Rosso
ciliegia
Ero convinta che con
quel gesto di rifiuto avesse capito che
non me ne fregava un emerito cavolo di lui, tanto meno avevo voglia di
cenarci assieme.
Beh, ad essere sinceri, ero leggermente curiosa di sapere cosa ci avrei
ricavato dalla maledettissima cena che avevo promesso. Solo un po', lo
giuro!
Ma se si fosse conclusa come avevo sperato forse, e dico forse, sarei
stata
fortunata a trovare un nuovo punto da cui ricominciare…
Eppure mi feci pregare così
tanto che io stessa non mi riconoscevo nel mio modo di fare, o meglio,
volevo
andare alla cena, dopo tutto l'avevo sfidato io, ma la sua voce nelle
telefonate mi sembrò appartenere ad una persona totalmente
diversa da quella
che conobbi quel giorno in poligono. Persino quando mi
incontrò
"casualmente" in sezione, durante un suo giorno libero dal lavoro, mi
sembrò un uomo che non avevo mai visto prima, uno
sconosciuto che possedeva una
voce così artificiosa da farmi impallidire. Ad essere
sinceri non sapevo
davvero niente di lui, ma ero abbastanza afferrata nel carpire le
persone da
sapere che non si trattava dello stesso ragazzo che stranamente mi
aveva
attratta.
Comunque alla fine mi
arresi, per merito o colpa di quello scalmanato
del mio amico/amante/capo Lorenzo. Quel pazzoide mi aveva battuta nello
scontro
corpo a corpo in allenamento, pretendendo che pagassi pegno facendo
qualcosa
per lui. E quale cadeau migliore, a suo dire, potevo fargli se non
liberarlo
dal continuo squillo del telefono nella villetta che condividevamo? E
chi
poteva chiamare così incessantemente se non lui, Ettore?
E così mi
ritrovai ad indossare uno dei miei migliori
vestiti attillati, sempre per imposizione di Lorenzo. Il raso nero
lucido accarezzava
il mio corpo delineando il seno, modestamente, prosperoso e i fianchi
curvilinei, cadeva poi morbido con movimenti fluidi da sotto i glutei
sodi e
alti e si apriva in un lungo spacco sulla gamba sinistra. Sollevai
leggermente
la stoffa traslucida per potermi infilare quelle apparentemente
scomode, ma per
me estrose e meravigliose, decolleté argentate tacco 15
incrociate sul davanti.
-Wow, sei uno
schianto! Fossi io il tuo accompagnatore
stasera…- la voce di Lorenzo mi apparve un po' trasognante e
maledettamente
erotica, ma lo era soprattutto con quello sguardo perso lungo tutto il
mio
corpo e con quella nonchalance di appoggiarsi allo stipite della porta
con una
delle sue forti e possenti mani. Effettivamente non mi sarebbe
dispiaciuto se quella
sera ci fosse stato lui a cena e a vagare le sue mani, esperte del mio
corpo,
su di me.
-La colpa è
tua, mi hai costretto ad uscirci. Io lo stavo
ignorando.- lo rimbeccai scocciata ricordandogli le sue azioni.
Era da tanto che i
nostri corpi non si avvicinavano, questo perché
io mi rifiutavo di ingannarlo ancora, nonostante ci reclamassimo a
vicenda in
un modo assolutamente morboso e irrazionale. Infatti fremetti quando
roteò gli
occhi e mi guardò di tralice, cominciando poi ad
avvicinarsi. Ero consapevole
che non sarei riuscita a sostenere la tensione fra di noi.
-E no, mia cara! La
colpa è tua che lo hai stuzzicato al poligono.
Ricordi?- mi rinfacciò -E poi se non avessi accettato non
l'avrebbe più finita
con le chiamate.- Effettivamente il suo continuo chiamare ad ogni ora
del giorno
era diventato più che snervante, al tal punto che ci fu un
momento in cui
pensai seriamente di strappare il filo del telefono direttamente dalla
parete
per non sentire più quel fastidioso suono che allarmava
sull’attenti entrambi.
Lentamente Lorenzo,
senza accorgermene perché immersa nei
pensieri, avvolse con una mano calda e gentile il mio collo fino ad
affondare
le dita nell'acconciatura semi sciolta, dietro la nuca. Ogni tocco,
ogni
movimento, era una leggera scossa di calore che si propagava dalla mia
pelle ai
miei muscoli, alle mie ossa, raggiungendo il luogo dove il mio
desiderio si
risvegliava, bramoso del suo corpo e di nessun altro.
Mi sentii leggermente
strana, ma soprattutto incoerente.
Dovevo tanto, troppo, a Lorenzo eppure non riuscivo più ad
amarlo come una
volta, sebbene continuassimo a sopravvivere di sesso. In
realtà non si poteva
neanche definire tale, era piuttosto una danza selvaggia e necessaria
che
dall'interno divorava le nostre carni riducendoci a burattini dei
nostri stessi
bisogni fisici. Ma a volte, quasi di sfuggita, riuscivo ad intravedere
una
parvenza di qualcosa di più della sola passione, c'era forse
sentimento o
affetto. Non lo vedevo di certo nei nostri amplessi, ma nei suoi
sguardi, nei
suoi gesti, nelle sue azioni e nelle sue gentilezze verso di me. Ed
anch’io mi
ritrovavo inspiegabilmente a fare la maggior parte delle cose in
funzione di
lui, come se mi fosse vitale rendere tutto più piacevole per
l’uomo che salvò
me e mio fratello, che condivideva vita e lavoro con me, che nonostante
tutto
mi voleva sempre e comunque al suo fianco.
Però, nel
tentativo di combinarmi quest'odioso appuntamento,
ci vidi solo frustrazione, specchio di disagio e irritazione allo stato
puro.
Nessuna traccia di quel bagliore di sentimento che ogni tanto
riaffiorava.
Eppure lo fece.
-Sbrighiamoci allora!
Devo strapparmi questo cerotto
fastidioso il più presto possibile.-
Mi voltai verso lo
specchio per mettermi i punti luce di oro
bianco e diamanti, dandogli le spalle, mentre lui si accostò
dietro di me
incuriosito dai miei movimenti.
-E chissà
che non si riveli una meravigliosa e piccante
scoperta!- aggiunsi impulsivamente alzando un sopracciglio, senza
rendermene
conto davvero, tentando di punzecchiarlo un po'.
Forse ci riuscii
perché le sue pupille si dilatarono, fisse
sul mio riflesso nello specchio. Stranamente però il suo
viso mutò in
un’espressione gentile e amorevole come quella che un tempo
mi rivolgeva quando
la differenza di età si sentiva così forte che
per lui ero solo una sorellina da
proteggere.
-Qualunque cosa
accada, spero che mi permetterai ancora di
prendermi cura di te.- disse a mezza voce come se tutto ciò
gli facesse davvero
male dentro.
Era di una malinconia
che faceva male. Io e lui, da sempre
insieme, come partner, come fratelli, di più, come
confratelli.
-Sempre, da sempre,
per sempre!- e lo fissai negli occhi,
attraverso il suo riflesso.
Mi sfilò la
lunga collana d’oro bianco dalle mani per
allacciarmela dietro la nuca ed accompagnandola con una mano la fece
scorrere fino
a raggiungere la metà dell'ampia scollatura del mio vestito.
Brivido
gelido e scossa calda, le mie spalle nude coperte dalle sue mani.
Mi fece voltare
gentilmente e mi adagiò contro il mobile,
allungandosi dietro di me e combaciando con il mio corpo perfettamente
per
prendere orologio e bracciale ancora sul piano di mogano.
Sangue
bollente nelle vene e respiro mozzato in gola.
Lo osservai mentre mi
alzava polso sinistro e allacciava il
cinturino dell'orologio Wintex, poi me lo liberò
delicatamente nel vuoto e fu
quasi un'agonia vederlo alzare anche l'altro braccio, sempre afferrando
delicatamente
la mia mano, e avvolgere l'altro polso con l'ampio e grande bracciale
d'oro chiaro
intarsiato di venature artigianali. Tuttavia non si fermò
affatto, decise di
percorrermi il braccio da piccoli, lenti e agognati baci lancinanti.
Per me
erano come spine di una rovere che si attorcigliava lungo la mia carne,
bramose
che il mio sangue scorresse, ma al contempo desideravo quel dolore in
grado di
rigenerarmi dopo un tempo che sembrava infinito.
"Non provo
più amore, non più!" tentavo di ripetermelo
in continuazione. Ma chi prendevo in giro? Era come se lo rivedevo per
la prima
volta, era come se me ne innamoravo di nuovo, vedendolo davvero per
quello che
era: un uomo capace di tenermi a bada e consigliarmi nelle scelte
più dolorose,
l’unico uomo capace di suscitare vero sentimento in me.
Si avvicinò
ancor più se possibile e annullò le distanze fa
di noi, mi accarezzò il volto e me lo sollevò
leggermente, mentre il suo sguardo
fisso nel mio mi chiedeva frustrato e bramoso me, solo me, tutta me.
Avvicinò
le sue labbra alle mie, tenendo la sua mano calda e ferrea dietro la
mia nuca e
mi chiese con una voce così calda e sensuale: -Resta con me.-
Sì! Era
palese che volessi rimanere. Era la cosa che volevo
di più al mondo e in quell’istante mi sciolsi.
Senza più difese e senza più
contromosse da giocare, sincera sorrisi distogliendo lo sguardo, ma fu
inutile cercare
una via di fuga da quelle labbra oltremodo rosee e carnose. Lui mi
baciò. Senza
preavviso, senza preamboli, senza inibizioni, con passione, con fame,
con
trasporto.
Potei decretare da
subito che quello fu uno dei baci più
belli che mi diede, poiché mi fu dato con quella voglia di
bisogno e di amare
che da tanto, troppo tempo, mi venne a mancare.
Lì, non me
ne fregava più niente di nessuno, me lo sarei
scopato come mai prima di allora, con quella rabbia e con quella
passione famelica
che non mi appartenevano. Voleva di più, sempre di
più, ed il suo bacio ne era
la conferma. Caldo, no rovente, bisognoso, no rabbioso, voglioso e
sì affamato.
Non smetteva di cedere e non dava segni di voler cessare, non avevamo
ancora
preso fiato e non ne volevamo prendere. Volevamo solo continuare quella
samba a
noi famigliare e trasformarla in un tango rosso di passione.
Come la lussuria che
ci aveva assalito feroce, ancora di più
una consapevolezza amara della situazione si era infiltrata nella mia
coscienza. Purtroppo il mio cervello prese il sopravvento e la ragione
si fece
sentire forte.
-Che ne è
della tua parola?-
-Eh?- fu
l’unico, breve suono che fuoriuscì strozzato dalla
gola di lui, subito dopo che me lo scrollai di dosso. I suoi occhi
brillavano
presi dall’impeto anche se era chiara la sorpresa di
quell’attimo.
-Mi hai letteralmente
costretta ad uscire con questo ragazzo
ed ora non vuoi più? Mi prenderà per bugiarda e
vigliacca.-
Mi fissò in
cagnesco, duro, arrabbiato e deluso. Nei suoi
occhi un impeto a me famigliare che per quanto fosse affascinante mi
terrorizzava.
-Mai!- e con una calma
straziante ma furiosa raccolse il mio
capispalla da una sedia lì vicino, insieme alla mia
pochette, e mi aiutò ad
indossarlo.
Nel giro di mezz'ora
arrivammo al luogo dell'appuntamento.
Se Lorenzo voleva farmi patire l'inferno con Ettore io mi sarei sentita
meno
altera grazie al mio autista personale che costrinsi ad accompagnarmi:
sempre lui.
-Dovevo proprio
accompagnarti?- mi chiese stizzito e
scocciato.
-Ma sta zitto! Stasera
anche tu hai buona compagnia.- dissi
seccata delle sue continue lamentele, scendendo dalla sua Jaguar X-type.
Ci avviammo verso il
locale sulla spiaggia con grande nonchalance,
facendo finta di non accorgerci degli sguardi invidiosi delle altre
persone che
ci circondavano. La location era un connubio meraviglioso tra rustico e
raffinatezza.
Sito direttamente sulla spiaggia, le sue mura erano un alternarsi tra
pareti di
mattoni a vista ed ampie vetrate e il colore blu indefinito che tende
al verde
padroneggiava tutta l'area. Di contrasto l'arancio scuro del tramonto
misto al
grigio delle nuvole vaganti nel cielo incutevano un senso di non
appartenenza,
di smarrimento, per questo sulla soglia del ristorante mi aggrappai al
braccio
di Lorenzo come se fosse la mia unica via di salvezza. Qualcosa in me
era
scattato come un allarme ed avevo seriamente paura che fosse un
campanello che presagiva
un qualcosa di terrificante.
-Ania, che hai?- mi
chiese preoccupato. Dovevo davvero aver
esercitato tanta pressione sul suo braccio, nonostante non volessi
farlo preoccupare,
era solo una paranoia. Mi ricomposi e mi diedi contegno nella speranza
di non
farlo insospettire.
-Niente. Solo un
brivido per la schiena.- cercai di
liquidare la cosa in maniera poco credibile e infatti fu vano.
-Per me?- disse
ironico, alzando un sopracciglio con fare
sensuale, tentando di essere il più spavaldo possibile. Risi
e gli diedi una
pacca sul braccio che ancora tenevo ben saldo, seppur con minore
pressione.
-Non illuderti. E poi
stasera i brividi saranno per un
altro.- lo schernii.
-Smettila!
Così mi fai pentire. Torniamocene a casa!- disse
tutto d'un fiato incamminandosi frettolosamente verso la Maserati e
quasi
trascinandomi con sé.
-No!- urlai -Hai dato
la tua parola, ora la mantieni. Non
fare il bambino!-
Tentai di tirarlo
indietro facendo perno sul contrappeso del
mio corpo. Ciò mi mise a disagio sapendo che la gente
continuava a fissarci,
per l'auto, per il mio Versace, per il suo completo blu scuro di
Armani, ed ora
per quella pantomima infantile che non volevo mostrare ad occhi
sconosciuti.
Si arrese facilmente,
mi guardò negli occhi e ci avviammo
dentro il locale.
Non appena varcammo la
soglia un concierge venne ad
accoglierci tutto impettito con l'aria felice di chi incontra il
Presidente
degli USA. Il locale era solito essere luogo d'incontro dei membri
dell'Organizzazione, ma era eccessivo sbavare per l'entrata del suo
capo e
della sua vice. O forse no? In ogni caso avanzammo nel locale guidati
dall'uomo
in giaccia tight dritta con collo a lancia verso una saletta
più esclusiva,
nella quale vi erano solo quattro tavoli, apparecchiati con delle
pregiate
tovaglie in lino bordeaux e disposti ai quattro lati di una croce
greca. Noi
sorridevamo e ci crogiolavamo nel sapere che qualcuno, non tutti, in
quel
locale sapeva chi eravamo e di conseguenza ci porgeva delle riverenze
rispettose, ma invisibili agli occhi di coloro che ignoravano la nostra
esistenza
nella società.
Lorenzo ed io entrammo
insieme nella piccola saletta
appartata, rivolta direttamente sulla riva del mar Adriatico. Lui si
fermò al
tavolo più vicino alla porta, io invece non facendomi
accorgere di essere
arrivata insieme a qualcun altro mi diressi verso il tavolo
più lontano, dove
Ettore inconsapevolmente mi dava le spalle.
Mentre avanzavo sentii
bisbigliare Lorenzo che
tranquillizzava il concierge del fatto che io non sarei stata in sua
compagnia
per quella sera e sorrisi al pensiero della probabile espressione da
ebete che
venne a crearsi sul volto dell’uomo.
Dovevo smetterla di
preoccuparmi di ciò che mi circondava e
concentrarmi sull'ormai odioso appuntamento che mi aspettava. Cercai
così di
assumere un'espressione entusiasta e nervosa allo stesso tempo
poggiando una
mano sulla sua spalla. Ettore si voltò di scatto sorpreso e
rividi gli occhi
verde plumbeo di un uomo che non riconoscevo affatto e che ogni volta
era
sempre diverso, cambiava di continuo. Ciò mi infondeva
sempre più insicurezza e
mi atterriva rendendomi vulnerabile.
Mi sorrise a trentadue
denti come un bambino che finalmente
otteneva il suo giochino dopo tante insistenze, si alzò e mi
baciò il dorso
della mano per poi aiutarmi a sedere come comandava il Galateo
poggiando la mia
giacca sullo schienale della mia sedia.
Tutte queste
attenzioni mi facevano venire il voltastomaco:
non mi dispiaceva affatto un po' di eleganza, ma il troppo stroppia. Se
fosse
stato Lorenzo avrebbe saputo lasciarmi fare da sola e baciarmi
fugacemente
all'angolo della bocca, accendendo in me desiderio. Pensai a lui che mi
sorrideva sghembo e soddisfatto delle sue malefatte poco lontano da
noi, così
mi ritrovai a guardarlo inconsciamente quando Ettore girò
intorno al tavolo per
raggiungere il suo posto. E mi sbagliavo: non era divertito
bensì infastidito,
forse più di me.
-Allora... come stai?-
la domanda incerta di Ettore mi fece
destare dal flusso dei miei pensieri.
-Stressata ma bene.
Grazie.- risposi fredda e sintetica, ma
sincera, attraversata dall’impeto di fuggire da quella
stramaledetta
situazione.
-A proposito, mi
spiace averti pressato in questi giorni...-
"E meno male che ti
rendi conto di essere
assillante!" pensai.
-...ma... non ti
spaventare. Mi hai rubato il cuore quel giorno
e non riesco più a non pensare a te.-
-Tutto d'un fiato.
Dritto al punto.- tenendo lo sguardo
basso, diedi erroneamente corpo ai miei pensieri, come un giudice senza
cuore
che sputa la sua sentenza.
Non appena me ne
accorsi alzai la testa e imbarazzata chiesi
scusa. Non volevo di certo stare con quell'uomo, in lui c'era qualcosa
che mi
faceva rabbrividire, ma non potevo nemmeno trattarlo male, dopo tutto
non mi
aveva fatto niente che lo meritasse.
-No, no.- si
affrettò a dire lui -Meglio così. Sono fermamente
convinto che dire tutto in faccia e subito sia la cosa migliore per
instaurare
un buon rapporto.-
Mi stava mettendo a
disagio e lo fece ancora di più quando
mi avvolse la mano, con cui stritolavo nervosa il tovagliolo sul
tavolo, con le
proprie e mi fissò con quegli occhi gelidi.
Lorenzo
aiutami! …per carità.
-Allora?-
-Allora cosa?- chiesi
interdetta non seguendo il suo filo
logico.
-Allora cosa provi per
me?-
Allora nel giro di
neanche due minuti quell'uomo riuscì a farmi
distogliere lo sguardo dal suo glaciale e radioso. Aveva uno strano
effetto su
di me e mi rendeva quello che non ero, una fuggitiva,
un’evasiva. A me, che
prendevo tutto di petto.
Lorenzo
aiutami… aiuto!
Vedendo il mio sguardo
perso, rafforzò la sua presa sulla
mia mano costringendomi a guardarlo.
-Ti metto per caso a
disagio?-
Arrossi violentemente,
perfettamente in tinta con
composizione di ciliegie nella ciotola di ceramica verde chiaro sul
tavolo.
Grandi, sicuramente succose e morbide, di un rosso così
scuro che tendevano al
nero della pupilla dei suoi occhi, così profonda e buia.
A
disagio? No, per niente! Tanto.
-No, no. Figurati.-
liquidai frettolosamente e apaticamente
la domanda, ma nella mia voce c’era un chiaro tono di
irrequietezza.
Mi liberò
finalmente la mano, dandomi un po’ di sollievo, e
portò una delle sue su quelle meravigliose ciliegie. Da
quando delle ciliegie
mi attiravano così tanto? Nel mio giardino avevo sette
ciliegi e proprio in
quel periodo i loro frutti erano pronti per essere raccolti, mi bastava
scendere
in giardino e arrampicarmi sui rami. Eppure gli stramaledetti frutti
sul tavolo
erano così interessanti.
Sollevò la
mano e me ne porse una dal gambo. Sarebbe stato
controproducente non accettarla, oltre a ciò era il mio
frutto preferito, non
avrei mai detto di no. La presi e me l’avvicinai alle labbra,
sorrisi nel
constatare che lo smalto delle mie unghie richiamava proprio la
tonalità del
rosso ciliegia, me la cacciai in bocca senza pensarci troppo e ne
staccai il
gambo.
Alzai lo sguardo e
incontrai il suo, mutato, cambiato in
qualcosa di più simile al primo giorno che lo conobbi. Mi
riprese la mano, me
la rivolse col palmo in su e vi poggiò altre due ciliegie.
-Finalmente un
sorriso. Sono contento.- disse raggiante
giocherellando con i due frutti sul mio palmo, tenendomi il polso ben
saldo con
una mano.
E se per un momento
avevo scacciato la preoccupazione ora
ritornava più potente di prima. Strinsi i denti,
dimenticandomi della ciliegia
ancora in bocca e inevitabilmente la morsi liberandone il succo
agrodolce, di
una bontà superba. Ma il retrogusto leggermente amaro mi
ricordò della situazione
in cui mi ero cacciata: a cena con un uomo di cui non sapevo nulla.
Risentii lo stesso
presagio che ebbi all’entrata.
Aiutami
Lorenzo.
D’istinto
afferrai la borsa e feci per andarmene, ma mi
bloccò con la sua presa ferrea ancora sul mio polso
costringendomi a
risistemarmi sulla sedia.
-Ti do noia?-
imitò un bambino offeso e imbronciato.
-No-no…- mi
ritrovai a parlottare per monosillabi, neanch’io
sapevo come, mentre mi fiorava l’interno del braccio con le
ciliegie.
Dal polso fino alla
parte opposta del gomito e ritorno, questo
era il percorso sinuoso delle due piccole ciliegie che reggeva con
l’altra mano.
Ma il ripetersi continuo di quel tragitto straziante mi mandava in
corto circuito
i nervi. Mollai inavvertitamente la borsa che ricadde inanimata sul
tavolo.
Dovetti ammettere che
Ettore era un bravo torturatore,
perché mi ritrovai a sopprimere piccoli e inudibili gemiti
strozzati. Oh, se
era piacevole, ma non lo sopportavo, proprio no! La mia pelle si stava
infiammando di lussuria con quel tocco leggero ma perenne, eppure non
mi
ritrovai a pensare a l’uomo che mi stava di fronte…
Dovevo trovare un modo
per scappare da quel supplizio,
troppo erotico per poterlo sopportare. Dovevo restare concentrata e non
cadere
nella sua misera e meschina trappola. Dovevo inventarmi qualcosa e alla
svelta.
-Ettore- dissi
flebilmente con un tocco di sensualità per
richiamare la sua attenzione e lui sollevò il volto, senza
mai staccare i suoi
occhi dal suo strumento di tortura.
-Sì?-
-Perdonami, ma devo
urgentemente andare ad incipriarmi il
naso.- la mia voce uscì fuori così melensa e
raffinata che era disgustosa
perfino alle mie orecchie. Non seppi come lui riuscì a
guardarmi con quel
sorriso inebetito stampato in viso, come se in me avesse visto ancora
altri
particolari che l’attiravano a tal punto da distrarsi e
mollare la presa.
Fu una fortuna
perché riuscii a raccogliere la mia borsa e
il mio cellulare e a dirigermi furiosa e svelta verso il bagno, fuori
la
saletta.
La prima cosa che
vidi, non appena voltai le spalle al
tavolo, fu la figura vaporosa di una bionda riccia ossigenata, seduta
al tavolo
con Lorenzo. La chioma eccessivamente gonfia le ricadeva sul davanti
come fieno
scomposto lasciando scoperta la schiena, dove il vestito rosso cremisi
mal
celava il tatuaggio vivido di un dragone enorme; la pelle era di un
colore che
ricordava i paesi arabi quanto era scura e ai polsi portava grossi
bracciali di
perle, visibilmente finte; sull’anulare sinistro un anello di
medie dimensioni
in acciaio con su inciso un simbolo che non visualizzai bene.
Oltrepassai la sala
con grandi falcate, decisa ma elegante,
non modificando mai il mio ritmo e lanciando una fugace occhiata
d’intesa a Lorenzo.
-Scusami cara, ma ho
dimenticato di far dire allo chef che
sono allergico alle noci. Torno subito.- quella annuì un
po’ sconsolata e Lorenzo
mi sorpassò fingendo di non calcolarmi.
Raggiunsi velocemente
il bagno, sperando che nessuno dei
nostri due rendez-vous si fosse accorto di nulla. Da quando il locale
aveva
cominciato a riscuotere successo tra i membri
dell’Organizzazione, il
proprietario si era visto costretto a fare alcune essenziali modifiche,
tra
queste ve n’era una che interessava la disposizione dei
bagni. Come far
incontrare uomini e donne pur mantenendo bagni separati? La semplice
risposta
alle nostre esigenze, evitando troppi grattacapi al proprietario, venne
proprio
da uno dei nostri ingegneri, abile nell’inventare nascondigli
e trappole. Si
trattava di un unico ingresso che portava ad un ambiente costituito da
sei ampi
lavabi e quattro bagni, su cui campeggiavano due targhette maschili e
due
femminili. Era insolito trovare un bagno del genere, ma era comodo,
anche
perché tirando un calcio bene assestato in un punto preciso
sotto il lavandino
si azionava un sistema meccanico a pompa idraulica che faceva aprire
compartimenti
segreti, i quali custodivano armi e gadget.
Lorenzo
riuscì a precedermi e di conseguenza lo trovai ad
aspettarmi nel bagno, appoggiato al marmo dei lavabi con le braccia
conserte e
un’espressione dura sul volto, sembrava davvero infastidito
se non arrabbiato.
-Ti ho davvero
disturbato?- chiesi scioccata pensando che lo
avevo infastidito interrompendo la sua cena in discreta compagnia.
Improvvisamente vidi
la sua espressione mutare, da seria e
preoccupata a sorpresa e confusa.
-No no.
Anzi…- Si passò nervoso una mano tra i capelli
spostando lo sguardo sulle piastrelle beige.
Solo allora cominciai
ad intuire ciò che Lorenzo aveva fatto
per controllarmi da vicino.
-Non volevi uscire con
quella donna, vero?- dissi schietta.
Lui si voltò di nuovo verso le quattro porte dei bagni.
-Ho tanta voglia di
uscire con quella tanto quanta ne hai tu
con quello.- disse storcendo il labbro in una smorfia di disprezzo.
-Perché?-
chiesi avvicinandomi con cautela.
-No, Ania!
Perché tu?- sbottò voltandosi di scatto
fissandomi torvo negli occhi. Era arrabbiato, lo vedevo. E ringraziavo
l’abilità dell’ingegnere che tra i
cambiamenti insonorizzò anche le mura del locale.
-Perché mi
mette a disagio, non lo sopporto. È qualcosa di
odioso ma che mi inchioda allo stesso tempo. No, no, non lo sopporto!-
mi
ritrovai con lo scuotere ripetutamente la mia testa presa da un senso
inspiegabile di angoscia, ma quello che mi fece rimanere più
di stucco fu il
gesto di Lorenzo.
Mi strinse entrambi i
polsi e mi spinse contro al muro,
mettendomi una gamba tra le mie e schiacciandomi dolorosamente tra il
suo corpo
e la parete.
Respiro
mozzato e sorpresa, bruciore ardente e desiderio incontrollato.
Smettila,
ti prego…
-Ania, io non ti
sopporto quando fai così!- digrignò i denti
per non urlare -A quel coglione ci penso dopo. Ma ti ho fatto una
domanda ben precisa:
perché ti comporti così? Rispondimi, Ania!-
La sua voce si
alzò di qualche decibel e la sua rabbia
inespressa era leggibile nei suoi occhi castano scuro e nella sua forza
nello
stringermi i polsi sulle piastrelle. Lo capivo e sbagliavo. Ma come
potevo
dirgli che non provavo più quell’amore intenso,
inebriante ed essenziale che pian
piano era scemato nel tempo? Come potevo dirgli che la donna che gli
doveva
tutto preferiva la frivolezza della sua compagnia a letto, piuttosto
che
trattarlo da uomo amato e onorato con i più semplici gesti
quotidiani? Non
riuscivo, non più, non ero capace di dedicarmi a qualcuno
che amavo. Perché non
amavo.
Batté i
miei polsi contro la parete e si avvicinò ancor
più
a me, poi sibilò disperato e stanco al mio orecchio:
-Perché?- Il sentimento di
frustrazione, penetrandomi nel petto come un animale vorace e affamato
della
mia sofferenza e dei miei errori, mi faceva male a tal punto che una
lacrima mi
sfuggì cadendo.
Dagli occhi appannati
potei vedere soltanto la figura
smorzata di Lorenzo che spaventato indietreggiava. Inconsciamente
strappai, con
un gesto rapido ma svogliato e senza eleganza, un paio di fogli della
carta
appesa accanto a me e me li portai sugli occhi, strisciando con la
schiena
lungo la parete fino a terra. Per alcuni interminabili istanti mi
sentii sola e
distrutta. Poche volte mi successe, e pensai che potevo finirla anche
lì seduta
stante. Ma un tocco caldo sulle mie spalle mi fece alzare
all’istante e
ricompormi.
No,
mai! Io non piango.
Non posso
permettermelo.
Il tocco divenne un
abbraccio forte e protettivo. Solo con
lui mi sentivo al sicuro. Avevo paura? Certo che avevo paura, come ogni
donna
al mondo. Essere un’assassina non m’impediva di
essere debole e non m’impediva
di essere umana.
-Non piangerai mai
più. Perdonami, sono un mostro!-
A quelle parole
sobbalzai perché in verità la colpa era soltanto
mia. Non sua che si sentiva ancora, dopo tutti quegli anni,
responsabile per
me.
-Sei pazzo? Io sono un
mostro! Non riesco ad amarti come tu
meriti e dovrei ergerti tante statue di cristallo quanti giorni mi hai
regalo
su questa terra, perché pur essendo fragili sono stati
meravigliosi.- gli
sollevai il capo tra le mie mani -Lorenzo, tu meriti il mondo che io
non riesco
a darti.-
Non potevo credere a
quello che stavo vedendo. Le sue gote
erano arrossate e i suoi occhi minacciavano una cascata copiosa di
lacrime, le
sue labbra erano una linea dura e rigida, il suo abbraccio si stringeva
sempre
di più intorno ai miei fianchi e il battito del suo cuore
era troppo flebile
attraverso i vestiti.
Poi si
avvicinò al mio viso.
-Ania- dolce, soave e
meraviglioso il suono con cui usciva
il mio nome dalle sue labbra, morbide e carnose -il problema
è che io…-
Non ci pensai, mi
bastò quello, lo baciai. Come lui prima
aveva fatto con me a casa, con la stessa passione, con lo stesso
bisogno.
Ci staccammo dalla
parete e lo spinsi lentamente nell’ampio
spazio, ma era inutile non riuscivamo a rallentare così lui
mi prese dai
fianchi e mi issò sul marmo dei lavabi. Mi
allargò le gambe ed io potei
accoglierlo, stringerlo più forte a me, baciarlo con
più foga. Le sue mani su
di me non erano più solo un ricordo, vagavano coscienti
sulla mia schiena fino
poi a fermarsi solo per alcuni istanti appena sopra i miei fianchi,
stringendomi per poi staccarsi un secondo e guardarmi negli occhi.
Sorrise di
gioia ed io con lui. Era delicato il tocco delle sue dita sulle mie
guance,
avrei voluto che quel momento non finisse mai, era perfetto, senza
nessun
pensiero oltre a noi due. Mi sfiorò il naso e lo baciai di
nuovo, ancora e
ancora. E fu semplice perdersi tra quel mare di strette e morsi
famelici e poi
sguardi e sorrisi pieni di gioia ed ancora baci e baci.
E fu un attimo a
distruggere tutto. Un maledetto bip del suo
cellulare che avvisava di una missione per noi.
Ci guardammo
infastiditi ma rassegnati e ci dirigemmo veloci
verso la saletta, incuranti di essere insieme agli occhi del pubblico.
Lui si
fiondò a scusarsi con il suo appuntamento e a
recuperare la giaccia, io dal mio per la medesima ragione, ma trovai il
tavolo
vuoto. Solo un bigliettino giaceva nel suo piatto: “Scusami,
mi hanno chiamato
per un’urgenza sul lavoro. Mi dispiace tanto. Tuo,
Ettore”
Tralasciai la firma
esagerata e ci dirigemmo al luogo
prestabilito, dove Lorenzo mi lasciò scendere per poi
ripartire e prendere un
arsenale più adeguato alla base. Intanto io avrei fatto il
punto della
situazione e non ero neanche sola: sul cellulare di Lorenzo
arrivò un avviso
dell’imminente arrivo di un altro agente nelle vicinanze che
già si apprestava
a prendere posizione.
Il capannone era buio
e il mio appostamento dietro a un
cassone non era dei migliori. Ma presto fui raggiunta
dall’agente dell’avviso
di poco prima. Si accovacciò accanto a me non appena vide la
mia figura nella penombra
e, con una pistola tra le mani, dandomi le spalle cominciò a
dirmi: -Bene
agente. Il bersaglio si trova a pochi metri da noi. Lei va per prima ed
io le
copro le spalle.-
Impossibile non
riconoscerlo. Inconfondibile la sua voce
roca e il suo profilo longilineo ma rigido.
-Ettore?-
ero
incredula vedendolo accanto a me, acquattato anche lui dietro le casse,
che mi
ordinava autoritario cosa dovessi fare.
-Tu
non puoi
conoscere il... - stava per urlare arrabbiato che qualcuno, ovvero la
sottoscritta, avesse informazioni su di lui, ma si bloccò
spiazzato quando i
suoi occhi incrociarono i miei.
E
mi apparve di
nuovo qualcun altro. Non l’istruttore di poligono, non il
perseguitatore quasi
calcolatore, né tanto meno l'amante dannatamente sensuale
del ristorante, bensì
un agente rigido ma attento con qualcosa di indefinito che lo rendeva
stranamente familiare, forse perché avrebbe dovuto essere un
partner o forse
semplicemente perché aveva quell'inconfondibile modo di
muoversi d'agente
dell'Organizzazione.
Mi
maledissi
mentalmente della mia stupidaggine, per non essermi accorta di due cose
fondamentali: da una parte c'era lui con una chiara
personalità sdoppiata o,
non si sarebbe spiegato, e dall'altra c'era Lorenzo che aveva
architettato
tutto. Lui voleva che m'incontrassi con Ettore perché faceva
parte
dell'Organizzazione e perché gli stava comodo avermi sotto
controllo attraverso
i suoi sottoposti. Questo mi infervorava di rabbia, immensamente. Ed io
avevo
capito il suo gioco, non l'avrebbe passata liscia.
-Ania?-
O
sapeva fingere
ed era un eccellente attore, o più verosimilmente Ettore non
pensava di
incontrarmi sul campo da battaglia, per lo meno questa fu la mia prima
impressione vedendo il suo sguardo confuso.
-Che...?
Diamine!- se prima era confuso in un attimo riuscì a
riacquistare lucidità
della situazione e sbottò.
Sentimmo
improvvisamente un fischio che fendeva l'aria con l'aumentare della
propria
potenza, probabilmente una carrucola mollata male. Sarebbe stato
plausibile
essendo in un cantiere navale, ma solo un paio di secondi prima
dell'impatto
capimmo che si trattava di un piccolo missile lanciato proprio nella
nostra
direzione.
Vidi
Ettore
sgranare gli occhi non appena ebbe capito cosa stesse succedendo e
buttarsi di
lato vicino la battigia, trascinando me con lui. Me lo ritrovai
così affianco a
me, con un ginocchio accidentalmente infilato nel lungo spacco del
vestito che
ancora indossavo e con il fiato che mi solleticava i capelli sulla
fronte.
Alzai
lo sguardo
e incontrai il suo fisso in un'espressione dura e contrita.
-Gr-grazie...-
mi
ritrovai a biascicare arrossendo come una bambina e voltando lo sguardo
di
lato, cosa decisamente inusuale per me.
-Maledizione!
Perché mi hai seguito?-
-Io?
Figurati se
sono tipa del genere.-
-No?!
Ho capito
benissimo che ti piaccio ma non dovevi seguirmi quando non mi hai
trovato nel
ristorante.-
Nel
giro di
neanche pochi secondi pensai per ben due volte che Ettore fosse davvero
all'oscuro delle manovre di Lorenzo. Era convinto che fossi una
semplice civile
e il fatto che mi stesse porgendo una pistola tra le mani per
difendermi
qualora ne avessi avuto bisogno, dicendomi di scappare, oltre al fatto
che il
suo sguardo vagava per il cantiere ancora alla ricerca del suo partner
per
quella missione, mi fece capire che non sapeva davvero niente. Da una
parte ero
arrabbiata per il gesto di Lorenzo e per l'ottusità di
Ettore, dall'altra
dovevo far capire a quest'ultimo che non avrebbe mai trovato chi
cercava se non
restringeva il suo campo visivo a me.
-Idiota
che non
sei altro!- sbottai. La fredda e calcolatrice Ania se n'era
già andata via da un
pezzo ormai, in sua presenza, ora ce n’era solo una fuori
dalle staffe.
Ettore
sgranò gli
occhi sconvolto, ma non rifiutò la mia mano nell'aiutarlo ad
alzarsi e neanche
la sua pistola che gli ritornai.
-Non
credevo che
fossi un deficiente...- il colore delle sue guance divenne arrossato ma
non
ribatté -... ma non credevo neanche che fossi un agente
dell'Organizzazione.-
tagliai corto stringendogli la mano e presentandomi a dovere.
-Ania,
agente
Silente.-
In
un primo
momento lo vidi vacillare, in un secondo era chiaramente scioccato, ma
poi la
sua espressione tornò ad essere quella tipica
dell’agente che notai poco prima;
la mia preferita di lui.
Anche
lui stava
per porgermi la mano, ma un proiettile gli stava per fischiare accanto
all'orecchio quando lo trassi a me contro il muro del capannone, che
fungeva da
scudo.
Sentivo
il suo
bacino conficcato nel mio fianco ed era stranamente una sensazione che
non mi
dava fastidio. Ormai c'eravamo e non potevamo che affrontare insieme il
bersaglio.
-Comunque
sono
Ettore, agente Duale. Corpo a corpo e armi a corto raggio.-
finì anticipando la
mia domanda inespressa su quale disciplina fosse afferrato. Gli agenti
duali,
nella nostra organizzazione, si distinguevano per la
capacità di essere
afferrati in particolar modo in due categorie, che cambiavano da
persona a
persona.
Io
nel frattempo
osservavo il soggetto assegnatoci, il quale veniva verso di noi ubriaco
fradicio agitando in una mano un mitra e nell'altra una Revolver. Non
potevo
crederci che ci avessero assegnato una missione del genere. Non sapevo
il
rendimento generale di Ettore, ma il mio era il più alto tra
i miei colleghi,
di solito mi assegnavano missioni tattiche e non l'uccisione di un
ubriacone.
-Allora?-
La
sua domanda mi
destò dai miei pensieri, in effetti non lo stavo ascoltando.
-La
tua disciplina.-
-Non
mi sembra il
momento di conversare, il tizio là fuori ci vuole morti.-
dissi acida buttandomi
dietro un cassone appena fuori dal capannone. Non era davvero il caso
di
dilungarsi in frivole chiacchiere, quello che mi premeva di
più in quel momento
era di concludere la missione, capire cosa farne di Ettore e prendere a
sberle
quel deficiente di Lorenzo.
Vidi
il guizzo
negli occhi di Ettore, che mi aveva seguito, quando spostai la stoffa
dello
spacco per estrarre e caricare la mia vecchia ed affidabile Beretta,
una pistola
del calibro 7.65.
-Tiratrice
scelta, assassina veloce e silenziosa.-
-Peccato,
io
preferisco torturarli.- disse ironico e con poca convinzione. Se era la
sua
tattica per mostrarsi migliore e quindi più attraente era
fallita miseramente.
Mi
scappò un
sorriso che malauguratamente lui intercettò, mentre prendevo
posizione tra il
cassone che ci nascondeva ed uno leggermente più modesto al
nostro fianco.
Sfortunatamente mi accorsi solo quando cominciai la discendete, per
allineare
tacca e mirino sul bersaglio, ancora instabile per via dell'alcol, che
il mio
lungo vestito mi intralciava i movimenti. E ovviamente lui se ne
accorse.
-Cosa
c'è? Non
credi che le urla di un prigioniero siano meglio del suo veloce
abbattimento?-
percepii l’imbarazzante e fuori luogo tentativo di seduzione,
anche quando mi
sollevò quel lembo di stoffa che mi rendeva difficoltosi i
movimenti.
-No,
semplicemente credo che un uomo stramazzato a terra sia meglio di un
ciarlone
al proprio fianco.- dissi premendo il grilletto e sentendo il rinculo
della mia
7.65. Il colpo trafisse dritto la fronte del bersaglio che come avevo
predetto
cadde steso al suolo, facendo cadere anche mitra e pistola.
Concluso.
Soddisfatta.
-Cazzo!
Doppio
cazzo!- urlò scattando in piedi, come una molla liberata
dopo un lungo periodo
di tensione.
-Chi
c'è ancora
da abbattere? È arrivato qualcuno?- chiesi un po'
preoccupata dalla sua
esclamazione.
Lui
si voltò
verso di me e mi guardò con occhi di chi venera qualcuno.
-E
allora?-
-L’hai
davvero
abbattuto e a questa distanza incredibile, con una ridicola 7.65.
Cazzo!- si agitò
come un ragazzino che vedeva vincere la coppa del mondo dalla squadra
per cui
tifava.
-Eh?-
In
quel momento
pensai di trovarmi davvero davanti a un raro fenomeno di sdoppiamento
della
personalità. Da istruttore magnetico e accattivante a
maniaco ossessivo, da
ragazzo oltremodo sensuale ad agente incallito, da uomo preoccupato a
bambino
esaltato. In ogni caso sarebbe stato inutile farglielo notare
poiché continuava
a fissare la distanza tra noi e il soggetto stecchito, circa 110 metri,
mentre
io mi rialzavo sui mei trampoli. E la cosa risultò
inspiegabilmente vana perché
Ettore mi atterrò nuovamente a terra, con tale impeto da
farmi inquietare.
-Hai
visto
qualcun altro?- chiesi ingenuamente sbirciando oltre i cassoni, con lui
ancora
sopra me.
-In
effetti ho
visto una donna...- disse con un tono così voglioso da farmi
voltare verso di
lui -... meravigliosamente abile nel mio mondo.-
C'eravamo
di
nuovo! Mentalmente mi tirai uno schiaffo in fronte. La parte giocosa e
bramosa nei
miei confronti era tornata di nuovo, ed io ero già stanca di
quella situazione
imbarazzante.
-Ettore,
levati.
Dobbiamo nascondere il cadavere.-
Tentai
di
sollecitarlo ad alzai, ma la cosa mi riuscì impossibile
anche quando tentai di
spostarlo con l'inutile forza delle mie braccia. In compenso lui mi
derubò
della mia pistola che ancora tenevo in mano e mi bloccò i
polsi sulla nuca con
una delle sue. I suoi occhi erano fissi nei miei, splendidi occhi verde
smeraldo, leggermente opachi e crudeli all'occorrenza.
-Ok-
disse
alzando il bacino dal mio -Ma prima mettiamo a posto questa.- e mi
mostrò la
mia arma.
Infilò
le sue
gambe tra le mie, allargando lo spacco del mio vestito e tenendo le mie
mani
ancora ben salde sopra la mia testa. Per raggiungere la stoffa con la
pistola
dovette abbassarsi ancor più su di me, poggiandosi
completamente sul mio sterno,
e dovetti ammettere che quella sensazione di compressione non mi dava
alcun
fastidio, anzi. Però dovevo pur mantenere la mia
dignità.
-Non
siamo dei
ragazzini. Lasciami, Ettore!- cercai di divincolarmi spingendo con le
ginocchia.
Poteva
anche
piacermi la situazione ma stavo comunque tornando ad essere altera.
-Non
dirmi che
non ti piace questo.-
Sentii
il suono
della sicura che si innestava, l'avevo dimenticata aperta, poi il
freddo
metallo che mi lambiva la pelle della gamba scoperta.
-Smettila!-
Per
quanto fosse
sensuale ed eccitante mi stavo adirando seriamente. Nessuno mi metteva
le mani
addosso senza che io glielo permettessi, neanche Lorenzo.
Non
potevo
muovere le braccia così gli assestai una ginocchiata nel
fianco, ma ne ricavai
solo una smorfia di fastidio da parte sua. Eppure non aveva intenzione
di
liberarmi.
-E
questo.- disse
ancora imperterrito spostando l'arma nell'interno dell'altra coscia.
Questo
mi scosse
un po' e avrei mentito nel dire che non mi piacque, soprattutto quando
raggiunse con la bocca della pistola il mio perizoma in pizzo nero; ma
a dirla
tutta lì ebbi un po' di paura. Il battito del mio cuore
rallentò solo quando
riscese di nuovo verso la giarrettiera, che usavo per tenere l'arma, e
con
minuziosa precisione la infilò dentro il tessuto di pizzo
écru.
-Ora
possiamo
andare.- rise beffardo sollevandomi sgraziatamente da terra.
D'impulso
gli
tirai uno schiaffo diretto sulla sua guancia, che sfortunatamente lui
riuscì a
intercettare, bloccandomi il braccio dietro la schiena e fermandomi
l'altro con
la stessa mano; con l'altra mi scostò una ciocca sfuggita al
controllo
dell'acconciatura e mi sembrò che sorrise lieve e felice,
oltre che sollevato.
Aveva una presa davvero forte, infatti fu inutile tentare di dimenarmi.
-Forse
non ti
rendi conto dell’effetto che hai su di me. E ora sapere che
facciamo lo stesso lavoro
mi eccita da impazzire.-
Magnetico
quanto
inquietante era il suo sguardo. Caddi preda delle sue labbra soffici e
gonfie
di desiderio. Era dolce, succoso, non potei negarlo, ma allo stesso
tempo mi faceva
imbestialire.
Sorrisi
a fior di
labbra nel pensare che gliel'avrei fatta pagare a breve. E quando si
staccò dal
suo bacio pretenzioso tentai un nuovo affondo sul viso come diversivo,
da
quello che in realtà era un colpo dritto nelle parti basse.
Evidentemente la
serata era contro di me perché lui riuscì ad
evitare di nuovo le mie mosse, retrocedendo
e afferrandomi di nuovo i polsi, sogghignando e bloccandomi contro un
cassone.
-Dimentichi
quello che ti ho detto. Una delle mie due categorie è il
corpo a corpo.-
Sbuffai
dall'esasperazione vedendolo puntare nuovamente sulle mie labbra. Ma ad
un
tratto urlò di dolore, un suono famigliare alle mie
orecchie, e sorrisi felice
dell’espressione contrita sul suo volto: una mano gli
strattonò i capelli e lo
tirò via da me.
Mi
rivolse uno
sguardo di supplica, ma io incrociai le braccia ridendo beffarda della
situazione e appoggiandomi di spalle al cassone. Sapevo benissimo chi
l'aveva
tirato via da me e che ora lo stava strisciando a terra, urlandogli che
una
donna non si tocca nemmeno con un fiore se non è la sua
volontà.
Ettore
sgranò gli
occhi, visibilmente arrossito in volto, riconoscendo il suo aggressore:
il capo
dell'Organizzazione, nonché Lorenzo.
-Stavamo
solo...-
tentò di giustificarsi Ettore ridicolamente, ancora
artigliato dai corti capelli,
ma io lo precedetti.
-Ci
stavamo solo
esercitando in doppio gioco seduttivo.- e in modo più
sensuale che potei avanzai
verso Lorenzo e gli lambii gli addominali sotto la camicia con le dita,
fino ad
arrivare al bottone del suoi pantaloni e tirarli a me giocosa. Sia
l'uno che
l'altro sgranarono gli occhi; anch'io ero capace di farmi desiderare ed
entrambi me l'avrebbero pagata per il brutto tiro mancino.
-A...Ania...-
farfugliò Lorenzo.
-Taci
tu! So cosa
avete fatto!- sbottai incazzata, facendogli capire che io sapevo dei
loro
raggiri.
-Ania...
io
non...- stavolta era Ettore che tentò di parlarmi, ma io lo
sbloccai con un
gesto della mano facendogli capire che non doveva azzardarsi a
proferire
parola.
Nel
frattempo
raggiunsi a passo felpato il cadavere, che in precedenza Lorenzo aveva
spostato
nelle nostre vicinanze, e afferrandolo da dietro il collo della giacca
lo
trascinai, come carne da macello quale era fino all’auto.
Arrivata
ormai
alla Jaguar X-type grigio notte buttai il cadavere nel bagagliaio
aiutata dagli
altri due, che mi avevano seguito con occhio curioso e clinico i miei
movimenti.
Agirai
comunque
il gioiellino del capo sotto lo sguardo perenne dei due e mi sedetti al
posto
del passeggero anteriore, Ettore mi seguì sedendosi dietro e
Lorenzo si mise
alla guida. Ero sempre più altera. Perché
beffarmi così e trattarmi da bambina
come se non sapessi badare a me stessa? Ero capace sia di affrontare
agguati di
ogni genere che trovarmi uno straccio di ragazzo, che poi il ragazzo
che volevo
complicava ancora di più le cose era un altro paio di
maniche. In ogni caso ero
determinata a fargliela pagare a quei doppiogiochisti: così
mi levai le scarpe
sul fondo dell'auto e poggiai le gambe sul cruscotto in radica di noce,
strofinandomele
l'una contro l'altra, fingendo che mi facessero male, e mi feci
scivolare
inavvertitamente la stoffa fino a scoprirmi la giarrettiera che teneva
la mia
fedele Beretta; mi accoccolai poi nel sedile mistificando il mio sonno.
Non
ci volle
molto per riuscire a vedere l'effetto che ebbi su Ettore dallo
specchietto
retrovisore: era pallido e i suoi jeans mostravano un lieve
rigonfiamento. E
sebbene Lorenzo odiasse il fatto che poggiassi i piedi sul cruscotto
anche da
lui ebbi esito positivo, infatti non mi disse nulla e i suoi movimenti
risultarono fin troppo calcolati e rigidi nel dare gas al motore
sprigionando
quel soave e rombante suono.
Arrivati
a casa
scesi senza aspettare e andai verso Lorenzo che apriva il cofano
dell’auto
rivelandone il cadavere. L’interno era tutto imbrattato di
sangue. Non vomitai,
ero abituata ormai, era la mia fottutissima vita.
-Dovrai
ripulirla.- tagliai corto dirigendomi già verso la villetta.
Mi
accorsi solo in
un secondo momento che Ettore mi fissava interrogativo, come se volesse
chiedermi che cavolo ci faceva lui là. Mi stavano dando
entrambi sui nervi, ma
dovevo pur concedergli una spiegazione.
-Stanotte
dormirete entrambi nella dependance. Svegliatevi presto.- fui
autoritaria nel
parlare, quasi fredda, e loro non ribatterono. Ettore ci
provò ma Lorenzo lo
bloccò facendogli capire che era meglio non farlo.
Ero
più che decisa
a trovare un modo per fargliela pagare ed una mezza idea già
mi ronzava in
testa, dovevo solo trovare il momento giusto per attuare il mio piano.
Rabbia.
Da
un albero
lungo il mio tragitto staccai un piccolo grappolo di ciliegie.
Frustrazione.
Non
volevo fargli
male, soprattutto a Lorenzo, ma doveva pur capire che dovevo riuscire a
cavarmela da sola. Ormai ero matura ed un giorno sarebbe toccato a me
gestire
tutto questo. È vero non riuscivo più ad amarlo
come volevo, a parte qualche sporadica
breccia, ma non per questo mi buttavo addosso a chiunque e gli mancavo
di
rispetto, anzi tentai in ogni modo di riallacciare il rapporto che
c’era tra
noi. Eppure il suo gesto di darmi in pasto ad un suo sottoposto per
controllarmi e quindi sapere che non finivo per amare realmente qualcun
altro
mi fece cadere in una voragine d’angoscia.
Sconforto.
Delusione.
Mi
rigirai le
ciliegie tra le dita della mano. Erano anch’esse di un rosso
che macabramente
nella penombra della notte tendevano ad un nero plumbeo, come le loro
pupille,
come il sangue versato ogni giorno, come il sentimento che pulsava
nelle mie
vene e si fermava ad ostruire il mio sterno soffocandomi.
L’odiavo, le morsi.
Taira
Croft