Una cornamusa
La Mini Merry II era apparsa dalla nebbia come una visione.
Inizialmente ognuno di loro aveva pensato che fosse un’allucinazione, il
desiderio che la loro antica nave venisse di nuovo a salvarli come era già
successo in passato.
Ogni pirata aveva guardato i compagni, per assicurarsi che
non fosse solo un personale miraggio dettato dalla pazzia che coglieva i
naufraghi dopo giorni sotto il sole. Ma i sorrisi, gli sguardi increduli e la
speranza che illuminava i volti dei sette ragazzi erano la migliore conferma
per quell’apparizione miracolosa: scampata chissà come al disastro, la Mini
Merry II era tornata a salvare i suoi compagni di ciurma.
In fondo, a Water Seven, Franky l’aveva detto chiaramente: «L’anima
intrepida di quella nave rivivrà nella Thousand Sunny»; l’idea che fosse stata
la nave madre morente a mandare quel satellite in loro aiuto non era da
scartare a priori: di miracoli legati alle loro navi ne erano già accaduti.
– Merry! – aveva gioito Chopper abbracciando il collo sinuoso
della scialuppa. Sanji con un agile balzo si era issato sulla Mini Merry II e
stava aiutando Franky con il trasferimento di Robin in un luogo più accogliente
e riparato dalle onde.
– Come hai fatto a trovarci? – aveva chiesto Rufy, che aveva
preso il suo posto sul sedile di prua e aveva recuperato le energie che l’acqua
di mare gli succhiava via.
La piccola barca dipinta di bianco era rimasta muta però, e stava
girando su se stessa come in balia di un debole mulinello. Franky, messo al
sicuro anche Brook, aveva notato quello strano movimento e il suo sguardo aveva
intercettato quello attento del cuoco.
Non era una corrente sottomarina a far muovere la barca.
– Non starà mica… – era impallidito Sanji, seduto accanto a
Robin e chino verso il carpentiere nell’acqua, sussurrando quelle parole perché
fosse solo l’amico a sentirle.
– Usop e Nami sono dispersi, Merry – aveva mormorato il
carpentiere accarezzando la prua della sua creatura.
La rotazione della barca si era fermata.
– Ehi! Franky! – la voce bassa di Zoro aveva interrotto
quella strana conversazione. – Proseguiamo? –
– Puoi salire anche tu –
Zoro aveva guardato dentro la scialuppa: erano già in cinque
a bordo. Sanji era sul sedile posteriorre, cavaliere per una principessa
ferita, e sulle sue ginocchia c’era Chopper, che faceva da morbido cuscino
all’archeologa. Davanti erano seduti Brook e Rufy.
– Ma Brook e Chopper non arrivano a pesare quanto un uomo
normale. Reggerà, tranquillo. Io rimango in mare.
~
Due giorni dopo, stravolti dal sole e dalla sete, i sette
pirati sbarcarono sull’isola di Skye, che era già stata avvistata da Nami nelle
loro ultime ore sulla Thousand Sunny prima che le correnti li mandassero fuori
rotta. Quando Franky vide in lontananza il profilo della montagna che ricordava
vagamente un volto umano, aveva strabuzzato gli occhi e aveva creduto fosse
soltanto un miraggio, un sogno. Aveva allertato Rufy, e poi si era unito anche
Sanji alla loro incredulità, e infine si era svegliato persino Zoro, ma non
c’erano dubbi: erano davvero arrivati vicino ad una terra emersa, finalmente
avrebbero potuto riposarsi senza la minaccia dei Re del Mare o di temporali improvvisi
che avrebbero ribaltato senza pietà la Mini Merry II.
– Siamo arrivati!! – esultò debole Rufy svegliando Brook e
Chopper – Scendiamo a terra! Scendiamo a terra! – con un entusiasmo smorzato
dalla grande stanchezza.
– Non può essere vero… – rantolò lo scheletro.
– Invece che annegati, potremo morire assaltati dagli
abitanti dell’isola – asserì debole Nico Robin con un sorriso.
– Come se glielo lasciassimo fare. Andiamo. – mormorò Zoro. Saltò
giù dalla Merry e, tuffatosi in mare, si portò sulla poppa dell’imbarcazione.
– Posso spingere esattamente come lui – ringhiò Sanji
lasciando Robin alle cure di Chopper e raggiungendo lo spadaccino.
Il rumore del fondale sabbioso che grattava contro la pancia
della Mini Merry II suonò a tutti più dolce della migliore canzone d’amore di
Brook. Zoro, Sanji e Franky aiutarono gli amici a sbarcare e trascinarono in
secca la barca poi, esausti, franarono per terra abbracciando la sabbia e
baciando il suolo, quasi impazziti per la felicità di essere, almeno per il
momento, salvi.
Qualcuno, dall’alto di un maniero sulle pendici del Profilo
del Poeta, li vide e pensò che, impazziti, stessero mangiando la sabbia.
Chopper assunse la sua forma animale e fiutò l’aria del luogo
mentre i suoi amici riprendevano fiato ed energia.
– Faaa-me... – rantolò Rufy, ormai completamente
inutilizzabile.
– Chopper – tuonò Zoro facendo quasi sobbalzare la piccola
renna – Hai sentito qualcosa? –
– C’è qualcosa di strano in quest’isola… – rispose il medico.
Annusò ancora l’aria e mosse qualche passo verso il bosco.
L’atmosfera era pregna di umidità che si incollava alla pelle
arsa dei pirati. Davanti a loro, oltre pochi metri di spiaggia di sabbia e
ghiaia grigia, cominciava un bosco cupo e fitto, irto di piante verdi e
abbondanti. Erano in una piccola baia silenziosa e dai colori bigi, regnava una
tranquillità innaturale. Guardando fra le piante, nel fitto sottobosco, si
poteva intuire la nebbia che esalava dal terreno.
– Pericoli? – domandò Zoro incamminandosi verso sinistra,
proprio dove dalla boscaglia emergeva, arrogante e satollo, un grosso salice.
Poi per la fortuna di tutti, lo spadaccino si fermò, scrutando la zona. Sondò
la zona con l’Ambizione della Percezione, ma non scorse nessun essere in
avvicinamento.
– No, non saprei… c’è qualcosa di strano – rispose Chopper,
guidato dal suo istinto.
Roronoa sospirò, stringendosi nelle spalle. Tornò verso la
Mini Merry II e prese le sue fedeli katane. Si lasciò alle spalle il gruppo di
amici e disse semplicemente: – Vado a prendere da mangiare –
– Vengo anche io! – alzò la mano Rufy cercando di tirarsi su:
il pensiero di mangiare il prima possibile con qualche belva della foresta gli
dava forza a sufficienza.
– Mi servono le erbe per curare Robin e Sanji – disse Chopper
con ansia unendosi al duo.
– Almeno siamo sicuri che riusciranno a tornare – considerò
Sanji guardandoli allontanare – Robin, tesoro, ti senti bene? – fece,
sforzandosi di sorridere.
Nico Robin era stata deposta da Franky sotto l’albero più
vicino alla spiaggia, dove la ghiaia si trasformava in roccia e il muschio
copriva la pietra; era riparata dal vento fresco che sferzava la spiaggia e
avvolta nella giacca di Sanji, la cui camicia era stata fatta a pezzi per
bendarle la spalla. La ferita era seria, ma nulla cui Chopper non potesse porre
rimedio, a patto di avere un minimo di strumenti a disposizione. Ma negli
ultimi tre giorni gli uomini sulla Mini Merry non avevano avuto che acqua di
mare, sole e i loro abiti per aiutare l’archeologa che scottava di febbre.
Sanji, nonostante la preoccupazione e i sensi di colpa per
Nami, non si era mai mosso dal fianco di Nico Robin, e adesso era seduto
accanto a lei, sul muschio, con la testa fasciata dalla manica della sua
camicia. Il Jolly Roger col Cappello di Paglia era stato issato sulla Mini
Merry, per caparbio orgoglio da pirati.
– Sto bene – sorrise educatamente la donna.
Brook vagava sulla spiaggia alla ricerca di legna abbastanza
secca per poter essere accesa. In quell’isola c’erano alberi a perdita
d’occhio, ma trovare legna da ardere si rivelò più difficile del previsto.
Tuttavia il musicista in capo a mezz’ora riuscì a radunare abbastanza
materiale, che venne poi acceso dal carpentiere con una pietra focaia.
– Speriamo che l’Alga torni con qualcosa di commestibile! –
commentò Sanji – Meno male che lui e Rufy hanno Chopper, altrimenti erano
capace di tornare con sassi e funghi velenosi! –
Brook intanto si era avvicinato all’acqua del mare che
accarezzava la sabbia della spiaggia quasi senza far rumore; lo scroscio delle
onde era lento, il mare in quella baia sembrava una distesa di olio, nonostante
il vento.
– Tre passi in
leggerezza… –
Lo spadaccino era pericolosamente vicino al mare, ma non
sembrava aver paura di beccarsi schizzi.
– Colpo Cocca di
Freccia! –
– Brook! – Sanji scattò in piedi, allarmato da quella frase.
Robin incrociò le braccia sul petto, pronta all’attacco.
– Tranquilli… – disse il musicista riponendo l’arma – Credo
che avremo qualcosa da mangiare, durante l’attesa.
Due pesci, lunghi non più di due palmi, si alzarono docili
sull’acqua calma, galleggiando ormai privi di testa. Brook si girò verso Sanji –
Potresti, per favore…? – disse indicandoglieli. Li avrebbe raccolti lui, ma non
poteva entrare nell’acqua.
Sanji prese al volo l’invito alla grigliata e in pochi minuti
il falò era diventato un’ottima cucina da campo.
– Brook, per favore – sussurrò Nico Robin mettendo da parte
parecchi bocconi della sua porzione, che era la più abbondante di tutte – Li
porti a Franky? –
Cutty Flam era rimasto seduto, immobile e solitario, dove le
onde si sporgevano sulla sabbia fredda di quell’isola autunnale. Teneva una
mano sulla poppa della Mini Merry II, issata sulla terraferma, e un’altra in
grembo, e così era rimasto da quando si era allontanato dopo aver deposto Nico
Robin al riparo. Si era allontanato dagli amici ma non era andato via, e i
ragazzi avevano preferito lasciargli un po’ di spazio dopo la tragedia cui
aveva assistito. Dava le spalle all’entroterra e l’azzurro delle sue componenti
strideva con il grigiore e il freddo dell’isola.
Perdere la propria creatura doveva essere stato un colpo
tremendo, e come aveva detto Sanji a Chopper, che si stava precipitando dal
carpentiere per dirgli di andare con lui a cercare da mangiare, era meglio
lasciarlo solo in quel momento, se aveva deciso di non confidarsi con nessuno.
Il cuoco ogni tanto gli lanciava rapide occhiate, giusto per assicurarsi che
fosse ancora lì vicino e che non prendesse iniziative pericolose, ma il Cyborg
rimaneva immobile, immerso nel suo silenzio e nella sua angoscia.
Franky era morto.
Il suo corpo era vivo, il suo cuore pulsava, il sangue e la
cola erano ancora in circolo, gli occhi mettevano a fuoco il mare azzurro e
grigio, ma lo spirito che animava i suoi ingranaggi era morto assieme a sua
figlia, trascinato sul fondo del mare da una sorte misteriosa, schiacciato
dalla pressione degli abissi.
Non pensava che al vecchio Tom, a suo padre, a quello scemo
di Fessoburg. Davanti agli occhi vacui gli scorrevano immagini confuse, vaghi
ricordi di una vita che non c’era più, il suo apprendistato da carpentiere. Non
era stato all’altezza di Tom, non era stato all’altezza della fama dei
carpentieri di Water Seven, non era stato all’altezza dei sogni del suo
Capitano.
Non era stato all’altezza di nulla.
Aveva sottovalutato i rischi, preso sottogamba il suo
incarico, valutato male i rischi del Nuovo Mondo, messo in pericolo la vita dei
suoi amici e anzi, forse, aveva ucciso due di loro. La “nave più robusta del
mondo” non era stata neppure in grado di resistere a delle correnti marine, non
era durata che una manciata di minuti, forse anche meno, prima di aprirsi come
una scatoletta di tonno e sparire sul fondo dell’oceano.
E adesso? Lui se la sarebbe potuta cavare, sarebbe
sopravvissuto, ma come poteva guardare in faccia le persone cui aveva regalato
una casa debole e fragile, le persone che si erano fidate di lui e della sua
arte?
Come aveva potuto produrre qualcosa di così dannoso?
Franky sorrise macabro. Come
aveva potuto produrre qualcosa di così dannoso? Come se fosse una novità.
Era sempre.
Stato.
Così.
– Franky? – una voce gentile si insinuò nei suoi pensieri.
Voltò lievemente la testa e vide Brook, che reggeva tra le falangi dei pezzi di
pesce sopra una foglia che faceva da piattino.
Il musicista non arretrò davanti allo sguardo che il cyborg
levò su di lui: era vuoto, senza vita, velato. Paradossalmente, erano occhi più
vuoti di quelli di Brook.
– Questi te li manda Nico Robin – disse lo scheletro
sottovoce.
Franky non rispondeva.
Dall’alto dei suoi bei novant’anni Brook sapeva che qualsiasi
parola sarebbe stata superflua, in quel momento. Non è stata colpa tua? Franky
gli avrebbe riso in faccia. Se la nave non aveva retto la responsabilità era
del carpentiere, ma certo nessuno gli avrebbe mai rinfacciato una cosa del
genere. Sanji stesso aveva detto che non aveva mai visto né sentito di una cosa
simile, e nel suo ristorante ne aveva ascoltate di tutti i colori su bestie
marine che distruggevano le navi. Ma appunto, erano bestie marine, non entità
invisibili che spezzavano il legno più robusto del mondo.
– Sai – cominciò Brook pescando nei propri ricordi – Io ho
vissuto cinquant’anni sulla mia nave. Ogni tanto mi toccava riparare qualcosa,
ma la nave ha galleggiato tranquilla nel triangolo Florian per un sacco di
tempo.
– Era stata costruita da un bravo carpentiere – mormorò
Franky atono.
– Forse – affermò Brook senza dare troppo peso alla
considerazione – Avevo ancora la mia nave, ma ho dovuto deporre nelle bare
tutti i miei amici. Tutta la mia famiglia.
Qualcosa cambiò nell’espressione vuota di Franky: stavolta
stava davvero ascoltando.
– Li ho dovuti riconoscere dagli abiti. Dai loro strumenti.
Alcune ossa erano rotolate lontano da loro con il rollio della nave. – Brook si
sedette, stancato da quei ricordi terribili. La sua voce era un sussurro
spettrale – Alcuni di loro non si erano decomposti del tutto. Il ponte era
sporco di macchie scure. L’odore per fortuna si era disperso da tempo, ma… –
Lo scheletro si prese la testa tra le mani.
– Siamo rimasti insieme per cinquant’anni, tutti scheletri
ormai… –
Chissà qual era l’espressione di Brook in quel momento. Chissà
se avrebbe avuto gli occhi lucidi, chissà se avrebbe sorriso amaramente oppure
sarebbe rimasto impassibile. La sua voce tremava mentre la mente tornava a quei
terribili momenti.
– Quindi non credere che avere una nave robusta sia la cosa
più importante. – concluse lo scheletro alzandosi e tornando dagli altri
compagni.
~
Un cavallo scivolava nella boscaglia. Macinava sotto di sé sterpi
e rami secchi mentre procedeva lento ed inesorabile tra gli alberi verdi nella
penombra di quel pomeriggio autunnale. La luce del tramonto pallido riluceva
sul suo freddo e immobile pelo mentre il suo cavaliere, aggrappato alla dura
criniera, lo conduceva con aria sicura lungo quel sentiero abbandonato. Gli zoccoli
posteriori erano ben saldi nel pesante basamento, mentre le zampe anteriori
erano sollevate rendendo l’animale eternamente rampante. La bardatura che
copriva la sua groppa scintillava di umidità, le pesanti redini di nappa
pregiata aderivano al collo robusto, la sella da parata mostrava lo splendore
di antichi intarsi.
Era un cavallo di bronzo, che con la testa arrivava a sfiorare i due metri di altezza.
In groppa a lui stava seduta a cavalcioni la giovane Pipe, che
sembrava impartire al pesante animale la direzione semplicemente col pensiero. Era
perfettamente a suo agio su quell’eterna cavalcatura, con i piedi infilati
nelle staffe di bronzo e le mani che accarezzavano il collo del cavallo. Si fermò
in una radura della foresta e si guardò attorno: i rami ondeggiavano lievi nel
vento, la bruma che si sollevava dal terreno umido nascondeva le zampe
posteriori del cavallo fino a metà altezza. La ragazza sfilò il piede destro
dalla sua staffa e si sedette all’amazzone sulla sella; si sfilò dalle spalle
il suo grosso strumento musicale che portava sempre con sé e se lo mise in
grembo, accarezzandone le canne e l’otre.
Si aggiustò la pesante gonna verde scuro, che coprì tutta la
groppa dell’animale, e si legò nuovamente i capelli con il suo nastro rosso.
Mise in bocca una delle canne, prese fiato gonfiando il petto
e il suono della cornamusa riempì l’aria.
~
I pirati di Cappello di Paglia alzarono la testa a quell’insolito
suono. Il capitano, rinfrancato dalla scorpacciata di carne, balzò in piedi e
mosse qualche passo verso la foresta. Zoro strinse le mani attorno alle else
delle sue katane, Sanji si piazzò davanti a Nico Robin con fare minaccioso.
Franky, che si era riavvicinato al gruppo, si sollevò lentamente in piedi e si
posizionò alle spalle degli amici.
– “Scotland the Brave”
– disse Brook.
– Cosa? – fece Sanji.
– È il suono di una cornamusa – spiegò il musicista
sollevando un indice con fare saccente – E la canzone che sta suonando è molto
antica, si chiama “Scotland the Brave”
–
– Si sta avvicinando – tuonò Zoro sguainando le armi.
– Sì, ma viene da quell’altra parte, idiota – lo corresse
Sanji indicandogli la parte opposta.
Un paio di spallate giusto per ricordare l’uno all’altro chi
è che comandasse, e lo spadaccino e il cuoco avanzarono fino al limitare della
foresta.
– Una sola persona – ringhiò Zoro con tono minaccioso,
rivolto a Sanji.
– Non sembra ostile – rispose Sanji digrignando i denti. Era
nervoso, avrebbe dato una gamba per una sigaretta, gli sarebbe davvero piaciuto
sfogare l’acredine polverizzando quella testa d’alga.
Il cavallo di bronzo avanzava nel sottobosco umido, mentre
Pipe ancora suonava quell’antica melodia. Emerse dalla boscaglia davanti al
drappello di naufraghi che increduli la guardavano e ascoltavano quello
spettrale concerto. Non erano nuovi a poteri legati a strumenti musicali, come
quello di Scratchmen Apoo che avevano visto all’opera anni prima, e nessuno di
loro abbassava la guardia nonostante le prime notizie fornite dall’Ambizione.
La canzone risuonava sul mare, riempiva la spiaggia
silenziosa e si depositava sui loro animi, lasciandoli in uno stato di
tranquillità e tristezza.
Franky, mordendosi le labbra per nascondere i singhiozzi,
piangeva senza ritegno; Rufy, alla vista di un cavallo di pietra che si muoveva
come per magia, aveva sgranato gli occhi e si godeva lo spettacolo senza alcuna
paura; Sanji sorrideva beato alla vista di quella talentuosa ragazza sbucata
dal nulla, come un angelo mandato dal Cielo apposta per lui, mentre Chopper era
già in fibrillazione al pensiero della sua futura prossima epistassi. Nico
Robin si issò leggermente a sedere appoggiandosi alla schiena di Franky, dietro
di lei; Zoro ascoltava, con la mandibola contratta, in attesa di un possibile
attacco anche se, ammetteva, non sembrava che quella donna rappresentasse un
pericolo.
La musica finì con una lunga e straziante nota, lasciando
tutti con il fiato sospeso. Improvvisamente la spiaggia sembrò più vuota, più
triste, più cupa.
– Ciao – esordì Pipe guardando fisso le braci del falò che
stava vicino a Nico Robin. – Voi mangiate la sabbia – affermò.
I pirati si guardarono tra loro, spaesati.
– Scendi da cavallo, mani in vista – ordinò Zoro deponendo
due katane.
– Screanzato del cazzo! – lo rimproverò Sanji arrabbiato – Ti
sembra il modo di rivolgerti ad una signorina? –
– Dovrei rendermi ridicolo come te?! – rispose irato il
vicecapitano.
– Questo cavallo è bellissimo!! – esclamò Rufy estasiato
toccando il pelo freddo e liscio dell’animale di bronzo. – Come fai a muoverlo?
Come si chiama? Vuoi unirti alla mi-
– RUFY! – lo fermò Zoro prima di irreparabili danni.
– Prego signorina, la aiuto a scendere – disse affabile Sanji
porgendo il suo aiuto a Pipe, che accettò la mano che il cuoco le porgeva e
smontò con grazia da cavallo nonostante fosse seduta parecchio in alto.
– Siete feriti – affermò la ragazza guardando la testa
fasciata di Sanji – Mi dispiace – scuoteva la testa, ignorando del tutto il
fatto che il suo interlocutore perdesse sangue dal naso. Aveva gli occhi
spalancati e fissava il petto nudo del pirata, ma sembrava assente, persa in
pensieri tutti suoi mentre gli toccava le mani come cercando qualcosa.
– Chi sei? – la voce di Zoro raggiunse le sue orecchie. Pipe
si voltò e rispose: – Mi chiamo Pipe. Abito sul Profilo del Poeta. Yama mi ha
mandato a prendervi. – scosse la testa, come a negare qualcosa. – Vi vogliamo
aiutare. Yama non è della Marina… nessuno è della Marina… –
– Che vuoi dire? – quasi gridò Rufy – C’è la Marina su quest’isola?
– Rufy… – lo fermò Nico Robin impietosita – Io… credo che
Pipe faccia fatica a capirci. –
– Guardiamarina Pipe! – sorrise la suonatrice di cornamusa.
– Vuole che la seguiamo – riassunse Chopper mentre si
occupava di Sanji.
– Che ne dici, Rufy? – lo interrogò Zoro.
– Andiamo con lei – risolse il capitano – Ci aiuterà e
potremo cercare Nami e Usop anche con il suo aiuto! –
I pirati rimasero silenziosi a soppesare l’ordine del
comandante.
– È una scelta sensata – disse Zoro.
– Mi scusi, signorina…– si avvicinò Brook a Pipe – Potrei
cortesemente vedere le sue mu-
Pipe si voltò verso lo scheletro e scoppiò in lacrime,
abbracciando il mucchio di ossa e lasciando tutti senza parole: – NONNO! –
gridò.
Dietro le quinte...
Ho poco da dire a questo giro, e non credo che a qualcuno interessi sentirmi lamentare per il caldo, cosa che non ho mai fatto in vita mia in realtà ma quest'estate mi sta davvero mettendo alla prova. Spero che Pipe vi piaccia e che i personaggi vi sembrino coerenti con il canon! Quando Brook dice il titolo della canzone che sta suonando Pipe, il titolo è cliccabile e si apre la relativa pagina Youtube (in altra scheda).
Buone vacanze,
Yellow Canadair