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Autore: BlackSwan Whites    30/06/2015    5 recensioni
STORIA AD OC (ISCRIZIONI CHIUSE!)
Il mondo ha già conosciuto due grandi ere della pirateria; i sogni e le speranze di tanti uomini sono naufragati per sempre, mentre altri sono riusciti a realizzare le loro ambizioni.
Nella terza grande era della pirateria, spinta da una volontà d'acciaio, una ragazza decide di imbarcarsi per solcare i mari assieme ad altri che, come lei, hanno un sogno e degli ideali che difenderanno a costo della vita. E voi, siete pronti a seguirla?
Una ciurma, tante persone, ma una sola, grande avventura.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 5: Ricordi in tempesta e... tempeste

Era una notte calma. Il cielo scuro era punteggiato di innumerevoli stelle luminose, mantenuto limpido dalla leggera brezza che spirava, consentendo alla nave di avanzare lentamente sul mare piatto.
Cullata dal placido dondolio delle basse onde, tranquilla come la distesa d’acqua su cui viaggiava, la ciurma dormiva profondamente. Tutti, esauriti dalla lunga giornata, erano stati vinti dal sonno. O meglio, tutti tranne una persona.
Rey camminava per il corridoio con passo leggero, per non destare i compagni. Data la difficoltà ad addormentarsi aveva deciso di fare un giro sul ponte e prendere una boccata d’aria, in rigorosa solitudine. Dopo poco, giunto all’estremità del passaggio, aprì la porta che si trovava al suo termine.
La delicata luce delle stelle, non ancora offuscata dallo splendore della luna crescente, lo investì in pieno, immergendolo nella fresca aria notturna. Si mosse lentamente verso la balaustra, assaporando quell’atmosfera di pace.
Si sentiva… bene, stranamente. Sebbene le rivelazioni fatte da Iris e Keyra all’inizio lo avessero un poco turbato, ora aveva superato la cosa,  complice probabilmente anche la festicciola che avevano organizzato a bordo.
Una leggera folata di vento gli scompigliò i capelli neri, facendo anche tintinnare il bracciale a catenella che aveva al polso contro il parapetto a cui era appoggiato.
Chiuse un attimo gli occhi, godendo dell’aria volto, poi li riaprì, alzando lo sguardo al cielo.
Assieme alla grande macchia punteggiata che era il firmamento notturno, intravide uno scorcio della vela maestra. Il tessuto candido rifletteva la luce lunare, brillando come di luce propria.
Richiuse le palpebre. Strano come le cose appaiano diverse e trasfigurate al buio, le vele sono blu.
Quello che gli si era insinuato nella mente come un pensiero fugace lo portò un attimo dopo ad aggrottare la fronte.
No, c’era qualcosa che non tornava. Le vele erano blu, quindi con l’oscurità avrebbero dovuto sembrare ancora più scure.
Spalancò gli occhi, volgendosi a osservare l’interno della nave. Appariva molto più esteso di come era realmente. E le grandi vele rettangolari (non triangolari, come le loro), spiegate fieramente sui cinque (non tre) alberi erano bianche (non blu).
Fu un attimo. Udì un colpo sordo, come un boato in lontananza.
Subito qualcosa scattò in lui. Si gettò a terra, di lato, mentre una cannonata colpiva violentemente la balaustra, facendola esplodere in una miriade di schegge di legno che gli piovvero addosso.
Oh, no.
Si rialzò lentamente, con un brivido che gli risaliva lungo la schiena e un leggero fischio nelle orecchie dovuto al boato.
All’orizzonte, là dove il mare si fondeva col cielo, la luna piena svettava enorme, come fosse una sfera poggiata su quella enorme distesa d’acqua.
Ma il suo splendore era offuscato dalla sagoma di un’altra nave, molto più grande di quella su cui si trovava lui, che avanzava rapidamente, un filo di fumo che si levava dalla bocca del cannone frontale.
Rey non perse ulteriormente tempo e corse sottocoperta.
Doveva avvertirli, svegliarli, doveva farcela, non poteva permettere che succedesse di nuovo
Ora che aveva ritrovato una famiglia, non poteva perderla subito come… come…
La sua corsa fu interrotta da una figura maschile che giungeva in direzione opposta alla sua. Nella sottile luce, intravide il fisico scolpito e atletico, i corti capelli neri e lo scintillio degli occhi cremisi.
Un tremore diffuso si impossessò nuovamente del suo corpo. Conosceva quella persona, tanto simile a lui in ogni dettaglio.
No, non è possibile. Lui è morto, e i morti non ritornano. Eppure…
 -Padre…- sussurrò. L’uomo parve non accorgersi di lui; dopo essersi guardato intorno estrasse una sciabola dal fodero che portava appeso in vita e proseguì verso il fondo del corridoio.
Giunto alla porta più vicina, Rey la spalancò. Era il dormitorio femminile.
Il colpo della nave avversaria aveva svegliato la maggior parte delle presenti, che si stavano rapidamente vestendo e preparando alla battaglia.
Una seconda cannonata fece oscillare pericolosamente la nave, provocando le urla di buona parte dell’equipaggio. Dalla stanza a fianco, quella riservata alla componente maschile della ciurma, giunsero suoni analoghi.
Prima che Rey potesse fare o dire alcunché, fu distratto da una piccola figura che lo oltrepassò come se nemmeno fosse presente.
Prima ancora di vederlo in faccia, seppe chi era quel bambino.
Dal gruppo si staccò una donna slanciata, dalla lunga chioma bionda; si avvicinò al piccolo, che corse a gettarsi tra le sue braccia, e lo strinse al petto.
-Mamma, cosa sta succedendo?- domandò con voce spaventata, sollevando la testolina coperta di corti capelli neri. I suoi occhi neri come la pece, che già allora presentavano delle caratteristiche sfumature rosse, erano colmi di terrore.
Da sopra si udì un cozzare di lame, seguito da un grido di dolore e un tonfo, poi dei passi affrettati. Sul ponte lo scontro doveva essere iniziato.
La madre lanciò uno sguardo inquieto in giro, poi prese la mano del figlio e gli sussurrò: -Seguimi-
Lo trascinò, praticamente, per tutto il corridoio, senza rispondere alle sue domande, giungendo alla breve scala al termine del passaggio.
Scese rapidamente i gradini e una volta in fondo spalancò la porta che trovò, spingendo il bambino ad entrare e richiudendola alle loro spalle. Rey, che li aveva seguiti silenzioso e inosservato come un’ombra, fece appena in tempo a infilarsi nell’apertura prima che si serrasse.
Erano in una stanza abbastanza piccola e buia, colma di barili e casse impilate.
A quel punto, la donna si inginocchiò per poter guardare il bimbo negli occhi.
-Ascoltami- disse, con voce preoccupata, -resta qui. Non uscire per nessun motivo finché non sarai assolutamente certo che non ci sia più pericolo, capito?-
-Ma…- provò a ribattere il piccolo; la madre rispose stringendogli maggiormente il braccio.
-Capito?- ripeté, fissandolo. Lo sguardo di pece del figlio si riflesse in quello azzurro di lei. A un cenno affermativo con la testa, lo strinse a sé teneramente.
-Mi raccomando, se qualcosa va storto… sii forte- gli sussurrò in un orecchio.
Poi sciolse l’abbraccio e si avvicinò all’uscio. Rivolse ultimo sorriso al buio, dove sapeva che i due piccoli occhi la stavano ancora guardando, poi estrasse leggermente la sua sciabola, gemella di quella del padre di suo figlio, dal fodero e oltrepassò la porta, richiudendola di scatto.
Il bambino rimase solo nella stanza. Dall’esterno, sentì un grido di trionfo e dei passi pesanti e affrettati lungo il corridoio che si avvicinavano. Udì chiaramente il suono di una lama che scivolava fuori dalla sua custodia, e seppe subito che sua madre era pronta a difenderlo. Nessuno si sarebbe mai avvicinato alla dispensa.
Si inginocchiò, provando a sbirciare sotto la porta per capire cosa stava accadendo fuori. Rey lo imitò, ma le scale ostacolavano la vista di entrambi.
Ci fu un clangore metallico: il combattimento era iniziato. Andò avanti per istanti che parvero interminabili, poi un urlo lacerante perforò le orecchie di entrambi. Un urlo indubbiamente femminile.
Un tonfo, e un corpo rotolò giù dalle scale, atterrando davanti alla porta.
E il piccolo si ritrovò a guardare sua madre, la spada ancora tra le dita serrate, lo sguardo già spento, e una macchia di sangue che si allargava sulla maglietta candida all’altezza del petto.

 

 

 

***

 

 

 

Rey si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi. Tremava incontrollatamente. Inspirò a fondo, cercando di riprendere il controllo.
Non era la prima volta che gli succedeva di rivivere in sogno la morte dei suoi genitori, anche se era passato molto tempo dall’ultima occasione in cui gli era capitato.
Aveva solo sei anni quando la ciurma pirata in cui era nato era stata sterminata da un’altra banda durante la notte, in un attacco a tradimento e, soprattutto, completamente immotivato (aveva, in seguito, sentito quelle stesse canaglie ridere dicendo che era stato un passatempo molto divertente).
Eppure, nonostante il tempo passato, quegli istanti terribili in cui aveva perso tutto, dopo dodici anni tornavano ancora a tormentarlo, e allora si ritrovava come adesso, rannicchiato nel letto, a cercare di scacciare via quelle immagini dalla mente.
Si passò una mano sulla faccia, scoprendosi la fronte e gli zigomi umidi di sudore freddo.
Fantastico, Rey, adesso ti fai anche prendere dalla paura, come un bambino? Avevi promesso a tua madre che saresti stato forte allora e che lo saresti rimasto sempre, e invece… invece…
E invece era un essere umano, cavolo.
Per quanto l’orgoglio l’avrebbe sempre portato a negare, anche lui provava dei sentimenti.
Di giorno era sempre più freddo di una calotta polare, ma di notte non era in grado di esercitare il pieno controllo sulle sue emozioni, ed era allora che, in alcuni casi (pochissimi, a dire il vero) queste si impossessavano della sua mente, sconvolgendola.
Probabilmente, le rievocazioni dei passati di Iris e Keyra il giorno precedente avevano ridestato anche i suoi ricordi, che avevano deciso quindi di passare nottetempo a fargli una visitina. Del resto si teneva sempre tutto dentro, era normale che a volte dovesse sfogarsi.
Appoggiò la fronte sulle nocche, sempre stando a gambe incrociate sul letto, inspirando profondamente, mentre anche gli ultimi strascichi del sogno si perdevano.
Bravo, Rey, controllo.
Incurvò debolmente le labbra al pensiero di sua madre, di quell’ultimo sorriso che gli aveva rivolto prima di andare incontro alla morte, di come aveva rinunciato alla sua vita per proteggerlo.
Se solo avesse potuto vedere com’era cresciuto e quanto si era rinforzato, sarebbe stata fiera di lui.
Con questo pensiero nella testa alzò lo sguardo sulla stanza. I suoi compagni dormivano profondamente, Naoaki stando su un fianco, Kaith sdraiato in maniera scomposta, Mark supino; ad un certo punto, il medico mugugnò qualcosa e si rigirò, premendo le labbra sul cuscino ed abbracciandolo. Rey lo guardò con disappunto: poteva facilmente immaginare cosa stesse sognando in quel momento.
Certo, erano gente strana, loro come anche le ragazze (Iris sopra tutte), ma sentiva che insieme sarebbero stati bene, avrebbero costituito un gruppo unito e, soprattutto, anche se non avevano vincoli di parentela, sarebbero stati una grande famiglia.
Stava per coricarsi nuovamente, quando un rumore sordo, come un colpo proveniente dall’esterno, lo fece voltare verso la parete.
Silenzio. Attese un attimo, ma non accadde nulla.
Probabilmente era stato solo uno scherzo della sua immaginazione, complice anche l’incubo appena conclusosi. Un attimo dopo, però, si udì una nuova botta, seguita subito da un’altra, più sommessa. Somigliava al rumore di passi pesanti in coperta.
Rey scattò immediatamente in piedi, tutti i muscoli tesi e pronti al combattimento. Provò a utilizzare l’haki per “scandagliare” la nave e il suo cuore mancò un battito. Percepiva una presenza sul ponte. Qualcuno di armato.
“Deve essere uno di quei cacciatori di taglie sopravvissuti che si è imbarcato di nascosto” pensò il ragazzo. “Vigliacco, progettava di ucciderci nel sonno, magari”
Si rassettò un poco, stringendo i lacci del fodero del pugnale che portava legato alla caviglia persino mentre dormiva. Quello stupido infiltrato aveva compiuto l’ultimo errore della sua miserabile vita.
Aprì la porta del dormitorio maschile, uscì in corridoio e se la richiuse alle spalle, facendo attenzione a non svegliare gli altri.
Percorse la nave per la seconda volta in quella notte (anche se la precedente era stata solo un sogno, si ripeté mentalmente) con passo felpato, raggiungendo in poco tempo la soglia chiusa del ponte.
Ok, Rey, senza pietà. Nessuno ne merita, e i codardi meno di tutti.
Socchiuse l’uscio, sbirciando la situazione. C’era una figura sul ponte, scura nella luce fioca delle stelle; la luna era effettivamente crescente, non piena come nel sogno, quindi non illuminava a sufficienza da poter distinguere chiaramente la fisionomia dell’avversario.
Riusciva però a vedere che l’intruso gli dava le spalle. Dilettante, mai abbassare la guardia, anche quando sei solo contro un intero equipaggio addormentato.
Inspirò a fondo, allungando la mano a prendere il coltello. Le sue dita sfiorarono il freddo metallo, per poi stringersi attorno al manico.
Vai. Uccidi.
Con uno scatto deciso spalancò la porta, sfilando la lama dal fodero e slanciandosi in avanti per colpire al cuore quell’idiota che aveva osato sfidare la ciurma.
Già sentiva il sangue caldo sgorgare a fiotti dalla ferita al petto che gli avrebbe inferto, schizzandogli addosso e dandogli quella sensazione di appagamento, indescrivibile a parole, che provava ogni volta che uccideva qualcuno.
Tutti i suoi sogni omicidi svanirono però nel momento in cui la sua arma, anziché affondare nella carne dell’avversario, cozzò contro qualcosa di duro, producendo uno stridore metallico.
Rey rimase spiazzato: come diavolo aveva fatto a parare il colpo? Quel tipo doveva possedere dei riflessi sovrumani per bloccare un attacco proveniente praticamente dal nulla, contando che fino ad un attimo prima era completamente solo sul ponte.
In ogni caso, il disorientamento durò solo un’infinitesima parte di secondo. Il vicecapitano infatti scartò lateralmente, passandosi il coltello nella mano sinistra per colpire al fianco, ma di nuovo l’attacco andò a vuoto.
Ancora più irritato (com’era possibile che un inetto qualsiasi gli stesse tenendo testa in quel modo?) si voltò di scatto, pronto a tentare un terzo affondo, ma si bloccò nel momento in cui si rese conto di chi gli stava davanti.
Il pugnale quasi gli scivolò dalle dita, mentre i suoi occhi neri e cremisi si riflessero in quelli di Keyra, azzurri, ma dalle mille sfaccettature.
La ragazza sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, concentrata, mentre lentamente abbassava la sua spada, uscendo dalla situazione di stallo nella lotta. Rey si allarmò del fatto di non essersi accorto che, fino a un istante prima, quella lama era a pochi centimetri dal suo collo.
-Beh, che fai, non continui?- disse la cuoca, accennando con la testa all’arma nella mano del compagno. -Bell’attacco, comunque, complimenti. Se non fossi stata pronta a reagire mi avresti fatto fuori-
Il moro era, se possibile, ancora più scioccato. Cioè, l’aveva quasi ammazzata e lei si complimentava con lui per il suo modo di combattere? Quella notte gli stavano succedendo troppe cose strane una in seguito all’altra, era troppo anche per uno come lui.
Deglutì a vuoto, cercando di ricomporsi e recuperando in breve il suo tipico atteggiamento freddo. -Perché sei qui?- domandò con fare distaccato, come se nulla fosse accaduto, mentre rinfoderava la sua fida lama rossa.
-Mi stavo allenando- rispose l’altra con tono tranquillo. -Cerco sempre di migliorarmi nel combattimento con Angel-
Rey ci mise un momento a capire che si stava riferendo alla spada. Dunque aveva anche un nome. Doveva essere molto importante per lei.
Ne fece una rapida valutazione. Di ottima fattura, inusuale nell’aspetto, di grandi dimensioni (doveva essere lunga ad occhio e croce quasi un metro e settanta, eppure Keyra la reggeva apparentemente senza il minimo sforzo) e bella esteticamente quanto letale. Un vero e proprio angelo della morte.
-Trovo che le si addica- commentò. -Sì, anch’io- replicò la ragazza. Poi fu lei ad esordire con una domanda. -Piuttosto, tu perché sei qui?-
Il moro scrollò le spalle. -Mi sono svegliato, non riuscivo a riprendere sonno, ho sentito dei rumori provenire da fuori, ho pensato ci potesse essere a bordo un clandestino che sperava di farci fuori e ho deciso di uscire e fargli rimpiangere di essere nato-. Chiaro e diretto come un pugno nello stomaco.
Seguirono alcuni istanti in cui il silenzio prevalse su tutto, anche sulla lieve brezza che spirava tra gli alberi della nave.
-Sai, sento di doverti delle scuse-. Il giovane rivolse alla compagna uno sguardo interrogativo, una richiesta implicita di una spiegazione delle parole da lei appena pronunciate. Un sospiro precedette il chiarimento atteso.
-Vedi, io mi alleno quotidianamente, e preferirei farlo senza disturbare il resto della ciurma… per questo mi alzo al mattino prestissimo, quando è buio e le stelle sono ancora in cielo. Mi dispiace di averti svegliato-
-Non preoccuparti- la rassicurò lui, accompagnando la frase con un’altra leggera alzata di spalle. In realtà il suo brusco risveglio non aveva avuto niente a che fare con la ragazza, ma non era nelle sue intenzioni parlarle del sogno; farlo avrebbe comportato infatti la necessità di svelarle molti dettagli riguardo al suo passato, e ancora non se la sentiva. Già non era stato piacevole rivivere la situazione inconsciamente, men che meno gli andava di parlarne di sua spontanea volontà.
Tuttavia, magari, spiegandosi con Keyra si sarebbe sentito meglio… Da quello che era emerso di lei durante tutto il tempo in cui avevano navigato assieme (non moltissimo, a dire il vero, nemmeno due settimane) sembrava una persona molto estroversa e disponibile al dialogo, quindi se le avesse raccontato ciò che gli era successo avrebbe potuto ricevere qualche consiglio di conforto.
Ma consiglio su cosa? E soprattutto, perché? Non ne aveva bisogno. Gli unici con cui aveva condiviso la sua storia finora erano stati i membri della prima (e sola, senza contare quella di Iris) ciurma di pirati con degli ideali che aveva avuto il piacere di conoscere; erano stati loro a tendergli la mano e a riscattare la figura dei banditi dei mari ai suoi occhi, convincendolo otto anni dopo ad accettare la proposta del suo attuale capitano di imbarcarsi.
No, il suo passato era un segreto e tale doveva rimanere, per il momento.
-Ad ogni modo, sappi che ti ammiro-. Ancora una volta la voce di Keyra lo riscosse dai suoi pensieri.
Si voltò a guardarla. Anche lei aveva gli occhi puntati sul suo viso.
-Sì, ti ammiro. Il fatto che sia bastato un rumore proveniente dall’esterno a metterti in allerta significa che tieni alla tua, alla nostra ciurma. E che non esiteresti a rinunciare persino al riposo pur di salvarci da un pericolo imminente-
Si interruppe un attimo, poi riprese a voce leggermente più bassa. -Iris ha riposto bene la sua scelta in te come vice. C’è bisogno di un punto di riferimento forte se qualcosa va storto-
Quella frase lo colpì con la potenza devastatrice di migliaia di cannonate.
Mi raccomando, se qualcosa va storto… sii forte.
Praticamente le stesse parole, in contesti differenti, certo, ma pur sempre analoghe.
In un attimo, il volto di Keyra si trasfigurò in quello di sua madre la notte in cui si sacrificò per salvarlo. Erano così simili, ora che ci pensava: stessi lunghi capelli biondi, stessi occhi azzurri (no, quelli non erano proprio uguali, quelli della cuoca erano molto più profondi e ipnotici, con tutte quelle pagliuzze multicolori).
Sbatté un po’ le palpebre per scacciare l’immagine, abbassando contemporaneamente lo sguardo a terra per evitare di venire trasportato nuovamente nella dispensa del vascello su cui era nato, preda del vortice dei ricordi.
-Perdere tutto una volta basta e avanza; dubito sia un’esperienza che tu voglia ripetere- ribatté secco, senza sapere se si stava rivolgendo alla ragazza o a sé stesso.
Poi, prima che lei avesse il tempo di trattenerlo per domandargli una spiegazione, si avviò rapidamente verso la porta che conduceva sottocoperta, serrandola alle sue spalle.

 

 

 

Il giorno dopo, con il sole ben alto nel cielo, la navigazione procedeva tranquillamente, così come la vita sul vascello.
Le vele blu elettrico si gonfiavano delicatamente sotto la brezza quasi impercettibile, sospingendo dolcemente la ciurma alla volta della prossima isola.
Proprio a causa del vento debole, però, il caldo si faceva sentire, portando tutti ad essere fortemente accaldati e poco motivati a fare qualsiasi cosa.
Diana, per esempio, era scesa dalla normale postazione di vedetta (stavano percorrendo un tratto di mare aperto molto ampio e poco frequentato, aveva spiegato la navigatrice, quindi monitorare la situazione era superfluo) e si era unita a Mark, Kaith, Alex e Greta per giocare a carte. La posta in gioco erano, ovviamente, dei ghiaccioli alla frutta fresca gentilmente offerti da Keyra.
La cuoca, dal canto suo, se ne stava nel suo “regno” a preparare i suddetti ghiaccioli, dei gelati, alcune granite e dei sorbetti, che poi portava periodicamente ai compagni rimasti sul ponte.
-Grazie, Fruit-san, ti adoro!- esclamò Mirage non appena le porse una fetta di melone ghiacciato.
Lei ed Ellesmere erano sdraiate sul ponte, nella “area giardino”, cercando di ripararsi dal sole a picco sotto un ombrellone. La tigre, in particolare, era letteralmente paralizzata dall’afa: se ne stava rannicchiata sull’erba, avvolta nel suo mantello di pelliccia, con la lingua penzoloni.
-Ma Mira, se hai caldo perché insisti a tenerti addosso quella specie di coperta?- intervenne Iris, che passava in quella sorseggiando una granita da una mezza noce di cocco.
-Perché è fatto di un materiale particolare che serve a mantenere fresco all’interno- spiegò l’altra, addentando con avidità il melone.
Il capitano si avvicinò un poco: effettivamente, passando una mano all’interno del mantello, si provava una sensazione di delicata frescura. -Gran bella invenzione, dovrei procurarmene uno anch’io- commentò tra sé e sé, riprendendo in bocca la cannuccia della granita e proseguendo la sua passeggiata.
Anche Keyra, dopo aver lasciato ad Ellesmere una coppetta di gelato alle fragole, continuò ad avanzare, avvicinandosi a Naoaki. Il cecchino era seduto all’ombra e, come sempre, era intento a lucidare una delle sue tante armi.
-Ghiacciolo?- gli domandò con un sorriso. Lui, per tutta risposta, la fulminò con gli occhi cremisi. -Io odio i dolci- sbottò acidamente, per poi tornare a concentrarsi sul suo lavoro. Quando faceva così caldo diventava, se possibile, ancora più intrattabile del solito.
-Se a lui non va lo prendo io- disse una voce alle loro spalle. La cuoca si voltò, trovandosi faccia a faccia con Rey.
Ogni volta che incrociava il suo sguardo, il pensiero le tornava alla notte prima, a come si era irritato per le ultime parole che gli aveva riferito; comunque, il moro non sembrava avercela ancora con lei, e in ogni caso non era sua intenzione riprendere la discussione.
-Ecco, tieni- disse, porgendogli un gelato al lampone, rosso e scuro come il sangue che amava tanto. Lui lo prese in mano, beandosi del contatto dello stecco freddo con la pelle bollente.
La bionda fece per andarsene, ma lui la chiamò fermandola. -Senti, Keyra… mi dispiace per come ti ho trattato ieri. Non è stata colpa tua-
Un’altra persona probabilmente avrebbe accompagnato le scuse con un sorriso, ma lui rimase completamente impassibile, anche se nei suoi occhi scuri si leggeva una profonda volontà di scusarsi.
Del resto ci teneva a mantenersi in buoni rapporti con tutti: di conseguenza, era meglio eliminare ogni possibile fonte di rancore. Tuttavia non era il tipo da perdersi in chiacchiere, anche perché non era abituato a dialogare a lungo con gli altri. Era più uno da botta e risposta, come ottenne in quella situazione.
-Figurati- ribatté infatti la giovane con altrettanto distacco. Ormai la questione era superata, non era necessario richiamarla in causa.
Poi si voltò, tornando verso la cucina.

 

 

 

Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava per il verso giusto fu Kahir.
Il falco, che aveva passato il tempo a tuffarsi in acqua per rinfrescarsi e rimediare qualche bocconcino (era infatti anche un eccellente pescatore “al volo”), in quel momento stava planando dietro alla nave, lasciandosi sostenere dalla delicatissima brezza. Da un istante all’altro, però, tutti i presenti sulla nave udirono il suo grido d’allarme.
-Kahir!- scattò subito Iris, correndo a poppa. Il suo compagno pennuto era sparito nel nulla.
Il panico la stava già sopraffacendo, quando lo vide schizzare fuori dall’acqua come un proiettile, scrollandosi le gocce di dosso e atterrandole sulla polsiera, dove continuò a scuotersi arruffando le piume per asciugarsi.
-Ma che ti prende, Kahir?- domandò Diana, il membro della ciurma che aveva un po’ più di confidenza con l’animale. Quello fece schioccare il becco e, con un colpo d’ali, si rialzò in volo. Fece poi per planare, ma anziché avanzare dolcemente come sarebbe stato naturale si ritrovò a cadere verticalmente, atterrando sul ponte.
-Che succede, è finito il vento?- fece Kaith con sarcasmo. Lui, Mark, Alex, Greta e Diana erano ancora nel bel mezzo di una partita a carte per l’ultimo ghiacciolo alla papaya, e il gioco stava vertendo decisamente a suo favore, per cui si sentiva particolarmente di buon umore.
Gli altri tacquero, in ascolto. Effettivamente, della brezza leggera che aveva sospinto la nave fino a quel momento non c’era più traccia.
-Bonaccia… questa non ci voleva- esclamò Diana. -Salgo sulla coffa a vedere se è solo in questo punto o se c’è qualche raffica che possiamo sfruttare-
Il cessare completo del vento aveva portato tutti a sentire il caldo tre volte più intenso rispetto a prima. L’unica che non sembrava preoccuparsene particolarmente era Greta. O meglio, era l’unica per cui il caldo non rappresentava il problema principale. All’affermazione di Diana, infatti, aveva aggrottato la fronte, come in preda a un qualche oscuro presentimento.
-È meglio se stiamo all’erta- disse con tono cupo. -Non mi piace questa situazione, se l’aria smette di muoversi così di colpo non è un buon segno-
-Ma che dici? - sbottò Alex, visibilmente irritata per avere perso l’ennesima partita, schiaffando le carte che aveva in mano sul tavolino. -Guardati bene intorno, non c’è l’ombra di una nuvola in cielo, neanche una dannatissima nuvoletta che ci faccia ombra e ci risparmi da quest’afa insopportabile, e tu fantastichi che stia per arrivare una tempesta?- Si sistemò gli occhiali, rincarando la dose. -Non sarebbe quasi male un po’ di pioggia-
-Per tua informazione, carina, io ho parlato di tempesta, non di temporale. La pioggia probabilmente non la vedremo neanche, e anche se ci fosse sarebbe una cosa minima, l’ultimo dei nostri problemi-. La risposta della navigatrice era stata, se possibile, ancora più secca e scorbutica di quella della studiosa.
-Beh, speriamo che almeno torni un pochino di vento, altrimenti ci toccherà stare qui fermi…- provò a sdrammatizzare Mark per smorzare un po’ i toni della discussione. Peccato che ottenne l’effetto esattamente opposto.
-Complimenti per la brillante intuizione, Capitan Ovvio!- esclamò Greta, alzando gli occhi al cielo. -Se magari avessi passato più tempo a studiare, invece di correre dietro alle ragazze, avresti scoperto il curioso fatto che nel bel mezzo di una tempesta il vento c’è, eccome se c’è! Saremo fortunati se non coleremo a picco!-
-E quanto a voi- aggiunse, rivolgendosi in particolare a Rey, Kaith e Naoaki, sempre con lo stesso tono rabbioso -spero che sarete in grado di gestire l’emergenza, perché sarà una cosa seria-
-Va bene, Greta, non ti sembra di stare un po’ esagerando?- intervenne timidamente Ellesmere in difesa dei compagni. Che motivo aveva di attaccarli così se non era ancora successo nulla?
-No, non sto esagerando per niente!- urlò letteralmente l’altra ragazza, con le trecce che oscillavano furiosamente davanti alla sua faccia. -Questo repentino cessare del vento può significare solo che siamo entrati in un tratto di mare estremamente pericoloso…-
Si interruppe di colpo, come se avesse perso le parole. -Beh, perché ti sei fermata? Continua pure ad attaccarci, se ti diverte tanto- ringhiò Kaith; le persone arroganti l’avevano sempre irritato profondamente.
La navigatrice emise una sorta di sibilo, probabilmente per dirgli di tacere. Il carpentiere continuò imperterrito, con gli occhi rossi guizzanti di rabbia. -Pensi che questa nave non sia in grado di reggere, eh? Che coli a picco al primo alito di vento? Ti ricordo che è sopravvissuta già all’attacco di una murena leone imbizzarrita-
-Kaith, basta- intervenne Iris. Tutti si voltarono a guardarla, perché fino a quel momento non aveva aperto bocca, nonostante la lite che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
-Anche se concordo con voi che Greta dovrebbe abbassare un po’ i toni,- continuò, lanciando un’occhiata di traverso all’altra ragazza, che sbuffò spazientita, -non metto in dubbio che sia un navigatore esperto. Se sente che sta per succedere qualcosa di grosso, io le credo-
Il suo tono di voce era serio e fermo, molto diverso dal solito. Il fatto che fosse un po’ strana alle volte (anzi, molto spesso) non significava che non avesse autorità. Dopotutto era il capitano, era suo compito mantenere l’ordine sulla nave.
L’atmosfera rimaneva comunque tesa come una corda di violino, complice anche la prolungata assenza di movimento dell’aria. Sembrava proprio che il tempo si fosse bloccato, fossilizzando tutti nelle loro posizioni.
Fu Mirage ad interrompere quella situazione di stallo. Le sue orecchie di tigre ebbero un leggero fremito, tendendosi nell’aria. -Cosa c’è, Mira?- chiese Mark, a cui non era sfuggito il movimento. -Avete sentito anche voi?- domandò lei, voltandosi verso gli altri con aria preoccupata.
Tutti si misero in ascolto, ma nessuno riusciva a captare niente. Poi, dopo un attimo, lo percepirono: come un sibilo, prima delicato, come l’aria che esce da un palloncino forato, poi sempre più intenso, fino a trasformarsi in un vero e proprio soffio.
-Guardate il mare!- la voce di Diana richiamò l’attenzione. Tutti si precipitarono alla balaustra di legno chiaro, sporgendosi per osservare la situazione. -Non ci credo…- mormorò Alex, mentre un ciuffo dei suoi neri capelli le cadeva sull’occhio destro.
Attorno alla nave, l’acqua stava evaporando rapidamente, molto, troppo rapidamente, mentre in cielo sopra di loro si andavano condensando nuvole ad una velocità impressionante. In poco tempo, il sole venne completamente oscurato da una coltre spessa e densa di cumulonembi grigio scuro. L’aria rimaneva però ancora immobile, rendendo la situazione surreale ed inquietante.
Si udì un cupo rombo, simile ad un tuono, ma dal suono molto più profondo; pareva quasi una voce proveniente dall’oltretomba. Poi, senza preavviso, una raffica di vento potentissima investì la prua della nave. Le vele triangolari, scurite dalla debolezza della luce solare, si gonfiarono in senso contrario al normale, dando al vascello una spinta innaturale che fece scricchiolare gli alberi e il timone.
Il tutto durò una manciata di secondi; terminata la raffica, però, l’aria cessò nuovamente di muoversi. -Che diavolo è successo?- gridò Naoaki. L’improvviso mutamento del clima e, soprattutto, la scossa dovuta alla folata improvvisa, l’avevano risvegliato dalla sua apatia da caldo.
La domanda del cecchino rimase parzialmente in sospeso, poiché la sua voce fu coperta, mentre terminava di pronunciare la frase, da un nuovo suono simile al precedente, ma più duraturo.
-La domanda, più che cosa è successo, è cosa succederà adesso- considerò Rey, quando il rumore fu terminato. A rispondere ad entrambi fu Greta, il cui volto aveva assunto un’espressione cupa, a metà tra il mortalmente preoccupato e il “io ve l’avevo detto”, mentre una nuova raffica, questa volta laterale, colpiva violentemente il fianco della nave, facendola inclinare pericolosamente.
-Cari compagni, benvenuti ad Hurricane Point- disse con tono lugubre.

 

 

 

Tutti sulla nave potevano dire, alla luce di come era mutata la situazione, di comprendere pienamente il detto “la quiete prima della tempesta”. Se l’aria si era fatta sentire poco per tutta la giornata, e da dieci minuti a quella parte era stata completamente immobile, adesso pareva di essere piombati nel bel mezzo dell’inferno.
Folate improvvise e di potenza devastante colpivano il vascello da ogni lato, duravano circa mezzo minuto e si spegnevano; non appena una di esse cessava, tuttavia, un’altra riprendeva in una direzione diversa, sbattendo i membri della ciurma nuovamente sul ponte dopo essersi appena rialzati.
Sembrava che gli elementi stessero ingaggiando una vera e propria battaglia contro di loro, sferrando un attacco alla fortezza che era la nave, forti del fatto che attaccavano su più fronti.
-Dobbiamo ammainare le vele! Se continua così gli alberi si spezzeranno!- urlò Kaith, cercando di sovrastare il fischio selvaggio del vento. Gli alberi della nave, infatti, oscillavano pericolosamente, scricchiolando a causa dello sforzo cui erano sottoposti dalle vele, che si gonfiavano ora in un senso, ora in un altro.
-Ammainate tutte le vele, presto!- ordinò allora Iris, che in quella stava lanciando una delle sue corde verso Kahir. Il povero falco, infatti, rischiava di essere sbalzato fuori bordo ancora più degli altri compagni, essendo più leggero; la sua capacità di volo, inoltre, era praticamente azzerata, siccome anche se fosse riuscito a sfruttare correttamente una raffica, essa avrebbe potuto mutare spezzandogli le ali e trascinandolo verso la morte. La fune intercettò la zampa del volatile giusto in tempo, consentendogli di rimanere ancorato al braccio del capitano, simile ad un bizzarro aquilone trainato dal vento.
-Aspetta, Iris!- La voce di Greta arrivò fioca per colpa di una nuova raffica. -Non possiamo aspettare! Affonderemo!- le gridò Kaith, ricevendo solo un “no!” come risposta. Il ragazzo, ancora irritato per quanto era successo prima, stava perdendo di nuovo la pazienza. -Sono un carpentiere, e ti dico che ancora pochi minuti e coleremo a picco!-
-E io sono un navigatore, e ti dico che invece coleremo a picco proprio se chiudiamo le vele! Siamo nell’Hurricane Point, un tratto di mare caratterizzato da tempeste di vento come questa, e ti posso assicurare che se rinunciamo alla spinta del vento non riusciremo più a muoverci, la nave perderà stabilità e ci ribalteremo! Io so come fare ad andarcene, ma dovete seguire le mie indicazioni alla lettera-
-E tu pensi che dopo averci trattati coi piedi come hai fatto prima noi dovremmo ascoltarti incondizionatamente?- le rinfacciò il moro con astio. La giovane si bloccò un attimo; lanciò uno sguardo supplichevole ad Iris, in cerca di aiuto, ma l’altra era impegnata a recuperare Kahir, ancora legato e sbatacchiato dal vento. -Vi prego… d’accordo, vi ho trattati malissimo, ma non lo faccio consapevolmente, è più forte di me. Il mio carattere è fatto così, accettatemi per quello che sono.- Sospirò, abbassando gli occhi. -Non abbandonatemi anche voi- aggiunse poi, rivolgendosi a tutta la ciurma, con il pensiero che correva ai suoi genitori e a tutti gli anni di emarginazione e supplizi che aveva dovuto subire a causa della loro fuga.
-Dovete… fidarvi di me.- Il suo tono non era più rabbioso, si percepiva sofferenza in quelle parole. La sofferenza di chi è evitato da tutti e cercato da nessuno. Una sensazione che molti, tra loro, avevano provato per anni sulla loro pelle, e proprio per questo comprendevano pienamente.
Fu Keyra a prendere l’iniziativa. -Io sono con Greta- disse con fermezza. -Anch’io- confermò Mark, affiancandosi alla compagna, non per offrirle delle avances come al solito, ma pienamente consapevole dell’appoggio che le stava offrendo. -Non metto assolutamente in dubbio la tua esperienza- affermò Rey, seguito immediatamente da Naoaki.  -Ci siamo anche noi- arrivarono Ellesmere e Mirage. -Se proprio sei convinta di essere capace di tirarci fuori da qui…- fece Alex scocciata prima di unirsi al gruppo.
Mancavano solo Kaith e Iris. Il primo lanciò uno sguardo interrogativo alla diciottenne. -Allora, capitano? Cosa dobbiamo fare?-. Quella si portò la mano al mento come per riflettere, mentre con l’altra mano stringeva la corda a cui era legato Kahir. Restò così un po’ di tempo, lasciando tutti gli altri sulle spine.
-Iris, per l’amor del cielo, cosa dobbiamo fare?- gridò allora Diana dall’alto della sua postazione. La vedetta non aveva preso parte all’ultima discussione, e l’aveva anche seguita poco, a dire il vero; l’unica cosa su cui era concentrata era il non cadere di sotto o, peggio, fuori bordo, e per evitare che ciò accadesse aveva letteralmente piantato le unghie nella balaustra della coffa.
Iris parve riscuotersi da una sorta di torpore. -Ehm… di preciso, qual era la questione?- domandò innocentemente. Tutti si sbatterono una mano sulla fronte: potevano scegliersi un capitano più idiota di così? Erano a un passo dalla morte, eppure lei era in grado di distrarsi al punto di perdere il filo del ragionamento.
-Iris, Greta sa come farci allontanare dalla tempesta- disse Rey, che da buon vice cercava di sopperire alle mancanze del suo superiore. -E allora portaci fuori di qui, Greta! Che aspetti?- esclamò la ragazza.
-Aspettavamo il tuo ordine!- le urlarono contemporaneamente Alex e Kaith, spazientiti da quell’atteggiamento.
Fu allora la navigatrice a prendere in mano la situazione. Con le trecce multicolori che le sferzavano la faccia, con voce ferma, cominciò a impartire comandi. -L’unico modo che abbiamo per sfuggire alle raffiche di vento è sfruttarle per muoverci. Prima, però, abbiamo bisogno di direzionare le vele. Qualcuno di noi perciò deve arrampicarsi e legare delle funi ai bordi, dopodiché le passeranno a chi rimane sul ponte; tramite le funi potremo girare le vele in modo da poter raccogliere la raffica in pieno e muoverci. Kaith, tu che conosci bene la nave e sai qual è la resistenza dei comandi prenderai il timone- disse al carpentiere, il quale, dopo un attimo di esitazione (pareva ancora un poco restio ad accettare gli ordini della giovane) si avviò a prendere il controllo del vascello.
-Funi!- disse Greta. Fu Iris a provvedere, generando delle spesse corde. Ne consegnò poi le estremità a Keyra, Ellesmere e Mirage, le più agili della ciurma, che si arrampicarono rapidamente ognuna su un albero, facendo attenzione a non essere sbalzate dalle raffiche, e andando a legare le vele. Poi ridiscesero con altrettanta velocità e consegnarono le corde a Rey, Naoaki e Mark, in modo che potessero aiutarle a tirare per direzionare in base alla necessità. Anche Alex e Iris si affiancarono per dare una mano.
-Diana! Tu che hai una posizione privilegiata ci darai la direzione della raffica, in modo che sappiamo da che parte tirare per sfruttarla!- gridò la navigatrice alla vedetta. -Privilegiata un corno!- urlò quella di rimando, essendo ancora artigliata alla coffa. -Tu invece segui le indicazioni che ti dà il log pose- disse Greta a Kaith; lo strumento di navigazione era stato infatti inserito nella barra del timone, in modo da permettere a chi governava la nave di sapere sempre la direzione da mantenere.
-In arrivo da sud-est!- fu il primo segnale. Tutta la ciurma si mosse tirando le funi, permettendo alle vele di ruotare e, finalmente, di gonfiarsi nel senso corretto e non più in balia del caso. La nave ebbe uno scatto improvviso, acquistando velocità e rischiando di far perdere l’equilibrio all’intero equipaggio, ma tutti mantennero la presa, anche perché dovettero prepararsi immediatamente per una nuova folata proveniente da ovest, seguita da una nord-est e così via.
Ognuno riusciva a collaborare perfettamente con il resto del gruppo: come il giorno precedente durante il combattimento, si notava una sorta di spirito di squadra, che portava tutti a coordinarsi in maniera impeccabile, complice anche l’abilità di Greta nel guidarli.
Così facendo riuscirono a scampare all’affondamento. Man mano che si allontanarono dal centro della tempesta, le raffiche si fecero meno potenti e più stabili nella direzione, fino a trasformarsi in un vento costante e naturale, che permetteva di avanzare lisci e veloci sulle onde tagliandole con delicatezza e decisione al tempo stesso.
Greta si mise a fissare quella enorme distesa d’acqua che era il mare. Era contenta che tutta la ciurma le avesse dato fiducia, persino i maschi. Era convinta che non l’avrebbero mai ascoltata, dopo l’attacco verbale che aveva sferrato loro; temeva che non avrebbero preso la situazione sul serio. Invece l’avevano sorpresa, dimostrando una maturità impressionante e seguendo celermente tutte le sue istruzioni, neanche fosse lei il capitano.
Da quel giorno li avrebbe guardati con occhi diversi, probabilmente. Certo, rimanevano sempre dei maschi, ma non erano degli idioti come tutti gli altri. Magari, chissà, sarebbe anche riuscita a diventare loro amica. Sia di Rey, il più misterioso, sia di Naoaki, il più chiuso, sia di Mark, il più svitato. E anche di Kaith.
Fu proprio il carpentiere ad avvicinarsi, inaspettatamente. -Devo ammettere che effettivamente non te la cavi affatto male come navigatore- le disse con distacco, come se non gli importasse. Lei lo guardò di sbieco. -Devo considerarle delle scuse?- domandò poi, con un sorriso storto. L’altro fece spallucce. -Se proprio ci tieni…-
Fece per andarsene. -E comunque anche tu sei più in gamba di quanto credessi- aggiunse la ragazza. Lui si voltò di nuovo, notando la mano che lei gli tendeva. La strinse energicamente, scuotendola un poco.
-Nessun rancore, vero?- gli chiese la navigatrice. Stavolta fu il suo turno di sorridere. -Nessun rancore, ma non provare a farlo di nuovo-

 

 

 

Accadde per caso. Quella sera, mentre si mangiava, Diana (che si era ormai ripresa completamente) aveva ripescato l’argomento dell’avventura di quel pomeriggio per fare un po’ di conversazione.
-Ma ci pensate? Oggi siamo stati mitici!- esclamò mentre addentava un pezzo di pane. -Senti chi parla… te ne sei stata avvinghiata alla coffa come un polipo tutto il tempo- la sminuì Alex con tono di superiorità. -Se non sapessi per certo che ti trasformi in armadillo, avrei giurato che avessi mangiato il frutto zoo-zoo mitologico modello kraken-. -Avrei voluto vedere te, nella mia situazione! Sai, mi sarebbe proprio piaciuto fare un bagnetto in mare, adoro nuotare, soprattutto durante le tempeste!- ribatté ironicamente la vedetta.
Mentre le due continuavano a bisticciare, Mark fece la considerazione fatale. -Effettivamente è stato forte, no? È stato proprio come cavalcare il vento in tempesta, una sorta di cavallo imbizzarrito, che è stato inesorabilmente domato dalle nostre vele blu e dalla nostra abilità- disse, brandendo teatralmente la forchetta mentre parlava.
-Come sei poetico, Mark- si complimentò Ellesmere. Il medico le rivolse un sorriso inebetito. -Se avessi saputo che ti piacevano le odi, ne avrei tessute centinaia in tuo onore ogni giorno, cara Ellesmere…-
-Ci sono!- esclamò ad un tratto Iris, rovesciando la sedia su cui stava e balzando in piedi. Kahir lanciò un acuto impaurito, quasi strozzandosi con un boccone di carne che stava strappando a beccate con parecchio gusto.
-Che c’è, Iris?- domandò Naoaki con tono piatto, senza scomporsi minimamente allo scatto del capitano. Pareva che niente fosse in grado di turbarlo, tranne le situazioni di pericolo (o il malaugurato caso in cui qualcuno avesse osato toccare una delle sue armi).
-Blue Stormrider- disse semplicemente la ragazza, con sguardo raggiante. -Prego?- domandò il cecchino, alzando un po’ il sopracciglio. Pareva che lo scorpione tatuato che gli circondava l’occhio avesse sollevato la coda, preparandosi a colpire.
La mora lo guardò inclinando lievemente la testa di lato, come faceva sempre quando non capiva qualcosa. -Il nome di questa nave- disse poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. -Ha le vele blu ed è capace di cavalcare le tempeste, più di così cosa potremmo mai chiedere? Perciò si chiamerà Blue Stormrider-
Tutta la ciurma esplose in un boato di approvazione. -Appena attraccheremo provvederò a scriverlo sul fianco  del vascello- affermò Kaith, orgoglioso che avessero finalmente trovato un nome adatto.
Quella notte tutti si addormentarono, entusiasti per le molte cose che erano accadute e si erano però infine risolte per il meglio, mentre lentamente, all’orizzonte, cominciava a profilarsi il contorno di un’isola, dove avrebbero vissuto la loro prossima, grande avventura.

 

 

 
Swan is back, alright!

 
Angolo dell'autrice

Ebbene sì, è il caso di dirlo, a volte ritornano!
Prima di tutto, sento di dovervi delle scuse (sì, come Keyra). Ho un vago ricordo di una promessa simile ad "un capitolo al mese"... bene, non è che me la sia scordata, ma non sono stata in grado di mantenerla (anche se ve l'avevo detto). Motivo? Una cosa che inizia per S e finisce per CUOLA. Come alcuni di voi hanno notato, avevo talmente tanto tempo libero che sono completamente sparita non solo da questa storia, ma proprio da Efp. Tanto che non ho più nemmeno idea di che fanfiction ci siano in questo periodo... e di una di quelle che seguivo devo recuperare una trentina di capitoli ^-^"
In ogni caso, questo è solo uno dei motivi per cui mi scuso. L'altro (che spero con tutto il cuore sia solo nella mia testa e non sussista nella realtà) è il fatto che credo di aver osato un po' troppo in questo capitolo, che ho iniziato a scrivere quando ho finito definitivamente con la scuola, quindi un paio di settimane fa. Osato nel senso che, dopo più di sei mesi di latenza, non solo non mi ricordavo più quasi niente della storia e dei personaggi (perciò un giorno l'ho perso a ripassare per recuperare i "debiti", e non a settembre XD), ma non sapevo neanche come farla continuare (altro giorno buttato che sarebbe pututo servire a scrivere utilizzato in maniera costruttiva). Morale, la mia mente bacata ha partorito questo obbrobrio, che è anche il capitolo più lungo che abbia mai scritto (sono 12 pagine di word) ed è anche quello in cui il rischio di OOC è più alto, nella fattispecie per (rispondano all'appello i personaggi chiamati in causa) Rey e Greta, più un po' Kaith e un pizzico Greta e Naoaki (gli altri non li metto perché non appaiono molto, nonostante io mi sforzi di far partecipare tutti). Quest'ultimo in particolare ho difficoltà a farlo intervenire, è una persona così tranquilla, per come la vedo io dalla descrizione... quindi chiedo a karter (ammesso che si chiami ancora così e non abbia cambiato nick, con tutto il tempo che è passato ^-^") di perdonarmi, giuro che avrà i suoi momenti di gloria tra poco! -aspetta e spera, karter- Coscienza, ma tu non muori mai? -no-
In ogni caso, adesso che sono in vacanza dovrei riuscire a scrivere un po' di più, per fortuna le idee che avevo avuto per le isole dove svolgere le "saghe" me le ero segnate, altrimenti sarei stata un po' nei guai... Non faccio previsioni, anche perchè venerdì parto e tornerò intorno al 20, quindi no computer, ma mi porterò il block notes e nei momenti buchi in cui l'ispirazione si farà sentire comincerò a preparare il capitolo, così quando sarò a casa lo trascriverò.
Mi appello alla vostra comprensione per il ritardo nella pubblicazione, chi c'è già passato e, soprattutto, chi c'è ancora dentro fino al collo -come lei- sa quanto la scuola possa essere devastante per le proprie passioni ed hobby, se vuoi andare bene. Comunque io sono una persona di parola: ho detto che continuerò questa storia, dovessi metterci anni interi (che poi è la verità, il prologo risaliva a questo periodo se non erro...).
Ringrazio tutti voi, lettori irriducibili che continuate a seguirmi -ammesso che ci siate ancora e non siate morti sulla tastiera a sentire tutte queste storie commoventi di autrici in crisi da studio eccessivo- carina come sempre, Coscienza, comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e, mi raccomando... fatemelo sapere! (ma anche se c'è qualcosa che non va, nel caso proverò a rimediare ;) )
Un bacio a tutti,

Swan (rediviva)

  
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