Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Taira Croft    25/06/2015    1 recensioni
Di solito quando si parla di un viaggio si tende a pensare allo spostamento fisico di qualcuno, eppure il viaggio è anche qualcosa di interiore ad una persona, che vuole cambiare ed uscire dalla situazione in cui è.
Il viaggio per Ania, giovane assassina, sarà purificatorio ma lascerà dietro di sé una scia di macabre verità, a cui neanche lei sarà capace di credere con tanta facilità. Scoprirà la differenza tra quel che si vuole essere e quel che si è in realtà, e dovrà infine decidere una posizione per arrivare alla meta del suo viaggio.
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ania'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Rosso ciliegia

 

Ero convinta che con quel gesto di rifiuto avesse capito che non me ne fregava un emerito cavolo di lui, tanto meno avevo voglia di cenarci assieme. Beh, ad essere sinceri, ero leggermente curiosa di sapere cosa ci avrei ricavato dalla maledettissima cena che avevo promesso. Solo un po', lo giuro! Ma se si fosse conclusa come avevo sperato forse, e dico forse, sarei stata fortunata a trovare un nuovo punto da cui ricominciare… Eppure mi feci pregare così tanto che io stessa non mi riconoscevo nel mio modo di fare, o meglio, volevo andare alla cena, dopo tutto l'avevo sfidato io, ma la sua voce nelle telefonate mi sembrò appartenere ad una persona totalmente diversa da quella che conobbi quel giorno in poligono. Persino quando mi incontrò "casualmente" in sezione, durante un suo giorno libero dal lavoro, mi sembrò un uomo che non avevo mai visto prima, uno sconosciuto che possedeva una voce così artificiosa da farmi impallidire. Ad essere sinceri non sapevo davvero niente di lui, ma ero abbastanza afferrata nel carpire le persone da sapere che non si trattava dello stesso ragazzo che stranamente mi aveva attratta.

Comunque alla fine mi arresi, per merito o colpa di quello scalmanato del mio amico/amante/capo Lorenzo. Quel pazzoide mi aveva battuta nello scontro corpo a corpo in allenamento, pretendendo che pagassi pegno facendo qualcosa per lui. E quale cadeau migliore, a suo dire, potevo fargli se non liberarlo dal continuo squillo del telefono nella villetta che condividevamo? E chi poteva chiamare così incessantemente se non lui, Ettore?

E così mi ritrovai ad indossare uno dei miei migliori vestiti attillati, sempre per imposizione di Lorenzo. Il raso nero lucido accarezzava il mio corpo delineando il seno, modestamente, prosperoso e i fianchi curvilinei, cadeva poi morbido con movimenti fluidi da sotto i glutei sodi e alti e si apriva in un lungo spacco sulla gamba sinistra. Sollevai leggermente la stoffa traslucida per potermi infilare quelle apparentemente scomode, ma per me estrose e meravigliose, decolleté argentate tacco 15 incrociate sul davanti.

-Wow, sei uno schianto! Fossi io il tuo accompagnatore stasera…- la voce di Lorenzo mi apparve un po' trasognante e maledettamente erotica, ma lo era soprattutto con quello sguardo perso lungo tutto il mio corpo e con quella nonchalance di appoggiarsi allo stipite della porta con una delle sue forti e possenti mani. Effettivamente non mi sarebbe dispiaciuto se quella sera ci fosse stato lui a cena e a vagare le sue mani, esperte del mio corpo, su di me.

-La colpa è tua, mi hai costretto ad uscirci. Io lo stavo ignorando.- lo rimbeccai scocciata ricordandogli le sue azioni.

Era da tanto che i nostri corpi non si avvicinavano, questo perché io mi rifiutavo di ingannarlo ancora, nonostante ci reclamassimo a vicenda in un modo assolutamente morboso e irrazionale. Infatti fremetti quando roteò gli occhi e mi guardò di tralice, cominciando poi ad avvicinarsi. Ero consapevole che non sarei riuscita a sostenere la tensione fra di noi.

-E no, mia cara! La colpa è tua che lo hai stuzzicato al poligono. Ricordi?- mi rinfacciò -E poi se non avessi accettato non l'avrebbe più finita con le chiamate.- Effettivamente il suo continuo chiamare ad ogni ora del giorno era diventato più che snervante, al tal punto che ci fu un momento in cui pensai seriamente di strappare il filo del telefono direttamente dalla parete per non sentire più quel fastidioso suono che allarmava sull’attenti entrambi.

Lentamente Lorenzo, senza accorgermene perché immersa nei pensieri, avvolse con una mano calda e gentile il mio collo fino ad affondare le dita nell'acconciatura semi sciolta, dietro la nuca. Ogni tocco, ogni movimento, era una leggera scossa di calore che si propagava dalla mia pelle ai miei muscoli, alle mie ossa, raggiungendo il luogo dove il mio desiderio si risvegliava, bramoso del suo corpo e di nessun altro.

Mi sentii leggermente strana, ma soprattutto incoerente. Dovevo tanto, troppo, a Lorenzo eppure non riuscivo più ad amarlo come una volta, sebbene continuassimo a sopravvivere di sesso. In realtà non si poteva neanche definire tale, era piuttosto una danza selvaggia e necessaria che dall'interno divorava le nostre carni riducendoci a burattini dei nostri stessi bisogni fisici. Ma a volte, quasi di sfuggita, riuscivo ad intravedere una parvenza di qualcosa di più della sola passione, c'era forse sentimento o affetto. Non lo vedevo di certo nei nostri amplessi, ma nei suoi sguardi, nei suoi gesti, nelle sue azioni e nelle sue gentilezze verso di me. Ed anch’io mi ritrovavo inspiegabilmente a fare la maggior parte delle cose in funzione di lui, come se mi fosse vitale rendere tutto più piacevole per l’uomo che salvò me e mio fratello, che condivideva vita e lavoro con me, che nonostante tutto mi voleva sempre e comunque al suo fianco.

Però, nel tentativo di combinarmi quest'odioso appuntamento, ci vidi solo frustrazione, specchio di disagio e irritazione allo stato puro. Nessuna traccia di quel bagliore di sentimento che ogni tanto riaffiorava. Eppure lo fece.

-Sbrighiamoci allora! Devo strapparmi questo cerotto fastidioso il più presto possibile.-

Mi voltai verso lo specchio per mettermi i punti luce di oro bianco e diamanti, dandogli le spalle, mentre lui si accostò dietro di me incuriosito dai miei movimenti.

-E chissà che non si riveli una meravigliosa e piccante scoperta!- aggiunsi impulsivamente alzando un sopracciglio, senza rendermene conto davvero, tentando di punzecchiarlo un po'.

Forse ci riuscii perché le sue pupille si dilatarono, fisse sul mio riflesso nello specchio. Stranamente però il suo viso mutò in un’espressione gentile e amorevole come quella che un tempo mi rivolgeva quando la differenza di età si sentiva così forte che per lui ero solo una sorellina da proteggere.

-Qualunque cosa accada, spero che mi permetterai ancora di prendermi cura di te.- disse a mezza voce come se tutto ciò gli facesse davvero male dentro.

Era di una malinconia che faceva male. Io e lui, da sempre insieme, come partner, come fratelli, di più, come confratelli.

-Sempre, da sempre, per sempre!- e lo fissai negli occhi, attraverso il suo riflesso.

Mi sfilò la lunga collana d’oro bianco dalle mani per allacciarmela dietro la nuca ed accompagnandola con una mano la fece scorrere fino a raggiungere la metà dell'ampia scollatura del mio vestito.

Brivido gelido e scossa calda, le mie spalle nude coperte dalle sue mani.

Mi fece voltare gentilmente e mi adagiò contro il mobile, allungandosi dietro di me e combaciando con il mio corpo perfettamente per prendere orologio e bracciale ancora sul piano di mogano.

Sangue bollente nelle vene e respiro mozzato in gola.

Lo osservai mentre mi alzava polso sinistro e allacciava il cinturino dell'orologio Wintex, poi me lo liberò delicatamente nel vuoto e fu quasi un'agonia vederlo alzare anche l'altro braccio, sempre afferrando delicatamente la mia mano, e avvolgere l'altro polso con l'ampio e grande bracciale d'oro chiaro intarsiato di venature artigianali. Tuttavia non si fermò affatto, decise di percorrermi il braccio da piccoli, lenti e agognati baci lancinanti. Per me erano come spine di una rovere che si attorcigliava lungo la mia carne, bramose che il mio sangue scorresse, ma al contempo desideravo quel dolore in grado di rigenerarmi dopo un tempo che sembrava infinito.

"Non provo più amore, non più!" tentavo di ripetermelo in continuazione. Ma chi prendevo in giro? Era come se lo rivedevo per la prima volta, era come se me ne innamoravo di nuovo, vedendolo davvero per quello che era: un uomo capace di tenermi a bada e consigliarmi nelle scelte più dolorose, l’unico uomo capace di suscitare vero sentimento in me.

Si avvicinò ancor più se possibile e annullò le distanze fa di noi, mi accarezzò il volto e me lo sollevò leggermente, mentre il suo sguardo fisso nel mio mi chiedeva frustrato e bramoso me, solo me, tutta me. Avvicinò le sue labbra alle mie, tenendo la sua mano calda e ferrea dietro la mia nuca e mi chiese con una voce così calda e sensuale: -Resta con me.-

Sì! Era palese che volessi rimanere. Era la cosa che volevo di più al mondo e in quell’istante mi sciolsi. Senza più difese e senza più contromosse da giocare, sincera sorrisi distogliendo lo sguardo, ma fu inutile cercare una via di fuga da quelle labbra oltremodo rosee e carnose. Lui mi baciò. Senza preavviso, senza preamboli, senza inibizioni, con passione, con fame, con trasporto.

Potei decretare da subito che quello fu uno dei baci più belli che mi diede, poiché mi fu dato con quella voglia di bisogno e di amare che da tanto, troppo tempo, mi venne a mancare.

Lì, non me ne fregava più niente di nessuno, me lo sarei scopato come mai prima di allora, con quella rabbia e con quella passione famelica che non mi appartenevano. Voleva di più, sempre di più, ed il suo bacio ne era la conferma. Caldo, no rovente, bisognoso, no rabbioso, voglioso e sì affamato. Non smetteva di cedere e non dava segni di voler cessare, non avevamo ancora preso fiato e non ne volevamo prendere. Volevamo solo continuare quella samba a noi famigliare e trasformarla in un tango rosso di passione.

Come la lussuria che ci aveva assalito feroce, ancora di più una consapevolezza amara della situazione si era infiltrata nella mia coscienza. Purtroppo il mio cervello prese il sopravvento e la ragione si fece sentire forte.

-Che ne è della tua parola?-

-Eh?- fu l’unico, breve suono che fuoriuscì strozzato dalla gola di lui, subito dopo che me lo scrollai di dosso. I suoi occhi brillavano presi dall’impeto anche se era chiara la sorpresa di quell’attimo.

-Mi hai letteralmente costretta ad uscire con questo ragazzo ed ora non vuoi più? Mi prenderà per bugiarda e vigliacca.-

Mi fissò in cagnesco, duro, arrabbiato e deluso. Nei suoi occhi un impeto a me famigliare che per quanto fosse affascinante mi terrorizzava.

-Mai!- e con una calma straziante ma furiosa raccolse il mio capispalla da una sedia lì vicino, insieme alla mia pochette, e mi aiutò ad indossarlo.

 

Nel giro di mezz'ora arrivammo al luogo dell'appuntamento. Se Lorenzo voleva farmi patire l'inferno con Ettore io mi sarei sentita meno altera grazie al mio autista personale che costrinsi ad accompagnarmi: sempre lui.

-Dovevo proprio accompagnarti?- mi chiese stizzito e scocciato.

-Ma sta zitto! Stasera anche tu hai buona compagnia.- dissi seccata delle sue continue lamentele, scendendo dalla sua Jaguar X-type.

Ci avviammo verso il locale sulla spiaggia con grande nonchalance, facendo finta di non accorgerci degli sguardi invidiosi delle altre persone che ci circondavano. La location era un connubio meraviglioso tra rustico e raffinatezza. Sito direttamente sulla spiaggia, le sue mura erano un alternarsi tra pareti di mattoni a vista ed ampie vetrate e il colore blu indefinito che tende al verde padroneggiava tutta l'area. Di contrasto l'arancio scuro del tramonto misto al grigio delle nuvole vaganti nel cielo incutevano un senso di non appartenenza, di smarrimento, per questo sulla soglia del ristorante mi aggrappai al braccio di Lorenzo come se fosse la mia unica via di salvezza. Qualcosa in me era scattato come un allarme ed avevo seriamente paura che fosse un campanello che presagiva un qualcosa di terrificante.

-Ania, che hai?- mi chiese preoccupato. Dovevo davvero aver esercitato tanta pressione sul suo braccio, nonostante non volessi farlo preoccupare, era solo una paranoia. Mi ricomposi e mi diedi contegno nella speranza di non farlo insospettire.

-Niente. Solo un brivido per la schiena.- cercai di liquidare la cosa in maniera poco credibile e infatti fu vano.

-Per me?- disse ironico, alzando un sopracciglio con fare sensuale, tentando di essere il più spavaldo possibile. Risi e gli diedi una pacca sul braccio che ancora tenevo ben saldo, seppur con minore pressione.

-Non illuderti. E poi stasera i brividi saranno per un altro.- lo schernii.

-Smettila! Così mi fai pentire. Torniamocene a casa!- disse tutto d'un fiato incamminandosi frettolosamente verso la Maserati e quasi trascinandomi con sé.

-No!- urlai -Hai dato la tua parola, ora la mantieni. Non fare il bambino!-

Tentai di tirarlo indietro facendo perno sul contrappeso del mio corpo. Ciò mi mise a disagio sapendo che la gente continuava a fissarci, per l'auto, per il mio Versace, per il suo completo blu scuro di Armani, ed ora per quella pantomima infantile che non volevo mostrare ad occhi sconosciuti.

Si arrese facilmente, mi guardò negli occhi e ci avviammo dentro il locale.

 

Non appena varcammo la soglia un concierge venne ad accoglierci tutto impettito con l'aria felice di chi incontra il Presidente degli USA. Il locale era solito essere luogo d'incontro dei membri dell'Organizzazione, ma era eccessivo sbavare per l'entrata del suo capo e della sua vice. O forse no? In ogni caso avanzammo nel locale guidati dall'uomo in giaccia tight dritta con collo a lancia verso una saletta più esclusiva, nella quale vi erano solo quattro tavoli, apparecchiati con delle pregiate tovaglie in lino bordeaux e disposti ai quattro lati di una croce greca. Noi sorridevamo e ci crogiolavamo nel sapere che qualcuno, non tutti, in quel locale sapeva chi eravamo e di conseguenza ci porgeva delle riverenze rispettose, ma invisibili agli occhi di coloro che ignoravano la nostra esistenza nella società.

Lorenzo ed io entrammo insieme nella piccola saletta appartata, rivolta direttamente sulla riva del mar Adriatico. Lui si fermò al tavolo più vicino alla porta, io invece non facendomi accorgere di essere arrivata insieme a qualcun altro mi diressi verso il tavolo più lontano, dove Ettore inconsapevolmente mi dava le spalle.

Mentre avanzavo sentii bisbigliare Lorenzo che tranquillizzava il concierge del fatto che io non sarei stata in sua compagnia per quella sera e sorrisi al pensiero della probabile espressione da ebete che venne a crearsi sul volto dell’uomo.

Dovevo smetterla di preoccuparmi di ciò che mi circondava e concentrarmi sull'ormai odioso appuntamento che mi aspettava. Cercai così di assumere un'espressione entusiasta e nervosa allo stesso tempo poggiando una mano sulla sua spalla. Ettore si voltò di scatto sorpreso e rividi gli occhi verde plumbeo di un uomo che non riconoscevo affatto e che ogni volta era sempre diverso, cambiava di continuo. Ciò mi infondeva sempre più insicurezza e mi atterriva rendendomi vulnerabile.

Mi sorrise a trentadue denti come un bambino che finalmente otteneva il suo giochino dopo tante insistenze, si alzò e mi baciò il dorso della mano per poi aiutarmi a sedere come comandava il Galateo poggiando la mia giacca sullo schienale della mia sedia.

Tutte queste attenzioni mi facevano venire il voltastomaco: non mi dispiaceva affatto un po' di eleganza, ma il troppo stroppia. Se fosse stato Lorenzo avrebbe saputo lasciarmi fare da sola e baciarmi fugacemente all'angolo della bocca, accendendo in me desiderio. Pensai a lui che mi sorrideva sghembo e soddisfatto delle sue malefatte poco lontano da noi, così mi ritrovai a guardarlo inconsciamente quando Ettore girò intorno al tavolo per raggiungere il suo posto. E mi sbagliavo: non era divertito bensì infastidito, forse più di me.

-Allora... come stai?- la domanda incerta di Ettore mi fece destare dal flusso dei miei pensieri.

-Stressata ma bene. Grazie.- risposi fredda e sintetica, ma sincera, attraversata dall’impeto di fuggire da quella stramaledetta situazione.

-A proposito, mi spiace averti pressato in questi giorni...-

"E meno male che ti rendi conto di essere assillante!" pensai.

-...ma... non ti spaventare. Mi hai rubato il cuore quel giorno e non riesco più a non pensare a te.-

-Tutto d'un fiato. Dritto al punto.- tenendo lo sguardo basso, diedi erroneamente corpo ai miei pensieri, come un giudice senza cuore che sputa la sua sentenza.

Non appena me ne accorsi alzai la testa e imbarazzata chiesi scusa. Non volevo di certo stare con quell'uomo, in lui c'era qualcosa che mi faceva rabbrividire, ma non potevo nemmeno trattarlo male, dopo tutto non mi aveva fatto niente che lo meritasse.

-No, no.- si affrettò a dire lui -Meglio così. Sono fermamente convinto che dire tutto in faccia e subito sia la cosa migliore per instaurare un buon rapporto.-

Mi stava mettendo a disagio e lo fece ancora di più quando mi avvolse la mano, con cui stritolavo nervosa il tovagliolo sul tavolo, con le proprie e mi fissò con quegli occhi gelidi.

Lorenzo aiutami! …per carità.

-Allora?-

-Allora cosa?- chiesi interdetta non seguendo il suo filo logico.

-Allora cosa provi per me?-

Allora nel giro di neanche due minuti quell'uomo riuscì a farmi distogliere lo sguardo dal suo glaciale e radioso. Aveva uno strano effetto su di me e mi rendeva quello che non ero, una fuggitiva, un’evasiva. A me, che prendevo tutto di petto.

Lorenzo aiutami… aiuto!

Vedendo il mio sguardo perso, rafforzò la sua presa sulla mia mano costringendomi a guardarlo.

-Ti metto per caso a disagio?-

Arrossi violentemente, perfettamente in tinta con composizione di ciliegie nella ciotola di ceramica verde chiaro sul tavolo. Grandi, sicuramente succose e morbide, di un rosso così scuro che tendevano al nero della pupilla dei suoi occhi, così profonda e buia.

A disagio? No, per niente! Tanto.

-No, no. Figurati.- liquidai frettolosamente e apaticamente la domanda, ma nella mia voce c’era un chiaro tono di irrequietezza.

Mi liberò finalmente la mano, dandomi un po’ di sollievo, e portò una delle sue su quelle meravigliose ciliegie. Da quando delle ciliegie mi attiravano così tanto? Nel mio giardino avevo sette ciliegi e proprio in quel periodo i loro frutti erano pronti per essere raccolti, mi bastava scendere in giardino e arrampicarmi sui rami. Eppure gli stramaledetti frutti sul tavolo erano così interessanti.

Sollevò la mano e me ne porse una dal gambo. Sarebbe stato controproducente non accettarla, oltre a ciò era il mio frutto preferito, non avrei mai detto di no. La presi e me l’avvicinai alle labbra, sorrisi nel constatare che lo smalto delle mie unghie richiamava proprio la tonalità del rosso ciliegia, me la cacciai in bocca senza pensarci troppo e ne staccai il gambo.

Alzai lo sguardo e incontrai il suo, mutato, cambiato in qualcosa di più simile al primo giorno che lo conobbi. Mi riprese la mano, me la rivolse col palmo in su e vi poggiò altre due ciliegie.

-Finalmente un sorriso. Sono contento.- disse raggiante giocherellando con i due frutti sul mio palmo, tenendomi il polso ben saldo con una mano.

E se per un momento avevo scacciato la preoccupazione ora ritornava più potente di prima. Strinsi i denti, dimenticandomi della ciliegia ancora in bocca e inevitabilmente la morsi liberandone il succo agrodolce, di una bontà superba. Ma il retrogusto leggermente amaro mi ricordò della situazione in cui mi ero cacciata: a cena con un uomo di cui non sapevo nulla.

Risentii lo stesso presagio che ebbi all’entrata.

Aiutami Lorenzo.

D’istinto afferrai la borsa e feci per andarmene, ma mi bloccò con la sua presa ferrea ancora sul mio polso costringendomi a risistemarmi sulla sedia.

-Ti do noia?- imitò un bambino offeso e imbronciato.

-No-no…- mi ritrovai a parlottare per monosillabi, neanch’io sapevo come, mentre mi fiorava l’interno del braccio con le ciliegie.

Dal polso fino alla parte opposta del gomito e ritorno, questo era il percorso sinuoso delle due piccole ciliegie che reggeva con l’altra mano. Ma il ripetersi continuo di quel tragitto straziante mi mandava in corto circuito i nervi. Mollai inavvertitamente la borsa che ricadde inanimata sul tavolo.

Dovetti ammettere che Ettore era un bravo torturatore, perché mi ritrovai a sopprimere piccoli e inudibili gemiti strozzati. Oh, se era piacevole, ma non lo sopportavo, proprio no! La mia pelle si stava infiammando di lussuria con quel tocco leggero ma perenne, eppure non mi ritrovai a pensare a l’uomo che mi stava di fronte…

Dovevo trovare un modo per scappare da quel supplizio, troppo erotico per poterlo sopportare. Dovevo restare concentrata e non cadere nella sua misera e meschina trappola. Dovevo inventarmi qualcosa e alla svelta.

-Ettore- dissi flebilmente con un tocco di sensualità per richiamare la sua attenzione e lui sollevò il volto, senza mai staccare i suoi occhi dal suo strumento di tortura.

-Sì?-

-Perdonami, ma devo urgentemente andare ad incipriarmi il naso.- la mia voce uscì fuori così melensa e raffinata che era disgustosa perfino alle mie orecchie. Non seppi come lui riuscì a guardarmi con quel sorriso inebetito stampato in viso, come se in me avesse visto ancora altri particolari che l’attiravano a tal punto da distrarsi e mollare la presa.

Fu una fortuna perché riuscii a raccogliere la mia borsa e il mio cellulare e a dirigermi furiosa e svelta verso il bagno, fuori la saletta.

La prima cosa che vidi, non appena voltai le spalle al tavolo, fu la figura vaporosa di una bionda riccia ossigenata, seduta al tavolo con Lorenzo. La chioma eccessivamente gonfia le ricadeva sul davanti come fieno scomposto lasciando scoperta la schiena, dove il vestito rosso cremisi mal celava il tatuaggio vivido di un dragone enorme; la pelle era di un colore che ricordava i paesi arabi quanto era scura e ai polsi portava grossi bracciali di perle, visibilmente finte; sull’anulare sinistro un anello di medie dimensioni in acciaio con su inciso un simbolo che non visualizzai bene.

Oltrepassai la sala con grandi falcate, decisa ma elegante, non modificando mai il mio ritmo e lanciando una fugace occhiata d’intesa a Lorenzo.

-Scusami cara, ma ho dimenticato di far dire allo chef che sono allergico alle noci. Torno subito.- quella annuì un po’ sconsolata e Lorenzo mi sorpassò fingendo di non calcolarmi.

 

Raggiunsi velocemente il bagno, sperando che nessuno dei nostri due rendez-vous si fosse accorto di nulla. Da quando il locale aveva cominciato a riscuotere successo tra i membri dell’Organizzazione, il proprietario si era visto costretto a fare alcune essenziali modifiche, tra queste ve n’era una che interessava la disposizione dei bagni. Come far incontrare uomini e donne pur mantenendo bagni separati? La semplice risposta alle nostre esigenze, evitando troppi grattacapi al proprietario, venne proprio da uno dei nostri ingegneri, abile nell’inventare nascondigli e trappole. Si trattava di un unico ingresso che portava ad un ambiente costituito da sei ampi lavabi e quattro bagni, su cui campeggiavano due targhette maschili e due femminili. Era insolito trovare un bagno del genere, ma era comodo, anche perché tirando un calcio bene assestato in un punto preciso sotto il lavandino si azionava un sistema meccanico a pompa idraulica che faceva aprire compartimenti segreti, i quali custodivano armi e gadget.

Lorenzo riuscì a precedermi e di conseguenza lo trovai ad aspettarmi nel bagno, appoggiato al marmo dei lavabi con le braccia conserte e un’espressione dura sul volto, sembrava davvero infastidito se non arrabbiato.

-Ti ho davvero disturbato?- chiesi scioccata pensando che lo avevo infastidito interrompendo la sua cena in discreta compagnia.

Improvvisamente vidi la sua espressione mutare, da seria e preoccupata a sorpresa e confusa.

-No no. Anzi…- Si passò nervoso una mano tra i capelli spostando lo sguardo sulle piastrelle beige.

Solo allora cominciai ad intuire ciò che Lorenzo aveva fatto per controllarmi da vicino.

-Non volevi uscire con quella donna, vero?- dissi schietta. Lui si voltò di nuovo verso le quattro porte dei bagni.

-Ho tanta voglia di uscire con quella tanto quanta ne hai tu con quello.- disse storcendo il labbro in una smorfia di disprezzo.

-Perché?- chiesi avvicinandomi con cautela.

-No, Ania! Perché tu?- sbottò voltandosi di scatto fissandomi torvo negli occhi. Era arrabbiato, lo vedevo. E ringraziavo l’abilità dell’ingegnere che tra i cambiamenti insonorizzò anche le mura del locale.

-Perché mi mette a disagio, non lo sopporto. È qualcosa di odioso ma che mi inchioda allo stesso tempo. No, no, non lo sopporto!- mi ritrovai con lo scuotere ripetutamente la mia testa presa da un senso inspiegabile di angoscia, ma quello che mi fece rimanere più di stucco fu il gesto di Lorenzo.

Mi strinse entrambi i polsi e mi spinse contro al muro, mettendomi una gamba tra le mie e schiacciandomi dolorosamente tra il suo corpo e la parete.

Respiro mozzato e sorpresa, bruciore ardente e desiderio incontrollato.

Smettila, ti prego…

-Ania, io non ti sopporto quando fai così!- digrignò i denti per non urlare -A quel coglione ci penso dopo. Ma ti ho fatto una domanda ben precisa: perché ti comporti così? Rispondimi, Ania!-

La sua voce si alzò di qualche decibel e la sua rabbia inespressa era leggibile nei suoi occhi castano scuro e nella sua forza nello stringermi i polsi sulle piastrelle. Lo capivo e sbagliavo. Ma come potevo dirgli che non provavo più quell’amore intenso, inebriante ed essenziale che pian piano era scemato nel tempo? Come potevo dirgli che la donna che gli doveva tutto preferiva la frivolezza della sua compagnia a letto, piuttosto che trattarlo da uomo amato e onorato con i più semplici gesti quotidiani? Non riuscivo, non più, non ero capace di dedicarmi a qualcuno che amavo. Perché non amavo.

Batté i miei polsi contro la parete e si avvicinò ancor più a me, poi sibilò disperato e stanco al mio orecchio: -Perché?- Il sentimento di frustrazione, penetrandomi nel petto come un animale vorace e affamato della mia sofferenza e dei miei errori, mi faceva male a tal punto che una lacrima mi sfuggì cadendo.

Dagli occhi appannati potei vedere soltanto la figura smorzata di Lorenzo che spaventato indietreggiava. Inconsciamente strappai, con un gesto rapido ma svogliato e senza eleganza, un paio di fogli della carta appesa accanto a me e me li portai sugli occhi, strisciando con la schiena lungo la parete fino a terra. Per alcuni interminabili istanti mi sentii sola e distrutta. Poche volte mi successe, e pensai che potevo finirla anche lì seduta stante. Ma un tocco caldo sulle mie spalle mi fece alzare all’istante e ricompormi.

No, mai! Io non piango.

Non posso permettermelo.

Il tocco divenne un abbraccio forte e protettivo. Solo con lui mi sentivo al sicuro. Avevo paura? Certo che avevo paura, come ogni donna al mondo. Essere un’assassina non m’impediva di essere debole e non m’impediva di essere umana.

-Non piangerai mai più. Perdonami, sono un mostro!-

A quelle parole sobbalzai perché in verità la colpa era soltanto mia. Non sua che si sentiva ancora, dopo tutti quegli anni, responsabile per me.

-Sei pazzo? Io sono un mostro! Non riesco ad amarti come tu meriti e dovrei ergerti tante statue di cristallo quanti giorni mi hai regalo su questa terra, perché pur essendo fragili sono stati meravigliosi.- gli sollevai il capo tra le mie mani -Lorenzo, tu meriti il mondo che io non riesco a darti.-

Non potevo credere a quello che stavo vedendo. Le sue gote erano arrossate e i suoi occhi minacciavano una cascata copiosa di lacrime, le sue labbra erano una linea dura e rigida, il suo abbraccio si stringeva sempre di più intorno ai miei fianchi e il battito del suo cuore era troppo flebile attraverso i vestiti.

Poi si avvicinò al mio viso.

-Ania- dolce, soave e meraviglioso il suono con cui usciva il mio nome dalle sue labbra, morbide e carnose -il problema è che io…-

Non ci pensai, mi bastò quello, lo baciai. Come lui prima aveva fatto con me a casa, con la stessa passione, con lo stesso bisogno.

Ci staccammo dalla parete e lo spinsi lentamente nell’ampio spazio, ma era inutile non riuscivamo a rallentare così lui mi prese dai fianchi e mi issò sul marmo dei lavabi. Mi allargò le gambe ed io potei accoglierlo, stringerlo più forte a me, baciarlo con più foga. Le sue mani su di me non erano più solo un ricordo, vagavano coscienti sulla mia schiena fino poi a fermarsi solo per alcuni istanti appena sopra i miei fianchi, stringendomi per poi staccarsi un secondo e guardarmi negli occhi. Sorrise di gioia ed io con lui. Era delicato il tocco delle sue dita sulle mie guance, avrei voluto che quel momento non finisse mai, era perfetto, senza nessun pensiero oltre a noi due. Mi sfiorò il naso e lo baciai di nuovo, ancora e ancora. E fu semplice perdersi tra quel mare di strette e morsi famelici e poi sguardi e sorrisi pieni di gioia ed ancora baci e baci.

E fu un attimo a distruggere tutto. Un maledetto bip del suo cellulare che avvisava di una missione per noi.

Ci guardammo infastiditi ma rassegnati e ci dirigemmo veloci verso la saletta, incuranti di essere insieme agli occhi del pubblico.

Lui si fiondò a scusarsi con il suo appuntamento e a recuperare la giaccia, io dal mio per la medesima ragione, ma trovai il tavolo vuoto. Solo un bigliettino giaceva nel suo piatto: “Scusami, mi hanno chiamato per un’urgenza sul lavoro. Mi dispiace tanto. Tuo, Ettore”

 

Tralasciai la firma esagerata e ci dirigemmo al luogo prestabilito, dove Lorenzo mi lasciò scendere per poi ripartire e prendere un arsenale più adeguato alla base. Intanto io avrei fatto il punto della situazione e non ero neanche sola: sul cellulare di Lorenzo arrivò un avviso dell’imminente arrivo di un altro agente nelle vicinanze che già si apprestava a prendere posizione.

Il capannone era buio e il mio appostamento dietro a un cassone non era dei migliori. Ma presto fui raggiunta dall’agente dell’avviso di poco prima. Si accovacciò accanto a me non appena vide la mia figura nella penombra e, con una pistola tra le mani, dandomi le spalle cominciò a dirmi: -Bene agente. Il bersaglio si trova a pochi metri da noi. Lei va per prima ed io le copro le spalle.-

Impossibile non riconoscerlo. Inconfondibile la sua voce roca e il suo profilo longilineo ma rigido.

-Ettore?- ero incredula vedendolo accanto a me, acquattato anche lui dietro le casse, che mi ordinava autoritario cosa dovessi fare.

-Tu non puoi conoscere il... - stava per urlare arrabbiato che qualcuno, ovvero la sottoscritta, avesse informazioni su di lui, ma si bloccò spiazzato quando i suoi occhi incrociarono i miei.

E mi apparve di nuovo qualcun altro. Non l’istruttore di poligono, non il perseguitatore quasi calcolatore, né tanto meno l'amante dannatamente sensuale del ristorante, bensì un agente rigido ma attento con qualcosa di indefinito che lo rendeva stranamente familiare, forse perché avrebbe dovuto essere un partner o forse semplicemente perché aveva quell'inconfondibile modo di muoversi d'agente dell'Organizzazione.

Mi maledissi mentalmente della mia stupidaggine, per non essermi accorta di due cose fondamentali: da una parte c'era lui con una chiara personalità sdoppiata o, non si sarebbe spiegato, e dall'altra c'era Lorenzo che aveva architettato tutto. Lui voleva che m'incontrassi con Ettore perché faceva parte dell'Organizzazione e perché gli stava comodo avermi sotto controllo attraverso i suoi sottoposti. Questo mi infervorava di rabbia, immensamente. Ed io avevo capito il suo gioco, non l'avrebbe passata liscia.

-Ania?-

O sapeva fingere ed era un eccellente attore, o più verosimilmente Ettore non pensava di incontrarmi sul campo da battaglia, per lo meno questa fu la mia prima impressione vedendo il suo sguardo confuso.

-Che...? Diamine!- se prima era confuso in un attimo riuscì a riacquistare lucidità della situazione e sbottò.

Sentimmo improvvisamente un fischio che fendeva l'aria con l'aumentare della propria potenza, probabilmente una carrucola mollata male. Sarebbe stato plausibile essendo in un cantiere navale, ma solo un paio di secondi prima dell'impatto capimmo che si trattava di un piccolo missile lanciato proprio nella nostra direzione.

Vidi Ettore sgranare gli occhi non appena ebbe capito cosa stesse succedendo e buttarsi di lato vicino la battigia, trascinando me con lui. Me lo ritrovai così affianco a me, con un ginocchio accidentalmente infilato nel lungo spacco del vestito che ancora indossavo e con il fiato che mi solleticava i capelli sulla fronte.

Alzai lo sguardo e incontrai il suo fisso in un'espressione dura e contrita.

-Gr-grazie...- mi ritrovai a biascicare arrossendo come una bambina e voltando lo sguardo di lato, cosa decisamente inusuale per me.

-Maledizione! Perché mi hai seguito?-

-Io? Figurati se sono tipa del genere.-

-No?! Ho capito benissimo che ti piaccio ma non dovevi seguirmi quando non mi hai trovato nel ristorante.-

Nel giro di neanche pochi secondi pensai per ben due volte che Ettore fosse davvero all'oscuro delle manovre di Lorenzo. Era convinto che fossi una semplice civile e il fatto che mi stesse porgendo una pistola tra le mani per difendermi qualora ne avessi avuto bisogno, dicendomi di scappare, oltre al fatto che il suo sguardo vagava per il cantiere ancora alla ricerca del suo partner per quella missione, mi fece capire che non sapeva davvero niente. Da una parte ero arrabbiata per il gesto di Lorenzo e per l'ottusità di Ettore, dall'altra dovevo far capire a quest'ultimo che non avrebbe mai trovato chi cercava se non restringeva il suo campo visivo a me.

-Idiota che non sei altro!- sbottai. La fredda e calcolatrice Ania se n'era già andata via da un pezzo ormai, in sua presenza, ora ce n’era solo una fuori dalle staffe.

Ettore sgranò gli occhi sconvolto, ma non rifiutò la mia mano nell'aiutarlo ad alzarsi e neanche la sua pistola che gli ritornai.

-Non credevo che fossi un deficiente...- il colore delle sue guance divenne arrossato ma non ribatté -... ma non credevo neanche che fossi un agente dell'Organizzazione.- tagliai corto stringendogli la mano e presentandomi a dovere.

-Ania, agente Silente.-

In un primo momento lo vidi vacillare, in un secondo era chiaramente scioccato, ma poi la sua espressione tornò ad essere quella tipica dell’agente che notai poco prima; la mia preferita di lui.

Anche lui stava per porgermi la mano, ma un proiettile gli stava per fischiare accanto all'orecchio quando lo trassi a me contro il muro del capannone, che fungeva da scudo.

Sentivo il suo bacino conficcato nel mio fianco ed era stranamente una sensazione che non mi dava fastidio. Ormai c'eravamo e non potevamo che affrontare insieme il bersaglio.

-Comunque sono Ettore, agente Duale. Corpo a corpo e armi a corto raggio.- finì anticipando la mia domanda inespressa su quale disciplina fosse afferrato. Gli agenti duali, nella nostra organizzazione, si distinguevano per la capacità di essere afferrati in particolar modo in due categorie, che cambiavano da persona a persona.

Io nel frattempo osservavo il soggetto assegnatoci, il quale veniva verso di noi ubriaco fradicio agitando in una mano un mitra e nell'altra una Revolver. Non potevo crederci che ci avessero assegnato una missione del genere. Non sapevo il rendimento generale di Ettore, ma il mio era il più alto tra i miei colleghi, di solito mi assegnavano missioni tattiche e non l'uccisione di un ubriacone.

-Allora?-

La sua domanda mi destò dai miei pensieri, in effetti non lo stavo ascoltando.

-La tua disciplina.-

-Non mi sembra il momento di conversare, il tizio là fuori ci vuole morti.- dissi acida buttandomi dietro un cassone appena fuori dal capannone. Non era davvero il caso di dilungarsi in frivole chiacchiere, quello che mi premeva di più in quel momento era di concludere la missione, capire cosa farne di Ettore e prendere a sberle quel deficiente di Lorenzo.

Vidi il guizzo negli occhi di Ettore, che mi aveva seguito, quando spostai la stoffa dello spacco per estrarre e caricare la mia vecchia ed affidabile Beretta, una pistola del calibro 7.65.

-Tiratrice scelta, assassina veloce e silenziosa.-

-Peccato, io preferisco torturarli.- disse ironico e con poca convinzione. Se era la sua tattica per mostrarsi migliore e quindi più attraente era fallita miseramente.

Mi scappò un sorriso che malauguratamente lui intercettò, mentre prendevo posizione tra il cassone che ci nascondeva ed uno leggermente più modesto al nostro fianco. Sfortunatamente mi accorsi solo quando cominciai la discendete, per allineare tacca e mirino sul bersaglio, ancora instabile per via dell'alcol, che il mio lungo vestito mi intralciava i movimenti. E ovviamente lui se ne accorse.

-Cosa c'è? Non credi che le urla di un prigioniero siano meglio del suo veloce abbattimento?- percepii l’imbarazzante e fuori luogo tentativo di seduzione, anche quando mi sollevò quel lembo di stoffa che mi rendeva difficoltosi i movimenti.

-No, semplicemente credo che un uomo stramazzato a terra sia meglio di un ciarlone al proprio fianco.- dissi premendo il grilletto e sentendo il rinculo della mia 7.65. Il colpo trafisse dritto la fronte del bersaglio che come avevo predetto cadde steso al suolo, facendo cadere anche mitra e pistola.

Concluso. Soddisfatta.

-Cazzo! Doppio cazzo!- urlò scattando in piedi, come una molla liberata dopo un lungo periodo di tensione.

-Chi c'è ancora da abbattere? È arrivato qualcuno?- chiesi un po' preoccupata dalla sua esclamazione.

Lui si voltò verso di me e mi guardò con occhi di chi venera qualcuno.

-E allora?-

-L’hai davvero abbattuto e a questa distanza incredibile, con una ridicola 7.65. Cazzo!- si agitò come un ragazzino che vedeva vincere la coppa del mondo dalla squadra per cui tifava.

-Eh?-

In quel momento pensai di trovarmi davvero davanti a un raro fenomeno di sdoppiamento della personalità. Da istruttore magnetico e accattivante a maniaco ossessivo, da ragazzo oltremodo sensuale ad agente incallito, da uomo preoccupato a bambino esaltato. In ogni caso sarebbe stato inutile farglielo notare poiché continuava a fissare la distanza tra noi e il soggetto stecchito, circa 110 metri, mentre io mi rialzavo sui mei trampoli. E la cosa risultò inspiegabilmente vana perché Ettore mi atterrò nuovamente a terra, con tale impeto da farmi inquietare.

-Hai visto qualcun altro?- chiesi ingenuamente sbirciando oltre i cassoni, con lui ancora sopra me.

-In effetti ho visto una donna...- disse con un tono così voglioso da farmi voltare verso di lui -... meravigliosamente abile nel mio mondo.-

C'eravamo di nuovo! Mentalmente mi tirai uno schiaffo in fronte. La parte giocosa e bramosa nei miei confronti era tornata di nuovo, ed io ero già stanca di quella situazione imbarazzante.

-Ettore, levati. Dobbiamo nascondere il cadavere.-

Tentai di sollecitarlo ad alzai, ma la cosa mi riuscì impossibile anche quando tentai di spostarlo con l'inutile forza delle mie braccia. In compenso lui mi derubò della mia pistola che ancora tenevo in mano e mi bloccò i polsi sulla nuca con una delle sue. I suoi occhi erano fissi nei miei, splendidi occhi verde smeraldo, leggermente opachi e crudeli all'occorrenza.

-Ok- disse alzando il bacino dal mio -Ma prima mettiamo a posto questa.- e mi mostrò la mia arma.

Infilò le sue gambe tra le mie, allargando lo spacco del mio vestito e tenendo le mie mani ancora ben salde sopra la mia testa. Per raggiungere la stoffa con la pistola dovette abbassarsi ancor più su di me, poggiandosi completamente sul mio sterno, e dovetti ammettere che quella sensazione di compressione non mi dava alcun fastidio, anzi. Però dovevo pur mantenere la mia dignità.

-Non siamo dei ragazzini. Lasciami, Ettore!- cercai di divincolarmi spingendo con le ginocchia.

Poteva anche piacermi la situazione ma stavo comunque tornando ad essere altera.

-Non dirmi che non ti piace questo.-

Sentii il suono della sicura che si innestava, l'avevo dimenticata aperta, poi il freddo metallo che mi lambiva la pelle della gamba scoperta.

-Smettila!-

Per quanto fosse sensuale ed eccitante mi stavo adirando seriamente. Nessuno mi metteva le mani addosso senza che io glielo permettessi, neanche Lorenzo.

Non potevo muovere le braccia così gli assestai una ginocchiata nel fianco, ma ne ricavai solo una smorfia di fastidio da parte sua. Eppure non aveva intenzione di liberarmi.

-E questo.- disse ancora imperterrito spostando l'arma nell'interno dell'altra coscia.

Questo mi scosse un po' e avrei mentito nel dire che non mi piacque, soprattutto quando raggiunse con la bocca della pistola il mio perizoma in pizzo nero; ma a dirla tutta lì ebbi un po' di paura. Il battito del mio cuore rallentò solo quando riscese di nuovo verso la giarrettiera, che usavo per tenere l'arma, e con minuziosa precisione la infilò dentro il tessuto di pizzo écru.

-Ora possiamo andare.- rise beffardo sollevandomi sgraziatamente da terra.

D'impulso gli tirai uno schiaffo diretto sulla sua guancia, che sfortunatamente lui riuscì a intercettare, bloccandomi il braccio dietro la schiena e fermandomi l'altro con la stessa mano; con l'altra mi scostò una ciocca sfuggita al controllo dell'acconciatura e mi sembrò che sorrise lieve e felice, oltre che sollevato. Aveva una presa davvero forte, infatti fu inutile tentare di dimenarmi.

-Forse non ti rendi conto dell’effetto che hai su di me. E ora sapere che facciamo lo stesso lavoro mi eccita da impazzire.-

Magnetico quanto inquietante era il suo sguardo. Caddi preda delle sue labbra soffici e gonfie di desiderio. Era dolce, succoso, non potei negarlo, ma allo stesso tempo mi faceva imbestialire.

Sorrisi a fior di labbra nel pensare che gliel'avrei fatta pagare a breve. E quando si staccò dal suo bacio pretenzioso tentai un nuovo affondo sul viso come diversivo, da quello che in realtà era un colpo dritto nelle parti basse. Evidentemente la serata era contro di me perché lui riuscì ad evitare di nuovo le mie mosse, retrocedendo e afferrandomi di nuovo i polsi, sogghignando e bloccandomi contro un cassone.

-Dimentichi quello che ti ho detto. Una delle mie due categorie è il corpo a corpo.-

Sbuffai dall'esasperazione vedendolo puntare nuovamente sulle mie labbra. Ma ad un tratto urlò di dolore, un suono famigliare alle mie orecchie, e sorrisi felice dell’espressione contrita sul suo volto: una mano gli strattonò i capelli e lo tirò via da me.

Mi rivolse uno sguardo di supplica, ma io incrociai le braccia ridendo beffarda della situazione e appoggiandomi di spalle al cassone. Sapevo benissimo chi l'aveva tirato via da me e che ora lo stava strisciando a terra, urlandogli che una donna non si tocca nemmeno con un fiore se non è la sua volontà.

Ettore sgranò gli occhi, visibilmente arrossito in volto, riconoscendo il suo aggressore: il capo dell'Organizzazione, nonché Lorenzo.

-Stavamo solo...- tentò di giustificarsi Ettore ridicolamente, ancora artigliato dai corti capelli, ma io lo precedetti.

-Ci stavamo solo esercitando in doppio gioco seduttivo.- e in modo più sensuale che potei avanzai verso Lorenzo e gli lambii gli addominali sotto la camicia con le dita, fino ad arrivare al bottone del suoi pantaloni e tirarli a me giocosa. Sia l'uno che l'altro sgranarono gli occhi; anch'io ero capace di farmi desiderare ed entrambi me l'avrebbero pagata per il brutto tiro mancino.

-A...Ania...- farfugliò Lorenzo.

-Taci tu! So cosa avete fatto!- sbottai incazzata, facendogli capire che io sapevo dei loro raggiri.

-Ania... io non...- stavolta era Ettore che tentò di parlarmi, ma io lo sbloccai con un gesto della mano facendogli capire che non doveva azzardarsi a proferire parola.

Nel frattempo raggiunsi a passo felpato il cadavere, che in precedenza Lorenzo aveva spostato nelle nostre vicinanze, e afferrandolo da dietro il collo della giacca lo trascinai, come carne da macello quale era fino all’auto.

Arrivata ormai alla Jaguar X-type grigio notte buttai il cadavere nel bagagliaio aiutata dagli altri due, che mi avevano seguito con occhio curioso e clinico i miei movimenti.

Agirai comunque il gioiellino del capo sotto lo sguardo perenne dei due e mi sedetti al posto del passeggero anteriore, Ettore mi seguì sedendosi dietro e Lorenzo si mise alla guida. Ero sempre più altera. Perché beffarmi così e trattarmi da bambina come se non sapessi badare a me stessa? Ero capace sia di affrontare agguati di ogni genere che trovarmi uno straccio di ragazzo, che poi il ragazzo che volevo complicava ancora di più le cose era un altro paio di maniche. In ogni caso ero determinata a fargliela pagare a quei doppiogiochisti: così mi levai le scarpe sul fondo dell'auto e poggiai le gambe sul cruscotto in radica di noce, strofinandomele l'una contro l'altra, fingendo che mi facessero male, e mi feci scivolare inavvertitamente la stoffa fino a scoprirmi la giarrettiera che teneva la mia fedele Beretta; mi accoccolai poi nel sedile mistificando il mio sonno.

Non ci volle molto per riuscire a vedere l'effetto che ebbi su Ettore dallo specchietto retrovisore: era pallido e i suoi jeans mostravano un lieve rigonfiamento. E sebbene Lorenzo odiasse il fatto che poggiassi i piedi sul cruscotto anche da lui ebbi esito positivo, infatti non mi disse nulla e i suoi movimenti risultarono fin troppo calcolati e rigidi nel dare gas al motore sprigionando quel soave e rombante suono.

Arrivati a casa scesi senza aspettare e andai verso Lorenzo che apriva il cofano dell’auto rivelandone il cadavere. L’interno era tutto imbrattato di sangue. Non vomitai, ero abituata ormai, era la mia fottutissima vita.

-Dovrai ripulirla.- tagliai corto dirigendomi già verso la villetta.

Mi accorsi solo in un secondo momento che Ettore mi fissava interrogativo, come se volesse chiedermi che cavolo ci faceva lui là. Mi stavano dando entrambi sui nervi, ma dovevo pur concedergli una spiegazione.

-Stanotte dormirete entrambi nella dependance. Svegliatevi presto.- fui autoritaria nel parlare, quasi fredda, e loro non ribatterono. Ettore ci provò ma Lorenzo lo bloccò facendogli capire che era meglio non farlo.

Ero più che decisa a trovare un modo per fargliela pagare ed una mezza idea già mi ronzava in testa, dovevo solo trovare il momento giusto per attuare il mio piano.

Rabbia.

Da un albero lungo il mio tragitto staccai un piccolo grappolo di ciliegie.

Frustrazione.

Non volevo fargli male, soprattutto a Lorenzo, ma doveva pur capire che dovevo riuscire a cavarmela da sola. Ormai ero matura ed un giorno sarebbe toccato a me gestire tutto questo. È vero non riuscivo più ad amarlo come volevo, a parte qualche sporadica breccia, ma non per questo mi buttavo addosso a chiunque e gli mancavo di rispetto, anzi tentai in ogni modo di riallacciare il rapporto che c’era tra noi. Eppure il suo gesto di darmi in pasto ad un suo sottoposto per controllarmi e quindi sapere che non finivo per amare realmente qualcun altro mi fece cadere in una voragine d’angoscia.

Sconforto. Delusione.

Mi rigirai le ciliegie tra le dita della mano. Erano anch’esse di un rosso che macabramente nella penombra della notte tendevano ad un nero plumbeo, come le loro pupille, come il sangue versato ogni giorno, come il sentimento che pulsava nelle mie vene e si fermava ad ostruire il mio sterno soffocandomi. L’odiavo, le morsi.

 

Taira Croft

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Taira Croft