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Autore: Ambaraba    02/07/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHASTANTINE 6

    «Zed! Zed!»
Chas la vide attraversare in fretta il cortile buio per raggiungerlo, trafelata, un paio di ciocche ricciolute appiccicate alla fronte per il sudore e tra le mani una pala – che, meno di un quarto d'ora prima, aveva sbattuto in faccia al padrone di casa, posseduto, per riuscire a passare.
Decisamente una ragazza piena di risorse.
    «Zed, dov'è John?» chiese Chas, preoccupato.
La ragazza impallidì di colpo, illuminata solo dalla luce lunare. «Come sarebbe, dov'è? Pensavo fosse con te!» L'espressione di Chas si fece improvvisamente buia.
    «Oh, merda.»
Non ebbero bisogno di dirsi altro: tornarono sui loro passi e ricominciarono a correre, stavolta in direzione della casa.


    «John? John, svegliati. Forza!»
John era perso in un buio privo di riferimenti. 
Quando sentì quella voce che gli ordinava di aprire gli occhi, si sentì immediatamente sollevato: allora non era del tutto solo, in quello strano posto dove era finito. Si sentiva pesante e allo stesso tempo leggero, confuso, ma obbedì alla voce che lo chiamava, che voleva riportarlo indietro; quella voce che conosceva bene e a cui più di ogni altra cosa avrebbe voluto riuscire a rispondere--
    «John!» 
La prima cosa che vide fu l'enorme sagoma di Chas accanto al suo letto, ma ci mise un po' a distinguerlo chiaramente.
    «John, come ti senti?»
John sbatté le palpebre, si stropicciò gli occhi: era come svegliarsi da un lungo sonno, si sentiva stordito e fuori fase.
    «MmmChas--?», biascicò, mettendolo a fuoco.
Sentì le mani grandi dell'altro accarezzarlo gentilmente e le sue dita tra i capelli: delicato e attento, come sempre.
    «Siamo a casa.» Il tono di Chas era rassicurante e tranquillo. «È tutto finito.»
    L'esorcista fece per stiracchiarsi, ma si bloccò prima ancora di cominciare: gli faceva male tutto, e una serie di fitte improvvise gli impedirono di proseguire.
    «Ugh...» Si lamentò, stringendo gli occhi. «...Sono stato investito da un camion?»
La mano di Chas si fermò sul suo stomaco, un peso caldo e gradevole.
    «No. Siamo andati a caccia di un demone, ma ne abbiamo trovati due,» spiegò brevemente. Appariva preoccupato e stanco. «Come ti senti?», chiese, il pollice che gli sfregava lievemente una costola.
    John coprì la sua mano con la propria, la strinse. Un gesto istintivo, involontario, forse; ma gli piaceva sentire il suo calore, e ne aveva sempre bisogno quando non si sentiva troppo bene.
    «Un po' acciaccato... Ma non così male, dopotutt-- Ahia!»
Non era decisamente in condizione di muoversi, perciò decise di rinunciare. L'altra mano di Chas gli si posò sulla spalla, lo rispinse delicatamente giù.
    «Non ti muovere,» disse. «Sei un po'... Rotto.»
John sbuffò.
    «Oh, che palle.» Frugò nella tasca dei pantaloni alla ricerca delle sigarette, ma erano così schiacciate da essere ridotte a un ammasso di carta e tabacco sfilacciato. «Odio stare fermo.»
Chas, da bravo infermiere, gli passò un bicchiere d'acqua e un blister di antidolorifici.
    «Prendi queste, ma non esagerare,» si raccomandò. «Un po' di riposo e torni come nuovo.»
    L'espressione seccata e vagamente imbronciata che l'altro gli rivolse convinse Chas che no, John non aveva nessuna voglia di riposare, e dopo due minuti sarebbe stato di nuovo in piedi a combinare qualche guaio – e magari a dare inavvertitamente fuoco al mulino, tanto per mantenersi in esercizio.
Inaspettatamente, però, John obbedì, prese bicchiere e pastiglie e mandò giù il tutto. Guardò il bicchiere vuoto con aria disgustata:
    «Acqua? Dove l'hai trovata, l'acqua?»
Chas alzò un sopracciglio, perplesso.
    «Come, dove? Dal rubinetto, no?»
John ghignò in quel suo modo particolare, insolente e irresistibile.
    «Ma io volevo due dita di Jack!»
Chas roteò gli occhi.
    «Non con le pasticche,» tagliò corto. «E adesso prova a dormire un po'. È tutta la notte che stiamo in giro e avrai dormito sì e no un'oretta scarsa, da quando siamo tornati. Devi recuperare, John.»
    L'esorcista lo guardò, e il suo sorriso cinico si addolcì leggermente, in un modo che non capitava quasi mai.   
    «Quanto mi piace quando ti preoccupi per me,» ghignò, per poi soffocare uno sbadiglio subito dopo. «Ma non ho sonno...»
Chas gli accarezzò il braccio, guardandolo con una luce lievemente intenerita negli occhi - quasi come se l'adulto irresponsabile e capriccioso che aveva davanti fosse davvero un bambino, - e sorrise appena.
    «Se vedessi che faccia che hai... Stai crollando.»
John si stropicciò di nuovo gli occhi, si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi socchiusi, già appannati dal sonno, e sembrava più docile e tranquillo di quando era nel pieno delle sue funzioni - sempre teso come un filo scoperto e con un interminabile corollario di frecciatine sarcastiche a disposizione.
    «Resti con me?»
    John batté la mano sul letto, accanto a sé.
Chas non rispose, ma si alzò e si sistemò accanto a lui. Lasciò che si sdraiasse su un fianco e lo abbracciò da dietro, facendo attenzione a non stringere troppo per non fargli male. Lo accarezzò a lungo - come spesso capitava, quando tornavano da una notte particolarmente difficile e si ritrovavano a dover prendere sonno mentre invece la gente normale si svegliava. Era in momenti come quello che John smetteva di essere in guerra con il resto del mondo e si lasciava semplicemente abbracciare, e a Chas piacevano quei momenti. Erano rari, preziosi. Non avevano bisogno di parlarsi, non avevano bisogno di spiegarsi; stavano incollati l'uno all'altro, e la vicinanza e il calore erano la rassicurazione migliore che potevano offrirsi. Era la conferma che anche quella notte ce l'avevano fatta, e finalmente potevano tirare un sospiro di sollievo, occuparsi dei dolori e delle ferite e trovare un po' di sollievo nel riposo.
Indovinò il contorno di una serie di lividi scuri disseminati sul corpo di John, attraverso il tessuto sottile e quasi trasparente della sua camicia bianca – ora tendente più al grigio scuro per via della polvere e della fuliggine, - e si sentì in colpa per non essere riuscito a proteggerlo come avrebbe dovuto. 
Forse doveva seriamente prendere in considerazione l'idea di legargli al collo un segnalatore GPS o di piazzargli una grossa freccia al neon sulla testa, per non perderlo mai di vista.
    Stava per dirgli qualcosa; ma poi lo aveva sentito russare lievemente, la guancia posata sul suo braccio piegato e una mano intrecciata alla sua, e aveva preferito non svegliarlo. Vedere John così sereno, così quieto e spensierato era una vera rarità.
    Era ancora mattina presto, e pensò che forse poteva approfittarne anche lui per sonnecchiare un po'. Si prese qualche istante per guardarlo, - era così tranquillo e angelico, quando dormiva, - e si sentì sollevato.
Quell'esorcista eccentrico e scapestrato, che lui aveva il compito di tutelare come se fosse l'ultimo esemplare di una specie protetta, era lì, serenamente agganciato addosso a lui, e stava bene.
    E Chas non riusciva a immaginare nulla di più bello.


    Qualche ora dopo, erano in cucina: John seduto al tavolo a consultare uno dei diari di Jasper e Chas intento ad armeggiare con le padelle, con la consueta destrezza. Quei rumori e quei profumi, quel clima di serena attesa, per John erano familiari e rassicuranti.
    «Trovato niente?» chiese Chas, mettendo due uova a friggere.
    «
Non ancora,» mugugnò John, una sigaretta spenta tra le labbra – a volte ne teneva una così, semplicemente per abitudine, e Chas lo rimbrottava con frasi tipo “gli psicologi dicono che la fase orale dovrebbe concludersi nei primi anni di vita”, eccetera eccetera, ma John proprio non poteva farci niente.         «Sembra che non esistano demoni in grado di sdoppiarsi come quello con cui abbiamo fatto amicizia noi,» aggiunse, sollevando lo sguardo dal grosso volume. Osservò Chas muoversi – così spropositatamente grande e grosso, eppure leggero, - e per un attimo dimenticò i doloretti che ancora lo flagellavano e il disappunto per non aver trovato niente, sostituiti da una sensazione di calma e di calore.
    Chiuse di colpo il librone, poi si alzò e si diresse verso l'amico, lo abbracciò goffamente mentre si sciacquava le mani - facendolo sussultare di sorpresa, perché un gesto del genere giungeva piuttosto inatteso, da parte sua.
Sulla faccia di Chas si disegnò un grosso punto interrogativo.
    «John..? Ti senti bene?» domandò, con un sopracciglio alzato.
    «
Sì...» mugolò John, contro la stoffa della sua camicia. «Voglio solo che tu sappia che non do per scontato nulla di ciò che fai.» Si alzò in punta di piedi e contemporaneamente si aggrappò alla sua maglietta per attirarlo giù, gli diede un bacio rapido e insolitamente innocente sulla guancia. «Grazie,» disse, alzando la testa per guardarlo.
    «Sei così appiccicoso, ultimamente. Stai covando qualche influenza strana, credo,» replicò Chas, ma sorrideva – la versione più morbida di John era stranissima ma adorabile. Si abbassò per restituirgli il bacio, ma prima gli sfilò la sigaretta spenta dalle labbra. «Siediti, è quasi pronto.»
    John guardò con malinconia la sigaretta che gli era stata sottratta - e che sarebbe sparita nel nulla insieme a tutte le altre, lo sapeva, - ma poi la sua attenzione venne distolta dal lieve ruggito che cominciava a salirgli dallo stomaco, e obbedì docilmente.   

    «Sì, mamma,» disse, prendendolo in giro; e quello che rimediò in risposta fu una mestolata amichevole sulla testa, giusto per ribadire quali erano le gerarchie in cucina: mai discutere con un gigante con la sindrome della massaia. 

NOTE:

Capitolo che non aggiunge nulla di nuovo, ma avevo bisogno di zucchero perciò ecco tanto fluff :) 

A.


  
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