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Autore: Sandra Prensky    03/07/2015    3 recensioni
Ahia.
L'unica cosa che sembrava avere un senso compiuto nel marasma che regnava nella sua testa. Non c'era un solo millimetro del suo corpo che non le dolesse, che non sembrasse andare a fuoco.
Qualcuno faccia smettere quel fischio, pensava. O era solo nella sua testa? Le lacerava i timpani. Voleva solo tornare nell'oblio, dove non avrebbe sentito tutto quel dolore. La sua mente era vuota, non riusciva a formulare dei pensieri di senso compiuto, ma non le importava. Non le importava sapere chi fosse, dove si trovasse, cosa ci facesse lì o cosa fosse successo. Voleva solo che tutto finisse.
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia recò un sollievo minimo, ma meglio di niente. Almeno era riuscita a togliere le tracce di sangue che circondavano la ferita sulla gamba, così da poterne definire i contorni effettivi con più chiarezza, anche se era ancora aperta. Non sapeva ancora dire niente sulla ferita che aveva sulla testa, ma almeno sembrava aver smesso di sanguinare. Riusciva a pensare con un po' più di chiarezza, e il fischio era finalmente scomparso. Il dolore iniziò piano piano a concentrarsi in alcune parti specifiche del suo corpo, però era ancora troppo debole per fare movimenti eccessivi. Le tornò in mente il Progetto Avengers. Era diventato realtà, alla fine? Lei e Clint erano davvero diventati parte di esso? 

 

 

"Inagibile?" Chiese lei incredula alla vicina. Questa annuì. 

"Gli ultimi piani sono crollati, e per sicurezza non fanno entrare nessuno nemmeno ai piani bassi. Pare che dovremmo trovare un'altra sistemazione per la notte." 

Lei scosse la testa, esausta. Ci mancava ancora questa. Ringraziò e salutò la vicina, per poi iniziare a vagare per le strade di Manhattan. Così, si ritrovava anche senza un posto dove dormire. Pensò di andare allo SHIELD, ma dopo la giornata che aveva avuto non l'avrebbero lasciata in pace un secondo. C'era una sola persona che l'avrebbe ospitata senza fare domande o problemi. Peccato che la sua giornata era stata anche più pesante e lei si sentiva in colpa a chiedergli un favore del genere. Sospirò. Che altra scelta aveva, Rogers? Sembrava simpatico, ma si conoscevano da appena due giorni. Non aveva abbastanza soldi con sè per potersi permettere una camera in qualche albergo. Ci pensò per un po', per poi rassegnarsi e dirigersi verso casa di Clint. Arrivata davanti alla porta del suo appartamento, esitò un attimo e poi bussò. Nessuna risposta. Magari era ancora fuori. Magari era in un bar a ubriacarsi. Dopo quello che aveva passato... Era il minimo che avrebbe potuto fare. Se il siero della Vedova Nera non avesse funzionato circa come quello di Captain America, probabilmente sarebbe andata anche lei a ubriacarsi. Si girò e fece per andarsene, chiedendosi se in fondo non avesse potuto provare a chiedere a Rogers, che a prima impressione sembrava gentile e probabilmente avrebbe accettato. Era già arrivata alla fine del corridoio, quando sentì la porta aprirsi dietro di lei. Si girò e vide il viso stanco di Clint affacciarsi. 

 "Ah, sei tu. Sentivi già la mia mancanza o Stark ha deciso di portarci a mangiare shawarma anche stasera?" 

"Casa mia è stata dichiarata inagibile, grazie a quei simpatici Chitauri, e io non dormo da tre giorni. Offriresti ospitalità a una Avenger?" 

Lui sorrise lievemente e si scostò dalla porta, per lasciarle lo spazio per entrare. 

 "Solo se l'Avenger promette di non usarmi più come cavia per le sue ricalibrature cognitive." 

Lei gli rivolse un sorrisetto ed entrò. 

"Grazie." Si guardò intorno e notò che era tutto stranamente in ordine. Prima che potesse fare domande, lui la precedette. 

"Sì è il mio appartamento. Non riuscivo a stare fermo e mi sono messo a riordinare. Non so che mi sia preso, forse passo troppo tempo con te, Romanoff." 

Lei alzò gli occhi al cielo con aria divertita, troppo stanca per ribattere e intraprendere una delle loro solite discussioni a colpi di sarcasmo. Fuori dalla finestra le luci di New York, quelle che non erano state distrutte dai Chitauri, iniziavano ad accendersi mentre il buio calava. Erano entrambi distrutti, e di comune accordo scelsero di andare subito a dormire saltando la cena. Ebbero una breve discussione su dove dovessero passare la notte, ma alla fine lei riuscì a convincerlo a tenersi il letto, lei sarebbe stata comodissima anche sul divano. Si augurarono la buona notte, e appena lui chiuse la porta della sua stanza lei si lasciò cadere sul divano, esausta, senza prendersi nemmeno la briga di cambiarsi. Non aveva di certo vestiti lì, ma probabilmente, se avesse chiesto, Clint le avrebbe prestato qualcosa di più comodo con cui dormire. Decise che non aveva la forza di alzarsi e fare un tentativo. Chiuse gli occhi, ma per quanto fosse stanca, ci mise un po' prima di riuscire ad addormentarsi. Si rigirò un po', fino a quando, dopo circa un'ora, piombò finalmente in un sonno inquieto. 

Sembravano passati solo pochi minuti, quando un urlo la risvegliò bruscamente. Lo avrebbe definito disumano, se non avesse conosciuto perfettamente la voce che lo emetteva. Scattò in piedi, e senza pensare troppo alle proprie azioni si fiondò verso la camera di Clint. Aprì la porta e si ritrovò davanti a uno spettacolo a lei familiare: lui era lì, che si rigirava nel letto, nel mezzo di un incubo, e urlava a pieni polmoni. Rimase paralizzata sulla porta, perchè da vicino riusciva a definire meglio quel suono: non era un semplice grido, era il suo nome ripetuto ancora e ancora. In quel momento quel semplice soprannome, quell'innocente "Nat" a cui ormai lei si era abituata, aveva perso tutta la sua dolcezza ed era diventato una specie di orribile suono distorto, pieno di dolore. A fatica si ricosse e si avvicinò al letto. Si sedette su di esso e posò una mano sul petto di Clint, cercando di farlo stare fermo. Iniziò a chiamare il suo nome, prima piano, poi vedendo che non si svegliava sempre più forte, cercando di sovrastare quel grido. Finalmente, lui aprì gli occhi e si alzò a sedere di scatto, mettendo fine a quell'orribile urlo e iniziando a respirare affannosamente. Alzò gli occhi su di lei, che aveva ancora la mano appoggiata al suo petto, e si ritrasse di scatto, allontanandosi da lei. 

"Eri morta, eri morta! Ed è colpa mia, sono stato io a ucciderti..." Farneticava, guardandola con gli occhi sbarrati. Lei sospirò e salì completamente sul letto, per avvicinarsi a lui. 

 "Era solo un sogno, Clint. Sono qui, sono viva." Mormorò, ma lui continuò comunque a indietreggiare. 

 "Lui vuole che ti uccida... Non sei al sicuro, devi andartene subito, devi starmi lontana!" 

Lei ripensò a ciò che Loki le aveva detto. " Non toccherò Barton, non finché non ti avrà ucciso. Lentamente, interiormente, con tutti i modi che lui sa che tu temi. Poi si sveglierà il tempo necessario per vedere il suo operato... e quando urlerà gli fracasserò il cranio!". Quelle parole le risuonavano ancora in testa, come una canzone che detesti ma non riesci a toglierti dalla mente. A quanto pare Loki aveva condiviso quel piano anche con lui. Continuò imperterrita ad avvicinarsi a lui. 

"Clint, non mi ucciderai. Sei più forte di lui." Mormorò, mettendosi alla sua altezza per guardarlo dritto negli occhi. Lui continuava a scuotere la testa, con gli occhi iniettati di sangue. 

"Natasha, non posso perderti... Io... E' tutta colpa mia." Sussurrò. Lei avvicinò la mano alla sua. Lui la ritrasse di scatto, ma lei andò a prenderla comunque. 

 "Non mi perderai, Clint. Io non vado da nessuna parte." Fece un piccolo sorriso e portò la sua mano sul proprio petto, all'altezza del cuore. "Lo senti? Sono viva. Non hai niente di cui incolparti." 

 Lui sembrò finalmente tranquillizzarsi. Il suo respiro si fece pian piano regolare e non la guardava più con l'espressione spaventata di prima. Lei sorrise, rassicurante, cercando di nascondere i propri dubbi. Quanto di Loki era rimasto in lui? 

 "Grazie, Nat." Sussurrò Clint dopo un po', rompendo il silenzio. Lei sorrise e gli diede un bacio sulla guancia, mentre lui tornava a stendersi. 

 Appena si svegliò ebbe subito l'impressione che ci fosse qualcosa di strano. Sapeva per certo che era mattino, ma allora perchè la sveglia non aveva suonato? Aprì gli occhi e si ricordò di essere a casa di Clint. Si rese conto un secondo dopo di essere nel suo letto. Era ancora vestita come il giorno prima, e la maglia iniziava a essere stropicciata. Non ricordava niente di come fosse finita a dormire lì, ricordava solo fino a quando Clint l'aveva ringraziata ed era tornato a dormire. Si girò nel letto. Nessuna traccia di lui. Stiracchiandosi, si alzò e si diresse verso la cucina, sperando di avere una spiegazione. Lui era lì, seduto sul tavolo, a guardare le notizie dell'attacco di New York del giorno prima. 

 "Clint?"

 Lui si girò e sorrise. 

"Ah, ti sei svegliata alla fine. Dovevi essere distrutta ieri notte... Ti sei letteralmente addormentata tra le mie braccia. La cosa deve avermi fatto bene, però... Non ho più avuto incubi."

   
 
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