«Zed! Zed!»
Chas la vide attraversare in fretta
il cortile buio per raggiungerlo, trafelata, un paio di ciocche ricciolute
appiccicate alla fronte per il sudore e tra le mani una pala – che,
meno di un quarto d'ora prima, aveva sbattuto in faccia al padrone di
casa, posseduto, per riuscire a passare.
Decisamente una ragazza piena di
risorse.
«Zed, dov'è John?» chiese Chas,
preoccupato.
La ragazza impallidì di colpo, illuminata solo dalla luce lunare.
«Come sarebbe, dov'è? Pensavo fosse con te!» L'espressione
di Chas si fece improvvisamente buia.
«Oh, merda.»
Non ebbero bisogno di dirsi altro:
tornarono sui loro passi e ricominciarono a correre, stavolta in
direzione della casa.
«John? John, svegliati. Forza!»
John era perso in un buio privo di
riferimenti.
Quando sentì quella voce che gli ordinava di aprire gli
occhi, si sentì immediatamente sollevato: allora non era del
tutto
solo, in quello strano posto dove era finito. Si sentiva pesante e allo
stesso tempo leggero, confuso, ma obbedì alla voce che lo
chiamava,
che voleva riportarlo indietro; quella voce che conosceva bene e a
cui più di ogni altra cosa avrebbe voluto riuscire a rispondere--
«John!»
La prima cosa che vide fu
l'enorme sagoma di Chas accanto al suo letto, ma ci mise un po' a
distinguerlo chiaramente.
«John, come ti senti?»
John sbatté le palpebre, si
stropicciò gli occhi: era come svegliarsi da un lungo sonno, si
sentiva stordito e fuori fase.
«MmmChas--?», biascicò,
mettendolo a fuoco.
Sentì le mani grandi dell'altro
accarezzarlo gentilmente e le sue dita tra i capelli: delicato e
attento, come sempre.
«Siamo a casa.» Il tono di
Chas era rassicurante e tranquillo. «È tutto finito.»
L'esorcista fece per stiracchiarsi,
ma si bloccò prima ancora di cominciare: gli faceva male tutto, e
una serie di fitte improvvise gli impedirono di proseguire.
«Ugh...» Si lamentò,
stringendo gli occhi. «...Sono stato investito da un camion?»
La mano di Chas si fermò sul suo
stomaco, un peso caldo e gradevole.
«No. Siamo andati a caccia
di un demone, ma ne abbiamo trovati due,» spiegò brevemente.
Appariva preoccupato e stanco. «Come ti senti?», chiese, il pollice
che gli sfregava lievemente una costola.
John coprì la sua mano con la
propria, la strinse. Un gesto istintivo, involontario, forse; ma gli
piaceva sentire il suo calore, e ne aveva sempre bisogno quando non
si sentiva troppo bene.
«Un po' acciaccato... Ma non così
male, dopotutt-- Ahia!»
Non era decisamente in condizione di
muoversi, perciò decise di rinunciare. L'altra mano di Chas gli si
posò sulla spalla, lo rispinse delicatamente giù.
«Non ti muovere,» disse. «Sei un
po'... Rotto.»
John sbuffò.
«Oh, che palle.» Frugò
nella tasca dei pantaloni alla ricerca delle sigarette, ma erano così
schiacciate da essere ridotte a un ammasso di carta e tabacco
sfilacciato. «Odio stare fermo.»
Chas, da bravo infermiere, gli
passò un bicchiere d'acqua e un blister di antidolorifici.
«Prendi queste, ma non esagerare,»
si raccomandò. «Un po' di riposo e torni come nuovo.»
L'espressione seccata e vagamente
imbronciata che l'altro gli rivolse convinse Chas che no, John non
aveva nessuna voglia di riposare, e dopo due minuti sarebbe stato di
nuovo in piedi a combinare qualche guaio – e magari a dare
inavvertitamente fuoco al mulino, tanto per mantenersi in esercizio.
Inaspettatamente, però, John obbedì, prese bicchiere
e pastiglie e mandò giù il tutto. Guardò il bicchiere vuoto con
aria disgustata:
«Acqua? Dove l'hai trovata, l'acqua?»
Chas alzò un sopracciglio, perplesso.
«Come, dove? Dal rubinetto, no?»
John ghignò in quel suo modo particolare,
insolente e irresistibile.
«Ma io volevo due dita di Jack!»
Chas roteò gli occhi.
«Non con le pasticche,» tagliò
corto. «E adesso prova a dormire un po'. È tutta la notte che
stiamo in giro e avrai dormito sì e no un'oretta scarsa, da quando
siamo tornati. Devi recuperare, John.»
L'esorcista lo guardò, e il suo
sorriso cinico si addolcì leggermente, in un modo che non capitava
quasi mai.
«Quanto mi piace quando ti
preoccupi per me,» ghignò, per poi soffocare uno sbadiglio subito
dopo. «Ma non ho sonno...»
Chas gli accarezzò il braccio,
guardandolo con una luce lievemente intenerita negli occhi - quasi
come se l'adulto irresponsabile e capriccioso che aveva davanti fosse
davvero un bambino, - e sorrise appena.
«Se vedessi che faccia che hai...
Stai crollando.»
John si stropicciò di nuovo gli
occhi, si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi socchiusi, già
appannati dal sonno, e sembrava più docile e tranquillo di quando
era nel pieno delle sue funzioni - sempre teso come un filo scoperto
e con un interminabile corollario di frecciatine sarcastiche a
disposizione.
«Resti con me?»
John batté la mano sul letto,
accanto a sé.
Chas non rispose, ma si alzò e si
sistemò accanto a lui. Lasciò che si sdraiasse su un
fianco e lo
abbracciò da dietro, facendo attenzione a non stringere troppo
per
non fargli male. Lo accarezzò a lungo - come spesso capitava,
quando tornavano da una notte particolarmente difficile e si
ritrovavano a dover prendere sonno mentre invece la gente normale si
svegliava. Era in momenti come quello che John smetteva di essere in
guerra con il resto del mondo e si lasciava semplicemente abbracciare,
e a Chas piacevano quei momenti. Erano rari, preziosi. Non avevano
bisogno di parlarsi, non avevano bisogno di spiegarsi; stavano
incollati l'uno all'altro, e la vicinanza e il calore erano la
rassicurazione migliore che potevano offrirsi. Era la conferma che
anche quella notte ce l'avevano fatta, e finalmente potevano tirare un
sospiro di sollievo, occuparsi dei dolori e delle ferite e trovare un
po' di sollievo nel riposo.
Indovinò il contorno di una serie di lividi scuri
disseminati sul corpo di John, attraverso il tessuto sottile e quasi
trasparente della sua camicia bianca – ora tendente più al grigio
scuro per via della polvere e della fuliggine, - e si sentì in colpa
per non essere riuscito a proteggerlo come avrebbe dovuto.
Forse
doveva seriamente prendere in considerazione l'idea di legargli al
collo un segnalatore GPS o di piazzargli una grossa freccia al neon
sulla testa, per non perderlo mai di vista.
Stava per dirgli qualcosa; ma poi
lo aveva sentito russare lievemente, la guancia posata sul suo
braccio piegato e una mano intrecciata alla sua, e aveva preferito
non svegliarlo. Vedere John così sereno, così quieto e spensierato era una vera
rarità.
Era ancora mattina presto, e pensò
che forse poteva approfittarne anche lui per sonnecchiare un po'. Si
prese qualche istante per guardarlo, - era così tranquillo e
angelico, quando dormiva, - e si sentì sollevato.
Quell'esorcista eccentrico e
scapestrato, che lui aveva il compito di tutelare come se fosse
l'ultimo esemplare di una specie protetta, era lì, serenamente
agganciato addosso a lui, e stava bene.
E Chas non riusciva a immaginare
nulla di più bello.
Qualche ora dopo, erano in cucina:
John seduto al tavolo a consultare uno dei diari di Jasper e Chas
intento ad armeggiare con le padelle, con la consueta destrezza. Quei
rumori e quei profumi, quel clima di serena attesa, per John erano
familiari e rassicuranti.
«Trovato
niente?» chiese Chas, mettendo due
uova a friggere.
«Non
ancora,» mugugnò John, una
sigaretta spenta tra le labbra – a volte ne teneva una così,
semplicemente per abitudine, e Chas lo rimbrottava con frasi tipo
“gli psicologi dicono
che la fase orale dovrebbe concludersi nei primi anni di vita”,
eccetera eccetera, ma
John proprio non poteva farci niente. «Sembra che non esistano
demoni in grado di sdoppiarsi come quello con cui abbiamo fatto
amicizia noi,» aggiunse, sollevando lo sguardo dal grosso volume.
Osservò Chas muoversi – così spropositatamente grande e
grosso, eppure leggero, - e per un attimo dimenticò i doloretti che
ancora lo flagellavano e il disappunto per non aver trovato niente,
sostituiti da una sensazione di calma e di calore.
Chiuse
di colpo il librone, poi si alzò e si diresse verso l'amico, lo
abbracciò goffamente mentre si sciacquava le mani - facendolo
sussultare di sorpresa, perché un gesto del genere giungeva
piuttosto inatteso, da parte sua.
Sulla
faccia di Chas si disegnò un grosso punto interrogativo.
«John..?
Ti senti bene?» domandò, con un sopracciglio alzato.
«Sì...»
mugolò John, contro la stoffa della sua camicia. «Voglio
solo che tu sappia che non do per scontato nulla di ciò che fai.»
Si alzò in punta di piedi e contemporaneamente si aggrappò
alla sua maglietta per attirarlo giù, gli diede un bacio rapido e
insolitamente innocente sulla guancia. «Grazie,»
disse, alzando la testa per guardarlo.
«Sei
così appiccicoso, ultimamente. Stai covando qualche influenza
strana, credo,» replicò Chas, ma sorrideva – la versione più
morbida di John era stranissima ma adorabile. Si abbassò per
restituirgli il bacio, ma prima gli sfilò la sigaretta spenta dalle
labbra. «Siediti, è quasi pronto.»
John guardò con malinconia la sigaretta che
gli era stata sottratta - e che sarebbe sparita nel nulla insieme a
tutte le altre, lo sapeva, - ma poi la sua attenzione venne distolta
dal lieve ruggito che cominciava a salirgli dallo stomaco, e
obbedì docilmente.
«Sì, mamma,»
disse, prendendolo in giro; e quello che rimediò in risposta fu
una mestolata amichevole sulla testa, giusto per ribadire quali erano
le gerarchie in cucina: mai discutere con un gigante con la sindrome
della massaia.
NOTE:
Capitolo che non aggiunge nulla di nuovo, ma avevo bisogno di zucchero perciò ecco tanto fluff :)
A.