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Autore: TheEldestCosmonaut    01/07/2015    2 recensioni
Una rielaborazione del mondo fantastico ideato da Leandro Consumi e Gianfranco Enrietto, e sviluppato da Giochi Preziosi ©.
In una un tempo sperduta e sconosciuta isola del Grande Golfo, situata alle porte dell’inesplorato Mare dei Serpenti, un anziano maestro nato e cresciuto qui, dal passato oscuro e dall’identità misteriosa, noto a tutti, fuorché la moglie, come semplicemente il Cronista, riunisce ogni mattina i giovani del suo Popolo di appartenenza, il Popolo della Foresta. Il Cronista insegna ai cuccioli della sua etnia la storia lunga della razza che domina l’Isola di Gorm: in particolare, è arrivato il momento per il Cronista di narrare le vicende degli ultimi cinquant’anni circa dei gormiti, i più intensi e sanguinari, quelli che maggiormente hanno sconvolto le usanze, la filosofia, la scienza, e in generale la realtà intera dell’isola, e che hanno aperto i suoi abitanti alle altre razze del Grande Golfo.
Mappe:
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Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Gheos camminava avanti e indietro nella sua camera privata presso la sede signorile di Roscamar.
Gli eventi all’Arena di Astreg avevano sconvolto l’intero panorama politico di tutta l’Isola di Gorm: era una guerra aperta su tutti i fronti.
Gheos non comprese perché tutti i Signori si erano così improvvisamente minacciati e dati guerra, ma la domanda e la ricerca di una risposta non passarono minimamente per la sua testa. Ciò che vi circolava erano solo progetti bellici e pensieri rivolti a Tasarau, Poivrons e Noctis. Pensieri niente affatto positivi, utili solo a farlo innervosire e ad aumentare il suo rancore verso di loro. Voleva ad ogni costo vederli sconfitti per mano sua, e dominare su di loro.
E ora si erano inseriti anche i famigerati gormiti del Popolo del Vulcano. Che cosa volevano loro? Cosa c’entravano con la situazione? Li avrebbe spazzati via, se li avesse incontrati lungo il cammino verso il dominio.
L’inizio della guerra era già stato sancito da un attacco del Popolo del Mare a uno dei porti di Gheos, ma l’attacco fu respinto.
Gheos era stato attaccato per primo. Ora il resto dei nemici si aspettava che fosse stato lui a compiere la prossima mossa. E Gheos non li avrebbe delusi. Doveva solo decidere chi attaccare per primo, e seguendo quale motivazione.
Fu interrotto da questi pensieri dall’entrata nella stanza del suo consigliere Gravitus.
“Mio Signore.” lo salutò con l’inchino d’onore del Popolo della Terra.
“Gravitus.” gli si rivolse Gheos, guardandolo sorpreso. Gheos vestiva in quel momento una curioso corazza argentata che gli copriva tutto il torso, dalle spalle sino al bacino. Sull’addome la corazza presentava delle decorazioni a uncino nere. Sulle spalle, un corto mantellino nocciola scuro legato sotto il collo. Gravitus, al contrario, non presentava alcun armamento, solo un gonnellino bruno più spesso di quello vestito nel torneo.
“Non ti aspettavo. Che cosa succede?”
“Mio Signore, il Popolo vuole chiarimenti su ciò che sta accadendo, e si è ammassato nella piazza centrale. - emanò con tono preoccupato - Vuole sapere perché tutto questo sta succedendo, e che bene ne trarrà il Popolo.”
“Chiarimenti? - ripeté perplesso Gheos - Chiarimenti? Di che chiarimenti hanno bisogno? I Signori degli altri Popoli mi hanno minacciato personalmente!”
“Mio Signore, se permettete non sono d’accordo con le vostre idee.” si impuntò Gravitus.
Gheos lo osservò meravigliato e indignato. Un suo suddito gli disobbediva. No, non gli disobbediva, stava solo esponendo le sue opinioni. E un buon leader ascolta sempre le opinioni.
“Sicuro.” si calmò Gheos. Era sempre stato un Signore molto aperto e disponibile, le richieste e i dubbi del Popolo erano bene accetti da lui. Si domandò perché si era comportato in modo così sgarbato. Non era lui.
 “Dimmi cosa ti turba.” continuò, sedendosi sul suo seggio e accarezzandosi il martello
“Credo… - titubò Gravitus - Credo che il Popolo non sia d’accordo nel muovere guerra contro gli altri. Cioè… - cercò di spiegare - Noi non abbiamo nulla contro il Popolo della Foresta, o quello dell’Aria. Quello del Mare ci ha attaccato è vero, però…però, noi abbiamo amici negli altri Popoli. Non vogliamo combattere i nostri amici solo perché voi avete in odio gli altri Signori. Ecco.”
Gravitus fu sicuro di ciò aveva appena detto, e guardava il proprio Signore dritto negli occhi. Ma in quegli occhi scorse qualcosa che gli fece temere di aver esagerato, e di essersi spinto troppo oltre.
Volse lo sguardo verso il pavimento di mattonelle esagonali, incapace di sostenere quello del suo Signore.
Ma Gheos si accorse presto che aveva ragione. Non poteva coinvolgere così semplicemente il suo intero Popolo. Ma l’avversione nei confronti degli altri Signori non esitava a scomparire. Si passò la mano sul viso, riflettendo su cosa era meglio fare.
“Hai ragione, Gravitus.” disse infine, poggiando la mano sulla sua spalla. Gravitus rialzò lo sguardo, per incontrare il sorriso del suo Signore.
“Non posso farvi combattere la mia guerra. Non in questo modo. Avete bisogno di una motivazione.”
“Ma…” esordì il terricolo, con la mano tesa a fermare il suo Signore. Non era esattamente ciò che voleva dire Gravitus, ma Gheos si era incamminato fuori e lo invitava a seguirlo.
“Andiamo, Gravitus. Il mio Popolo ha bisogno di me.”
 
Gravitus seguì Gheos fuori dal suo ‘ufficio’ e dalla reggia del Signore, nello spazio aperto e semi - sabbioso della città di Roscamar.
Al passaggio del Signore Gheos tutti coloro che incontravano nel cammino si inchinarono profondamente alla sua figura.
Gheos avrebbe volentieri risposto allo stesso modo, ma andava di fretta. Diversi gormiti richiesero, più o meno innervositi e inquieti, di parlare con Gheos, ma Gravitus li teneva tutti lontani e declinava ogni loro pretesa, affermando: “Presto Gheos parlerà a tutto il Popolo nella piazza centrale, e risponderà ad ogni domanda.”
I sudditi accettarono, di buon grado e meno, questa delazione, e non solo i richiedenti ma anche qualsiasi interessato seguirono Signore e consigliere verso la piazza.
Qui il governante e il suo aiutante trovarono un’immensa folla di gormiti, gialli, neri, bruni, marroni, di ogni grigio, vestiti, armati o nudi. Tutti avevano un disperato bisogno di risposte.
Gli altri gormiti che li avevano seguiti li abbandonarono per unirsi alla calca, mentre Gheos e Gravitus proseguirono per il loro sentiero e arrivarono al palco adiacente a una formazione rocciosa su cui Gheos avrebbe ascoltato i reclami e le lamentele.
Il chiasso era piuttosto forte, ma non piovevano insulti o parole pesanti, solo continue domande gridate ad alta voce e tutte in una volta, che rendevano ogni richiesta incomprensibile, continuamente sovrastata da un’altra, e questa da un’altra ancora e così via.
“Popolo della Terra, silenzio.” urlò con tono placido Gheos, non volendo mostrarsi irascibile, ma furono ben pochi a udirlo.
Gheos attivò quindi un incantesimo, e ripeté la sua invocazione con più enfasi.
“Popolo, silenzio, per favore!” urlò una seconda volta, e i gormiti chiassosi lo sentirono e si ammutolirono, invitando quelli che continuavano a sbraitare a fare altrettanto.
“Non posso aiutarvi se non capisco cosa volete dirmi.” chiarì Gheos.
Si schiarì dunque la voce con un leggero colpo di tosse, preparandosi mentalmente un discorso e delle risposte alle probabili domande che il Popolo gli avrebbe posto.
Doveva essere cauto e oculato. Non poteva rischiare di perdere l’appoggio del suo Popolo, o sarebbe rimasto solo e non avrebbe avuto alcuna possibilità di sconfiggere Noctis e gli altri.
Al solo figurarsi le sagome dei suoi nemici e a immaginarsi di perdere contro di loro, il suo volto si fece rabbioso. Non riusciva a controllare quello stranissimo odio, e allo stesso tempo non poteva opporsi. Ma doveva contenerlo, per il bene suo e del Popolo della Terra.
“Il mio consigliere e campione del Torneo Gravitus mi ha informato che il mio Popolo ha qualche dubbio sulla battaglia che si sta muovendo sull’Isola, e sulla nostra posizione in questo scontro.” esordì, usando il miglior lessico e il tono più gentile che potesse.
“Un buon Signore ascolta i dubbi della propria gente, e io non sarò da meno. Esprimetemi le vostre incertezze.”
“Questa è solo una vostra guerra personale! - criticò immediatamente un terricolo - State approfittando del vostro potere e della vostra presa su di noi per usarci come arma contro Tasarau, Noctis e Poivrons. Perché, poi, lo sapete solo voi. Ma noi non ci guadagniamo nulla! Perderemo solo l’amicizia degli altri Popoli.”
Gheos rifletté con la mano sotto il mento, ragionando su come controbattere e su come uscirne nella miglior luce possibile. Cercò di non pensare ai nomi che il suo suddito aveva citato, che non lo avrebbero aiutato a concentrarsi e a farsi vedere come il bravo Signore qual’era.
“Hai ragione. - annunciò infine, innalzando la sorpresa di tutti i presenti - Hai completamente ragione. - ripeté, ancora con la mano sotto il mento - Questa è una mia guerra personale, sì. Ma!” alzò la voce, poggiando mano e martello sul bordo del palco.
“Voi vi siete fidati di me. Quello che ho fatto per voi e quello che vi ho promesso vi ha spinti a nominarmi Signore. Io non vi deluderò nella mia carica. Ho già fatto molto per voi. La sicurezza nella Valle dei Canyon è stata migliorata, e le imprese scavatrici della Caverna di Roscamar procedono a gonfie vele. Io vi chiedo, vi supplico, di aiutarmi in nome di ciò che ho fatto per il bene del mio Popolo, di stare dalla mia parte e di vincere insieme a me.”
Gheos si arrestò, immobile appoggiato al bordo, attendendo la risposta dei suoi sudditi.
Un folto chiacchiericcio crebbe nella folla incerta. Vi era tutta verità nelle parole di Gheos, ma la decisione di avere ancora una volta fiducia in lui spettava a loro. Avevano la capacità di restare buoni nei loro territori o muoversi contro gli altri Signori. C’erano tuttavia molte altre causali in gioco che ricercavano giustificazioni e precisazioni.
“Ci sono nostri amici negli altri Popoli! - venne in mente da dire a una terricola, con tono oltremodo preoccupato e quasi piangente - Perché dobbiamo andare in guerra in contro di loro? Loro non hanno colpa, non vi hanno fatto nulla di male!”
“E’ vero, loro non hanno colpa. - condivise il Signore della Terra - Gravitus mi ha già illuminato su questo aspetto. Ho riflettuto, e ho pensato a questo: non ci sarà bisogno di uccidere i gormiti degli altri Popoli, né di devastare le loro case. Tuttavia, i miei nemici li disporranno contro di noi, come è già successo al porto, anche se rimanessimo fermi a guardare la guerra che va avanti, e in ogni modo saremo costretti a combattere contro di loro. Non so quali motivazioni li spinga, ma noi non saremo mossi dal desiderio di sterminio.”
La risposta non era del tutto confortante, ma almeno la gormita sapeva ora che i suoi fratelli e amici terricoli non avrebbero ucciso nessuno, anche se ce ne fosse stata la possibilità.
“E il Popolo del Vulcano? - volle sapere un altro, con espressione oltremodo intimorita - E’ apparso dal nulla e alla Piana ci ha attaccato senza pietà. Mio cugino alla Valle mi ha detto che ha visto schiere di gormiti uscire e ingrossarsi fuori dal Monte Vulcano. Loro certo non saranno così clementi come saremo noi.” Rabbrividì.
“Il Vecchio Saggio ci ha insegnato come comportarci con loro. - affermò convinto, col pugno stretto, il Signore - Ci ha insegnato ad essere forti, a combattere. Sappiamo quello che hanno fatto alla nostra gente anni fa. Sta a noi decidere se colpire il Vulcano con la stessa lama o mostrarci più benevoli. Ad ogni modo, se ci staranno tra i piedi ce li toglieremo di mezzo”
“Però rimane ancora una cosa da risolvere. - espresse un gormita, mostrandosi piuttosto convinto delle argomentazioni di Gheos - Che guadagno otteniamo noi?”
“Pensala, pensatela a questo modo. - consigliò il Signore, cominciando a camminare in cerchio - Se voi mi aiuterete a vincere, il Popolo della Terra avrà dominio completo sull’Isola di Gorm. Tutte le risorse, tutte le ricchezze, tutte le informazioni, saranno controllate e gestite e condivise equamente, senza intermediari che pensano ai propri interessi, da un unico potere centrale che avrà sede proprio qui. Il Popolo della Terra sarà la gente più ricca di tutta l’Isola. E chiunque di voi potrà avere posizioni di potere in questo nuovo stato, chiunque potrà diventare Signore e dominare l’Isola che io ho aiutato a conquistare. Se questo non vi basta, allora non so che cosa dire.”
Una proposta allettante che infiammò gran parte della moltitudine di gormiti. Gheos, d’altronde, non era interessato a dominare Gorm. Voleva solo che i Signori di Aria, Mare e Foresta così come li conosceva non esistessero più. E magari anche quelli del Vulcano, che non conosceva, ma che erano comunque sangue della stessa gente che circa trenta anni fa aveva sterminato i suoi antenati. Meritavano anche loro parte dell’odio di Gheos. Il dominio dell’intera Isola era solo un pretesto per avere l’appoggio del Popolo, in fondo però avere tutta Gorm nelle sue mani certo non sarebbe stata una brutta cosa.
“Io non ho altro da aggiungere. - terminò Gheos, tornando ad appoggiarsi al bordo - Siate liberi di appoggiarmi od oppormi. Io non mi ribellerò al vostro giudizio.”
Notando che una risposta chiara tardava ad arrivare, Gheos decise di ravvivare i suoi sudditi.
“Andiamo, Popolo della Terra! - esultò, alzando il suo martello, lucidato e luminoso al sole mattutino - Forza, datemi questa risposta! Siete con me o no?”
 
Lasciato il consigliere Gravitus a comando delle forze trattenute in difesa di Roscamar, della Città Sotterranea e della Valle dei Canyon, Gheos era partito, a metà Redrubise di quello stesso 851, con una flotta di navi da guerra verso Picco Aquila. La motivazione: la straordinaria scultura di Praconrem sulla cima di Picco Aquila era costata molto ai terricoli, e ancora i pagamenti non erano stati tutti retribuiti.
Dal momento che i terricoli erano stati spinti a operare in un ambiente freddo a cui non erano adatti e pericoloso, con grande fatica e anche qualche rara morte sul lavoro, era un pretesto più che valido, aggiunto ai pagamenti arretrati. Noctis potrebbe addirittura aver preveduto l’attacco.
Certo gli altri Signori si sarebbero aspettati che Gheos avesse attaccato il Popolo del Mare in reazione all’assalto al suo porto, tuttavia un’operazione offensiva al centro del Mare di Gorm era impegnativa e difficile da coordinare. Avanzare con l’esercito sulla striscia di terra che comprendeva Patmut Iun sarebbe stato rischioso poiché avrebbe potuto attirare il Popolo della Foresta, e non poteva affrontare due Popoli nello stesso momento. Gheos avrebbe stupito tutti con il suo attacco a Orsol.
La traversata dello Stretto di Gorm fu pacifica e regolare. Il Vecchio Saggio aveva alfine miglioratola capacità nautica dei gormiti e aggiornatili nella costruzione di navi. Non era un dominio del Popolo del Mare né di qualsiasi altro Popolo, così come i diversi piccoli atolli nel mezzo di esso.
Il viaggio con le navi da guerra durò poche ore, nelle quali la maggior parte delle forze terricole guardavano con timore e sfida il volto terrificante stampato sulla cima di Monte Vulcano. Se avevano davvero intenzione di prendere il comando dell’Isola di Gorm, sarebbero dovuti marciare anche nella Valle del Vulcano.
Ciò non era di importanza adesso.
Sbarcarono nel tratto di Foresta Silente nord - orientale, vicino ai piedi di Picco Aquila.
Gheos scese dalla sua nave, respirando profondamente l’aria della terra ferma e i profumi selvaggi del bosco. Aveva indosso solo la sua armatura dorsale, niente vesti di alcun tipo.
Dietro di lui le altre navi approdavano alla spiaggia, venivano ancorate e i ponti venivano stesi, permettendo a tutti i gormiti carichi di armi e corazze e alla cavalleria di salamandre di passare per la lunga marcia verso Orsol, la città vicino alle nuvole.
I gormiti erano davvero motivati a fare quella lotta, o così sembrava agli occhi di Gheos.
Oltre trent’anni passati in pace, monotonia, lavoro e timore per il Popolo del Vulcano che attendeva minaccioso tra le oscure fiamme del loro infernale monte, guidati dalla misteriosa figura dello Stregone di Fuoco.
Sembrava quasi che quel cambiamento così inatteso, quella scossa sociale, li avesse risvegliati da un lungo letargo, che fossero ora nuovamente vivi.
Gheos non poteva che esserne contento: un esercito motivato era un esercito che lo avrebbe portato alla vittoria.
Osservava sorridente e già vittorioso il sentiero aperto davanti a lui che lo portava direttamente alle pendici vere e proprie di Picco Aquila. Solo qualche migliaio di piedi lo separava da Noctis, il Signore dell’Aria, che si credeva sicuro sul suo freddo monte. Alzò lo sguardo verso il capo di falco completamente ricoperto di neve sulla cima del monte, frutto dell’ingegno aereo e del sudore terricolo.
“Mio Signore.” sentì un gormita. Gheos si voltò per incontrare la figura avvolta in armatura del generale del suo esercito.
“Attendiamo vostri ordini, Signore.” lo informò, mettendosi sull’attenti.
“Caricate le vesti pesanti sui carri.” gli ordinò, voltandosi nuovamente verso il sentiero tra gli alberi, con mano e martello dietro la schiena
“Noctis potrebbe non essere a Orsol. E dite a Rozen che assume il comando della guardia delle navi, e a Franius che è capitano della retroguardia.”
“Agli ordini, Signore.”
Il generale ritornò in prossimità della spiaggia, dove fece eseguire gli ordini di Gheos.
Quattro grossi carri trainati da un paio di salamandre ciascuno scesero dalle navi e si adagiarono cautamente sulla sabbia e poi sul terreno erboso più solido. Al loro interno armamenti, medicamenti, equipaggiamento vario, rifornimenti e le vesti pesanti che Gheos aveva detto di riporvi.
“L’esercito è pronto, mio Signore.” lo informò nuovamente il generale.
“Bene. Muoviamoci allora!” esclamò, dando un’occhiata alla sua legione e alzando il suo vigoroso martello al cielo. Tutti i gormiti alzarono le proprie armi e i propri pugni con grida di battaglia.
“Dopo di voi, generale.”
Il generale corazzato e Gheos in prima fila, fanteria al centro con cavalleria ai lati, per ultimi i carri di provviste e Rozen. Questo l’esercito preparato da Gheos che entrava nel sentiero verso la salita per Picco Aquila, mentre Franius e altri soldati rimanevano di guardia alle navi.
Il cammino lungo la salita verso Orsol, già percorso anni fa dal Vecchio Saggio, fu tranquillo e silenzioso.
Troppo silenzioso. Nessun gormita dell’Aria in vista, proprio niente. I terricoli furono cauti e sospettosi, guardandosi sempre attorno e procedendo lentamente. I gormiti aerei erano noti per essere periti cacciatori e quindi per il loro silenzio, la loro velocità, i loro attacchi sorpresa, la loro letalità e soprattutto la loro magia, cosa in cui i terricoli erano terribilmente scarsi, mentre il Popolo dell’Aria era il più avanzato di Gorm in quel campo.
Videro mentre si avvicinavano al centro cittadino le maestose case piene di ornamenti ed elaborate, cosa che provocò invidia nei cuori dei terricoli, celebri ed esperti artigiani e scultori. Non a caso furono scelti loro per il lavoro sulla cima di Picco Aquila.
“Non badateci. - si dicevano per rassicurarsi - Gli aerei fanno tutto con la magia. Non saranno mai ai nostri livelli lavorando con le proprie mani!”
Perlustrarono le case, e notarono con stupore che erano completamente vuote.
Nessun gormita dell’Aria incontrato fino a quel momento. Il che era davvero molto sospetto. L’esercito di Gheos era ormai nel bel mezzo del territorio di Noctis, se voleva tendergli una trappola perché aspettare ancora?
Gheos e il generale videro per primi l’entrata di Orsol e oltre di essa le grandi e numerose case, la sede del Signore con il corridoio di statue.
“Dove diamine sono tutti, per Krut?” strepitò esausto un soldato.
Appena egli parlò, una sfera magica sparata dall’ignoto ad alte velocità colpì il suolo dove si trovava il soldato e alzò all’aria lui, un suo compagno, terra e una salamandra. Ma furono sollevati in aria a rallentatore, come colpiti da stasi.
“Ecco, i gormiti dell’Aria!” urlò il generale, puntando il dito contro i diversi gormiti alati che fuoriuscivano dal corridoio e saltavano fuori volando dalle abitazioni.
“Avanti, avanti, avanti! All’attacco!”
Nessuna traccia di Noctis. E inoltre quei guerrieri erano davvero pochissimi.
“Ricordate, Popolo della Terra! - li avvisò Gheos, mentre soldati a piedi e su salamandre sciamavano ai suoi lati - Non uccideteli! Loro non hanno colpa. Fermateli, sconfiggeteli soltanto! Sperate che anche loro si comportino così, ma non abbiate troppa fiducia!”
Non ci fu bisogno dell’avvertimento del loro Signore. I gormiti, per quanto agguerriti dalla prospettiva del dominio su Gorm, non avevano cambiato le loro intenzioni iniziali di non provocare danno all’ambiente e ai loro amici.
Essi si contennero, limitandosi a bloccare i propri nemici, a ferirli senza provocar loro la morte o a stordirli.
L’esiguo numero di gormiti aerei lasciati a difendere Orsol fu tale che lo scontro terminò in meno di un’ora, con solo due morti.
Noctis non poteva essere visto da nessuna parte, e Gheos si innervosì parecchio.
I gormiti dell’Aria furono raccolti e trattati con un certo rispetto, curati e rifocillati con i rifornimenti della schiera avversaria, che essi certo non disdegnarono. Furono però piuttosto contrari al fatto che Gheos avesse strappato l’insegna del Popolo dell’Aria all’entrata della reggia del Signore e sostituitala con il simbolo della Terra.
Giunse presto il momento delle interrogazioni. Gheos era giunto per il Signore dell’Aria in carica, e non se ne sarebbe andato finché non l’avrebbe trovato.
“Perché siete rimasti così in pochi qui a Orsol?” domandò per l’ennesima volta, esigente, il generale.
Il capitano delle guardie di Orsol, seduto a terra con i polsi legati a un palo – una giusta precauzione - aveva un sorriso beota stampato sul viso, e la voglia di fare tutto fuorché rispondere cose sensate.
“Ci siamo mangiati gli altri, erano davvero buoni.” rispose, leccandosi il becco.
Il generale lo guardò arrabbiato.
“Dov’è Noctis?” chiese, ignorando la risposta di prima, ponendosi davanti a lui con le braccia tese.
“A fare quattro passi, immagino.” replicò distaccato.
Il generale prese il volto del gormita nella sua mano, guardandolo minaccioso.
“Nessuno vuole farvi del male, ma se non abbiamo delle risposte saremo costretti a farlo per ottenerle.”
Il capitano non disse niente, e continuava a sorridere anche con il mento stretto tra il guanto metallico del generale.
“Lasciatelo stare, generale.” si intromise Gheos, entrando nella tenda in cui il capitano era relegato.
“Mio Signore.” saltò sull’attenti il generale.
“Non siamo qui per lui, e non ci darà mai le risposte che cerchiamo, se non torturandolo. E io, e il mio Popolo in particolare, non voglio dare quest’immagine di me. Conosco qualcuno che ci dirà la verità senza fargli del male. In ogni caso, capitano, sappi che Orsol è ora dominio del Popolo della Terra.”
Il viso del capitano si corrucciò in un momento, ma mascherò quella sua preoccupazione tornando immediatamente al solito sorriso.
Gheos guidò il generale dalla parte opposta della città, dove iniziava un sentiero che portava più in alto sulla montagna.
Non sembrava esserci nulla che potesse dare risposte, ma poi il Signore della Terra si avvicinò a un arbusto con un insolito legno bianco.
“Buferios, svegliati!” vociò, scuotendo l’albero.
Un respiro profondo e accompagnato da un raccapricciante gemito provennero da una fessura nel tronco della pianta. Improvvisamente, due occhi blu come il cielo notturno si aprirono dal nulla.
Era un oracolo! Uno dei rarissimi oracoli del Popolo dell’Aria: i gormiti di tipo vegetale non erano i più comuni nel Popolo di volatili.
“Ascoltami, oracolo. - passò subito al sodo Gheos, senza attendere che l’oracolo esordisse con un classico discorso enigmatico - Dimmi: dov’è andato Noctis con il Popolo dell’Aria.”
“Ah, il Popolo dell’Aria. - mormorò con la voce rotta da continui sospiri - Non l’unica città di Picco Aquila Orsol è. La più grande, sì, ma molti altri ripiani e caverne su tutto il monte esistono, dove il resto del Popolo vive.”
“Ecco dove erano andati tutti.” commentò un terricolo in ascolto.
“Non mi interessa sapere dove abita il Popolo dell’Aria. - obiettò Gheos - Voglio sapere dov’è Noctis.”
“Noctis, ah, sì. - disse dopo un po’ - Noctis Signore dell’Aria, di qua è passato, per la strada che porta più in alto. Nei freddi rifugi della neve con molti gormiti si è diretto.”
Gheos sorrise.
“Ottimo - lo ringraziò - Ora puoi tornare al tuo eterno riposo, oracolo Buferios.”
L’oracolo chiuse subito gli occhi alle parole ‘eterno riposo’, e i suoi respiri pesanti svanirono ben presto.
“Abbiamo le nostre risposte, generale. Preparate l’esercito, i rifornimenti e gli abiti pesanti. Andremo nel posto più freddo di Gorm.” ordinò subito al suo subordinato.
“Aspettate, Signore! Possiamo davvero fidarci di…di Buferios?” dubitò il generale.
“Gli oracoli non mentono, generale. Dovreste saperlo.”
“Ma…ma abbiamo…non abbiamo informazioni sufficienti! Ha solo parlato di rifugi, mio Signore.” contestò ancora, non sentendosi sicuro.
“Non temete, generale, so dove andare.”
 
L’esercito con Gheos in testa si trovava ormai nei punti più alti e più gelidi di Picco Aquila. Il volto di Praconrem era vicinissimo ed enorme ai loro occhi.
Procedevano a fatica, imbottiti in grandi e spessi manti grigi e bruni, in una forte bufera, come pochi su tutta l’Isola avevano mai visto, impedendo di vedere bene ciò che si trovava vicino.
I piedi, i volti, tutto ciò che non era del tutto coperto dai panni era a stretto contatto con il ghiaccio e la neve, il cui freddo penetrava nella pelle e gelava il cuore e lo spirito. Molti di quei gormiti vedevano e sentivano la neve per la prima volta nella loro vita.
Avevano dovuto abbandonare molte delle salamandre in un punto meno elevato, inadatte a procedere sprofondando nella neve e in un ambiente così freddo e inospitale. I viveri e l’equipaggiamento dovevano essere portati in tasca e sulle spalle, poiché ovviamente i carri non potevano essere portati lì dove lo strato di neve era alto metà di un gormita medio.
Quella bufera di neve era estremamente forte, molto più forte di quanto Gheos e gli altri si erano mai immaginati o si ricordassero.
“Signore!” spolmonò con tutta la forza delle sue corde vocali il generale. La neve picchiettava dal cielo così prepotentemente che oltre alla vista anche l’udito veniva meno.
“Credete che questa bufera sia alimentata dai nemici? E’ troppo potente!”
“Tutto è possibile, generale!” urlò in risposta Gheos, ammantato in una grande veste di un marrone vivido come il legno maturo.
“Facciamoci forza! - cercò di incoraggiare il suo esercito - Siamo quasi arrivati!”
***
Noctis era convinto di essere al sicuro, in quel rifugio altissimo nella montagna, protetto dalle intemperie, dal freddo, dalle tempeste.
Qualsiasi cosa fosse successa, giù all’Arena di Astreg, lo aveva colpito meno degli altri. Se gli veniva alla mente Gheos, o Poivrons o Tasarau, non cominciava a ribollire di rabbia. Invece, gli venivano in mente degli scherzi e degli insulti unici che non vedeva l’ora di riversare sugli altri Signori.
Per Poivrons ideava delle offese più pesanti e provocatorie, però. Erano sempre stati competitivi, lui e il Signore del Mare, ma erano grandi amici.
Era un giovane gormita, da pochi anni maggiorenne, che era stato graziato con la Signoria per la sua simpatia e la sua spiccata generosità, che lo portò a fare molte opere buone per la sua gente.
Tuttavia era, come già detto, giovane e un po’ inesperto. La sua simpatia a volte esagerava, e lo conduceva ad attuare scherzi e giochi un po’ a tutti, anche quando divenne Signore.
Noctis esaminò la moltitudine che aveva portato con sé in quel rifugio. Erano tutti gormiti della capitale Orsol, più che altro gente civile senza importanti capacità in combattimento – sebbene se confrontati con altre razze noi gormiti siamo comunque abili nella lotta, qualsiasi fosse la nostra preparazione.
Non sarebbero stati al sicuro per sempre in quella grotta tra le nevi, e i rifornimenti si sarebbero presto esauriti. Noctis tuttavia aveva un piano, che aveva puntualmente esposto ai cittadini di Orsol, e si erano trovati d’accordo.
Ora doveva semplicemente aspettare, aspettare…
Tum
Un rimbombo metallico di origini sconosciute, che riecheggiò per l’intero antro, facendo tremare i più giovani e le donne.
Tum. Tum.
Lo stesso rimbombo. Un oggetto, forse più, che ne colpisce un altro con forza.
Tum. Tum.
Sembrava ora chiaro quale fosse la fonte del rumore. L’enorme porta di metallo che chiudeva la grotta e che proteggeva i suoi inquilini dalla neve tremava e i grossi cardini stridevano e cigolavano.
Sferrati con forza inimmaginabile, colpi di diversa origine avevano lasciato dei segni nitidi sulla porta.
Tum. Tum. Tum.
Un’altra serie di attacchi, tutti che lasciavano un’impronta diversa e infossata. Un vigoroso colpo di forza magico sradicò entrambe le ante della porta dai cardini, gettandole in aria e sulla popolazione.
Gheos e il suo esercito erano arrivati, avevano trovato e fatto breccia nel rifugio di Noctis.
I suoi guerrieri agirono come ad Orsol: contenendosi e prendendo prigionieri, evitando le morti. Con grande sorpresa, i pochi combattenti di un certo livello di quella gente lottavano allo stesso modo.
Gheos aveva occhi solo per Noctis. Finalmente lo aveva trovato, ed ora nulla lo avrebbe fermato dal mostrare tutta la sua furia.
Cominciò a correre verso la figura alata, vestita di grigio e coperta da una corazza lucida e levigata color platino, col becco difeso da un ornamento dorato. Noctis si alzò in volo.
Gheos gli era ormai a pochi passi. Noctis non dava segni di voler combattere.
“Ehi, Gheos! - esordì - Indovina cosa - ”
Non finì la frase che Gheos sferrò un potente colpo del suo martello alle gambe penzolanti del Signore dell’Aria, facendolo cadere sulla dura roccia.
E dunque Gheos cominciò ad attirare sulla sua mano una serie di pietre di piccole dimensioni, che cominciò a lanciare con forza sul corpo atterrato di Noctis.
Noctis fu lapidato dalla maggior parte di essi, cercando di evitarne il più possibile con dei cuscinetti d’aria e provando ad alzarsi.
Gheos terminò poi di lanciare sassi, e avanzò lento e inesorabile verso il Signore piumato azzurro.
Questi si alzò a fatica, minacciando di cascare mentre si reggeva sulle gambe.
Vide la figura guerresca e portatrice di morte di Gheos avvicinarglisi, col martello pronto a picchiare.
“Ehi, senti, ehi! Possiamo parlarne!” tentò di calmarlo, con una mano in avanti.
Subito Gheos gli inferse un pugno nello stomaco, e poi un colpo di martello alla tempia.
Noctis rovinò a terra, con il sangue che gli colava dal becco.
Gheos aveva vinto sul Signore dell’Aria. Un passo in avanti verso la sua vittoria, e il ritrovamento finale della pace interiore della sua mente, che non faceva altro che farlo pensare a sbarazzarsi di tutti i Signori che nella Piana di Astreg lo avevano offeso e minacciato.
Alzò Noctis per un braccio, e se lo portò con sé su un rialzo, ben visibile da tutti.
“Noctis è morto!” annunciò trionfale, mostrando il corpo inerme, con la corazza e la veste crepata e sgualcita, del giovane Signore dell’Aria.
Il modesto fermento di paura e di tentativo di difesa e di espulsione dei nemici da parte del Popolo dell’Aria si spense, e tutte e due le fazioni presenti si arrestarono, per osservare il bottino di guerra di Gheos.
Noctis, col becco spalancato e rosso, giaceva penzoloni dalla mano di Gheos.
“Noctis…è morto! - ripeté, agitando il cadavere. - Con la sua morte, il Popolo dell’Aria è stato sconfitto, e io, Gheos Signore della Terra, ne assumo il comando!”
***
Il gormita con una lunga frusta verde al posto del braccio destro procedeva silenzioso per il bosco, nascosto tra le fronde e mimetizzato con l’aiuto della sua armatura in tema.
Il suo elmo, che gli lasciava il volto scoperto dalla fronte in giù mostrando bene i sottili e penetranti occhi verde limone, era dipinto del color dell’erba e delle foglie.
Il petto e le spalle erano coperte e protette da un armamento verde oliva sagomato come due larghe foglie dal contorno seghettato, che si prolungavano ben oltre le spalle.
Una simile armatura era presente sulle gambe e ai piedi, che sembravano avvolti in numerose foglie dentellate ben aderenti e perfettamente lisce, senza increspature.
La sua pelle era marroncino chiaro, abbastanza acceso. Sul ventre erano in risalto gli addominali giallo foglia.
L’altro braccio, che presentava una mano a cinque dita, era parzialmente protetto da un guanto bruno scuro.
Non era il solo ad avanzare cauto e producendo il minimo rumore per le frasche e la corteccia della Foresta Silente. Dietro di lui numerosi altri gormiti della Foresta che seguivano i suoi ordini e si muovevano agili e muti da un albero all’altro, mimetizzandosi perfettamente e guardandosi ad ogni lato per accertarsi della presenza o meno dei nemici.
Al segnale di via libera e al segno della loro guida, tutti i gormiti presenti procedettero fuori dai loro ripari di legno, all’interno di una minuta radura baciata dal cielo azzurro, dove gli alberi crescevano meno, ma era completamente attorniata dagli altri giganti di legno e foglie.
Vi era un grande masso presso il centro della radura, leggermente addentrato nel terreno più folto di alberi, ricoperto di erba, muschio e licheni giallognoli e ramati.
Quello non era un semplice grosso sasso. Era molto di più, e quel gruppo di infiltratori gormitici aveva ottenuto informazioni attendibili a riguardo, e ordini precisi.
Il gormita con l’elmo verde e la grossa lunga liana diede un cenno inclinando il capo all’esperto di magia del gruppo, che subito annuì e si appostò davanti al macigno, tastandolo con cura, alla ricerca di qualche fessura.
“Rimani guardingo finché non è aperto.” sussurrò la guida a uno dei suoi, che obbedì all’ordine senza discutere e prese a camminare con fare circospetto attorno al macigno, un arco pronto nella mano, attento a qualsiasi movimento tra gli alberi.
La guida e l’arciere e il resto del gruppo non dovettero aspettare troppo prima che il mago riuscì nel suo intento.
Dall’enorme masso ricoperto d’erba una lastra di pietra grossa poco più delle dimensioni di un gormita medio si separò dal resto della roccia, ‘uscendone’, rivelando un’apertura abbastanza grande per un gormita.
Il mago spostò quindi la lastra di lato, scoprendo completamente l’entrata di quello strano luogo.
“Statemi dietro. - sussurrò la guida con la frusta indirizzandosi verso la ‘porta’ - Arciere, tu rimani fuori e ci avvisi se ci sono pericoli.” gli ordinò passandogli a fianco.
Uno dopo l’altro, i gormiti infiltratori della Foresta furono tutti all’interno del macigno, anche se forse erano più sotto di esso che dentro.
Nella grossa pietra le pareti erano ricoperte di terra marrone e fresca, e un breve passaggio conduceva a un’ennesima apertura, coperta da un masso dall’altra parte, una zona sotterranea più vasta.
Camminarono per il corto sentiero in discesa e rimossero velocemente il masso che gli impediva di proseguire.
Non appena tolsero di mezzo il macigno, si videro davanti due gormiti marini con tridenti stretti alle mani, e uno sguardo sbigottito che subito si tramutò in teso e carico di nervosismo. Strinsero ancor di più i loro tridenti, pronti a puntarli contro gli aggressori, ma questi furono più rapidi ed avevano tutte le loro armi, archi, lance, spade già dirette alle due guardie del Mare.
“Gettate le armi. - comandò la guida con l’elmo verde - Non vogliamo far del male a nessuno.”
Con decine di lame puntate contro di loro, le due guardie abbandonarono i loro tridenti e misero le mani bene in vista.
“Mago, procedi.” disse poi con un cenno al compagno stregone. Questi avanzò tra il gruppo, prese le mani di entrambi i gormiti marini e gli furono legate dietro la schiena in due bracciali luminosi.
Furono lasciate, incapaci di usare magie o poteri con le mani bloccate, lì all’entrata, mentre il gruppo di forestali proseguiva.
Davanti a loro si stagliavano una serie di stretti e alti cunicoli, che tutti i presenti sapevano essere frequentati da diversi gormiti, che ancora non sembravano essersi accorti del loro arrivo.
La guida separò il gruppo in piccole squadre che indirizzò verso ciascun cunicolo.
Ella stessa, con tre del suo gruppo, si immise nel primo cunicolo sulla destra.
Alle pareti del cunicolo erano incise scritte antiche di millenni, che venivano spolverate, rivisitate e studiate ogni giorno.
Diversi gormiti erano lì presenti, gormiti di ogni Popolo tranne quello del Vulcano, che guardavano sorpresi e turbati l’intrusione di gormiti armati in quel luogo occulto e riservato.
Nonostante la guerra fosse ormai ufficiale da qualche giorno, gormiti da ogni dove di Gorm continuavano a frequentare quel tempio.
“Fermi dove siete, tutti! - vociò il capo, con la frusta minacciosa e rigida in avanti – Oggi 44 Tealse 851 Patmut Iun è occupata dal Popolo della Foresta. - emanò - Che tutti i gormiti non della Foresta abbandonino ogni desiderio di attacco e procedano dinanzi a me.”
“Questo è un oltraggio!” gridò un gormita terricolo, pronto all’attacco, innervosito e con i muscoli tutti tesi. Cominciò ad avanzare verso il capitano armato di frusta, desideroso di punirlo per quell’azione così ignobile, se non ché prima che quello potesse rendersene conto o immaginarselo, la guida era già dietro di lui e gli stringeva le mani in una morsa dolorosa della sua frusta.
“Non opponete resistenza, vi prego. - consigliò con tono sincero il capitano - Noi non vogliamo ferire nessuno, non attaccheremo nessuno se voi non ci attaccate.”
Tutti gli occupanti terricoli, marini e aerei di Patmut Iun furono guidati con le armi all’estremità del tempio sotterraneo, dove si alzava il ripiano con il grande telescopio, e legati con i bracciali magici. “Che cosa significa tutto questo, Dachiel? - domandò furibondo un gormita della Foresta - E’ un’azione davvero riprovevole, che non piacerà a nessuno. E mi stupisco sia piaciuta a te.” lo rimproverò con sguardo truce e contrariato.
“Ordini dall’alto. - rispose il capitano, togliendosi di dosso l’elmo verde, e muovendosi verso una parete delle profezie - Il Signore Tasarau ha ritenuto opportuno recludere Patmut Iun.”
“Chi è quel bastardo che ha rivelato la posizione di Patmut Iun?” ringhiò un aereo, che invano si dimenava cercando di togliersi i bracciali.
“La colpa non è di nessuno. - ribatté tranquillo Dachiel - Se avete davvero bisogno di incolpare qualcuno, incolpate Tasarau. Ma non credo sia una buona idea.”
“La pagherete per questo!” minacciò uno dei gormiti relegati.
“Ha ragione. - concordò lo stesso forestale - E’ una cosa che non andava fatta.”
“Io eseguo gli ordini.” replicò secco, e non parlò più, intento a leggere le profezie.
***
Era quasi sera nella Foresta Silente, e l’astro del giorno aveva quasi terminato il suo ciclo quotidiano su Gorm, e l’ombra cominciava a divorare lentamente il manto di alberi di Dalarlànd.
Sotto al cielo che cominciava a riempirsi di stelle e a mostrare le sue lune, il capitano Dachiel camminava verso un grande albero, davanti a sé, molto più alto di quelli vicini ma di certo non il più maestoso della Foresta.
Quell’albero era tuttavia diverso dagli altri.
Dachiel sopraggiunse ai suoi piedi e senza fretta si mise a salire la scala di pioli montata lungo il suo tronco.
Tra i rami più massicci del grande albero vi era costruita una modesta capanna di legno e frasche, la sede da cui il Signore della Foresta gestiva la sua guerra.
Dachiel bussò alla porta, annunciando a gran voce: “Capitano Dachiel a rapporto,”
La voce burbera di Tasarau proruppe dall’interno dell’edificio inducendolo ad entrare.
Il Signore della Foresta era seduto dietro a un grosso tavolo, pieno di fogli, che Tasarau scribacchiava e riordinava usando tutti i suoi quattro arti superiori. Il suo unico occhio giallo era in continuo movimento, scrutando un foglio e l’altro.
“Capitano Dachiel!” lo salutò infine, impilando un ultimo pacchetto di fogli e alzandosi in piedi. Dachiel abbozzò un inchino. Il volto di Tasarau era speranzoso e ansioso di notizie.
“E’ proceduta bene la missione a Patmut Iun?” domandò.
“E’ andata eccelsamente, mio Signore. - rispose, con le braccia dietro la schiena, dritto e rigido  - Abbiamo trovato il Museo della Ricerca Storica, neutralizzato gli occupanti e occupatolo a vostro nome, mio Signore.”
“Ottimo! E dei gormiti cosa avete fatto?” domandò nuovamente, con un volto sorridente
“Li abbiamo spediti a casa, come ci avevate ordinato.” rispose prontamente Dachiel, immobile.
“E’ stata l’azione migliore che potessi fare.” commentò Tasarau quasi per difendersi, portando entrambe le paia di braccia dietro la schiena e voltando le spalle al suo capitano, scrutando il muro di legno.
“Indubbiamente la cosa farà scalpore e quei gormiti informeranno tutta l’Isola dell’accaduto, ma è stata un’azione necessaria. Quel tempio è ricolmo di informazioni antiche e anche segrete che non possiamo permettere cadono in mano nemica. E oltretutto il culto delle profezie è…”
Si girò nuovamente verso Dachiel, immobile e attento ai comandi del suo supremo comandante.
“Hai anche analizzato le profezie, capitano?”
“Quello che ho potuto, mio Signore.”
“E che cosa hai scoperto riguardo ciò che sta succedendo?” chiese avido Tasarau.
“Cose di poca rilevanza. Mai prima si era scatenata una guerra come questa, una battaglia tra gormiti è successa solo secoli fa e in circostanze diverse. Però….” Dachiel si fermò e guardò in basso, incerto.
“Però? - ripeté Tasarau, ansioso - Però cosa? Cos’hai trovato?”
“Mio Signore, non so se questa informazione sia davvero utile. Però, quella battaglia era stata conclusa pacificamente, con una sfida nell’Arena, e in quel giorno, c’era scritto, c’era stata un’eclissi.”
Tasarau si ammutolì, pensoso. Era da sempre stato un grande appassionato e cultore delle profezie, e qualsiasi cosa fosse stato scritto e rivisitato riguardo il passato poteva ripetersi ancora, e lui l’avrebbe saputo.
“Indagherò personalmente su questa nota. - dispose infine Tasarau - Capitano, riposo. Vai a riposarti. Molto probabilmente domani avremo compagnia.”
“Mio Signore.” lo salutò con un inchino prima di uscire dalla porta.
Tasarau guardò fuori dalla finestra, pensieroso.
Quando aveva stabilito di ‘invadere’ Patmut Iun credeva di agire nel massimo del bene e del rispetto. D’altra parte il Museo si trovava più nel territorio della Foresta che in quello del Mare, a cui la tradizione soleva far appartenere il tempio delle profezie.
Ma quasi subito giunsero i ripensamenti sulla correttezza di quel gesto e delle ripercussioni che avrebbe generato. Patmut Iun apparteneva a tutti e nessuno sull’Isola di Gorm sarebbe stato soddisfatto se le informazioni trascritte dagli antenati, dai parenti o dagli amici di ogni Popolo venissero recluse a uno solo.
Forse aveva sostenuto quella missione per il solo piacere di avere il tempio di Patmut Iun tutto per sé, o semplicemente per attirare su di sé l’ira di Poivrons, effettivo proprietario del Museo della Ricerca Storica.
Già, Poivrons. Al solo pensiero del Signore nemico strinse tutti i propri pugni con foga, con un’inspiegabile rancore e rabbia verso di lui, e verso anche Gheos.
Si calmò subito, cercando di darsi una spiegazione a quella strana avversione nei loro confronti. Con Noctis, nell’Arena, Tasarau aveva agito in quel modo per il solo fatto che Noctis si era comportato in maniera arrogante. E lì era giustificato, anche se aveva reagito abbastanza impulsivamente, cosa che non faceva spesso. Ma non riusciva a spiegarsi il rancore verso gli altri due, e nello stesso tempo era incapace di reprimerlo.
***
Poivrons avanzava a passo di marcia nel suolo sempre più verde e sempre più pieno di alberi.
Dietro di lui un numeroso esercito, pronto a seguirlo e a obbedirgli. Avevano una motivazione in più: riprendersi Patmut Iun, loro di diritto.
Più che di diritto di tradizione, ed erano in pochi a voler riconquistare Patmut Iun come dono fatto al Popolo del Mare dalle divinità.
Poivrons era quasi del tutto ricoperto da un’aderente e spessa corazza blu notte, tutta ricoperta di incisioni recanti i simboli più significativi del Popolo del Mare e frasi di importanti condottieri e motti. Solo il capo molle da piovra era scoperto, e anche laddove l’armatura avrebbe lasciato vulnerabili parti di pelle vi era una cotta di maglia a compensare la mancanza. Non aveva armi.
“State attenti a dove mettete i piedi. - sussurrava Poivrons ai suoi soldati - La Foresta fuori dai sentieri è piena di trappole per animali in cui è facile cadere, e ora che siamo in guerra sarà ancora più piena.”
“La tua conoscenza dei miei territori mi sorprende, Poivrons.” proruppe dunque Tasarau fuoriuscendo dal verde insieme a due suoi sudditi, e molti altri si appropinquavano ad ogni lato.
Il Signore della Foresta era difeso da un’armatura meno completa. Solo gli avambracci e gli stinchi erano coperti da corazzature metalliche, scure, dipinte molto approssimativamente di pittura verde, quasi il fabbro o chiunque vi avesse lavorato avesse usato degli acquerelli. L’elmo appuntito era argentato e aveva la vaga forma di un fiore. I due tronchi sul suo petto erano stati dipinti con due spirali rosse.
“Tasarau, hai commesso un grosso errore prendendoti Patmut Iun. - lo accusò con l’indice Poivrons  - Esso appartiene a noi, appartiene a tutti i gormiti, ma è nostro.”
“Vostro? - rise Tasarau - E chi lo dice? Il dio Patmut? Il vostro cosiddetto diritto di proprietà su Patmut Iun è infondato. Oltretutto, tu e gli altri Popoli fareste sicuramente un cattivo uso delle profezie, senza contare delle innumerevoli informazioni contenute negli annali.”
“La tua mancanza di fede è disdicevole per un gormita anziano e rispettabile come te. - lo criticò il Signore del Mare - Su che base giudichi il nostro utilizzo delle profezie sbagliato? Siamo stati noi a insegnare a voi tutti lo studio del cielo e della terra, non dimenticatelo! E che diritto hai tu di impossessarti delle informazioni sul conto del mio Popolo?”
“Un diritto ben più fondato del vostro. Patmut Iun è davvero molto lontana dalla città del Bazaar, è in pieno territorio della Foresta, oserei dire. Un dominio marino così addentrato nel mio sarebbe pericoloso.”
“Te lo dico io cosa è pericoloso! - lo minacciò Poivrons guardandolo in cagnesco - La Zanna del Demone Marino!”
Poivrons raccolse le mani sul fianco destro, come se stesse trattenendo una palla. Nello spazio tra un palmo e un altro si generò una sfera d’acqua, acqua molto concentrata.
Indirizzando poi entrambe le mani in avanti, con le braccia tese, la sfera si ruppe e generò un getto potente e rapido di acqua, che si riversò su Tasarau, mandandolo gambe all’aria contro un albero.
“Gormiti! Alle armi! Alle armi! - gridava Tasarau, ancora sottosopra - E ricordate di non uccidere, se possibile, e lasciate a me Poivrons!”
Gli eserciti di Foresta e Mare uscirono entrambi allo scoperto e si scontrarono, combattendo per i loro Signori e il dominio su Gorm. Ciò che Gheos aveva promesso al suo Popolo sembrava essere stato raccomandato anche dagli altri Signori. Un fatto alquanto bizzarro.
“Senza uccidere, Tasarau? - commentò Poivrons, sarcastico - Stai forse cercando di imitare la mia nobiltà?”
“Puah! - sputò Tasarau, rialzatosi - Non ho niente da copiare da te. Ho tutto ciò che hai tu, e anche di più.”
“A parte la tua puzza.” disse poi con un sorriso malizioso.
Poivrons sembrò sconcertato da tale commento e si diede una rapida e abbastanza comica annusata, nel mezzo del campo di battaglia.
“Ma se so tutto di trefoliea!”
Il Signore del Mare fu poi investito da quattro getti di spine sparati dai palmi di Tasarau. Il colpo non fu comunque molto dannoso, e Poivrons si riparò la faccia con uno scudo d’acqua.
“La tecnica dello Stopselregn? - commentò ridendo Poivrons, annullando lo scudo d’acqua, che gli bagnò i piedi e il suolo sotto di essi - Credi davvero che delle spine possano farmi qualcosa?”
“Sì, se ti colpisco bene e nel punto giusto. - fu la replica sicura di Tasarau - Anche se dovessi battermi, Poivrons, ricordati che sei nel mezzo del mio dominio. - lo ammonì - Come potresti vincere?”
“Gheos c’è riuscito. - controbatté il Signore del Mare - Non vedo perché io non dovrei.”
Tasarau si fece furioso in volto. “Perché Noctis non era forte quanto me!”
Poivrons caricò nuovamente la sua Zanna del Demone Marino, ma al momento dello sparo questa andò a vuoto contro un tronco.
Poivrons si ritrovò il Signore della Foresta al suo lato, che presto cominciò a pestarlo di pugni e graffi e gomitate con tutte le sue quattro mani, che sembravano non procurargli male a contatto col metallo dell’armatura, che arrivò a piegarsi e a strapparsi addirittura in certi punti, nel dolore generale di cui era ora succube Poivrons.
   
 
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