era accettato. L'unica concessione fu "When you're smiling" di Louise Armstrong. I party erano organizzati da alcuni studenti, tra cui Bill Harry che riuscì a far passare la proposta di pagare loro stessi l'attrezzatura che i ragazzi utilizzavano durante le feste.

(15)= Sono gli stessi George e Paul ad ammettere che l'intromissione di Stuart avesse tolto le attenzioni che gli dedicava John: essendo più grande aveva una certa aura sopra i due membri più giovani.

(16)=  The Dissenters sono un gruppo di intellettuali che svilupparono appassionate discussioni per creare un profilo culturale underground a Liverpool durante l’estate del 1960, sulla scia dell’esempio fornito dalla Beat Generation americana. Tra i membri dei Dissenters vi furono John Lennon, Stuart Sutcliffe, Bill Harry, Rod Murray (artista e amico dei ragazzi) e Royston Ellis (Il "Paperback Writer" nella canzone di Paul McCartney del 1966, che componeva ispirandosi alle opere di Allen Ginsberg).

(17)= Arthur Ballard era un'insegnate del Liverpool College of Art e tra i suoi allievi sono annoverati John Lennon e Stuart Sutcliffe. Soprattutto verso quest'ultimo Ballard provava una grande ammirazione e spesso lo sosteneva nei suoi progetti.

(18)= Il Ye Cracke è un pub situato a metà di Rice Street, la via parallela a Mount Street dove si trovavano il Liverpool Institute e il College of Art. Per questa ragione, il pub era luogo di incontro degli studenti provenienti dai due istituti superiori, che lì avevano la possibilità di riunirsi a discutere in gruppo. Il locale era formato da piccole stanze impregnate di fumo e macchiate di nicotina, e ce n’era anche una denominata “War Office”, soprannome che risaliva alla guerra di Crimea e che derivava dal fatto che al tempo del conflitto i frequentatori di quella saletta si incontravano per commentare gli avvenimenti bellici. Era in quella stanza che il professor Arthur Ballard teneva delle lezioni ai propri studenti del College of Art, sotto un’incisione che raffigurava “La Morte di Nelson”. Ovviamente, vista la natura del locale, i dibattiti e le conversazioni erano accompagnati da libagioni di birra, in special modo la “black velvet”, una mistura di Guinness e sidro.

(19)= Stuart non era un gran musicista. Appena preso il basso  i ragazzi gli insegnarono a suonare Thirty Days di Chuck Berry, che fu la prima cosa in assoluto che imparò. Scelse un paio di pezzi e si mise ad esercitarsi finchè non li seppe eseguire, seppure in maniera piuttosto stentata.

(20)= Nella primavera del 1960 John e Paul si recarono a Reading, a trovare la cugina Betty Robbins e suo marito Mike.

(21)= Caversham è un sobborgo di Reading, situato nella parte centrale dell’Inghilterra, inserito ora nella contea di Berkshire, sebbene storicamente avesse fatto parte della contea di Oxfordshire fino al 1811. Si trova sulla sponda occidentale del Tamigi, di fronte a Reading, e si estende fino ai piedi delle Chilterns, le basse colline che si allungano da Goring-On-Thames a Luton. Il villaggio presenta diverse aree conosciute come Caversham Heights, la zona residenziale sulle colline, l'area commerciale vera e propria, Lower Caversham, la zona artigianale ed industriale a sud-est ed il Caversham Park, un’altra zona residenziale a nord-est.

(22)= The Nerk Twins è il nome del duo formato da John e Paul a Reading. La cugina di Paul gestiva un pub, The Fox and the Hounds, e nelle due giornate del 23 e del 24 aprile, dopo aver lavorato sodo, gli concesse di potersi esibire in due spettacoli diversi nel week end. Suonarono alcuni pezzi, tra cui The World is waiting for the sunrise (John melodia, Paul accompagnamento) e Be bop a lula di Gene Vincent.

(23)= Il Jacaranda si trova al 23 di Slater Street, nella zona dei caffè ritrovo di studenti e intellettuali, dove si trovava l'ex orologeria Owens. Dopo aver scelto il nome (tratto dal libro The Jacaranda Tree), il proprietario Alan Williams aveva reclutato un gruppo caraibico di steel band che si esibiva nel locale. Al pianterreno, protetti da un’ampia vetrata che dava su Slater Street, stavano dei tavolini con sedili imbottiti e un piccolo locale cucina. Si scendevano le scale e si giungeva a un angusto scantinato in cui suonava il complesso. Il posto era prevalentemente un punto di incontro degli universitari di Liverpool, ma era frequentato anche da musicisti (fra di essi Cass and the Casanovas e Rory Storm and the Hurricanes) e da studenti della scuola d’arte. John e Stuart trascorrevano parecchio tempo in discussioni che riguardavano argomenti artistici e filosofici. Fu proprio Stu, su richiesta di Williams, che dipinse alcuni murales nello scantinato. Il locale da ballo nel seminterrato del “Jac”, una “prigione soffocante”, era stato ricavato da una cantina in mattoni col pavimento di pietra adibita originariamente a magazzino per il carbone. John e Stu non mancarono di andare ad ascoltare la musica nello scantinato tirandosi dietro anche Paul e George, e lì vennero a sapere che il palco era offerto a gruppi locali nei giorni di riposo della Steel Band. I Silver Beetles diedero al Jacaranda una dozzina di concerti nel periodo tra maggio e agosto del 1960. In seguito, il locale cambiò il nome in Maxie San Suzie, trasformandosi in un cocktail bar. Dopo la scomparsa di John Lennon, il club riacquistò il nome che aveva in origine, sfoggiando sul muro una targa con una fotografia dei Beatles e la scritta “Il primo locale in cui hanno suonato i Fab Four”.

(24)= Allan Richard Williams (nato 17 marzo 1930 a Bootle, Liverpool) è un ex imprenditore e promotore e il primo manager dei Beatles. Nel 1958 Williams ha affittato un ex negozio di orologi di riparazione a 21 Slater Street, Liverpool, che si è convertito in un bar. I Beatles furono clienti assidui del locale, durante il periodo in cui John e Stuart studiavano al Liverpool Art College e Paul e George stavano ancora al Liverpool Institute.

(25)= Williams divenne manager dei Beatles dal 5 maggio 1960, quando, dopo aver ascoltato i ragazzi, si convinse a fargli quella proposta.

(26)= Thomas Henry "Tommy" Moore (12 settembre 1931 - 29 Settembre 1981) è stato un batterista inglese che ha suonato con i Johnny and the Moondogs (in quel periodo The Silver Beetles) da maggio a giugno del 1960. Nato a Liverpool, Moore lavorava come autista e durante il tempo libero si dedicava alla musica.

(27)= Il selvaggio (The Wild One) è un film drammatico del 1953 diretto da László Benedek con protagonista Marlon Brando, ma figurarono molti altri attori noti del tempo, come Lee Marvin. Stuart amava molto quel film, e il nome Beetles viene ripreso proprio dalla banda di motociclisti capeggiata da Lee Marvin.

(28)= Anche se oggi il termine “beetle” è sinonimo di “scarafaggio”, in realtà il suo significato è quello di "coleottero", designando tutti gli insetti appartenenti a quella categoria (mentre la parola “cricket” vuol dire "grillo").

(29)= Sul nome The Silver Beetles, forse poi divenuto The Silver Beatles e solamente The Beatles vi sono vari racconti. Io ho scelto questa versione, per poi approfondire le ulteriori vicende dell'evoluzione del nome nei prossimi capitoli.

(30)= Il Merseybeat è il genere dei primi gruppi beat (La musica beat -dal verbo inglese to beat, battere- è un genere musicale nato dal rock and roll con influenze swing, blues, skiffle e doo-wop e sviluppatosi nel Regno Unito all'inizio degli anni sessanta, dopo la moda dello skiffle) di Liverpool (dal nome della Mersey, il fiume che attraversa la città, con cui è denominata anche la regione).

ANGOLO DELL'AUTRICE: Come sempre, per il rotto della cuffia ce l'ho fatta! Mi scuso enormemente per il ritardo, ma sono stata davvero impegnata! Che dire, so che non è interessante come capitolo dal punto di vista della storia, è più che altro un capitolo corridoio, un capitolo storico come piace a me e diciamo di sviluppo più della band che di altro. Da qui inizieranno i capitoli molto storici, con le vicende del gruppo che si fanno sempre più intense: fino al primo soggiorno ad Amburgo di vere e proprio scene del nostro triangolo ce ne saranno poche... ma il tutto mi serve per quello che sto creando ora, e vi assicuro che dovrete pazientare davvero poco perché già tra 4 capitoli inizierà la parte più interessante. Si, vi porto su e vi porto giù come le montagne russe, vi cuocio a fuoco lento e vi riempio di informazioni... ma verrete premiate lo prometto <3
Per Freddie non sarà un periodo facile e, come avrete intuito, la canzone del sottotitolo è tutta dedicata a lei che sta passando un momento poco carino. Ma avrà la sua rivalsa, non disperate!
Visto che questo week end ho l'anniversario del concerto romano dei Beatles e dovrei partecipare a degli eventi (oltretutto il 4 iniziano pure i saldi in negozio), sarò costretta a posticipare a due settimane il prossimo capitolo, cioè a mercoledì 8 luglio.
(Vi voglio lasciare con una piccola anticipazione: nel prossimo capitolo verrà presentato un personaggio importante per la storia del gruppo, e se vi fate due conti con l'anthology in mano avrete già capito di chi parlo ;D)
Infine, i ringraziamenti: non ho molte parole, sono tipo distrutta, però come sempre grazie ad Anya che è davvero importante, e a tutte coloro che mi hanno commentato e sostenuta (cercherò di rispondervi subito), cioè Cagiu_Dida, Penny, Jude, Violetrica e Kia. Mille volte grazie del vostro supporto <3
Al prossimo capitolo
White

(Volevo solo aggiungere che ora, rileggendo del Jacaranda mi emoziono davvero moltissimo visto che non solo ci ho bevuto qualcosa, ma ci passavo davanti in ogni momento visto che il mio albergo era là dietro <3 Benedettissima Slater Street, che m'ha fatto pijare un colpo appena ho visto l'insegna azzurra del locale!)
  
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