Chapter
2
Deaf
and Blind (pt 1)
Don’t
lose yourself in this suffering yet. Hold on.
To
me
Brief Message in a Lost Bottle
“My
dear wildcat.
Non
sono mai riuscito a
capire se il tuo soprannome ti piacesse.
Mia
dolce Venere, love metal sister, o forse semplicemente
Elisa.
Elisa.
E’
buffo considerare quante volte abbia riscritto
questa lettera, e ancora non abbia trovato un modo adatto per iniziare.
Ma in
fondo non importa, perché tu non leggerai mai
questo stupido pezzo di carta.
Perché
la sto scrivendo allora? Non lo so nemmeno
io.
Forse
è un modo per illudermi e convincermi di aver
fatto qualcosa per cambiare le cose.
La
settimana scorsa, mentre aiutavo Shon a cercare
il cavo di un microfono apparentemente scomparso nel nulla, nel
backstage del
Midnight Wish, mi è sembrato di vederti: seduta su una
cassa, con le gambe
raggomitolate contro il petto.
Ricordi
ancora quella sera, quando mi hai
autografato la camicia? Dimentico dell’oggetto della mia
ricerca, mi sono
seduto dietro alle quinte a ripensare alle tue prime parole.
Mi
è venuto in mente quel tuo strano rito, la tua
lista dei sogni impossibile. Ho sempre creduto che nella vita non ci
fosse
tempo per sognare, che era meglio sfruttare ogni istante e lavorare
duro per
realizzare i propri desideri.
Ancora
una volta hai cambiato il mio pensiero: e
così, ridendo di me stesso, ho scritto anch’io la
mia lista e l’ho ben
nascosta, onde evitare che occhi indiscreti possano esserne resi
partecipi.
Non so
se saresti sorpresa o meno nello scoprire
che nella top ten dei miei sogni il tuo nome compare almeno la
metà delle
volte.
Ora
sono qui, seduto sul davanzale della mia
finestra, davanti ai miei occhi il verde di Munkkiniemi e poi il mare.
Il vento
è forte, il movimento dei rami degli alberi oltre il mio
giardino è rapido e
convulso, come anche quello delle onde scure poco più
lontano. C’è aria di
tempesta.
Tremo.
Non
sono più sicuro se stia guardando fuori dalla
mia finestra, o se mi stia guardando dentro. E ho paura.
Quando
le prime gocce di pioggia iniziano a cadere,
prima leggere, poi più violente, non posso fare a meno di
ripensare a quella
notte.
E’
passato un anno, ma non ho mai smesso di
desiderare di poterti dare una spiegazione.
Quando
arrivai al palazzo dove era stata allestita
la serata di gala, il cielo era già da
tempo
coperto.
Mi
fermai davanti all’uscita secondaria, da solo, a
pensare, con una sigaretta tra le labbra.
“Si
prepara un bel temporale” notò una voce,
strappandomi ai miei pensieri.
Non
appena sollevai il capo, incrociai lo sguardo
di Migè, il quale procedeva lentamente con le mani in tasca.
Lasciai
cadere il mozzicone per terra,
schiacciandolo con la punta del piede.
“Sembrerebbe”
replicai atono, cercando di fare il
sostenuto.
Le
parole che i miei compagni di band mi avevano
rivolto il giorno precedente, accusandomi di essere un falso ed un
egoista,
ancora frullavano nella mia testa, lasciandomi l’amaro in
bocca.
“Già”
borbottò il bassista, facendo un altro passo
avanti “Io…beh…”
cominciò a cincischiare con il colletto della sua camicia
inamidata “Mi dispiace”
Mi
rivolse un sorriso timido, quello stupido
sorriso che mi rifilava ogni volta che litigavamo per qualche motivo,
sin da
quando eravamo ragazzi. Io ero sempre stato il bastardo orgoglioso, lui
l’uomo
conciliante, sempre pronto a scusarsi per primo. Forse per questo era
sempre
stato il mio migliore amico, l’unico in grado di sopportare
il mio brutto
carattere.
Davanti
a quello sguardo tanto noto, non riuscii a
trattenere a mia volta un sorriso: “No, avete ragione. Avrei
dovuto parlarvene
subito”
Lui mi
posò una delle sue grandi mani sulla spalla:
“Perché non l’hai fatto,
Ville?” domandò, inarcando le sopracciglia
“Non riesco
a capire”
“Ho
avuto paura” confessai “Paura di non essere
capito. Ma ti assicuro che la mia non è una semplice
sbandata” gli assicurai.
Mi
sedetti sui gradini davanti all’ingresso,
sospirando. Lui si lascio cadere al mio fianco, imprecando per la
scomodità
dell’abito che indossava.
“Ne
sei sicuro Ville?” mi domandò, dopo una pausa
troppo lunga.
Subito,
un’ondata di irritazione mi travolse e
stavo per rispondere di nuovo per le rime, ma il bassista mi
fermò con un gesto
della mano: “Ti prego, aspetta. Non fraintendermi. Ci siamo
tutti affezionati a
quella ragazza: è una persona stupenda e ha davvero tanto da
dare, ma sei
sicuro che sia la persona giusta per te? Forse hai visto in lei
un’ancora di
salvezza, ti sei lasciato affascinare dalla sua bellezza e dal suo
entusiasmo,
ma adesso? Sei davvero sicuro di poter sopportare tutto quello che
dovrete
inevitabilmente passare a causa della tua fama? E lei? Lei è
davvero pronta a
sacrificarsi in questo modo per te? Come puoi essere certo che la sua
non sia
una semplice cotta? In fondo è ancora così
giovane! Troppo giovane”
Scossi
il capo, prendendo un ampio respiro: “Non
posso spiegarti a parole, Mikko. E’ qualcosa che sento,
dentro di me. Io…io
credo di essermi innamorato di lei. E forse è passato
così poco tempo, ma mi ha
strappato un pezzo di cuore sin dalla prima volta in cui ho posato il
mio
sguardo su di lei, e quando ho incrociato i suoi occhi ho sentito
distintamente
dentro di me che non sarebbe più stato lo stesso. Mi chiedi
come faccio ad
essere sicuro anche di lei? Non posso, non ho certezze, so solo che io
mi fido
di lei”
Migè
mi fissò a lungo, soppesando ogni mia parola:
“Lo sai Ville, noi siamo solo preoccupati per te. Non
vogliamo vederti spezzare
il cuore, ancora una volta”
“Lo
so” gli assicurai, cercando di alleviare almeno
un poco i suoi sensi di colpa “Ma non voglio che lo siate. E
non voglio che
tutto cambi soltanto per la sua età: ha solo diciassette
anni, è vero, ma sulla
carta. Tu l’hai conosciuta e così anche gli altri,
sapete bene che è molto più
matura di quanto una data possa stabilire. Perché ne sareste
rimasti così
stupiti altrimenti?”
Lui
abbassò lo sguardo, non sapendo bene cosa
rispondere.
“Davvero,
lei è in grado di capirmi più di chiunque
altro” aggiunsi “Ed io ho bisogno di lei”
Il
bassista annuì piano, e poi riallacciò il suo
braccio intorno alla mia spalla: “Allora io mi
fiderò di te, piccoletto”
“Ehi”
protestai ridendo “Piccoletto potevi dirmelo
quando avevo dieci anni”
“Per
noi resterai sempre il fragile piccoletto”
intervenne Gas, il più vecchio di tutti, comparendo da chi
sa dove “Ma anche il
peggior combinacasini della storia”
Io e
Migè ci voltammo, ritrovandoci davanti al naso
la nostra band al gran completo, tutti vestiti di tutto punto e
piuttosto
imbarazzati.
Bastò
un solo sguardo e seppi che le cose tra di
noi erano tornate a posto.
Gli
abbracciai, uno per uno, chiedendo a ciascuno
scusa.
Linde
fu l’ultimo: mi strinse più forte, mi
battè
due o tre volte la mano sulla spalla. Le sue parole, il giorno
precedente,
erano state le più dure.
“Mi
dispiace” mormorò, incurvando le labbra in un
mezzo sorriso.
Scossi
la testa: “Sono stato uno stupido. Ma adesso
è tutto a posto?”
“Certo”
mormorò rapidamente, prima di aggiungere
“Entriamo? Siamo già in ritardo, tra poco tocca a
noi”
Quando
facemmo il nostro ingresso nel palazzo, gli
Apocalyptica stavano completando la loro esibizione. Facemmo appena in
tempo a
raggiungere il backstage allestito per l’occasione, che era
già il nostro
turno.
Come
stabilito, suonammo Wicked Game e subito dopo
Funeral; mentre cantavo, la mia mente si affollò con
immagini della sera prima,
lasciandomi con un sorriso: la collina, la tua voce, il tuo profumo.
Tuttavia,
d’un tratto, fui colto da un improvviso
turbamento. Le parole di Migè rimbalzavano vorticosamente
nella mia testa,
stordendomi.
Sei
davvero
sicuro di poter sopportare tutto quello che dovrete inevitabilmente
passare a
causa della tua fama? E lei? Lei è davvero pronta a
sacrificarsi in questo modo
per te?
Per
lei, per te, avrei sopportato ogni cosa ed ero
sicuro che, se solo te lo avessi chiesto, avrebbe fatto altrettanto. Ma
la vera
domanda era un’altra: era giusto chiederti
di farlo? Di sacrificarti per una persona più vecchia,
egoista, che avrebbe
potuto offrirti il suo amore, ma che poteva promettere o garantire poco
altro.
Così,
quando gli altri presero parte alla festa,
riunendosi a compagne e amici, io rimasi ancora un po’ nel
nostro improvvisato
camerino.
Presi
il cellulare, composi il tuo numero. Rimasi a
fissare per un minuto buono lo schermo senza essere in grado di avviare
la
chiamata.
“Sempre
un indeciso cronico? Non cambierai mai
Ville” mi prese in giro una voce femminile. Il mio cuore
mancò un battito:
avrei riconosciuto quella voce ovunque, eppure, non era possibile che
la sua
proprietaria si trovasse lì, in quel momento.
Sollevai
il capo, per controllare di non aver avuto
un’allucinazione uditiva in quello stato di completa
confusione emotiva in cui
mi trovavo.
Ma lei
era proprio in quella stanza, davanti a me,
i capelli castani abbandonati sulle spalle, un elegante tailleur beige
ad
avvolgere morbidamente il suo corpo, come la prima volta in cui
l’avevo rivista
in quell’hotel a Seattle, non molti mesi prima.
Lei,
la mia Tarja, o Meredith, come adesso si
faceva chiamare. Il mio primo amore, l’amore impossibile che
avevo lasciato
dall’altra parte del mondo.
Sbattei
più volte le palpebre, ancora incerto
riguardo alle mie facoltà mentali.
Meredith
sorrise di fronte alla mia espressione
stupita, facendo qualche passo avanti lentamente, stringendosi le mani
sul
grembo.
Mi
alzai in piedi di scatto, incapace di dire
alcunché, ancora sotto shock.
“Hei
Ville” mormorò lei, sempre sorridendo, quando
fummo uno di fronte all’altro, un numero esiguo di centimetri
a dividerci.
“Meredith”
boccheggiai, deglutendo a fatica “Cosa
ci fai qui?”
Lei si
passò le mani sulle braccia, a disagio, in
un gesto involontario di difesa: “Sono venuta a
trovarti”
Continuai
a fissarla in silenzio, mettendola ancora
più in imbarazzo, sebbene non fosse affatto la mia
intenzione.
“E’
così bella Helsinki” proseguì allora,
cambiando
argomento “Non mi ricordavo quanto mi mancasse fino a quando
non ho messo piede
giù dall’aereo…”
“Perché
sei qui?” domandai ancora, ignorando i suoi
tentativi di allentare la tensione.
Mosse
ancora le mani, come faceva ogni qualvolta
era agitata: fu allora che mi accorsi che il suo dito anulare era
spoglio.
Nessuna fede, nessun anello di fidanzamento.
Quando
l’avevo lasciata, soffrendo come un animale,
Meredith stava per sposarsi. L’avevo lasciata
perché sapevo che l’uomo che
l’aveva chiesta in moglie l’amava veramente, che ci
teneva davvero a lei, come
alla sua stessa vita, se non di più. E anche lei lo amava.
Afferrai
la sua mano,
bloccandola: “Perché non ti sei sposata?
Dov’è James?”
Meredith
abbassò lo sguardo a terra, tremando.
“Meredith!”
la chiamai, cercando i suoi occhi
“James sta bene, non è vero?” la
incalzai, preoccupato.
Tornò
a guardarmi negli
occhi, sospirando: “Sì, certo, lui sta
bene”
“Perché
non vi siete più sposati allora?” la
interrogai, non riuscendo a capire.
Le sue
labbra fremerono una volta: “Non potevo.
Io…”
Non la
lasciai finire di
parlare; mollai la presa, e feci un passo indietro:
“No…”
Meredith
mi seguì: calde lacrime le rigavano il
volto, ora.
“Ville”
gemette “Io non potevo…Io ti amo”
Scossi
la testa, coprendomi il viso con le mani:
“No, Tarja, è tutto sbagliato. Noi non possiamo
stare insieme, non potrei farti
felice quanto lui. Lui ti ama”
Fu
scossa da un singhiozzo, ma cercò di riprendersi
subito: “Io-io…io questo lo so”
balbettò piano “Ma…” scosto
le mie mani dal mio
volto, poggiandoci con delicatezza le sue, carezzando piano la mia
pelle “Io
voglio te”
Tenni
gli occhi chiusi, sconvolto, incapace di fare
qualunque movimento.
Perché?
Perché adesso?
Perché
quando credevo di aver trovato la mia
strada, tutti i pezzi del puzzle venivano di nuovo mescolati?
Impietrito
sul posto, non mi accorsi che Meredith
si era avvicinata ancora, alzandosi in punta di piedi.
Poi,
le sue labbra erano sulle mie.
Erano
umide, bagnate di sale. Il suo sapore era
dolce, morbido, proprio come lo ricordavo. Per un momento fui stordito
dal suo
profumo di vaniglia.
In
quello stesso momento, mi domandai se non avessi
sbagliato tutto nella mia vita. L’avevo lasciata credendo di
fare il bene di
entrambi, ma forse, forse il mio posto era sempre stato accanto a lei,
da
quando l’avevo incontrata per la prima volta, a quindici
anni, in quel bosco.
Ero
sul punto di abbandonarmi a quel bacio, quando
il volto di un ragazzo dai capelli castani e i grandi occhi azzurri, mi
sorrise
entusiasta da un luogo lontano. Come potevo fare questo a James? A
James, che
avevo imparato a conoscere in quei giorni di ospedale e di estenuante
attesa,
giorni in cui mi aveva offerto la sua amicizia, i suoi ricordi, in cui
aveva
aperto ad uno sconosciuto il suo cuore e mi aveva mostrato quanto
amasse quella
donna che adesso gli avevo portato via.
Il
ricordo di James svanì in fretta: un’altra
immagine, più vivida, più forte, soverchiante e
travolgente ogni altra cosa,
occupò ogni ansa della mia mente.
Una
ragazza dai capelli neri come la notte, due
occhi tanto profondi da potervisi perdere dentro, forse un
po’ appannati a
causa dell’alcol. Il sorriso più dolce e
struggente che avessi mai visto.
“La
vita a
volte ha dei risvolti imprevedibili, a volte il destino sembra voltarci
per
sempre le spalle e abbandonarci completamente a noi stessi, dopo averci
tolto
ciò che di buono ci rimane in questo mondo. E a volte
è davvero finita, ma in
altre occasioni può riscattarsi, offrendoci
un’altra chance. Lei ritornerà da
te, ne sono sicura.
Tu hai
il
potere di trasformare la vita delle persone, come hai trasformato la
mia con le
tue canzoni, e questo è il dono più grande:
è giusto che le preghiere degli
angeli vengano esaudite.”
Altri
riflessi, altri ricordi si susseguirono
davanti ai miei occhi chiusi, come una processione di uomini incoronati
davanti
alle pupille deliranti di Macbeth: la canzone al Midnight Wish, il tuo
corpo
disteso sulla neve, il tuo sguardo terrorizzato davanti allo slittino,
la massa
disordinati dei tuoi capelli appena sveglia, il tuo profilo
addormentato.
I
battiti nel mio petto si fecero più frequenti,
quasi incontrollabili e fu allora che tutto divenne chiaro.
Il
primo amore non si scorda mai. Avrei amato Meredith per tutta la vita,
avrebbe
sempre occupato una parte del mio cuore, fino alla fine.
Ma
c’è qualcosa che è ancora
più potente. Qualcosa che non credevo potesse
esistere davvero, qualcosa che invece ho trovato quasi per caso.
La mia
anima gemella.
E
questo amore è qualcosa che va oltre ogni altro
sentimento, piccolo o grande che sia.
Mentre
finalmente riuscivo a comprendere ciò che il
mio cuore già sapeva da tempo, un rumore mi fece sussultare.
Scostai
le labbra da quelle di Meredith, aprii gli
occhi e mi voltai verso la porta e la fonte di quel suono.
Quando
ti vidi, furono gioia
e desiderio le prime sensazioni a
sopraffarmi. Ma quando incrociai i tuoi occhi lucidi, colmi di
delusione e
sofferenza, mi resi conto della situazione dalla quale il tuo ricordo
mi aveva
allontanato e il sangue mi si gelò nelle vene.
Fu un
secondo, o forse meno. Ma lasciò un marchio
indelebile nel mio cuore.
Il
terrore di averti perso, mi tolse la voce e le
forze: quando ti abbassasti a raccogliere la tua borsa e poi scappasti
veloce
senza voltarti indietro, guardai senza battere ciglio, immobile, mentre
dentro
mi sentivo morire.
Passarono
secondi, minuti,
ore. Non lo so dire.
Meredith
sfiorò il mio braccio, riportandomi alla
realtà.
“Ville”
pronunciò il mio nome con sgomento e
confusione “Ville chi era?”
Mi
lasciai cadere su una poltrona, scuotendo la
testa.
Feci
qualcosa che non facevo da tempo.
Senza
riuscire a trattenermi; piansi.
“Ville!”
mi chiamò di nuovo, inginocchiandosi ai
miei piedi.
Allungai
una mano, per sfiorare le sue guance, per
asciugare quelle lacrime che avevano ricominciato a scivolare anche dai
suoi
occhi.
“Tu
appartieni alla mia vita Tarja, ne farai sempre
parte. Ma le nostre strade si sono divise molto tempo fa. Tu hai
trovato Jamie,
io ho incontrato un’altra persona. Tutto questo è
sbagliato”
Mi
guardò con gli occhi spalancati, scrollando il
capo, ma senza dire una parola, perché in fondo, sapeva che
io avevo ragione.
Glielo potevo leggere in viso, la conoscevo abbastanza.
Sempre
in silenzio, si spostò all’indietro,
abbandonandosi sul pavimento. Dopo pochi attimi, anche le sue dita si
staccarono dalle mie ginocchia. E fu come se una catena si fosse
spezzata.
Piansi
il mio ultimo addio, e mi misi a correre,
senza prestare attenzione alle persone che mi guardavano con
un’espressione
curiosa e interrogativa.
Mentre
stavo per abbandonare il palazzo, incrociai
Linde.
Il mio
amico osservò il mio viso sconvolto e ne
rimase fortemente turbato: “Dio, Ville, che cosa è
successo?” la sua voce
tremava, sembrava avesse paura di chiederlo.
“Dov’è
andata? L’hai vista? L’hai vista?”
continuavo a ripetere, fuori di me dalla rabbia e dalla paura.
“Ville
calmati, ti prego” mi strinse le spalle,
costringendomi a guardarlo negli occhi.
“Linde”
gemetti, mentre altre lacrime rigavano il
mio viso “L’hai vista? Sai
dov’è andata? Dimmelo ti
supplico…”
“Chi?”
mi chiese, sovrastando i miei lamenti.
“Elisa”
sussurrai, in un soffio.
Lui
fece un passo indietro, come se si fosse
scottato. Fece segno di no con la testa, fissandomi mesto
“No, Ville, non lo
so”
Non
persi un altro secondo. Uscii fuori, sotto un
temporale assurdo, e senza ascoltare le grida del chitarrista che
chiamava il
mio nome, mi misi a correre, cercando un taxi.
“Kainopuisto”
ordinai al tassista, dicendo il primo
posto che mi frullò nel cervello. Dopotutto dovevo pur
iniziare da qualche
parte.
Quando
ti trovai davvero, seduta e tremante su
quella all’altalena, quasi non riuscivo a credere ai miei
occhi; fui ancora più
certo di quello che provavo. Certo che i nostri destini fossero
indissolubilmente legati.
Cercai
di parlarti, di spiegarti, gridando come un
folle. Ma tu non volesti ascoltare, convinta che il mio amore fosse
soltanto
una bugia.
Tentai
un ultima carta, la sincerità più assoluta.
Una dichiarazione esplicita e incontrovertibile. E per un attimo, la
tua
incertezza mi fece sperare nell’impossibile.
La
ripetei ancora, facendo un passo avanti.
Trattenni
il respiro, aspettando quella risposta
che non venne.
“No.
Non è
così. Per quanto mi piacerebbe crederlo, per quanto lo
desideri con tutta me
stessa, questa non è la verità. Ciò
che c’è stato fra noi è
finito”
“Finito,
Ville,
capisci? Per sempre”
“Esprimi
un
desiderio”
E
prima ancora che il ciondolo che ti avevo
regalato toccasse il terreno, era davvero tutto finito.
Questa
è la verità. Questo è quello che
è successo.
Ma tu
non lo saprai mai ed io resterò soltanto l’uomo
che ha spezzato il tuo cuore. Distruggendo nello stesso momento anche
il mio.
Per sempre.
Ville” __________________________________________________________________________ Salve donzelle! Eccomi qui con
il nuovo capitolo! No, in realtà, solo la prima parte del
nuovo capitolo xD in
questa storia i capitoli sono decisamente troppo lunghi xD Fatemi sapere
cosa ne pensate ^.^ Qui c’è la spiegazione del
brutto fattaccio dell’altra
storia xD Grazie mille a
chi ha letto e soprattutto a chi ha commentato! @Angel Of Death:
picci scusa xD Adesso mi ricorderò sempre di aggiornare xD
Grazie mille per il
commentino ^-^ Anche me ti ama tanto! @Queenrock:
Siiiii sono tornata in fretta! A dire il vero ormai, questi due poveri
personaggi sono diventati parte della mia vita, e faccio davvero molta
fatica a
lasciarla andare xD Poveri xD Sono davvero tanto felice di saperti
così
contenta per la mia storia e spero continuerò a non
deluderti! Grazie mille *-*
Bacini! @Puzzolinda:
quello che io so xD
aiutooooooooo xD
Grazie mille mio piccolo tortino di pesca! Che spreco di carta
però xD Ci
sentiamo dopo! Intanto Mossi piange T.T @Lux:
wiiiiiiiiiiii sono così felice di risentirti! Mi sei mancata
tanto tanto! E
sono contenta che ti sia piaciuta ^^ E come hai preso il finale
dell’altra
storia? xD Credo che questa canzone sia diventata una delle mie
preferite in
assoluto *-* Non mi stancherei mai di ascoltarla. E’ anche la
canzone che mi ha
fatto conoscere gli Avenged, quindi le sono doppiamente affezionata, e
poi è
decisamente troppo bella, sia la musica che le parole! Spero di
sentirti
presto. Bacini Alla
prossima! FallenAngel aka
Mossi