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Autore: TimeFlies    26/06/2015    12 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 2

                                             
                                             
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2. Adam




Mi mordicchiai un labbro cercando di ricordarmi quella dannata formula: le sapevo tutte, anche quelle che non servivano per il compito, perché non riuscivo a farmi venire in mente proprio quella di cui avevo bisogno?
Accanto a me Michael, il mio migliore amico fin dall’infanzia, era messo molto peggio: come al solito si era ridotto all’ultimo per studiare e non sapeva assolutamente niente. Probabilmente aveva tirato a caso tutte le domande della verifica affidandosi ad una fortuna che spesso lasciava a desiderare proprio nel momento del bisogno.
«Adam, ehi, non è che potresti dirmi la risposta alla cinque? E alla sei? E alla sette già che ci sei?» Bisbigliò guardandomi con aria implorante.
«A, B, B.» Risposi in un sussurro.
Ormai era diventato una specie di tacito accordo tra noi: io lo aiutavo con la scuola e lui si ingegnava in tutti i modi possibili per farci partecipare a quante più feste possibili. A dirla tutta non è che mi importasse molto di passare serate su serate in quei locali dove faceva un caldo pazzesco e dove dovevi pagare dieci dollari per qualcosa da bere, ma lui continuava a dire che, se volvevamo lasciare il segno, non avevamo altra scelta. Questa storia non l’avevo mai capita, ma lo lasciavo fare comunque, un po’ per evitare di passare per un asociale, un po’ perché era pur sempre il mio migliore amico quindi dove andava lui andavo io. Più o meno.
«Hai una faccia… Che c’è? Non riesci a fare l’esercizio facoltativo per il mezzo voto in più?» Chiese con un sorrisetto divertito sulle labbra.
Fissai il foglio rigirandomi la penna tra le dita. «No, quello l’ho finito da un pezzo. Non mi viene la formula del quattro.»
«Uh, allora non posso aiutarti, scusa: quella è roba per menti superiori.» Replicò. «Comunque se salti un esercizio non muore mica nessuno.»
Sospirai. «Lo so, lo so. Solo che non riesco proprio a farmela venire in mente… Ed è strano, le altre me le ricordo tutte.»
«Già, come al solito. Prima o poi dovrai spiegarmi come fai.» Commentò.
«Non lo so nemmeno io.» Ammisi. «Solo… Riesco a ricordarmi quello che mi sembra strano. Non importa che cos’è in sé, se mi colpisce te lo saprò ridire anche a mesi di distanza.»
Sollevò le sopracciglia castane. «Vorrei diventare un chirurgo solo per vedere cosa c’è dentro la tua testa, sai? Ci potremmo trovare anche la cura al cancro o chissà cos’altro.»
Scossi la testa sorridendo alla sua ennesima battuta squallida.
«Silenzio!» Tuonò il professor Gessen facendo cessare ogni rumore nell’aula.

Nonostante avessi dei buoni voti la scuola non mi piaceva e, come ogni studente in ogni parte del mondo, non vedevo l’ora di andarmene. Ringraziai il cielo quando suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni.
Uscii dalla classe insieme a Michael che sembrava molto esaltato per una qualche festa che si sarebbe svolta quel sabato. A me non sembrava un granché: il posto era piccolo e in un quartiere non proprio tranquillo, e conoscevo abbastanza bene il gruppo che si sarebbe esibito da poter dire che avrebbero fatto meglio a trovarsi un altro modo per passare il tempo. Però Michael diceva che ci sarebbero state un sacco di ragazze, alcune anche parecchio belle. In più, quando si metteva in testa qualcosa, era difficile farlo demordere.
«Verrai, vero? Perché se non vieni anche tu i miei non mi lasciando andare.» Disse inclinando leggermente la testa di lato mentre allungava il passo per starmi dietro.
«Oh grazie, mi fa piacere essere così apprezzato.» Commentai passandomi una mano tra i capelli.
«Andiamo, lo sai che senza di te non sono nessuno, no?» Si affrettò ad aggiungere.
Gli lanciai un’occhiata. «Uhm… Più o meno.»
Quando uscimmo nel parcheggio sul retro della scuola per poco non andai a sbattere contro una ragazza con mezza testa rasata. Indossava un maglioncino viola con uno scollo piuttosto profondo, pantaloni neri molto aderenti, e aveva gli occhi truccati di nero. Mi lanciò un’occhiata di sufficienza mentre mi passava accanto, ma si soffermò su Michael per un attimo di più.
«Allora vieni?» Insistette lui, ignaro di tutto.
«Sì, credo proprio di sì.» Risposi cercando le chiavi dell’auto nelle tasche dei jeans. «Basta che la smetti di parlarne ogni cinque secondi.»
«Okay, okay, non ti dirò più nulla.» Promise alzando le mani in segno di resa.
«Bene.» Borbottai. «Ti serve un passaggio?»
«No, oggi esco con Julia.» Ribatté con un sorrisetto.
Aprii lo sportello sul lato del guidatore. «Sì
? È già il... mmh, quarto appuntamento, giusto?»
Un sorrisetto soddisfatto gli incurvò le labbra. «Eh già. A quanto pare ho fatto colpo.»
Sorrisi anch'io scuotendo la testa. «Allora divertiti.»
Mi diede una pacca amichevole sulla spalla. «Puoi scommetterci.» Alzò lo sguardo e socchiuse gli occhi. «Ora vado, mi sta già aspettando. A domani.»
«A domani.» Replicai distrattamente.
Lui mi fece un sorriso d’intensa prima di allontanarsi e raggiungere una ragazza mora sorridente e, devo dire, piuttosto carina. Socchiusi gli occhi per ripararli dalla luce del sole e salii in auto: mi aspettava un pomeriggio di studio in vista del compito di storia, il giorno dopo: tanto per cambiare. Probabilmente i professori si mettevano d'accordo per concentrare più verifiche possibili nella stessa settimana. 

Quando scesi dalla macchina dopo averla parcheggiata nel vialetto di casa, qualcosa di peloso e piuttosto pesante mi atterrò tra le braccia. Un secondo dopo mi resi conto che era un grosso gatto dal pelo grigio striato di nero che mi guardava con i suoi acquosi occhi verdi. Miagolò e strofinò la testa sul mio petto.
Lo riconobbi quasi subito: si chiamava Theo ed apparteneva al mio vicino, Matthew.
Un rumore come di vetri infranti mi fece alzare lo sguardo. Giusto in tempo per vedere Theresa, la ragazza di Matthew, che spalancava la porta con un gesto rabbioso e che usciva fuori a grandi falcate con aria decisamente furiosa. Matthew apparve sulla soglia, disordinato e stralunato come sempre.
«Andiamo Tessi, non fare così… Possiamo sistemare tutto.» Cominciò allargando le braccia.
«Sistemare tutto un corno!» Sbottò lei. «Te l’avrò detto mille volte, ma tu non mi ascolti mai! Sei impossibile! E immaturo. Dannazione, hai ventisette anni, non sedici.»
Mi ritrovai a convenire con lei: Matthew sapeva essere parecchio infantile e probabilmente vivere con lui era come vivere con un bambino abbastanza bizzarro. Lui era il tipico ragazzo che dopo il liceo non ha la più pallida idea di cosa fare, finisce per cominciare un college a casaccio per poi lasciarlo dopo qualche mese per inseguire il sogno di diventare una rockstar. Era un atto coraggioso, lo riconosco, ma a ventisette anni è meglio pensare ad un lavoro più… fattibile e realistico.
Matthew fece un passo avanti. «Ma Tessi stiamo andando bene, la banca ha detto che forse mi concederanno il prestito entro fine mese.»
«Sarà la terza volta che lo dici. E alla fine non ottieni un bel niente. Sono stufa di farti da madre. Tra noi è finita, rassegnati. E tieniti il tuo stupido gatto.» Esclamò lei.
Come se avesse capito le sue parole, Theo soffiò irritato inarcando la schiena. Lo guardai prima di riportare lo sguardo su quella specie di scena da soap opera che avevo davanti.
«Tessi…» La implorò lui. «Theo è parecchio intelligente invece. E io ti amo ancora.»
«Visto?! L’hai fatto di nuovo! Metti quel dannato gatto prima di me! Non voglio più vederti!» Ringhiò Theresa.
Senza aspettare una risposta, si voltò e marciò fino alla sua auto, una decappottabile rossa, ci salì e chiuse la portiera con un tonfo così forte che credetti si sarebbe staccata. Partì superando di parecchio il limite di velocità e lasciando dietro di sé i segni delle ruote sull’asfalto, un gatto infastidito e un Matthew decisamente confuso.
Sospirai, chiusi alla meno peggio la portiera della macchina, visto che avevo un felino indisposto in braccio, e andai dal mio vicino scapestrato per rendergli il suo animaletto.
«Credo che questo sia tuo.» Dissi allungandogli quella palla di pelo orgogliosa.
«Theo!» Saltò su lui prendendolo con delicatezza come se fosse stato prossimo al rompersi in mille pezzi. «Quante volte devo dirti che non devi disturbare i vicini?» Alzò lo sguardo su di me. «Scusa, lui odia i litigi…»
«Ho notato… Ma che è successo? Sembrava furiosa.» Domandai.
Lui prese ad accarezzare il gatto che si mise a fare le fusa socchiudendo gli occhi. «Beh, vedi, lei crede che io pensi di più a Theo che a lei e… Non so, credo che mi abbia lasciato.»
A volte avevo la netta impressione che quel ragazzo non ci stesse tutto in fatto di testa. O che non facesse un uso responsabile di alcolici e simili. «Di nuovo? Sarà la… quarta volta.»
«Già. Lei è molto melodrammatica. Ma tornerà vedrai, lo fa sempre.» Commentò, rivolto più a se stesso che a me.
Mi passai una mano fra i capelli. «Okay. Ehm… Io vado, ci vediamo.»
Sollevò la mano in segno di saluto e mi sorrise con quell’aria trasognata tipica dei bambini, poi si mise a parlare con il gatto con voce mielosa. Mi affrettai ad andarmene: non potevo biasimare Theresa per essersene andata. Anzi, la capivo benissimo.
Quando entrai in casa mia, un tornado biondo e piuttosto allegro mi si attaccò alle gambe rischiando di farmi perdere l’equilibrio. Riuscii ad identificarlo dalla voce, acuta e squillante: Lena, la mia nipotina, sembrava parecchio felice di vedermi.
«Zio!» Esclamò ridacchiando.
Mi lasciai sfuggire un sorriso. «Ciao bionda.» Riuscii, non senza difficoltà, a staccarmela dai jeans. «Che ci fai qui?»
«Papà voleva vedere nonna e nonno.» Spiegò sbattendo le lunghe ciglia chiare.
“Da grande avrà un sacco di ragazzi intorno”, pensai. «Louis è qui?»
«In giaddino. Con mamma, nonno e nonna.» Rispose. «Vieni zio?» E mi tese la piccola mano paffuta.
La presi e mi lasciai guidare attraverso il salotto fino alla portafinestra che dava sul piccolo giardino situato sul retro della casa. Il tempo di mettere piede sull’erba e Lena mi mollò la mano per correre da Cora, il cane di famiglia. Era un border collie dal pelo bianco e nero e gli occhi vivaci ed intelligenti. Probabilmente era anche il cane più paziente del mondo visto che riusciva a sopportare una bambina di quattro anni iperattiva e molto, molto affettuosa.
«Adam.» Una voce profonda ed adulta mi riscosse dai miei pensieri.
Alzai lo sguardo e vidi mio fratello, Louis, appoggiato al tavolo di ferro battuto del giardino, che mi sorrideva. Non era cambiato di una virgola dall’ultima volta che l’avevo visto, nonostante fosse stata qualche mese fa: i capelli scuri erano tagliati molto corti, gli occhi chiari erano luminosi come sempre, il viso era perfettamente rasato, indossava dei pantaloni militari verdi, una maglietta di una qualche band degli anni Ottanta e degli anfibi marrone scuro. Teneva le braccia incrociate al petto, gesto che metteva in risalto i muscoli. Posate accanto a lui c’era un paio di stampelle.
Sorrisi cercando di mostrarmi il più a mio agio possibile. «Ehi.»
Odiavo ammetterlo, ma Louis riusciva sempre a mettermi un po’ di soggezione, forse era la sua aria autoritaria e decisa, forse la massa di muscoli che si portava dietro. In fondo, era un militare, non poteva essere altrimenti.
Si era arruolato nell’esercito a diciotto anni rendendo mio padre parecchio orgoglioso. Ora aveva ventotto anni, una moglie, Hanna, una figlia e una bella casa sulla costa Ovest, poco più a sud di Seattle.
«Che piacere vederti!» Esclamò Hanna venendomi vicino e abbracciandomi.
Più che una cognata la consideravo un specie di sorella maggiore. Aveva lunghi capelli biondi, che aveva passato alla figlia, occhi di un bel marrone caldo, la pelle abbronzata e quando sorrideva le si formavano delle fossette sulle guance, altra caratteristica che aveva anche Lena.
Ricambiai la stretta mentre il suo profumo dolce e speziato mi avvolgeva: era una sua caratteristica da sempre, fin da quando la conoscevo si portava dietro quell’odore che ricordava l’anice. «Sono felice di vederti anch’io.»
Si scostò da me e mi osservò con il sorriso sulle labbra. Era bella, devo ammetterlo, e lo era nonostante avesse i capelli scompigliati e indossasse la tipica tenuta da mamma, ovvero jeans, maglietta e scarpe da tennis
«Stai diventando grande anche tu… Come passa il tempo.» Commentò riservandomi un’occhiata affettuosa.
Le sorrisi: con lei mi veniva più naturale, più spontaneo. Non lo sapevo nemmeno io il perché, forse erano semplicemente i suoi modi di fare che mettevano chiunque a suo agio.
«Come è andata a scuola tesoro?» Mi chiese mia madre, Annabeth.
Distolsi lo sguardo da Hanna e lo spostai su di lei: era seduta al tavolo e stava bevendo una bicchiere di tè freddo. Indossava dei pantaloni bianchi e una camicetta rossa. Aveva lasciato i capelli castani liberi sulle spalle fermando solo qualche ciocca che con una pinza nera. I suoi occhi marroni mi studiavano con la tipica attenzione materna mirata a scoprire qualunque cosa tu nasconda.
«Bene, bene… Come al solito.» Risposi.
Lei sollevò un sopracciglio e mi studiò per qualche secondo. «La verifica di chimica?»
Sospirai quasi senza rendermene conto. «Credo sia andata bene. Non era troppo difficile.»
Louis sorrise, divertito. «Chimica, è stata la mia nemica per anni al liceo. Tu te la cavi bene da quello che ho capito, mmh?»
«Beh…» Cominciai.
«Adam se la cava più che bene. Non solo in chimica, in tutte le materie. Ha preso tutto da me, modestamente.» Intervenne mio padre lanciandomi uno sguardo d’intensa.
Mi lasciai sfuggire un sorriso e abbassai lo sguardo. «Più o meno…»
Mio padre, Edward, non faceva mai preferenze tra i suoi figli. Certo, un figlio militare è motivo di orgoglio molto più di uno che va bene a scuola, però non me l’aveva mai fatto pesare. Non potevo lamentarmi di lui, assolutamente, ma avevo qualcosa da ridire sul suo strano senso dell’umorismo.
Cora sbuffò, si alzò scrollando la pelliccia e mi venne vicino sfuggendo alle manine di Lena, che, per ripicca, corse dalla madre e le fece una linguaccia. Dal canto suo, Cora si limitò a sedersi accanto a me strofinando il naso sul mio palmo alla ricerca di qualche carezza. Le grattai le orecchie facendola scodinzolare contenta.
«Come mai siete qui? Non eri in… Iran tu?» Chiesi guardando Louis.
Inarcò un sopracciglio ricambiando l’occhiata. «Sì, ma, come vedi», fece un cenno verso le stampelle, «ho avuto un piccolo incidente e mi hanno congedato finché non mi rimetterò. Ci vorrà un mese, forse due, e visto che Lena voleva rivedere i nonni e lo zio… Abbiamo pensato di fare una visita a sorpresa.»
Lena ridacchiò correndo dal padre e porgendogli una margherita. «Tieni papà.»
Lui cambiò subito espressione diventando dolce di colpo: prese il fiore dalle mani della figlia e le diede un bacio tra i capelli. Faceva un po’ strano vederlo così, di solito era sempre controllato e con la battuta pronta, eppure sembrava che quella piccola peste bionda riuscisse a scioglierlo senza problemi.
Mi passai una mano tra i capelli, un po’ in imbarazzo. «Uh… Io devo andare a studiare, domani ho un compito.»
Tutti gli occhi si puntarono su di me accentuando la sensazione di disagio: non amavo essere al centro dell’attenzione, per niente. Al contrario di Louis.
«Buona fortuna. Anche se non credo che ne avrai bisogno.» Mi disse Hanna con un sorriso quasi complice.
«Grazie.» Risposi accennando un sorriso.
«Zio!» Esclamò Lena correndomi incontro.
Mi inginocchiai e lei mi diede un bacio piuttosto timido sulla guancia.
«Ciao zio.» Mormorò guardandomi da sotto le lunghe ciglia chiare.
«Ciao bionda. Fa’ la brava, mmh?» Replicai prendendole una mano.
Ridacchiò e annuì. «Anche tu però!»
Spalancai gli occhi, sorpreso e divertito. Louis scoppiò a ridere facendo sobbalzare Cora, che, come al suo solito, si era appisolata sull'erba. Hanna scompigliò la chioma bionda della figlia rimproverandola dolcemente. La prese in braccio e mi lanciò un’occhiata di scuse: Lena aveva il vizio di parlare a sproposito, ma, d’altra parte, era solo una bambina, non si poteva farle una colpa se diceva la verità sempre e comunque. E visto che suo padre le aveva ripetuto chissà quante volte che stare troppo vicino ad un ragazzo era pericoloso, da quando mi aveva visto baciare la mia ex ragazza mi ripeteva praticamente ogni volta che ci vedevamo che dovevo “fare il bravo”.
«Le sto insegnando bene, mmh?» Chiese Louis a nostra madre che scosse la testa cercando di trattenere una risata.
Salutai Hanna e Lena e feci per andarmene, ma mio fratello mi richiamò: «Comunque, comportati bene sul serio, chiaro? Non voglio diventare zio prima del tempo.»
Mi sembrava strano che non mi avesse ancora fatto una raccomandazione delle sue. Quelle che ti fanno venir voglia di sprofondare e scomparire per sempre. «Ehm… Sì, okay… Credo.»
Lui mi guardò con gli occhi socchiusi. «Lo spero per te.»
«Louis! Falla finita!» Lo rimbeccò sua moglie scoccandogli un’occhiata ammonitrice.
Lui alzò le mani in segno di resa. «Ehi, io mi sto solo comportando da bravo fratello maggiore.»
Hanna scosse la testa alzando gli occhi al cielo. «No, stai esagerando. Smettila, mmh? Adam è un bravo ragazzo.»
«Prevenire è meglio che curare.» Commentò Annabeth fissando il suo bicchiere.
Presi seriamente in considerazione l’idea di sbattere la testa contro il muro: Louis se le preparava a casa quelle battutine o improvvisava sul momento? Perché non riusciva a comportarsi da fratello normale?
Sospirai. «Lo terrò a mente, sì. Ora devo andare. Ci vediamo.»
Detto questo riuscii finalmente a districarmi da quella strana quanto imbarazzante riunione familiare. Volevo bene alla mia famiglia, un po’ meno, per usare un eufemismo, ai loro commenti.

«Allora, blu o rosso?» La voce di Michael mi distrasse dal libro di storia.
Avevo studiato anche il giorno prima, o meglio ci avevo provato, ma poi avevo lasciato perdere qualcosa come una mezz’ora dopo aver iniziato quindi avevo dovuto ripiegare su un ripasso dell’ultimo momento il biblioteca qualche minuto prima della verifica.
Alzai gli occhi verso di lui aggrottando la fronte. «Cosa?»
Sospirò e mi guardò con aria quasi esasperata. «La camicia per sabato sera: rossa o blu?»
Mi strinsi nelle spalle. «E io che ne so… Blu?»
«Sicuro? Ma il blu non mi dona molto…» Replicò lui.
«Allora rossa?» Chiesi.
«Però il rosso non mi mette in risalto gli occhi…» Commentò lui con aria pensierosa.
«Mettiti una maglietta allora, no?» Gli feci notare.
«No, voglio essere più elegante.» Spiegò.
«Una camicia bianca?» Proposi sperando di poter tornare ad occuparmi della Seconda Guerra Mondiale e di tutti i cambi di potere che ne erano seguiti.
«Perché no…» Concordò. «Ma sì dai, vada per il bianco.»
«Bene.» Borbottai riportando lo sguardo sul libro.
«Che stai facendo?» Domandò Michael allungando il collo per sbirciare.
«Studio storia per il compito.» Risposi distrattamente.
Impallidì di colpo e spalancò gli occhi. «C’è un compito oggi?»
«Eh già. E tu non lo sapevi, mmh?» Indovinai.
Scosse la testa guardandomi con aria disperata. «Come diavolo faccio?!»
«Studio dell’ultimo minuto, funziona quasi sempre.» Dissi facendo un cenno verso il libro.
Mi mise una mano sulla spalle. «Bene amico, sarai felice di sapere che devi farmi un riassunto più che veloce di… Uh, tutto quello che dovevamo studiare, in», lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso, «due minuti. Pensi di farcela?»
Gli lanciai un'occhiataccia. «Michael...»
«Ti prego, ti prego, ti prego.» Insistette lui unendo le mani.
Alzai gli occhi al cielo, ma alla fine cedetti: era una mia debolezza, anche volendo non riuscivo a dire di no alle persone a cui tenevo. E Michael rientrava tra queste, per mia "sfortuna". Non aiutarlo mi sapeva quasi di tradimento anche se sapevo che non era poi così grave: uno spiccato senso della lealtà era una caratteristica che avevo ripreso da mio padre e che condividevo anche con Louis. Probabilmente era l'unica cosa che avevamo in comune.




SPAZIO AUTRICE: Come avevo detto nel primo capitolo, ci sarà una narrazione alternata. Qui, infatti, è Adam a parlare, il protagonista maschile.
Spero che lui vi piaccia, io mi ci sono affezionata molto, come mi succede con tutti i miei personaggi. È piuttosto complesso, riflessivo e controllato fuori, passionale e impulsivo dentro. Entrambi questi suoi lati verranno fuori nel corso della storia, esattamente come succederà con Scarlett. Anche lei si mostrerà sia matura che irresposabile, sia ironica che affidabile.
Spero tanto che la storia vi piaccia e vi incuriosisca nonostante questi primi capitoli di presentazione.
Voglio dedicare questo capitolo ad Hanna Lewis. È una ragazza fantastica, incredibilmente talentuosa e che non smette mai di incoraggiarmi anche se io non vedo, nei miei scritto, tutta la bellezza che ci vede lei. Non credo che finirò mai di ringraziarla per questo. 

TimeFlies
  

  
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