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Autore: HeartSoul97    26/06/2015    2 recensioni
"Alex Watson è una normale diciassettenne londinese, forse solo un po' sfigata, niente di più. I suoi amici? Una ragazza bellissima e dolce, un'allegra libraia e un chitarrista che sogna la fama. Ma i suoi nemici? Uno solo: un ragazzo tanto bello quanto stronzo, che non fa che prenderla in giro, e che abita proprio accanto a lei! Le cose cominciano a precipitare quando una misteriosa lettera giunge alla nostra protagonista..."
Ora, spazio all'autrice. Abbiate pietà, è la primissima storia DAVVERO romantica che scrivo, non ho esperienze su cui basarmi, quindi chiedo umilmente il vostro parere. Opinioni positive ben accette, negative anche di più, perché servono a migliorare. Grazie per l'attenzione, a tutti.
Un'altra cosa: nei vostri commenti potete darmi spunti o consigli su ciò che potrebbe succedere. Vorrei infatti che la storia risultasse anche divertente, ma io non ho molto senso dell'umorismo, quindi imploro il vostro aiuto. Grazie mille.
Vi auguro sinceramente una buona lettura e spero che continuerete a seguirmi.
HeartSoul97
Genere: Demenziale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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17. The way it was
                                                                                                                                                                                                                                 Presa tra due fuochi,
                                                                                                                                                                                     non sa dove volare


Torno a casa parecchio stordita.
Sbaglio chiave tre volte prima di riuscire ad aprire la porta di casa, e mia madre mi chiede qualcosa che non sento finché non viene a urlarmela all’orecchio.
«Insomma, che vuoi per cena?».
La guardo stralunata e rispondo qualcosa di simile a “va bene tutto”.
In camera mia, mi sfioro appena le labbra con le dita. Ho bisogno di una prova che è successo tutto per davvero e non solo nella mia testa: ho troppa paura di aver sognato ad occhi aperti.
Cerco di ricordare, chiudendo gli occhi. Prima il buio, la sensazione di essere sola, il gocciolare ritmico della tubatura, menta e limone, quel bacio dolcissimo...
Respiriamo vicini. Ludvig sfila gentilmente la benda dalla mia testa. Mi rendo improvvisamente conto di aver tenuto gli occhi chiusi anche sotto la stoffa nera. Li apro, e incrocio il suo sguardo turchino un po’ incerto e imbarazzato. Nessuno di noi due dice una parola, io per il semplice fatto che non ricordo come si fa a parlare.
Evidentemente lo prende come un segno negativo, perché distoglie lo sguardo e dice un secco «Per oggi abbiamo finito», prende le sue cose e se ne va prima che riesca a fermarlo.

Spalanco gli occhi, prendendomi la testa fra le mani.
Ho rovinato tutto anche con Ludvig! Perché non riesco a non combinare disastri?
Mi do mentalmente della stupida. Dovevo dire qualcosa, qualsiasi cosa, anche una cretinata ma dovevo parlare, accidenti. Cosa penserà di me, ora? Mi eviterà come la peste.
Dannazione. Dannazione. Dannazione.
Che cosa faccio, adesso?

Il giorno dopo, ovviamente, dico tutto a Momo.
La trovo, la mattina, parcheggiata sul muretto della scuola a ripassare; la saluto e mi siedo accanto a lei, ma prima che possa dirle qualcosa le squilla il cellulare.
«Scusa, è Sean, devo rispondere» dice, e si allontana in fretta.
Noto che ha cambiato suoneria.

Abbiamo un’ora di buco, e decido di avvantaggiarmi qualche lavoretto, ma quando ho finito ho ancora quaranta minuti di dolce far niente: è il momento per parlare del “fattaccio” con Momo.
Sta sentendo la musica con gli occhi chiusi. Le do un leggero colpetto sulla spalla, sussulta e, prima di mettere in pausa ciò che stava ascoltando, si sfila le cuffie. Dagli auricolari proviene una canzone che ho già sentito da qualche parte.
Le racconto di ieri pomeriggio nei minimi particolari, anche per cercare di capire se c’era stato un qualche indizio che sarebbe successo.
«Ti ha baciata?» esclama, stupita.
«Sì».
«E tu non gli hai detto nemmeno una parola?»
«No»
«Santo cielo Alex, l’hai combinata grossa»
«Lo so».
Rimango in silenzio per alcuni minuti. Non so, Momo non mi convince. È stupita, ma non tanto.
«Non sembri molto sorpresa» le dico infatti.
«Certo che lo sono»
«Sicura?».
Momo non risponde subito.
«Sospettavo che prima o poi lo avrebbe fatto, ecco. Si vede che gli piaci, tutto qui»
«Ti aspettavi che lo avrebbe fatto e non mi hai detto niente? Se me lo avessi detto forse a quest’ora non avrei fatto la figura del pesce lesso!»
«Era solo un’impressione, non una certezza».
Continuiamo su questo tono per un po’.
«Se permetti, Alex, se non ti eri accorta che ti stava facendo il filo sei cieca come una talpa»
«Ma no che non me ne sono accorta! Perché mai un ragazzo come Ludvig dovrebbe interessarsi a me? Non ha senso».
Momo emette qualcosa a metà tra uno sbuffo e un sospiro esasperato.
«Perché ti sottovaluti, Alex? Perché pensi di non poterti meritare qualcuno come Ludvig?»
«Non sono abbastanza, chiunque lo penserebbe»
«Guarda che ci sono un sacco di celebrità che hanno sposato gente normalissima. Non serve essere speciali per il mondo, basta essere speciali per l’altro. E forse lui ti considera speciale».
Speciale. Ho sempre voluto essere speciale, avere qualcosa che altri non hanno, un talento, una passione, qualsiasi cosa. Non mi sono mai sentita speciale – sempre nella media, in ogni cosa, tanto nel mio aspetto quanto nelle mie qualità. Mediamente alta, mediamente brava a scuola, sempre quel dannato mediamente.
Ho sempre pensato che è essere speciale che fa avvicinare gli altri, ma che bisognasse essere obbiettivamente speciale. Il fatto che qualcuno possa considerarti speciale anche se agli effettivi occhi del mondo non lo sei, be’, è consolante.
«Ma io non sono speciale» insisto.
«Oh, pensala come vuoi, allora. Piuttosto» e cambia bruscamente argomento «hai risolto con Jake? O continuerete a evitarvi per tutto il resto della vostra vita? Ti ricordo che la gara è tra tre settimane».
Ah. Già. Ho un altro problema da risolvere.
«In verità no. A malapena mi parla. Evita anche di guardarmi, mentre balliamo» bofonchio.
«Hai pensato a quanto gli sia costato dirti ciò che ti ha detto?» chiede.
No, non ci avevo pensato. Neanche un po’. Troppo concentrata su me stessa per pensare a lui.
Che razza di egoista!
«No» ammetto, arrossendo di vergogna per me stessa.
«Be’, secondo me gli è costato parecchio. Si è esposto, ha rivelato il suo animo, che ha nascosto così bene per tanto tempo e che ancora oggi nasconde. Magari lui non sa come comportarsi con te perché non sa come hai preso le sue parole, no? E magari si è anche pentito di aver parlato. Magari è imbarazzato da quello che ti ha detto».
Rifletto sul discorso di Momo.
«Forse. Non lo so, non ci avevo pensato. Ma anche supponendo che sia così, che cosa dovrei fare, possibilmente senza peggiorare la situazione?».
Momo riflette un po’. Sospira rassegnata.
«Non lo so. Parlarci, forse. Ma prima dovresti provare a fare pace con te stessa»
«In che senso, scusa?»
«Nel senso che devi prendere una decisione, e stavolta sul serio. Vuoi o no trovare un modo per riconciliarti con Jake? Il passato è passato, Alex». La campanella suona, fine dell’ora buca.
Lo voglio, penso, con tutto il mio cuore. 
 
Il weekend passa tranquillo, fin troppo. Momo non si fa sentire quasi per niente, tranne un messaggino ogni tanto per ricordarmi di chiarire con Jake.
Come se potessi scordarmelo.
Ludvig, ovviamente, tace – non lo biasimo, al suo posto mi odierei anch’io. Controllo ogni tanto il cellulare per vedere se si smuove qualcosa, ma niente. Solo ogni tanto Momo la psicologa che cerca di scrutare l’imperscrutabile, ovvero l’animo di Jake e il mio, ovviamente.

Dovresti uscire dalla tua tana, bussare alla sua porta e fare una chiacchiera a quattr’occhi, come si deve, come due persone normali, dire finalmente addio al passato e ricominciare da capo. Dai, come puoi ignorare uno che ti dice apertamente che non può stare lontano da te e che gli fai uno strano effetto? Perché è questo che ti ha detto, tontolona!

Ricevo il messaggino di Momo la domenica mattina. Ha perfettamente ragione, lo riconosco. Solo che non ha considerato una cosa: lei avrebbe il coraggio di farlo, io no. Sono una codarda e, per quanto ammetterlo non mi diverta affatto, è la pura verità.
Per un attimo, però, immagino cosa accadrebbe se riuscissi davvero a convincere i miei piedi ad andare di fronte a quella porta e bussare.
Mi immagino, in una scenetta idilliaca che la mia fantasia partorisce in barba alla mia mente provata dagli avvenimenti dell’ultima settimana, Jake che apre la porta di casa sua, sorpreso. I suoi genitori sono a casa, quindi usciamo, ci dirigiamo a piedi verso Regent’s Park, il nostro parco, e lì confessiamo tutto ciò che ci siamo tenuti dentro per tutti questi anni.
Lì, nella gelida brezza invernale che mi scompiglia i capelli, ammetto di essere stata una stupida egoista rancorosa, che in realtà il mio odio per ciò che è successo in quel lontano giorno d’estate è scomparso da un pezzo, solo che non me ne sono voluta rendere conto perché mi faceva comodo, che non c’è stato un giorno in cui non abbia rimpianto di non aver aperto la porta quando lui suonava per chiedere scusa, che non ho fatto altro che mentire, a lui e a me stessa, che non potevo perdonarlo perché era più facile così.
Gli direi che quel bacio alla festa di Amber era stato importante per me, e non solo perché era il mio primo bacio – che ne poteva sapere? – ma perché avevo percepito tutto ciò che le parole mai avrebbero potuto esprimere, e gli confesserei che mi sono sentita una stupida subito dopo, quando ho visto che baciava tutte le altre, poiché avevo creduto, per un attimo, che tra noi fosse diverso. E forse lui mi risponderebbe che è così, che tra noi è diverso, che non avrebbe mai voluto dire quelle parole in quell’estate lontana, che non ha mai saputo perdonarsi – be’, in parte queste cose me le ha già dette – e poi, chissà, magari mi bacerebbe di nuovo, stavolta senza birra e senza cerchio di ragazzi ubriachi, ma solo noi due, la neve e Regent’s Park.
Mi scrollo questa fantasia di dosso. Non accadrà mai.
Guardo fuori dalla finestra. La neve, bianca e compatta fino a qualche giorno fa, si sta sciogliendo in pozze poltigliose sporche di terra.

Lunedì non so da dove prendo il coraggio per presentarmi alle prove.
Mi vergogno come un ladro a stare lì, in mezzo a quei due ai quali devo entrambi delle scuse.
Ludvig neanche mi guarda in faccia e anche mentre balliamo è terribilmente assente. Mi do mentalmente dell’idiota ancora una volta.
Jake non ha un atteggiamento molto diverso, ma ovviamente lo ricollego a quanto è successo domenica scorsa, quando lui è esploso a quel modo e io non ho saputo fare altro che scappare.
Riproviamo tutto quanto, tutte le coreografie, e finiamo anche quella del tango, ma mi sento talmente male e talmente colpevole verso tutti e due che non faccio che sbagliare. Aspetto con ansia che rimaniamo solo io e Ludvig così possiamo… cosa, chiarire? Non saprei neanche cosa dirgli. Mi dispiace perché mi hai baciato e io ero talmente stupita e sorpresa da non essere in grado di dire niente? Andiamo, è patetico.
Eppure, quando la lezione con la Costance finisce, Ludvig dice un semplice “ho un impegno” e se ne va. Anche Jake se ne va senza aspettarmi.
Stavolta l’ho combinata proprio grossa…
L’indomani, dopo scuola, sono talmente depressa e abbattuta che mi viene l’idea di saltare le prove, ed è esattamente quello che faccio. La Costance mi chiama qualcosa come quindici volte, ma non rispondo mai.
Anzi, ripenso a quello che mi ha detto Momo stamattina, in pratica che me lo merito perché sono una stronza egoista e pure stupida.
Non solo ho dato la prova a Jake che non me ne frega nulla di lui quando invece non è affatto vero, ma ho anche perso l’amicizia di Ludvig. Secondo Momo io non avrei messo “i giusti paletti” con lui.
«Sì, insomma, se volevi che non accadesse niente del genere avresti dovuto mettere le cose in chiaro prima», mi ha detto stamattina.
Ma il punto è: lo volevo? È a questo che non sono in grado di rispondere. Non so io per prima cosa voglio, come posso dichiarare le mie intenzioni agli altri?
Forse sono stata un po’ troppo civetta con lui. Però non è giusto, finalmente qualcuno mi degna di attenzioni e io non dovrei sentirmi lusingata? Forse, nel mio inconscio, volevo che accadesse questo, per uno strano capriccio della mia femminilità. Anche se la mia testa vorrebbe tanto smentire queste accuse – no che non lo volevo, non mi ero nemmeno accorta di piacergli – ma sarebbero bugie. La verità? Non la so nemmeno io. Il fatto di piacergli era un tarlo che mi rodeva da un po’, mi chiedevo se non stessi interpretando in maniera sbagliata i segnali di quella che voleva essere una semplice amicizia.
E ora ho perso anche questo.
 
Gli occhi furenti della Costance mi fissano, il suo indice accusatore è puntato verso di me. Nell’imbarazzo più totale – una punizione meritata, per tutto quello che ho combinato – mi guardo le punte dei piedi, all’improvviso interessanti.
«Mancano solo tre settimane alla gara, non puoi assentarti così! Stai mettendo a rischio tutto il nostro lavoro! Devi ancora lavorare sulla seconda parte della coreografia del tango, non puoi assentarti e soprattutto senza dire niente e non rispondere alle chiamate!» si passa una mano tra i capelli, tremante.
Grossi lacrimoni minacciano di uscire dai suoi occhi.
«Scusatemi, ragazzi, sono molto stressata. E preoccupata. Ma io ho bisogno che voi mi aiutiate, lo capite, vero?» ci guarda implorante. Provo un’infinita pena per quella donna che si è ritrovata due disgraziati come me e Jake al posto di due ballerini così bravi come Imogen e Robert.
«Mi dispiace, prof. Avevo bisogno di staccare» mi arrendo.
La Costance singhiozza un altro po’, si asciuga gli occhi, batte le mani.
«Allora, dove eravamo rimasti?» chiede, con un sorriso un po’ forzato.
Riprendiamo la coreografia del tango dalla prima parte, che ricordo benissimo, prima di avventurarci sulla seconda (che non ricordo affatto).
Per di più oggi i ragazzi sembrano meno ostili nei miei confronti, ma forse è solo un’impressione dovuta al fatto che mi ci sto abituando.
Quando accendiamo lo stereo, però, succede una cosa strana. Anziché partire il nostro sfrenato brano di merengue, comincia una canzone diversa, strana. Mi sembra anche di averla già sentita da qualche parte, ma non ricordo dove.
Rimaniamo come congelati per un po’ prima che la Costance si riprenda e cominci a chiedere “che cos’è?” all’impazzata, mentre Jake si affretta a togliere il CD dallo stereo. Vorrei darci un’occhiata e capire che razza di canzone sia, ma sparisce dalla mia vista prima che riesca a fare qualcosa.
 
Stavolta Ludvig è molto più rilassato dell’altro giorno. Più disteso. Mi parla e mi guarda esattamente come se non fosse mai accaduto niente, come se quel bacio rubato proprio qui non fosse mai esistito. Poco alla volta, mi sciolgo anche io; sorrido addirittura.
Invece, con Jake, è tutto come prima, se non peggio. Guarda Ludvig con un’antipatia tale, durante il tango, che fatico a convincermi che è tutta scena e si sta solo immedesimando nel personaggio.
Su questo stesso pavimento dove sto ballando il tango, meno di una settimana fa, uno dei ragazzi più belli e interessanti e simpatici e gentili che abbia mai conosciuto mi ha baciata. Sento come se quel bacio sia marchiato sulla mia fronte come la A scarlatta sul petto di Hester Prynne, e mi sento stranamente in colpa.
Non nei confronti di Ludvig, ma in quelli di Jake.
Adesso non essere stupida. Che c’entra Jake con il bacio che ti ha dato Ludvig? Perché lui ha baciato te, non il contrario! Che hai da sentirti in colpa?
Logicamente parlando, come il mio alter ego gentilmente ricorda, non dovrei affatto sentirmi in colpa – non con Jake. Eppure, quel suo sguardo indagatore e accusatore insieme, così triste e arrabbiato e ferito… sembra quasi che lo sappia.
Sì, ma anche se lo sapesse… che gli cambia? Un altro ragazzo ti ha baciata, e allora?
Provo un brivido al ricordo dell’altro giorno, quando mi ha detto “non riesco a comportarmi normalmente quando ci sei di mezzo te”.
Forse l’ho ferito, baciando Ludvig, esattamente come lui ha ferito me quella sera a casa di Amber, baciando le altre ragazze, ripete la vocina nella mia testa, ma infine la scaccio via, concentrandomi sul tango.
Ludvig rimane anche per le nostre prove, anche se il suo atteggiamento è ancora un po’ freddino. Perlomeno mi guarda in faccia, però.
Non dice una parola riguardo a venerdì scorso, mi aiuta solo a ballare al meglio.
 
L’indomani è giovedì, un’altra settimana sta finendo e la gara è sempre più vicina.
Ma anche oggi succede una cosa strana.
Sto andando alle prove. Esco dalla porta di casa, e dall’altra parte del pianerottolo anche Jake sta uscendo. Dalla sua casa esce una melodia che non mi è nuova… è la stessa dell’altra volta, quella che è partita per sbaglio dallo stereo.
Per qualche motivo che non conosco, mi si secca leggermente la gola. Che stia diventando paranoica?
«Non lo spegni lo stereo?»
«Angela sta ascoltando la musica» risponde, un leggero guizzo negli occhi chiari.
Mi sento sollevata dal fatto che mi abbia risposto, vuol dire che non tutto è perduto. Peccato che poi si azzittisce e non dice una parola fino a scuola.
E soprattutto, ho ancora il nodo della melodia misteriosa da sciogliere. Dov’è che l’ho sentita?
 
Stiamo ballando. Apparentemente non succede niente di particolare, ma vengo folgorata da un’illuminazione.
So dove ho sentito la melodia. Dove l’ho sentita la prima volta. La suoneria di Momo.
E poi l’ho risentita quel giorno stesso, mentre Momo si sfilava le cuffie.
E di nuovo mercoledì, lo stereo. E a casa di Jake, prima.
Devo assolutamente sapere qualcosa di più su questa canzone. Se la sento di continuo, ci deve essere un motivo, un segno del destino, la Provvidenza, non lo so.

A casa, davanti al computer, faccio mente locale riguardo alle poche parole che, in quattro ascolti in quattro diverse situazioni, sono riuscita a captare. Qualcosa come “desert”, “fight”, “way”.   
Scrivo quelle poche parole sul browser di ricerca, incrociando le dita. Spero davvero di trovare qualcosa, con così poche informazioni.
E qualcosa, infine, trova. The Way it Was, The Killers. Non conosco questo gruppo, ma mi pare che Momo me ne abbia parlato qualche volta. Forse mi ha parlato di una canzone che si chiama tipo Mr. Brightside o qualcosa del genere.
Metto le cuffie e premo play.

I drove to the desert last night.
I carried the weight of our last fight…

Allora vedi che il deserto c’era, e la lotta pure.
If I go on with you by my side, can it be the way it was when we met?
Did you forget all about those golden nights?

Quelle parole scavano un piccolo solco nel mio petto, mi ricordano tutto quanto è successo con Jake. A parte le golden nights, mi ritrovo abbastanza in quelle parole.
Maybe a thief stole your heart
or maybe we just drifted apart.

Be’, non è stato così semplice tra noi, caro il mio… com’è che si chiama? Brandon Flowers. Affatto.
Darling, darling,
If I go on with you by my side, can it be the way it was?
My heart is true, girl, is just you I’m thinking of.
Can it be the way it was?

Senza che possa fare niente per fermarla, una lacrima scende lungo la mia guancia. Chiudo gli occhi, nascondendomi la testa tra le mani.
È troppo tardi per tornare indietro? Voglio tornare indietro. E stavolta andrò fino in fondo.
Apro gli occhi. Finalmente, so che cosa devo fare. 



Ludvig – Lupo

Idiota.
Mi prendo la testa tra le mani.
Idiota.
Sbuffo.
Idiota.
Sbatto con violenza un pugno sulla mia scrivania.
Dovevi proprio rovinare tutto? Che razza di idiota.
Non avrei dovuto. Che mossa stupida.
Non era il momento giusto per baciarla, lo sapevi e lo hai fatto lo stesso. Bravo coglione.
Cerco di ignorare queste parole che mi stanno facendo infuriare.
Sai che sono vere, cretino.
È ovvio che lo so. Come se non lo sapessi, come se non me ne rendessi conto. Come se non mi fossi accorto di essere stato un cretino di massimo livello.
Dovevi proprio baciarla in quel momento?
Sì, in quel momento esatto e tu non sei in grado di capire perché!
Ora come ora, posso dire che forse non avrei dovuto, ma cosa ne potevo sapere che l’avrei spaventata?
Forse potevi fartela, la domanda, idiota!
Va bene, d’accordo, lo ammetto, non pensavo sarebbe successo.
Mezza pinta di modestia no, eh?
Uff… Che c’entra la modestia? Non intendevo questo. Semplicemente, non pensavo sarebbe successo perché non lo pensavo, punto.
E a cosa pensavi, di grazia?
Di certo non alla possibilità di spaventarla. Pensavo… non lo so neanche io a cosa pensavo. Pensavo che era il momento giusto e stavolta non c’era nessun italo-irlandese in mezzo a rompermi le uova nel paniere!
Oh, spiegato tutto. Ti senti minacciato, eh?
No, non minacciato. Sfidato, sì. E di certo non ho alcuna paura di affrontarlo.
 
Oggi alle prove Alex non c’è.
La prima cosa che penso è che sia colpa mia. E di mia madre.

Perché mia madre? Per capirlo, dovrò prima dirvi per bene cosa è successo.
Sabato, pomeriggio. Io sono ancora in fase di meditazione/rimprovero post-bacio-nel-momento-sbagliato. La mia sorellina Annika, dieci anni, entra come sempre senza bussare in camera mia.
«Lud, perché stai qui dentro al buio?»
«Perché devo riflettere e non voglio vedere nessuno, quindi fuori dai piedi».
Risposta sbagliata. Vedo il suo mento tremare, gli occhi farsi lucidi e capisco che ho innescato una reazione  molto pericolosa.
«MAMMA!» grida lei.
Mia madre arriva di corsa, mentre Annika attacca a piangere e spiega il mio misfatto, facendomi sentire un verme indegno di vivere.
«Va bene, piccola mia. Adesso vai giù e non pensare a questo cattivone, perché a lui ci penso io». Manda Annika in cucina e mi si piazza davanti con le mani sui fianchi, e non ho bisogno di parole per capire che vuole una spiegazione.
Così le dico tutto. Tutta la mia frustrazione riversata sopra le sue forti spalle di madre. Le racconto il mio errore vergognandomi come un ladro.
«Ho baciato una ragazza. Il problema è che non era il, diciamo, il momento giusto» confesso.
Mia madre, inspiegabilmente, sorride.
«Figlio mio, a questo non c’è rimedio, temo che sia parte del tuo DNA. Perché neanche tuo padre mi ha baciata al momento giusto, sai? Tale padre, tale figlio» ridacchia.
«Sì, d’accordo, se devi prendermi in giro puoi anche andartene»
«No, voglio aiutarti. Sul serio. Davvero non era il momento giusto?»
«A quanto pare no, visto che non ha detto una parola»
«Magari era solo sorpresa. Magari non se lo aspettava».
Sgrano gli occhi.
«Come sarebbe a dire, “non se lo aspettava”? È chiaro come il sole che mi piace!»
«Forse non così chiaro»
«O forse io, diciassette anni, sono una frana con le ragazze, e un ragazzino di terza media mi riderebbe in faccia. Quest’ipotesi è anche peggio» nascondo il volto tra le mani.
Stai facendo la ragazzina.
Lo so, ma sono al limite.
«Su, su. Tutto si aggiusterà. Se vuoi un consiglio, lasciale i suoi spazi: lasciala riflettere per un po’. Se è vero che non se lo aspettava, avrà bisogno di un po’ di tempo. Non sa come comportarsi con te, esattamente come tu non sai come comportarti con lei».
La guardo.
«Da quando saresti così saggia?»
«Da quando tuo padre ha fatto la stessa cosa. E ti dirò un’altra cosa. È patologicamente attestato che le donne preferiscono gli stronzi». Detto questo, esce dalla mia stanza.
Che vuol dire, che devo fare lo stronzo? Non ne sono capace!
Oh, sì che lo sei. Basta poco, non devi certo diventare un flagello per quella povera ragazza.
 
E così lunedì sono stato un po’ freddino con lei. Forse troppo. E sono andato via senza rimanere a fare le prove con lei – e da una parte anche il non-stronzo che è in me approva, visto che sarebbe stato imbarazzante essere di nuovo a tu per tu dopo così poco tempo.
Tuttavia,  quando martedì non si presenta, il mio primo pensiero è di aver esagerato con il distacco.
Grazie, mamma.
Il mio primo impulso è quello di correre da lei e chiederle scusa, e invece non le invio neanche un messaggio.
O’Brian mi guarda con astio. Con qualche arte mantica a me sconosciuta avrà scoperto che ho baciato Alex.
Sì, l’ho baciata! Ho baciato una ragazza che mi piace e che, ci scommetto quello che vuoi, piace anche a te! Problemi?
Quanto vorrei dirgli queste parole in faccia!
E invece niente, mi tocca stare qui a ricordargli tutti i passi dei balli latini.
Nei suoi occhi leggo la sfida. Mi sta sfidando. Mi guarda come un lupo che ringhia al membro di un altro branco.
Sostengo il suo sguardo, azzurro contro grigio. La sua arroganza mi manda in bestia.
Così in bestia che, a lezione finita, aspetto solo che la Costance vada via prima di affrontarlo.
«Qualche problema?» ringhio, prima di andare via.
«Uhm, vediamo. No, a parte il fatto che hai baciato la ragazza che per me è più importante di qualsiasi cosa, nessun problema».
I suoi occhi gelidi mi trapassano da parte a parte. Di nuovo agisco d’impulso, inferocito dal suo atteggiamento arrogante.
«Se è così importante per te, potevi pensarci prima di farle del male». O’Brian ha come un blocco.
«Che ne sai di questa storia?» mi chiede.
Non mi lascio intimidire.
«Abbastanza da sapere che lei ha troppa paura di fidarsi di te».
Temo di aver toccato un tasto dolente.
Il lupo ferito se ne va zoppicando, ma il suo ultimo sguardo non è di sconfitta, è un avvertimento.
Non finisce qui.  




***
Angolo autrice

Ehilà! Sono tornata! E presto, come promesso, anche se avrei voluto aggiornare prima, ma l’extra mi ha richiesto più ore di quanto avessi previsto. Finalmente Alex sta prendendo una decisione e la porterà avanti, costi quel che costi. È una sorta di gara, anche, tra Ludvig e Jake: chi là spunterà?
Questo e altro nei prossimi capitoli che (spero) arriveranno presto.
Se volete sentire questa canzone profetica che mi ha spezzato il cuore la prima volta che l’ho sentita – e che mi ha dato l’ispirazione per il capitolo – cliccate qui.
Ringrazio come sempre tutti coloro che recensiscono/seguono/preferiscono/ricordano (non sapete quanto mi rendete felice!).
Alla prossima!
-H

 
  
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