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Autore: BlueParadise    28/06/2015    2 recensioni
"We can beat them, for ever and ever
Oh we can be Heroes,
just for one day"
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAPITOLO 4


L’acqua mi era sempre piaciuta, fin da bambina avevo amato quelle rilassanti giornate uggiose, quando potevo alzare gli occhi al cielo e scorgere soltanto una distesa di nuvole scure. La pioggia mi attraeva e amavo quando, senza che nessuno lo sapesse, uscivo all’aperto per bagnarmi il viso e sentire sulla mia pelle il vento arrabbiato.
Poco importava che fosse inverno o estate, adoravo quella sensazione di libertà, sentire i capelli pesanti appiccicarsi al viso, la pelle che rabbrividiva al contatto con la pioggia fredda. La maggior parte delle persone odiava l’acqua per svariati motivi, ma non io.
Mi piaceva essere l’unica a passeggiare per il parco durante un acquazzone particolarmente violento, era adrenalina pura. Gli alberi che si piegavano, sottomettendosi al vento, così come il mio ombrello.
Le gigantesche pozzanghere formavano incantevoli specchi d’acqua e il cielo scuro mi donava un senso di calma e tranquillità come solo poche cose riuscivano a fare.
Adoravo i temporali, fulmini e tuoni mi affascinavano a tal punto che avevo sempre desiderato poter vedere quei flash abbaglianti il più vicino possibile.
Quando uscivo a godermi questi rari momenti, le persone mi squadravano chiedendosi perché non potessi semplicemente starmene tranquilla all’asciutto e al caldo. Alzavo le spalle e me ne infischiavo di quello che si pensava di me, non avrebbe fatto nessuna differenza spiegare loro il modo in cui mi faceva sentire.
Mi voltai e osservai il castello in lontananza.
L’acqua aumentò d’intensità e pensai che forse fosse il caso di rientrare, una bella doccia e un’oretta in biblioteca avrebbero reso questa giornata quasi perfetta. Così mi incamminai, ritornando sui miei passi.
Era settembre, eppure oggi pareva pieno novembre. Era una di quelle tipiche giornate autunnali, da impermeabile e stivali da pioggia.
Il sentiero assomigliava ormai ad un rivolo infangato e non osai abbassare lo sguardo verso le scarpe. Le avevo sporcate sicuramente, ma non importava, le avrei pulite più tardi.
Arrivai nei pressi del castello, ma vidi Hagrid poco più in là ritornare verso la sua capanna. Incominciai a correre, avvertendo di nuovo quell’eccitazione improvvisa data dall’adrenalina.
«Hagrid!» gridai per sovrastare lo scrosciare della pioggia. Era rumorosa e assordante e a me piaceva anche e proprio per quello.
«Lily! Cosa ci fai in giro con questo tempo! Per la miseria, ti prenderai un accidente! Forza, vieni dentro!»
Mi aspettò davanti alla porta della sua piccola casetta ed io entrai, chiudendo velocemente l’ombrello.
«Ma sei matta! Uscire con questo tempo! Ci ho preso uno spavento quanto ti ho visto lì fuori!» mi aggredì.
«È solo un po’ di vento e di pioggia.»
Lui borbottò qualcosa e io, dopo essermi asciugata con un veloce incantesimo, mi sedetti sulla grossa poltrona.
Il pavimento della disordinata capanna era cosparso di piccoli filamenti di paglia e nel calderone sul camino stava bollendo una strana e verdognola sostanza.
Mi piaceva un sacco venire qui e Hagrid era sempre così gentile con me.
«Ci ho dovuto raccogliere tutte le verdure dall’orto. Non poteva aspettare un po’, dico io. No, una bella tempesta con i fiocchi proprio i primi di settembre … Bah.»
Anche lui si sedette davanti a me, ancora però tutto bagnato. Dal barbone incolto scendevano piccole goccioline che andavano a tappezzare il pavimento di legno grezzo e la sua pelliccia era completamente fradicia.
«Hagrid, se vuoi posso asciugarti.»
«Oh, grazie! Voi ragazzi siete sempre tanto gentili con me» mi ringraziò lui.
Quando tirai fuori la bacchetta, i suoi occhi si mossero velocemente verso il portaombrelli all’ingresso.
Sapevo bene che la bacchetta che gli era stata confiscata si trovasse tra quegli ombrelli. Lo asciugai, sorridendo leggermente quando buttò in un angolo la grossa pelliccia.
«Allora come è andata questa prima settimana, eh?»
«Se non mi uccidono i Mangiamorte lo faranno sicuramente i professori.»
Sul subito non mi accorsi delle parole che avevo appena pronunciato, ma quando vidi la faccia di Hagrid sbiancare, capii di aver decisamente esagerato.
Non volevo sembrare megalomane, l’avevo semplicemente pensato e non avevo fatto in tempo a riflettere sulle parole che mi erano uscite della bocca.
«Lily … Non ci pensare. C’è Silente, lui sistemerà tutto.»
«Sì, tranquillo Hagrid. So che c’è Silente, io ...» balbettai sempre più confusa.
Ero un caso perso, davvero. Hagrid non aveva bisogno di stare a sentire i miei problemi.  
«Andrà tutto per il meglio» borbottò d’un tratto pensieroso.
Fuori il clima si face sempre più disastroso e potei notare la tensione di Hagrid crescere. Per quanto si sforzasse, sapevo riconoscere molto bene quando qualcuno nascondeva qualcosa e lui aveva la tipica espressione assente.
Lo scrosciare dell’acqua era intenso e prepotente e riusciva a colmare i lunghi silenzi di Hagrid. Se prima si era dimostrato espansivo e allegro, ora sembrava muto come una tomba, il che era tutto dire per uno come lui.
Bussarono alla porta e sia io che Hagrid sobbalzammo colti alla sprovvista.
«Hagrid, sono il Professor Silente! Porto notizie!»
Oh per la barba di Merlino! Era Silente!
«Lily, per la miseria! Non posso farti restare, il professor Silente mi licenzierà se scopre che uno studente è uscito con questo tempo!»
Mi alzai veloce dalla poltrona e lo guardai non sapendo cosa fare.
«Mi spiace mandarti via così, però svelta, esci dal retro!» sussurrò d’un tratto rinvigorito.
«Hagrid! Sono Albus, se sei in casa apri per favore. È urgente!» gridò dall’altra parte Silente.
«Arrivo Professore, arrivo!»
Hagrid mi spalancò la porta e mi incitò ad andare, lo salutai con un sorriso frettoloso e alla fine scesi i pochi gradini che collegavano la capanna al giardino sul retro. Richiuse la porta e poco dopo lo sentii aprire a Silente.
«Sono notizie dall’Ordine … »
Mentre correvo senza farmi vedere, riuscii solo a sentire queste poche parole e ripercorrendo a tutta birra il sentiero per ritornare al castello non potei fare a meno di incuriosirmi.
Notizie dall’Ordine? Chi era l’Ordine? O cos’era?
Non seppi darmi una risposta, ma rimasi confusa. Perché Silente sembrava così agitato? E cosa c’entrava Hagrid in quel poco che ero riuscita a sentire?
Riuscii ad entrare all’interno e, neanche varcato il portone, una voce arrabbiata mi fece accapponare la pelle.
«Ma sei scema! Uscire con questo tempo! Per tutti i calderotti magici, che cavolo ci facevi là fuori!?»
Alice era in piedi dritta davanti a me, ansiosa e arrabbiata come solo lei poteva essere.
«Alice, ti prego. Ho fatto solo una passeggiata» obbiettai seccata.
Non sopportavo questo lato così apprensivo di Alice, lo trovavo esasperante. A lei piaceva avere le cose perfettamente sotto controllo, mentre a me non piaceva essere controllata. Era una cosa che avevo sempre odiato.
«Puoi fare tutte le passeggiate che vuoi, ma non oggi! Non quando scende il diluvio universale!»
Sembrava sempre più arrabbiata, ma mi ricordai che lo era soltanto perché si preoccupava per me.
«Oh Merlino Alice, sai essere esasperante. Sai che mi piacciono i temporali, sono stata un po’ al lago e in giro per il parco e alla fine sono andata da Hagrid, ma poi è arrivato Silente e quindi sono dovuta scappare di nascosto. Sei contenta ora che sai per filo e per segno quello che ho fatto?»
Mi fulminò con lo sguardo, quasi avesse intenzione di urlarmi contro di nuovo, ma alla fine decise di calmarsi. Fece un profondo respiro e, quando riaprì gli occhi, si rilassò esibendo un piccolo sorriso imbarazzato.
«Scusami, Frank mi dice sempre che sono invadente. A lui non dà certo fastidio, ma alle altre persone … Oh, non è questo l’importante. Quello che voglio dire è che mi ero preoccupata» mi rispose più controllata.
Mi avvicinai sgocciolando e mi diedi una veloce asciugata con un incantesimo.
«Tranquilla, lo so. Io andrei a farmi una doccia, tu che hai intenzione di fare?»
«Oh, io raggiungo Frank in biblioteca.»
Le sorrisi annuendo ed Alice si girò per raggiungere il suo Franky che evidentemente l’aspettava.
«Aspetta, Alice! Lene e Mary?»
«In Sala Grande a studiare» mi rispose soltanto.
Mi accontentai delle risposta e sbuffando mi raccolsi i capelli in una coda alta, incamminandomi verso la torre di Grifondoro.
Essere al chiuso mi faceva sentire in gabbia, amavo l’aria aperta, specialmente oggi.
Le pareti grigie del castello riflettevano strani giochi di luci e ombre e i corridoi scarsamente illuminati si schiarivano al contatto con un nuovo fulmine.      
Mi fermai davanti ad una finestra per bearmi ancora di qualche istante di temporale e sembrava assurdo, ma questa tempesta aveva qualcosa che non andava.
Era distruttiva, rabbiosa, violenta, il cielo era di un grigio scuro così intenso. Mi piaceva tantissimo, ma al tempo stesso ne ero spaventata. Ero sola, eppure non mi sentivo preoccupata, non da questo almeno. Non sapevo a cosa attribuire la mia preoccupazione, ma c’era qualcosa nell’aria, qualcosa che non mi tornava.
Una mano mi sfiorò le spalle. Sobbalzai spaventata e il mio cuore iniziò a correre furioso quando incontrai gli occhi neri come la pece di quello che una volta era stato il mio migliore amico. Era in piedi dritto davanti a me, mi fissava freddo e distante, una maschera dietro a cui non seppi riconoscervi altre emozioni. Una volta ci riuscivo.
«Lily» sussurrò.
Avevo oramai superato lo shock di vederlo e di incontrarlo, perfino di condividere qualche lezione con lui, ma ora, pensando sinceramente, solo io e me stessa, potevo ammettere di non aver superato affatto la sua assenza. Sì, ci ero passata sopra soltanto perché, in un certo senso, ero stata costretta. Non sarei mai tornata indietro, questo mai, ne lo avrei perdonato, però quel senso di rammarico continuava a crescermi tutt’ora nel petto.
«Lils» disse ancora.
Sentivo ogni singolo neurone del mio cervello che mi urlava di correre via, scappare da quello che era diventato, perché vedere in cosa si fosse trasformato mi faceva un male terribile. Se io avevo rischiato di cadere dal baratro per colpa sua, lui ci si era buttato totalmente. Più lo guardavo e più non sapevo chi avevo davanti, non era più il Sev che era stato il mio migliore amico.
«Evans, per te sono solo Evans» mi costrinsi a dire.
La mia voce risuonò gelida e tagliante, ma dentro di me mi sentivo esattamente all’opposto.
Non sapevo cosa fare, se per una volta provare a cercare qualche segno di rimorso da parte sua, qualcosa che mi facesse capire che lui poteva ancora cambiare, o se andarmene e fare i conti con il fatto che ormai non potevo più fare nulla.
La sua espressione mutò e il suo viso si contorse in un’espressione di rabbia furiosa.
Si avvicinò ancora di più al mio corpo e non potei che rabbrividire preoccupata, era troppo vicino.
Qualcosa mi inchiodava al suo sguardo, e non sapendo cosa fare o come riempiere questo silenzio, dissi la prima cosa che mi saltò in mente. «Non hai paura di infettarti? Sono una Sanguesporco, no?»
I suoi occhi si ridussero a due fessure. «Non c’è da scherzare! Ti rendi conto della situazione?»
Lo disse con una tale ovvietà che mi sorprese, raggelandomi dall’interno.
Non capii se mi dava già per spacciata o se c’era dell’altro, sembrava si stesse trattenendo dal fare o dal dire qualcosa.
«Non sto scherzando, Piton. Sei stato tu a chiamarmi in quel modo, o non te lo ricordi?»
Odiavo il fatto che la persona di cui mi ero fidata di più aveva tradito la mia fiducia. Lo odiavo.
«Smettila! Smettila di provare a convincerti a detestarmi. Tu non mi detesti. Lily … noi potremmo tornare ad essere come prima.»
Una lacrima scese dal mio occhio, senza che potessi impedirlo. Non volevo piangere davanti a lui, non volevo dargli questa soddisfazione. Severus proprio non riusciva a capire che non dipendeva dal voler tornare indietro, ma dallo scegliere.
«Non potrei mai starti accanto sapendo ciò che sei, non voglio farlo, ho scelto di non farlo» dissi fredda. Volevo che capisse che io avevo fatto la mia scelta.
«Ma io posso proteggerti, posso fare in modo che a te non vengo fatto del male!» urlò quasi.
Sembrava agitato, irrequieto.
«Io non voglio la tua schifosa protezione! Proprio non vuoi capire? È da te che devo proteggermi!»
Mi afferrò il braccio e la stretta divenne sempre più salda mano a mano che i secondi passarono. Sentivo le sue unghie conficcarsi dolorosamente contro la mia pelle e non potei che gemere di dolore.
«Smettila! Lasciami stare!» mi dimenai, ma lui mi stritolò maggiormente.
«Tu devi capire! Sanno che sei una NataBabbana, ma posso fare in modo che ti lascino stare!»
«E come? Trasformandomi in una schifosa seguace di quello che tu chiami “Signore”? Mai! Preferisco morire!» urlai con tutta la forza che avevo, la voce che si mischiava alle lacrime.
La sua presa era come un gancio di piombo, un peso che mi faceva scivolare sempre più giù, negli abissi.
Sentivo il braccio pulsare, la carne del mio polso che infuocata gridava lacerata. Mi dimenai ancora, ma fu inutile. L’ansia crebbe dentro di me, ma in lui non vidi altro che disperazione.
«Lasciami!»
Sembrò non sentirmi, guardava il mio viso aggrappandosi deluso. Immaginai deluso da me, dal mio rifiuto, ma doveva farci l’abitudine, d’altro canto io lo avevo fatto.
Vidi tornare lentamente la ragione nei suoi occhi e dopo qualche secondo la sua mano lasciò andare il mio polso.
Fece un passo all’indietro e io potei tornare a respirare. Il braccio mi bruciava da morire, ma non osavo abbassare lo sguardo dai suoi occhi.
«Lily … mi dispiace tantissimo, io n-non volevo …»
Il suo viso era l’incarnazione della sofferenza e dentro di me ancora non riuscivo a dare un ordine a quello che stavo pensando. Provavo un senso di dolore incredibile, un dolore che non credevo sarebbe passato tanto facilmente.
«Lily, ti prego. Parlami, dì qualcosa … i-io …»
Cosa voleva ancora da me? Ero in uno stato di apatia totale, era come se fossi una spettatrice esterna e non fossi realmente dentro il mio corpo.
«Mi dispiace veramente tanto, non ti farei mai del male» sussurrò disperato.
Quella era la sua convinzione, ma era successo esattamente l’opposto. Lui continuava a farmi del male. Ogni volta riusciva sempre a ricordarmelo, non capiva che ormai il danno era fatto.
Lo guardai rimanendo fredda e distante. «Tu continui a farmi del male, quindi, ti prego, lasciami andare una volta per tutte.»
Mi allontanai quasi correndo, non si mosse, ma lo sentii urlare «Non posso!»
Corsi via da lui, lontano da tutto ciò che lo riguardava. L’unica cosa che volevo era soltanto un po’ di libertà e di solitudine. Mi sentivo schiacciata e avevo un disperato bisogno di sfogarmi.
Mi accorsi di aver ricominciato a piangere solamente quando le guance erano ormai completamente bagnate, così mi fermai dentro la prima aula vuota che trovai e mi lasciai cadere a terra. Respirai affannosamente mentre sentivo dentro di me crescere la consapevolezza di quello che era appena successo.
Mi sfregai le mani sul viso, cercando di asciugare un minimo di lacrime.
O forse cercavo solo di eliminare i segni del dolore?
Mi ero illusa, avevo creduto di poter riempire quel vuoto creato dalla sua assenza. Ma no, mi ero ingenuamente sbagliata. Ancora una volta.
Mi ero sbagliata adesso e mi ero sbagliata tempo prima quando avevo creduto che lui potesse cambiare. Avevo sbagliato anche a fidarmi, non avrei mai dovuto diventare sua amica.
Lui era stato il primo a parlarmi di Hogwarts, a mostrarmi un nuovo mondo, a farmi capire chi fossi, ma era stato anche l’unico in grado di scaraventarmi a terra con poche parole.
Crudele, vero?
Avevamo vissuto cinque anni con un profondo legame ed erano bastati pochi attimi a far crollare ogni cosa. Tutto era iniziato molto prima di quel giugno del quinto anno, quello fu soltanto il momento in cui la goccia fece traboccare il vaso.
La verità era che la nostra amicizia si era lacerata pian piano, le diversità erano state fin da subito evidenti, nessuno dei due aveva potuto farci nulla.
Io Grifondoro, lui Serpeverde. Io Nata Babbana, lui Mezzosangue.
Tutti si erano resi conto che la nostra amicizia non poteva funzionare, tutti tranne noi.
Mi alzai senza un vero scopo e cercai di darmi un contegno. Non potevo lasciare che Severus si prendesse anche questa parte di me, non glielo avrei permesso.
Avrei continuato la mia giornata e me ne sarei fatta una ragione. Per il mio bene.

****

La guardai correre via, correre via da me.
Che cosa hai fatto Severus?
L’avevo allontanata, ecco cosa avevo fatto. L’unica mia intenzione era stata quella di farla avvicinare e ora, invece, era più lontana che mai.
Chi ero io senza di lei?
Uno sbaglio, uno stupido sbaglio e tutto quello che ero riuscito costruire era svanito in una nuvola di fumo.
Ci avevo provato con tutte le forze, ma ero riuscito a dimenticarla. Non capiva che io ero la persona giusta per lei, non aveva mai capito quanto la amassi veramente. Potevo proteggerla, maledizione!
Mi appoggiai alla parete, chiudendo gli occhi. Riuscivo quasi ad immaginare come quest’incontro sarebbe potuto andare diversamente, con noi che ci riappacificavamo e il sorriso di Lily a riempire questo vuoto. Quante notti avevo passato sveglio a fantasticare su una possibile svolta, quanto dolore non avevo mai esternato.
Mi stavo lasciando andare, non dovevo.
Ricomponiti.
Mi staccai dal muro e un passo dopo l’altro riuscii ad incamminarmi in maniera drasticamente meccanica.
Severus, concentrati.
Odiavo perdere il controllo sul mio corpo, non ne ero per niente abituato.
Essere un Serpeverde voleva dire tante cose, essere tante cose, prima fra tutte la necessità di mascherare ogni tipo di emozione che ti facesse sembrare quello che non dovevi essere.
I sotterranei erano gelidi e riuscivo a sentire da qui il vociare pomposo di Lumacorno.
Arrivai davanti all’entrata della sala comune bisbigliando la parola d’ordine e non appena la porta si aprì, urla arrabbiate mi investirono prepotenti.
«Ancora non capisci? Dobbiamo agire!»
«Silente non è uno stupido!» disse un’altra voce.
Mi diressi verso il centro della stanza dove riconobbi Black e Avery fronteggiarsi l’uno davanti all’altro.
«Silente è un balordo, non possiamo continuare a non fare nulla!» abbaiò Avery.
Quando mi avvicinai, gli occhi scuri di Sebastian mi scrutarono adirati.
«E tu dove diavolo eri finito?»
«Non sono affari vostri» dichiari apparentemente annoiato.
Dovevo nasconderlo, dovevo nasconderlo ad ogni costo.
«Siete tutti così ridicoli a fingere di accettare tutto questo marcio! Sapete cosa dice mio padre, dice il Signore Oscuro riporterà il diritto magico al suo iniziale splendore.»
«Questo lo crediamo tutti, ma ragiona, non possiamo fare mosse affrettate» affermò Regulus lasciandosi cadere sul divano di pelle nera.
Non sapevo se prendere posizione, cosa dire per far capire che io non ero sbagliato.
In fin dei conti nessuno sapeva quello che era appena successo, nessuno sapeva cosa provavo ancora per Lily. E nessuno avrebbe dovuto saperlo.
«Silente non sospetta nulla, sono sicuro che Potter e quell’idiota di tuo fratello non hanno detto a nessuno quello che è successo qualche giorno fa. Tutti ci credono ancora dei ragazzini, io dico di far capire che invece non lo siamo» ribatté Avery diminuendo la rabbia sul volto.
Quello che era successo qualche giorno fa … Lo scontro e il tentativo di Sebastian di cruciare quei due maledetti.
L’avevo fermato in tempo, ma avevo capito benissimo il suo odio, probabilmente in un momento di poca lucidità anche io avrei potuto farlo.
Odiavo Potter e la sua stupida combriccola. Arroganti, sbruffoni e dannatamente superficiali.
Iniziai a sentire ovattate le voci attorno a me, quando mi persi nel lungo e infelice viale dei ricordi.
“Allora Mocciosus, te ne vai in giro ancora unto e sporco? Fai un po’ ribrezzo, non credi?”
“Di nuovo tutto solo soletto, ancora niente amici?”
“Niente Evans, oggi? Che c’è, si è finalmente resa conto del perdente che sei sempre stato?”
“Mocciosus! Fai schifo!”
“Allora … chi vuole vedere togliere le mutande a Mocciosus?”
No, non dovevo cedere!
Ritornai in me giusto quando entrambe le figure si girarono nella mia direzione.
«E tu cosa ne pensi, Severus?»
Non risposi e mi limitai a sedere composto sul divanetto. Cosa ne pensavo? Volevo vedere morti Potter e compagnia, ma ero veramente pronto a fare del male a Lily? Certo che no, era quello che cercavo di evitare da tempo.
«Lascialo perdere, probabilmente sta pensando alla sporca Mezzosangue Evans» mi stuzzicò Sebastian.
Lo freddai con lo sguardo, ma Regulus rise sprezzante.
«Non prendi in giro nessuno Severus, ma confido che il tuo interesse per lei sia soltanto fisico.»
Cercai di non deglutire e risposi nella più totale apatia. «È sempre stata soltanto una piacevole compagnia.»
Mi sentii immediatamente un verme a palare di Lily in questo modo, come se tutto quello che c’era di bello in lei venisse sommerso dalle mie viscide e meschine parole.
«Quando serviremo il Signore Oscuro lui potrà piegarla al tuo volere» sostenne Avery leccandosi le labbra con le tenebre negli occhi.
Forse avevano ragione, forse passare definitivamente dalla parte del Signore Oscuro le avrebbe garantito una protezione e in più anche l’obbligo a restare con me.
Non avrebbe potuto rifiutare, avrei potuto amarla e lei amare me.
«Io dico di attaccare, imponiamo il nostro potere all’interno di Hogwarts» continuò Sebastian.
Non si sarebbe mai arreso, lo sapevo bene. Non avevo scampo, avrei dovuto per forza adeguarmi a ciò che loro volevano fare. Era questo il problema, anche se avessi voluto evitarlo, non avrei potuto.

A ogni essere umano è stata donata una grande virtù: la capacità di scegliere. Chi non la utilizza, la trasforma in una maledizione – e altri sceglieranno per lui.
Paulo Coelho

****
 
La biblioteca non mi era mai sembrata così calda e accogliente. Il temporale infuriava arrabbiato e sommerso dai libri e dal silenzio potevo finalmente rilassarmi.
Prongs e Padfoot erano in giro a fiutare guai, mentre Peter aveva preferito restare al caldo in sala comune. Mi era sembrato molto spaventato e non avevo insistito più di tanto. Non disprezzavo affatto un’oretta in solitudine.
Per anni mi ero sempre ripetuto che nessuno avrebbe voluto la compagnia di un mostro come me. Le cose erano cambiate, ma conservavo ancora quella vocina interiore che mi ricordava sempre ciò che realmente ero.
Madama Pince gironzolava tra gli scaffali sorvegliandoci attenta e sussultava ad ogni minimo rumore. In realtà gli unici suoni che si udivano provenivano dall’esterno, ma per Madama Pince ogni rumore era sospetto.
Avevo gli occhi fissi sul libro che avevo casualmente scelto per trascorrere questo pigro pomeriggio, quando sentii la sedia accanto a me spostarsi dolcemente.
Avvertii una certa curiosità, chi si era seduto accanto a me?
Non appena girai la testa, gli occhi allegri di Marlene mi guardarono gentilmente.
«Posso sedermi?»
Si era già seduta, ma poco importava. Annuii a disagio.
La guardai di nuovo, aveva appena appoggiato una serie di libri sul tavolo e si stava raccogliendo i capelli in una coda disordinata. Non potei fare a mano di sbirciare tra i titoli dei voluminosi libri.
“Come praticare un incanto perfetto” era il volume che più si notava tra gli altri tomi.
«Ti porti avanti con lo studio?» chiesi per scherzare.
La sua faccia non colse l’umorismo e le sue guance si tinsero di un acceso color roseo.
«In Incantesimi non sono un asso e quest’anno vorrei puntare almeno ad un Oltre Ogni Previsione. Tu cosa stai leggendo?» mi chiese sempre più rossa.
«Io? Oh, non è niente di che … Solo un libro per passare il tempo.»
Mi sentii un po’ in imbarazzo e sperai di non arrossire o cose del genere.
Ma perché cavolo dovevo arrossire? Non era niente, stavo solamente intrattenendo una normale conversazione con un’amica.
«Come mai qui tutta sola?» chiesi per interrompere il disagio che si stava creando.
«Oh, prima ero con Mary, ma studiare in sala grande è pressoché impossibile con il baccano che c’è oggi e quindi mi sono cercata un posto più tranquillo.»
«E le altre?»
«L’ultima volta che ho visto Alice stava urlando in tutte le lingue del mondo contro Lily e Lily era fuori a fare quella che lei definisce “una passeggiata”» mi spiegò aprendo il libro che doveva leggere.
Ritornai anche io al mio libro, ma in verità non riuscivo a concentrarmi su neanche una singola lettera. Percepire Marlene accanto a me mi faceva sentire particolarmente confuso.
Non capivo se era perché succedeva raramente che qualcuno cercasse la mia compagnia o se era Lene a mandarmi in confusione.
Era veramente molto bella, solare e divertente senza però risultare mai invadente. I grandi occhi verde chiaro, una sfumatura diversa rispetto a quella di Lily, erano concentrati per non perdersi neanche una parola di ciò che stava leggendo e le labbra si muovevano silenziosamente mentre scorreva tra le parole. Aveva delle belle labbra, Marlene.
Ma a che cavolo stai pensando, Remus!
Tuttavia, se proprio dovevo pensare a queste stupidaggini, era anche molto intelligente e possedeva una raffinatezza unica nel suo genere. Anche adesso, tutta assorta nella sua lettura, era perfettamente adorabile.
«Ehm … Remus, va tutto bene?»
Marlene si era girata nuovamente verso di me, probabilmente coscia di essere osservata.
Mi schiarii la voce in imbarazzo. «Sì, è solo che non riesco a leggere.»
«È per colpa mia? Se è per colpa mia posso trovare un altro posto. Oddio, scusami. È solo che ti ho visto qui e ho pensato …»
«Marlene, fermati. È tutto okay» risi lasciandomi cadere sullo schienale della sedia.
Anche lei iniziò a ridere e, senza che potessimo evitarlo, qualche minuto dopo entrambi stavamo ancora ridendo come pazzi.
«Non r-riesco a f-fermarmi!» balbettai in preda ad un mal di pancia terribile.
«Neanche io!»
Ma cosa mi stava succedendo?
Ridevo così allegramente che iniziò a farmi male la bocca. Questo attacco di risate era totalmente ingiustificato e imbarazzante.
«Ora basta! Signor Lupin, le sembra questo un atteggiamento consono ad una biblioteca, da lei non me lo aspettavo proprio! E lei, Signorina, si dia un contegno!»
La figura di Madama Pince torreggiava su di noi come un avvoltoio maledetto e i suoi occhi sembravano esplodere in pericolose scintille.
Mi passai una mano per asciugare le lacrime e quando feci per chiedere scusa, Madama Pince era già sparita.
«Vedi, la leggenda narra che abbia un nascondiglio segreto tra gli scaffali per cogliere sul fatto gli studenti maleducati. Sono solo voci di corridoio, ma pare che un gruppetto di ragazzi, anni fa, sia stato rapito e portato in questo nascondiglio misterioso. Solo uno ne uscì vivo, ma non poté mai raccontare come andarono veramente le cose perché venne rinchiuso al San Mungo» mi bisbigliò Marlene all’orecchio con aria cospiratrice.
Ricominciai a ridere, ma questa volta feci molta attenzione a non fare troppo rumore.
Marlene, intanto, stava raccogliendo i suoi numerosi libri.
Non volevo che se ne andasse, mi era piaciuto passare del tempo con lei.
Sbuffò quando un libro le cadde dalle mani e immediatamente mi chinai a raccoglierlo, di riflesso. Glielo restituii con gentilezza e quando sfiorai le sue mani avvertii una strana sensazione di staticità, quasi una vibrazione nell’aria.
Le nostre mani rimasero vicine e le labbra di Lene si distesero in un sorriso dolce e genuino.
«Beh, grazie per la compagnia Remus. È stato molto divertente.»
Mi sorrise ancora prima di incamminarsi verso l’uscita della biblioteca.
La guardai andare via, probabilmente incantato come un babbeo.
Sì, grazie per la compagnia, Marlene McKinnon.
  
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