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Autore: kanagawa    06/07/2015    3 recensioni
"A volte, penso che sia colpa del tempo… Se tutto, prima o poi, finisce per rovinarsi. Ogni cosa… Le scarpe da basket, la neve, le persone… E a volte, mi ritorni in mente, quando meno me lo aspetto, come per prenderti gioco di me…
Quel tuo brutto vizio di incantarti mentre ti stanno parlando, in qualunque luogo e circostanza; la mania di tirarmi per una manica, quando sei eccitato per qualcosa; perfino il tuo gelato preferito, o quel spruzzo di lentiggini che il sole faceva trasparire sul tuo incarnato… So che, da qualche parte dentro di me, sei sopravvissuto, Kenji; e seppure un giorno ti dovessi smarrire, avrei sempre la certezza di poterti ritrovare, per tutte le strade di questo mondo."
Fujima stava piangendo. Stava piangendo in mezzo al campo, davanti all’intero pubblico, davanti ai suoi compagni... Davanti al Kainan univ. E non c’era nulla che potesse fare per fermarle, quelle dannate lacrime. E non voleva che si fermassero... Maki lo osservava da un angolo della palestra, il volto completamente inespressivo; e dopo un po’, senza dire una parola, se ne andò.
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Seguito di "6.766 parole, b/n". Dedicato a chiunque ami Fujima/Maki.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kenji Fujima, Shinichi Maki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Light from a dead star'
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«Avete sentito la notizia? Pare che lo Shoyo sia rimasto senza allenatore.» Uscendo dalla doccia, gli capitò di sentire questo commento, e per poco non perse l’equilibrio rimettendoci un trauma cranico. Si sistemò meglio l’asciugamano intorno alla vita e andò a sedersi davanti al proprio armadietto. «Sembra che abbia avuto un attacco cardiaco, l’ho letto sul giornale.» Un braccio infilato dentro la manica, l’orecchio rimase teso in ascolto. «Quindi adesso lo Shoyo sarà escluso dalle competizioni?» «Shh!» Bisbigli fugaci alle spalle… Naturalmente, sapeva di essere risultato spesso suscettibile a questo argomento, e ormai i compagni capivano da soli quando era il momento di rendere discrezione. «Mi sono sempre chiesto come mai il Kainan e lo Shoyo abbiano un così forte rapporto di rivalità.» …E un mattone immaginario gli cadde in testa. Questa era la voce di Jin. C’era da aspettarselo… Solitamente taciturno, le rare volte in cui apriva bocca era capace di farlo tremare.
Soichiro Jin era entrato nel Kainan un anno fa, un ragazzino dalla faccia pulita che non aveva nulla da nascondere, a parte una forza di volontà disumana che gli aveva fatto guadagnare un posto da titolare in squadra. Da poco, era diventato suo confidente personale: gli piaceva molto, Jin; non giudicava mai, ma si limitava a stroncarti con limpide verità. «…Che ne pensi, Maki?» Maledetto te, mugugnò di spalle il nuovo capitano, che si voltò, dispiegando un lungo sorriso diplomatico. Si infilò la borsa, una mano levata. «Sarà solo una tua impressione, Jin. Ora scusatemi, devo andare.» Disse e si defilò velocemente dalla porta.
Si diresse senza esitazione alla stazione e in due fermate giunse a destinazione. Tutto trafelato, Shin’ichi Maki corse fino al cancello del Liceo maschile Shoyo. Pensò di mettere via la divisa, giusto per evitare di suscitare tensioni inutili, ma forse non aveva davvero tempo da perdere…
Ansante, ormai buio, si presentò sulla soglia della palestra. Fortunatamente le luci erano ancora accese. Si ritrovò davanti a un ragazzo di due metri che spazzava l’entrata, dietro agli occhiali, gli occhi scuri sgranarono confusi. «Scusami, io sono…» «Maki del Kainan, lo so.» Fece e, senza più aggiungere altro, tornò dentro, dirigendosi verso un manipolo di giocatori con cui scambiò qualche preambolo attutito. Vide qualcuno di loro voltarsi alla sua direzione e scrutarlo torvo, e in mezzo a loro, una figura più esile si affacciò.
… Era dai campionati invernali che non lo vedeva. Sembrava ancora più pallido sotto quei riflettori puntati, una cartella stretta al braccio. Kenji… Già, ora doveva chiamarlo “Fujima”.
«Sei venuto a raccogliere il mio cadavere?» Fujima sorrise, senza guardarlo, allontanandosi in fretta dalla vista surriscaldata del Shoyo Basket Team. Maki lo seguì a ruota. «Cosa succederà ora?»
Lui si bloccò un istante. «L’hai saputo, allora…» «Voglio dire, che ne sarà della vostra squadra?» Lo disse tutto d’un fiato, e per un attimo si sentì un idiota: era semplicemente ridicolo per lui, il capitano del Kainan, preoccuparsi per le sorti dello Shoyo. Questo nuovo incarico già gli stava stretto, e il silenzio di Fujima non aiutava ad allentare la morsa. «Io…» Il ragazzo impugnò forte la cartella nella sua mano, inducendo i ritagli di alcuni documenti spuntare da un bordo slacciato. «…Avrei in mente una soluzione, ma è una follia …»
«Devi farlo tu stesso.» Lo intercettò ancora, una punta di assoluta convinzione che gli brillava nelle iridi scure. Fujima sgranò gli occhi, che poi si addolcirono lievemente. «Ho tutto il consiglio contro e la commissione sportiva poi, non ne parliamo… Un ragazzino di 17 anni e la sua presunzione, Maki Shin’ichi, quanto possono andare lontani?» Delegò una smorfia storta. E la risposta ce l’aveva già, la lesse distintamente sul viso del rivale. «…Ovvio.» Nel buio, celandosi alla sua vista, Fujima sorrise.
Non glielo disse, ma nel suo cuore fu solo gioia quando lo vide, perché in un momento simile della vita non avrebbe avuto conforto migliore che averlo accanto a sé… Il sorriso scomparve presto dal volto del capitano dello Shoyo, si rimise la maschera ed uscì alla luce. Per quanto felice fosse, non glielo avrebbe mai mostrato, mai e poi mai. «Ora vai, loro si trattengono solo per rispetto nei miei confronti.» Maki gli fece un cenno e sparì verso il vialetto illuminato.
Ora, davvero, non avrebbe avuto alcuna possibilità di scendere dal trono che si era conquistato. Forse, solo cadendo, pensò con ironia Fujima per un istante.
 
 
 
Quando gli chiedevano cosa volesse fare da grande, ogni volta, sgranando quegli immensi occhi blu, trasognato, rispondeva. «Non lo so.»
Probabilmente, nella mente acerba un’immagine sfocata si formava, ma, in definitiva, nessun adolescente poteva avere le misure del proprio futuro… A 14 anni, Fujima avrebbe voluto giocare a basket per tutta la vita. Tutta la vita, più a lungo possibile. Ora, forse, la risposta poteva essere molto diversa….
 
Alla fine, siccome il lavoro del padre procedeva a gonfie vele, la famiglia Fujima era rimasta a Kanagawa. Sulla scelta del liceo, in verità, ci fu un’accesa discussione. Per prestigio e istituzione, il liceo maschile Shoyo era stato favorito dai genitori sin dall’inizio. Sebbene il figlio manifestasse contrarietà, non ne vollero sentir ragione: loro avrebbero scelto una scuola di tutto rispetto per lui, ora che, finalmente, si erano potuti stabilire in una città.
Quella sera sul tardi, dopo aver sbattuto la porta di casa in faccia ai suoi, era corso di nuovo a piagnucolare dal suo amico. Per non destare attenzione, evitò di passare dall’ingresso principale. Sotto la sua finestra aveva raccolto un sassolino e glielo lanciò contro. Nella stanza una luce si accese e Shin’ichi vi si affacciò. In quel periodo capitava spesso e ormai avevano elaborato una prassi ordinaria: Fujima si arrampicava sui rami di un albero sporgente, e agilmente si calava in camera sua. Spesso, rimanendo a parlare fino a tardi, senza accorgersene, si addormentavano insieme. E la mattina dopo, ritrovandoselo a colazione, i genitori di Maki facevano finta di niente…
«Vieni al Kainan con me, Kenji. Andiamoci insieme! Così potrai continuare a giocare a basket!» Lo impuntava Maki, tutt’a un tratto, gli occhi scintillanti di puerile determinazione. Di tanto fervore improvviso ne rimase stupito: quasi sussultando, Fujima annuiva, le braccia strette alle ginocchia. Lo diceva per confortarlo, lo sapeva bene… Ma lo stesso, gli fece immensamente piacere. Inclinò il capo per scorgere quel sorriso riluttante tra le sue guance arrossate, le sopracciglia un po’ corrugate, Maki imprimeva le parole con una punta di apprensione. «…Promesso?»
«Sì, promesso.»
Nella notte, seduti sul tatami, bisbigliando si scambiarono quel piccolo giuramento.
 
 
※ ※ ※
 
 
 
A forza di correre, a volte, ci si dimentica di riprendere il fiato … E quando ti fermi, la spossatezza che ti assale è tale che ti sembra di sprofondare.
 
Era tutto finito, che sogno stupido. Per cosa aveva combattuto finora? Invero, non era stata inettitudine, aveva fatto davvero tutto ciò che poteva… Solo che… Era tempo che tutto avesse termine. Lo Shohoku o il Kainan, non aveva importanza. In quell’istante, non percepiva più nulla… Solo un vuoto infinito e due righe umide intorno alle guance.
Due anni di sforzi gettati al vento con una facilità da farlo tremare: d’ora in poi, nulla sarebbe stato più lo stesso. Di nuovo…
Punto a capo.
Da quel sogno, Fujima si risvegliò svogliatamente. Sua madre aveva bussato alla porta, Kazushi e Toru erano venuti a prenderlo quella mattina. Oggi non si andava a scuola, era il primo giorno delle semifinali e loro l’avrebbero visto dagli spalti.
Anche dall’altra parte della strada, il rimbombo dalla tifoseria si sentiva distintamente. Per tutto il tragitto di ritorno dall’incontro del Ryonan era rimasto zitto, rimuginando sul fatto di proseguire o meno; e un passo dopo l’altro, vi era giunto davanti. Il sole splendeva in cima al palazzetto, smerigliando la maestosa facciata argentea: non aveva mai fatto caso alla grandezza di quell’enorme edificio ovale, dentro il quale si erano consumati, una volta, gli istanti più sfolgoranti dalla sua adolescenza. Tutti i chilometri corsi negli anni e quell’abisso lacerante di ricordi e sensazioni gli erano dinanzi: quei pochi metri per arrivare all’ingresso, gli furono davvero impossibili da compiere.
Un soffio di vento gli venne in soccorso. Fujima girò i tacchi e salutò i ragazzi… Per quel giorno, aveva già visto abbastanza.
 
“Non voglio assistere alla vittoria del Kainan, né, eventualmente, alla sua sconfitta.”
 
Sono un bugiardo, lo so. Non so davvero cosa mi sia preso; forse, è stato per l’invito di Sendoh… La prospettiva da quassù è davvero diversa. Il mondo sembra più grande e tutti gli eventi giungono così lontani. Sento di poter respirare meglio, ora; e finalmente, riesco a vederti… Sei un punto minuscolo sul campo, così sfuggente e pieno di determinazione. Hai trovato un degno avversario e sei un giocatore pieno di passione; da quando, il basket aveva cominciato a rivestire tanta importanza nel tuo universo? Mi sono distratto un attimo e ora ti ritrovo completamente cambiato… Così simile a quel me stesso di quando ci siamo conosciuti, in quel campo in riva al mare. Questo mi rincuora, forse, un po’… E ti stimo, e mi piaci molto più di prima, sebbene io… Non sia più quello di una volta.
Dove andrai, io non sarò più lì con te, Shin… Ma ancora ti guarderò da qui, tra questi spalti altissimi… Anche se solo per l’ultima volta.
 

 
 
 
 
Fujima stava piangendo. Stava piangendo in mezzo al campo, davanti all’intero pubblico, davanti ai suoi compagni… Davanti al Kainan univ. E non c’era nulla che potesse fare per fermarle, quelle dannate lacrime. E non voleva che si fermassero… Maki lo osservava da un angolo della palestra, il volto completamente inespressivo; e dopo un po’, senza dire una parola, se ne andò.
Lungo il tragitto verso il pullman, Jin gli si accostò piano, guardandolo con una punta di preoccupazione. «Senti, Maki… Non credi che sia il caso di…» Il passo invariato, rinnegò veloce e inflessibile. «No, Jin…»
Vedendolo esporsi completamente indifeso al mondo, dopo essere stato spazzato via dal podio delle qualificazioni. In cuor suo, non aveva il coraggio di affrontarlo… e profondamente, si odiò per questo.
Lui, in fondo, non era così forte…
 
Per giorni, quell’incubo lo tormentò, alimentando il suo senso di colpa. … Ma per cosa poi? … E fu durante una sessione di allenamenti che sentì quella tensione giungere al culmine, a un discorso improprio di Kyota. «Quindi adesso dovremo vedercela con il Ryonan e lo Shohoku… E io che mi aspettavo chissà che dallo Shoyo!» L’intera palestra congelò alla sua uscita: anche senza guardarlo, tutti i giocatori avevano deviato tacitamente l’attenzione sul capitano, che era rimasto immobile. «Kyota, non credo siano affari nostri…» Takasago tentò di farlo tacere, ma niente; testa bacata. «Ma se per due anni ci aveva tenuti testa! …Alla fine non era poi una gran squadra!» ….A quel punto qualcosa scattò in lui. Il fatto di essersi trovato troppo vicino alla sua fortuita impertinenza, gli diede facile accesso allo scollo della sua maglietta. Lo aggredì, sollevandolo bruscamente. Vide un confuso terrore montare negli occhi della matricola, nei quali scorse il riflesso della propria collera. «Maki! Kyota stava solo scherzando, che ti prende?! …E tu vedi di piantarla, Nobu!» Jin intervenne tempestivo, afferrandogli un braccio. La voce sedante del compagno gli offrì una buona scusa per mollarlo e uscire di scena senza causare troppi danni. In un attimo, sentì tutta la furia smontarsi, come una parete che si sgretolava…. Kyota, con quei pochi neuroni funzionanti, capì che era il caso di sparire; e il resto della squadra riprese gli allenamenti, come nulla fosse.
Maki rimase sul bordo campo, il volto oscurato. Per quel giorno, non toccò più palla.
 
 
 


 
 
Si era sporto dalla ringhiera per vedere Sendoh che ansimava alla fine della partita contro lo Shohoku, e lo aveva visto, dall’altra parte dell’arena, un puntino bianco che risaliva le scale. Fujima si era voltato e aveva guardato alla sua direzione… Forse, per un breve frangente i loro sguardi si erano incrociati, ma subito si distaccarono.
Maki scese insieme ai compagni per la cerimonia di chiusura. Il Kainan, come al solito, vinceva la prima posizione.
 


 
 
 
 
C’era un ricordo che ultimamente continuava ad affiorargli… Era più che altro una sensazione. Il calore di una guancia premuta contro la sua schiena, su quella chiazza umida dove la maglietta si era incollata alla pelle sudata. Sul lungomare, stava pedalando verso casa, e dietro di lui, cullato dalla spossatezza e dalla brezza marina, Kenji si era assopito.
La voce profonda di Maki, mentre canticchiava una vecchia canzone, la schiena scossa ogni tanto dai sassolini sulla strada, gli vibrava nelle orecchie… Le risacche da lontano sfioravano i sogni….
Chissà perché, in tutti i suoi ricordi legati a Kenji, a Kanagawa era sempre estate….
 
Maki riaprì gli occhi a un’ennesima scossa sulle rotaie. Sarà per via del caldo che negli ultimi giorni impregnava la città, o forse era lo stress per i campionati imminenti, gli capitava spesso di addormentarsi in metropolitana. La testa del kohai* era afflosciato sulla sua spalla, ecco la ragione di quel dejà-vu… «Ehi, Kyota… Non mi dormire addosso, svegliati!» Lo scosse leggermente infastidito, e lo sentì biascicare nel languido dormiveglia. «Umm… Matricola numero uno…» Maki sbuffò e sospirò rassegnato, seguito dalle discrete risate di Jin, seduto al suo fianco. «Vuoi che ti dia il cambio?» …Jin, a volte, sembri proprio una mogliettina premurosa… Mi sa che l’anno prossimo ti toccherà veramente “darmi il cambio”, al Kainan… Sorrise indulgente, mentre la locomotiva rallentava all’arrivo in una stazione secondaria. …Si sarebbe dovuto ricordare il nome di quella fermata, ma in un momento di distrazione gli era passato proprio di mente… Se la si poteva definire una coincidenza, in quel periodo gliene capitavano davvero tante: ma proprio da quella porta doveva salire? Del resto, i vagoni erano due, c’era il 50% di possibilità, seppure fosse davvero incredibile incrociarsi nel flusso di migliaia di passeggeri sull’Enoden.
Portava la divisa perfino in un giorno festivo, quella camicia bianca gli conferiva decisamente un’aria seria e impeccabile, mentre conversava con un compagno di squadra, ancora all’ignaro della sua presenza. E sì, se fosse rimasto fermo e tranquillo lì dov’era, Kyota, continuando a dormire, forse potevano anche passare inosservati… Pensò per un attimo, Maki, già avvertendo quella maledetta morsa allo stomaco. Ma contro ogni sua aspettativa, fu Jin a mandare a monte i suoi preamboli strategici, levando educatamente la mano per salutare gli avversari. «Fujima-san! Qual buon vento!» Maki volle sprofondare.
Nobunaga si era svegliato di colpo, rizzandosi a sedere. Rimase a fissare il volto diafano del capitano dello Shoyo, ripassando ogni tanto su quello di Maki; zitto e inebetito, senza osare dire alcunché. «Nobu, perché non fai posto ai tuoi senpai, da bravo… Prego, Fujima-san!» ...Jin, mi chiedo se tu sia veramente quel santo che solitamente fai credere… Levando un sopracciglio, Maki squadrò il shooting guard del secondo anno con un cipiglio di scetticismo. «Ma lui non è un mio senpai…» Kyota si alzava di malavoglia borbottando, ma, saggiamente, preferì non polemizzare a oltranza.
Con un po’ di riluttanza, Fujima si accomodò.
«Dove state andando così presto?» Sorrise Jin, flesso in avanti per scorgere meglio il viso del proprio interlocutore. «A scuola, abbiamo gli allenamenti in programma oggi.» Rispose Fujima, con soave naturalezza. «E voi…?» «Andiamo a Nagoya a vedere la Stella di Aichi!» Scattò su, Kyota, con una punta di candido entusiasmo, per poi venire fulminato nell’immediato dal suo capitano. «…Certo.» Elaborando tacitamente l’informazione, l’allenatore dello Shoyo annuì con un discreto sorriso. «Moroboshi sembra in forma quest’anno… Sarà una stagione interessante.» Commentò serenamente, e poi vi fu silenzio. Lungo silenzio.
Lui non ci sarebbe stato quest’anno a Hiroshima… Tutti quanti, Maki compreso, lo pensarono in quell’istante; tuttavia, nessuno osò redimere queste parole…
Giunti nuovamente a una stazione, Jin levò i tacchi, la borsa in spalla. «Bene, ragazzi. Io vi saluto! Buon proseguimento!» L’unica presenza neutrale della compagnia era scesa a tradimento dal treno, lasciando il quartetto completamente sprovveduto a guardarsi intorno, con aria imbarazzata.
A ogni scossa del vagone, le loro spalle si sfioravano. Maki non diceva una parola, studiandosi intensamente le punte delle scarpe. La testa frullava in un brusio di pensieri. Sarebbe stato meglio dire qualcosa… Ancora non si era espresso a proposito dei risultati delle qualificazioni, da quel giorno… Ma le parole proprio non gli venivano, disgregate in un mare di angoscia a ricordare come quella mattina era scappato via vedendolo in lacrime, all’ignobile menefreghismo dispiegato nei suoi confronti… Sapeva quanto Fujima fosse orgoglioso, e probabilmente, ora come ora, non avrebbe accettato parole di conforto da parte sua… Già, in fin dei conti, cos’erano, ormai, loro due? Erano stati compagni, erano stati avversari, ma ora…. Cos’era rimasto? …Ancora, quel fremito di rabbia si faceva strada dentro di lui… Maki strinse i pugni, inerme, ingoiando un bolo di amara sconfitta.
-Izumino! Stazione di Izumino!- La voce dell’altoparlante lo scosse dal torpore. Fujima si alzò, seguito da Hanagata. «Fatevi onore alle nazionali…» Disse con un sorriso. Maki ebbe un tonfo al cuore. Di nuovo, quella sensazione…. Certo, l’ultima volta che avevano preso il treno insieme…. All’apertura delle porte, lui scese adagio. Era stato così che l’aveva fregato quella volta: in un fremito, ricordò nitidamente quel senso di totale inettitudine e smarrimento. Forse, non avrebbe avuto un'altra occasione… Maki scattò in piedi, mentre l’allarme incalzava l’imminente chiusura delle porte. «Fujima!» Lui si voltò sorpreso dalla linea gialla. «Io…» In quel momento, lo sportello si richiuse tra di loro, inghiottendo le scie confuse della sua voce.
Scossa leggera, il treno ripartì.
…. Maki abbassò la fronte rabbuiata, da solo, contro la porta, bisbigliò. “….Mi dispiace.”
 
 
……… Sai di mare, Shin…” La guancia posata sulla sua ampia schiena, Fujima gli aveva mormorato nel dormiveglia, con un filo di voce disperso tra le onde.
Ormai non erano più due ragazzini di 14 anni. Era tempo di lasciare andare certi ricordi e di crescere. Maki lo sapeva bene, e con impeto se lo impresse nella mente. 
 
 

※ ※ ※ ※
 
 

Il cielo pesava mesto sulle loro teste, minacciando l’ennesima burrasca all’orizzonte. Maki le aveva dato appuntamento al parco. Seduti su una panchina spoglia, per un lungo minuto stettero in silenzio.
I lunghi capelli castani le nascondevano leggermente il viso; e forse, già aveva compreso cosa le stesse per dire…
«Mi stai lasciando?»
Lo sguardo lontano ritornò verso terra, Maki sospirò. «Mi dispiace.» Ed era sincero, come lo era sempre stato. Per quei tre anni che erano stati insieme, Yukari era sempre stata comprensiva nei suoi confronti, regalandogli un senso di equilibrio e di sicurezza che, forse, non si sentiva di meritare. Lei che non si mostrava mai meno delle sue aspettative e non si concedeva facilmente all'emotività, quella volta l'aveva vista sorridere con un’ombra di amarezza negli occhi. «È ancora… quella persona?» Quella voce vibrava matura, seppure di un fremito leggero sembrava tingersi, nelle sue orecchie. «Anche quando stavi con me, lei c’era sempre. In tutti questi anni… Ero solo io che fingevo di non vederla.» Maki sgranò gli occhi, sorpreso, ridestando un battito di turbamento.
“Lei ”?
La ragazza si alzò, ponendosi di fronte a lui. Chinò la fronte e gli diede un bacio leggero sulle labbra. Accarezzandogli il viso, sorrise ancora piena di malinconica tenerezza. «Spero che ti vada bene, Shin’ichi-kun… Chiunque lei sia.»
 
 
Maki non era uno stupido. Se negli anni se ne fosse accorto, non lo avrebbe certamente rinnegato. Forse, in quel momento aveva compreso qualcosa… Uno spiraglio sottile, che pure continuava a sfuggirgli. Non aveva mai preso in considerazione quell’eventualità, o forse, non lo voleva vedere in sé. Invero, sarebbe assurdo pensare che… Che lui…
Perché aveva deciso di lasciare Yukari, proprio ora? Non riusciva a dare una risposta definitiva a questo interrogativo, seppure sapesse di aver agito in piena coscienza.
Quella persona.
Tra le pieghe delle tempie, si era insinuata una lieve emicrania. Forse era il caso di incontrarlo e di chiarirsi; magari, eventualmente, scusarsi per il proprio comportamento… Ma non trovava la forza di farlo. Continuamente, gli balenava davanti agli occhi l’immagine di Fujima, quel giorno d’estate… L’eco argentino delle sue risate in mezzo alle onde…. Cangiante evanescenza, come in un sogno ricolmo di malinconica felicità. Maki si stringeva le palpebre nella notte, cercando di trattenere quelle scosse beffarde; e sempre più, il cuore vi era sommerso, bruciandogli in petto.
 
 
 

※ ※ ※
 
 
 


Maki sollevò il cellulare nell’intento di schiacciare il tasto di chiamata… Nell’arco di una mezzoretta avrà ripetuto quell’azione compulsiva per almeno una decina di volte, ma, nuovamente, un fremito di rabbia nelle iridi scure, lo mise via.
«Maledizione …»
 
Pioggia martellante nelle orecchie… In questa stagione, una devastante umidità impregnava tutto quanto, gli edifici, gli abiti, la coscienza… Il che, non faceva che acuire il suo mal di testa incipiente. Era tutta colpa del tempo atmosferico, senza dubbio.
 
«Il capitano… Non vi sembra un po’ strano ultimamente? Non fa che fissare il cellulare ed è sempre distratto, anche se per il resto si comporta come al solito…» Seduto nello spogliatoio, un pomeriggio di allenamenti, dopo un lungo e timoroso indugio, Kyota si faceva avanti con questo interrogativo. «…Jin, tu ne sai qualcosa?» Il numero 6 si volse dal proprio armadietto, un asciugamano sulla spalla. «Mh, pare che di recente si sia lasciato con la sua ragazza.» «Che?! Aveva la ragazza??!» La matricola strabuzzò tragicamente gli occhi, la bocca spalancata in un’inequivocabile lettera “O”. -Nonostante l’invadenza e l’idiozia congenita, Nobunaga Kyota era fondamentalmente un ragazzo molto affettuoso: di questo, Jin non aveva il minimo dubbio.- «Sì, Yukari Sasamiya della terza sezione…» Perdendo la mascella sul posto, enfatizzò lui ancora. «Coosa?! Quella figa??» Una gocciolina d’ironia sulle tempie, Jin sorrise con fare impacciato. «Bé, sì… Ma perché ti stupisci tanto?» Fece pazientemente, ma il kohai era già partito per la tangente, il cervello viaggiando per anni luce di trame sconce, e un principio di bava all’angolo della bocca. «…..Ma pensa te, Maki senpai…»
 
 
 


Una lattina di Pocari in mano, asciugandosi la fronte madida, Jin rientrava in palestra per finire i suoi consueti 500 tiri giornalieri, quando si rese conto che qualcun altro si stava ancora allenando a quell’ora tarda…
Il pallone rimbalzò sgraziatamente sul ferro, mancando in pieno il canestro. Maki si concesse un attimo di respiro, massaggiandosi il polso dolorante. «Non dovresti sforzarti tanto prima delle finali.» Lui sbuffò complice, senza girarsi. «Me lo dici proprio tu?» Appoggiò l’asciugamano sulla panchina e tornò verso il centro campo, il pallone rotante tra le mani. «Bé, sai, per me è solo una dose quotidiana...» Disse, il tono disgregato a metà frase, e subito collaudò il canestro con un primo, inappuntabile tiro da tre. Maki sospirò, fissando il cerchio ancora vibrante. «A questo punto non saprei cos’altro fare... per non pensare a niente.» Pronunciò poi, in risposta a una domanda che non gli era stata posta.
Jin rimase dietro di lui, studiandosi in silenzio quelle spalle infelici. «Sei preoccupato per la partita di dopodomani?» La parete in fondo si accendeva di un rosso vivo, rimembrando le ebbre sfumature del tramonto: la griglia delle squadre selezionate vi emergeva contro, pallida e solitaria, un’incognita ancora incompleta. Volto reclinante, il capitano riponeva il peso delle iridi dietro alle palpebre...
Il torneo invernale era entrato nella sua fase più incandescente, tra due giorni, le teste di serie di ogni girone sarebbero scese in campo per disputarsi l’unico biglietto di accesso alle nazionali: il Kainan in testa, seguito dallo Shohoku, il Ryonan e… Appena rientrato tra i best four, dall’ultima posizione, il Liceo Shoyo.
 
«Temi di incontrarlo?»
Lo espose, senza alcun preambolo e senza specificare alcun soggetto. Per la prima volta, si era sentito rivolgere quell’interrogativo da lui, pur non avendogli mai confidato nulla del genere. Maki deviò lo sguardo, sorridendo appena, come per confutare l’imbarazzo. «…Jin, ti prego..» «Perfino Kyota sta cominciando a preoccuparsi per te, Maki… A questo punto, sputa l’osso!» Il compagno ribatté impettito, nessuna piega di duttile emotività che ne inclinasse il cipiglio severo.
Lui si prese alcuni secondi di sterile contemplazione, incapace di respingere la sua disamina. Sospirò, e lo rifece, per poi strascicare fuori la voce ancora indeterminata. «….Penso di essermi sforzato di batterlo in tutti questi anni, solo per evitare di doverlo affrontare… Sono veramente un codardo…»
Un leggero fremito di palpebre, Jin aspettò a chiedergli. «E ora, cos’è cambiato?»
Maki perorò il silenzio. Poi, come se non gli appartenesse affatto quella voce atona, circoscriveva da lontano l’eco di una frase indugiata a lungo dentro di sé. «….È l’ultima partita, e io …temo di perderlo.» In quel momento, sembrava che per assurdo si stesse riferendo al campionato, ma Jin le seppe distinguere nel suo farfugliare greve, le sillabe erranti sfuggite alle fessure delle sue dita incrociate davanti alla bocca.
Con calma e discrezione, si sedette accanto a lui, sorreggendone il profilo ottenebrato, lo sguardo mitigato di fraterna indulgenza. «Senti, Maki… Perché non mi parli un po’ di lui? …Insomma, è sempre stato così freddo e distaccato?» Gli occhi sospesi nell’immenso vuoto della palestra, Maki emise uno sbuffo leggero, breve baluginare nel semibuio. «No… Temo di aver conosciuto un Kenji Fujima molto differente da come lo conoscete tutti voi…» Levò lentamente la fronte verso i grandi riflettori spenti, spettri sbiaditi nell’aria immota della sera. «…A quel tempo, era tutto diverso… il basket, lui.…»
 
Per tutto il tempo che parlò, come mai gli era capitato da quando aveva messo piede nel Kainan, quello spicchio di sorriso era rimasto a illuminargli il volto, incapace di dissimularsi. Seduti alla fermata, le rispettive borse sportive sulle spalle, la voce grave di Maki rimbombava tra i vicoli della notte.
«È sempre stato il basket, lo so… Ma quella volta, pensai che quello era il solo modo per tenerlo ancora legato a me. Avrei dovuto capire che prima o poi sarebbe finita comunque, ed è impossibile pretendere di trattenerlo; lui è fatto così, non è mai cambiato. Io, invece… mi chiedo cosa ci sia che non va in me… Da quando, ho cominciato a non poter più fare a meno della sua amicizia?» Le mani pendule a ricoprirgli la fronte, per celare il peso di quelle palpebre affrante. «….Non sai cosa darei… per riaverlo indietro…» Aveva masticato a fatica queste parole, soffocando un fiato di rabbia inerme e strisciante. Eppure, è solo un “amico”. Certamente, pensò, Jin stava tirando le stesse conclusioni… E l’unico idiota al mondo che si tormentava era solo lui; perché, di certo, Fujima non… «Però, da come ne parli, c’è qualcosa che non torna…» Jin lo aveva ascoltato senza scomporsi minimamente, un’increspatura sulla fronte arieggiata; infine, prese a puntellare questa vaga incognita. «Fujima-san avrebbe potuto benissimo scegliere il Kainan, eppure sapeva che entrando nello Shoyo avrebbe avuto ben poche possibilità di continuare a giocare a pallacanestro dopo il liceo, non credi, Maki?» Lui scosse il capo, convinto. «No, questa è la ragione per cui si era allontanato da me, e…» Per il suo orgoglio, e per il basket… «No, ascolta, Maki.» Si frappose spazientito, bruscamente. «È proprio questo il punto! Se davvero dici che il basket era la cosa più importante per lui, perché avrebbe fatto una scelta simile, compromettendo il proprio futuro? Non ha alcun senso...»
Il capitano si passò una mano sui capelli, sottraendosi al suo sguardo; nervosamente, ribatteva. «Ma cosa vuoi che ne sappia...» O forse, non lo voleva davvero sapere. Gli costava troppo ammettere la verità; ciò che provava… Perché nel momento stesso in cui aveva lasciato la sua ragazza…. Ancora, quella terribile stretta allo stomaco… No, Fujima non… «Non lo capisci, Maki??» Jin si drizzò in piedi, esponendo la lealtà dei suoi 1.89 cm, mentre il tram delle otto giungeva puntuale alle spalle.
«... È ovvio che Fujima-san ha scelto te, al posto del basket che amava tanto!»
Le porte si aprirono e Jin ci saltò su, domandandogli di fare altrettanto, ma lui non rispose. Al secondo scampanellio, senza caricare altri passeggeri a bordo, il vagone si mosse nuovamente alla partenza, squarciando le tenebre silenziose.
Quella notte, Maki tornò a casa a piedi.
 
 

※ ※ ※
 


No, non era possibile …
Con la sensazione di essersi svegliato di soprassalto da un lungo e torbido sogno, Maki passò la notte a tempestarsi di futili indugi, per niente intenzionato ad abbandonarsi al sonno. No, non avrebbe più dormito, ora, che sapeva…
Il giorno dopo, la sera prima della partita contro lo Shoyo, gli andò sotto casa, riparandosi in una cabina telefonica, mentre la pioggia imperversava leggera fuori. Gli ci erano voluti quattro mesi per trovare il coraggio… Finalmente lo chiamò e, perentorio, gli chiese di incontrarsi.
 
Lo vide arrivare di corsa, non si era nemmeno preso la briga di procurarsi un ombrello, limitandosi al cappuccio di una leggera felpa. Maki uscì dal riparo, stringendosi nella giacca della divisa, mentre una folata gelida gli ricordava l’umidità di un mare d’inverno, poco lontano. Le mani in tasche, indugiando sulla ghiaia bagnata, si era appoggiato contro lo sportello della piccola cabina, senza dire una parola. Lo sguardo ancora sospeso, indeterminato…
«Hai intenzione di dirmi qualcosa, o continuiamo a decantare la pioggia?» Sbottò tutto d’un tratto Fujima, il sopracciglio arcuato e i tratti serafici imperturbati. Maki continuò a non guardarlo, in quell’aria vagamente indifferente, eppure grave. Pian piano ridestando, in un sussurro profondo, incominciò: «Ho lasciato la mia ragazza.»
Fujima rimase interdetto un istante. «E perché me lo stai dicendo?»
Solo allora, si girò verso di lui, fissandolo dritto negli occhi, con severità. «Lo sai benissimo….»
Il suo volto rimase del medesimo cipiglio, durezza gelida e impenetrabile. Ogni atomo del corpo ne percepiva l’ostilità immobile, distintamente sentendosene trafiggere. Rise freddamente, dopo un po’. «Davvero, non ne ho idea...» E si passò sprezzante una mano sui capelli, lo sguardo obliquo.
“Per poterti onorare come proprio avversario, piuttosto che ricadere alla tua ombra e essere dimenticato da te… Ma questo, di certo, Fujima non poteva dirtelo. La forma del suo orgoglio, è probabilmente molto più complicata di quel che credi, Maki. Il motivo per cui aveva scelto lo Shoyo….”
A questo punto, conoscere la verità, a cosa poteva servirgli? Tutto stava volgendo alla fine; loro due… Questa storia. E per quanto lo si potesse desiderare, nulla sarebbe potuto cambiare. Lui non poteva smettere di essere il capitano del Kainan, così come Fujima non avrebbe mai rinunciato al suo orgoglio smisurato. Ora che lo vedeva finalmente in faccia, aveva la sensazione di essersi sognato tutto il giorno prima: credere di poter rivestire tanta importanza in quel serto di spine che era il suo cuore, era, di per sé, impossibile. Ancora… Gli sembrava di sentire il rumore delle onde, tra i vicoli di quelle vie umide e desolate. In qualche luogo sospeso, fotogramma sbiadito, il calore dell’estate risuonava nello scintillio delle sue risa fragorose, infrangendosi contro le risacche. Era così, che avrebbe voluto ricordarlo, sempre….
«Sai quando sei venuto da me, quella sera di tre anni fa? Io… Lo dicevo sul serio.» A testa bassa, lo vide estrarle dalle tasche, le mani disarmate che si esposero alla sua vista; e impercettibilmente, la superficie degli occhi si increspava di una leggera onda. Poteva ancora sentire i rintocchi del proprio cuore mentre pronunciava quelle due scarne e tentennanti parole, e quanto in quel momento gli erano sembrate sincere… “Sì, promesso.” «So che questa rischia di essere una delle ultime volte che ci vediamo… Probabilmente, d’ora in avanti, ognuno prenderà la propria strada e sarà difficile riuscire a rivedersi ancora. Ma così và la vita, dico bene?» Si rafforzò di un sorriso mesto, guardandolo teneramente. «Volevo augurarti buona fortuna, Fujima. Sei stato molto più di un amico per me… Mi spiace solo di non essermene ricordato prima.» Prese fiato, inumidendosi il labbro, prima di aggiungere. «E sai, alla fine, il basket non era poi così importante… Io volevo, solo, poterti incontrare….»
Rimasero l’uno di fronte all’altro, senza più cenno di sorta; senza, nemmeno guardarsi ancora… Poi, infine, Maki si risollevò di un passo, staccandosi dalla cabina telefonica. «… Quindi.…» Cercò le parole dentro di sé, ma non ne rinvenne altre. «.…Bé, lo sai.» In una smorfia, facendo spallucce, si risolse a concludere. Accennò un sorriso e se ne andò.
Lo sai …
Immobile sotto la pioggia, incapace di compiere alcun passo, il respiro assottigliato da brividi repentini. Sentiva freddo, mentre una bolla di calore gli montava in gola. Fujima prese a tremare, senza accorgersene, realizzando finalmente che quelle appena udite erano parole d’addio.
… Accadde così all’improvviso, che nemmeno ebbe il tempo di sortirne il colpo. Lo sai cosa?? Era venuto fin qui, con un giorno di anticipo, solo per biascicargli contro queste indeterminatezze? Non riuscì a distinguere la rabbia dal panico che inopportuno lo assaliva, inchiodato in un sussulto di smarrimento. Susseguirsi di pensieri idioti e sconnessi, la propria voce che estraniava fievole... «Aspetta…» un solo verso involontario, trattenuto, a spezzarsi sul filo delle labbra. «…Aspetta, Maki….» Non era così che doveva andare... Si disse. E se non era così, come si aspettava che andasse a finire? Era chiaro che ormai, ogni parola, promessa, era bruciata per sempre... Passivamente, ascoltava i suoi passi farsi sempre più evanescenti. Un fremito di esasperazione negli occhi, aveva continuato a ripetere quella parola come un meccanismo inceppato, ma, ormai, lui non poteva più udirlo. «…Aspetta, as-…..» come soffocare, la voce di Fujima. Sul punto di scoppiare, il cuore traboccava.
«….Shin!»
Attraverso il velo di pioggia, Maki si sentì chiamare per nome.
Si arrestava, incredulo, per accertarsi di averlo udito davvero: lo vide che si ergeva tremulo nella gelida foschia serale, i pugni stretti ai fianchi, e alla vista di quelle guance arrossate e completamente devastate, qualcosa di inatteso scattò in lui... Tornò rapidamente verso Fujima e, senza pensarci, lo serrò tra le braccia.
Gli occhi ormai liquidi e il volto bagnato dalla pioggia, Fujima emise un ansito confuso, del tutto sconvolto. «Stupido, stupido…» ripeté Maki, stringendolo più forte a sé per comprimere i fremiti irrefrenabili di quel corpo esile; senza capire ancora cosa fosse un abbraccio ...Non credeva che potessero essere così gracili, queste spalle tenaci che lo avevano tenuto testa per tre anni…
Due rivoli caldi gli scesero lungo le guance, ma erano differenti da quelli versati sul campo… Di queste lacrime, non comprendeva ancora il sapore, pur rasentandone l’infinita nostalgia e dolcezza, come se le conoscesse da sempre... Sotto la pioggia, il cuore a brandelli, Fujima si imprimeva il calore di quel petto sconosciuto nella memoria.
 
 
Quella sera, non voleva proprio smettere di piovere.
Nella testa, uno stormire di informazioni apprese nell’ultima ora che non riusciva ancora a delineare, ma, nonostante questo, in quella stanza tanto familiare il corpo sostava in una quiete surreale. Erano tre anni che non ci metteva piede. Non era cambiato nulla, i soliti poster dell’NBA e la luce soffusa della lampada da scrivania, solamente che, ora, tra di loro, qualcosa di inesplicabilmente differente si era venuto a posare…
I vestiti zuppi, si erano riparati in fretta dentro casa. Seduti sul pavimento di tatami, tentativamente, Fujima allungava un fazzoletto verso quel volto disastrato dalla pioggia, ripassando piano sulle tempie: gli occhi arrossati e un’espressione perduta, intrisa di malinconia. Maki prese quella mano con fervente delicatezza, premendosela contro il fiato. E il pezzo di stoffa scivolava inerte… Nell’incavo del palmo indugiavano le labbra, per poi migrare lentamente verso il polso, dove le vene sottili trapelavano; lo sguardo magnetico teso sugli occhi blu del rivale, in un singolo battito di ciglia che lo fece fremere e arrossire prepotentemente. Rifuggendo la vista, la mano di Fujima sgusciava via nell’attrito della sua morsa, andandosi a nascondere tra le ginocchia. Maki percepì il suo repentino disagio, ma, stranamente, questa risvolta ebbe solo effetto di acuire la consapevolezza del suo corpo. Un leggero slancio e si sporse verso di lui, prendendogli il volto tra le mani.
Le fronti si toccarono… Infinitesimale secondo.
Relativamente confuso, Maki annaspava ancora, vacillando a un soffio da quelle labbra delicate e precarie. Sentiva le mani di Fujima sulle braccia, forse, nell’intento di trattenerlo; e in quel tremore dolce e ostile, ingoiando un nodo doloroso, lo baciò. Un tentativo malcerto, suggerito, di estenuante intensità. Ogni carezza, una fitta lacerante al cuore. Istintivamente, le dita scivolavano alla nuca, stringendosi ansiose alle radici della sua chioma setosa fino quasi a strappargliele, ma il respiro si tratteneva, costringendosi così, nel timore di spaventarlo. Dopo un po’, non ce la fece più e, lentamente, dovette lasciarlo.
Fujima boccheggiava, la mente frastornata, il cuore che scoppiava di sensazioni ignote e avverse. Qualcosa di sbagliato, di molto simile alla felicità, da quasi annientarlo; il suo primo bacio.
Distendendosi accanto e guardandosi l’un l’altro, Maki gli accarezzò i capelli per tutto il tempo, senza dire una parola... Li prese la spossatezza dolcemente, così accoccolati, si addormentavano, e in sogno, furono ancora insieme.
 
 


※ ※ ※
 
 


Faceva così freddo che quella piccola precipitazione in poco tempo era divenuta nevischio. Tempo di rifugiarsi in un luogo chiuso, e le strade si sarebbero imbiancate, senza fretta.
La neve, decisamente, non gli piaceva… Ora, più che mai, l’estate pareva lontana.
Dentro al palazzetto dello sport, l’aria era quasi incandescente, come se le stagioni e gli umori del mondo non lo riguardassero affatto; del resto, era un mondo a parte, fatto di altre accezioni e temperature… Al sedicesimo minuto del secondo tempo, Akira Sendoh tirava le somme della vittoria che si sarebbe consumata di lì a poco. Tra pochi minuti, avrebbe avuto inizio il secondo incontro atteso del giorno, e tutti, ormai con il cuore in gola, rincorrevano al pensiero di ciò che veniva esaurendosi: il tempo infinitesimale che il distacco ravvicinato dei punteggi esasperava.
… C’era calma nello spogliatoio, troppa calma. Tutti sembravano tranquilli, forse giusto un poco eccitati per la prima partita.
Maki si sedeva immobile su una panca, curvando il peso della schiena. Da una parte, distrattamente, sentiva il cicaleccio delle matricole… Si era già cambiato, ma ancora teneva nascosta la divisa sotto la felpa, con un cipiglio teso che incuteva timore. All’improvviso, si levò in piedi, disperdendo le occhiate loquaci dei compagni. Senza curarsi del balzo all’indietro che fece Kyota al suo scatto repentino, se ne andò, sbattendo la porta.
La targa recitava eloquente dall’altra parte del corridoio: nero su bianco, discretamente S. Shoyo. Il capitano del Kainan vi sostava davanti esitante; poi, sospirando pesantemente, bussò alla porta.
Gli aprì il vicecapitano, squadrandolo dall’alto del metro e 98. «Scusa il disturbo, cercavo Fujima.» Piazzò conciso le proprie presentazioni ufficiali. «Mi dispiace, ma è uscito un attimo; gli posso riferire qualcosa?» Rispose Hanagata, la mano indugiante ostile sul pomello della porta. Maki considerò di sottecchi quella frase atona, reperendo il sottostrato di omissioni. «Capisco… Nulla, grazie.»
Hanagata chiuse la porta, rilasciando un sospiro. «Sei proprio sicuro?» Chiese. Dietro al battente, una giacca verde-bianca appoggiata appena sulle spalle, la figura severa di Fujima si allineava.
«Sì.» Bisbigliò grave, senza nemmeno guardarlo.
 

Ci sono cose che non sono in grado di dirti, Shin’ichi Maki. Dimmi pure che sono spietato; questo è, e basta.
Quella notte, ho visto ancora il pontile da cui eravamo soliti a tuffarci, la pelle umida arsa dal sole… Eri lì con me, la mano sudata che stringeva la mia, infinitamente. So che tutto questo non potrà mai accadere, non agli occhi del mondo, non sotto quel cocente sole estivo che tutto illumina e tutto annienta… Di certo, una parte di me, lo aveva desiderato, pur sapendo che non c’era speranza…. Per me, tu che eri come un fratello, Shin, da tempo ormai, non so più che cosa siamo… E ancora cambieremo un giorno, e ci disconosceremo, forse, amandoci… Questo, non potrebbe bastarti?

 

Ormai, le parole non servivano più… Non aveva la certezza che Maki lo avesse compreso, ma, alla fine, non gliene importava un granché. Per nulla al mondo sarebbe venuto meno alla propria natura, anche a scapito di ferire le persone intorno a sé. Sempre un passo avanti, rifuggendo, intento a farsi inseguire… Perché in fin dei conti, non conosceva altro modo di vivere e di amare.
Fujima si mise le fasce bianche, risollevandole fino ai piegamenti dell’avambraccio; lo sguardo a terra, imperscrutabile. In quel momento, dall’altra parte del campo, il Kainan univ faceva il suo ingresso. Anche senza vederlo, ugualmente, ne captava la presenza distinta in mezzo alla confusione del palasport, imprescindibile magnetismo. Nell’ovazione precoce del pubblico, sentendo l’adrenalina salire, Maki si tolse finalmente la felpa, per esporsi armato di solo e monumentale carisma; in un gesto abituale, si stirò i capelli bruni all’indietro con entrambe le mani, scacciando gli ultimi indugi dietro la nuca.
Ed erano lì, quel giorno, quando per l’ultima volta il Kainan incontrava lo Shoyo sul campo della prefettura, perché non ce ne saranno altri nell’a venire. Ciò che erano stati e ciò che saranno, un’intera vita racchiusa in quel piccolo rettangolo, intensamente amplificato in una semplice partita di pallacanestro. Niente più e niente meno.
Scoccò l’ora e le squadre scesero in campo. Sugli spalti, adagiati preventivamente ai lati opposti, rossi e blu mare, stavano i testimoni di questa fugace generazione; loro, forse, un giorno conosceranno più impervie trame e conflitti, ma questa è un’altra storia…
Era la fine di tutto. Due anni, 11 mesi e 25 giorni di passioni e turbinanti contraddizioni, di parole sospese, non dette, rinnegate, impossibili da recidere…. Fujima si tese in avanti, fissando negli occhi il rivale di fronte a sé, l’attimo prima del fischio d’inizio, inavvertitamente, gli sorrise. Una sfida, o forse una promessa… Qualunque cosa fosse, Maki, come al solito, non lo comprese.
E avrebbe giurato, di aver già avvertito un tempo questa sensazione…. Non c’erano riflettori, né abbacinanti incomprensioni; solo loro due, e un campo di basket in riva al mare.
 
Un giorno di fine estate, a Kanagawa…
 

Saremmo potuto essere amici, compagni, rivali … o amanti; ma non importava, perché eravamo noi.
Qualunque cosa succeda, sarai sempre tu, per me solamente, quell’esistenza fondamentale e insostituibile nell’universo. L’unico al mondo che abbia mai potuto ferirmi, e battermi. Di questo, solo, sono convinto, Kenji Fujima; qualunque cosa accada da questo istante in poi, non dimenticarlo mai…

 









 


*Kohai: il contrario di senpai, quindi il compagno di scuola di grado minore.

Prima parte: "6.766 parole, b/n"
E sì, ammetto che adoro i siparietti Kainan Univ (Kyota è uno spasso da scrivere; e Jin mi sa tanto di uno che sa il fatto suo...).
Quindi è da reputare un lieto fine? Chi lo sa.... Preferisco lasciare in sospeso il risultato della partita (a parte che sappiamo già come andrà a finire, grrr...); per quanto adorabile sia questa coppia, è difficile che riescano a "stare insieme felicemente". Fujima semplicemente è cresciuto come un vagabondo e questa infanzia gli ha plasmato il carattere, rendendolo qualcosa di effimero a sua volta. Spero si sia capita la sua logica, non volevo esporlo troppo, doveva, per principio, rimanere un personaggio molto ermetico. 
Effettivamente, per arrivare a questo punto, fin dall'inizio doveva esserci stato un qualche tipo di attrazione. Ma non voglio inquadrarlo come un yaoi, è qualcosa che va al di là dell'amore... E forse, l'amore stesso, non era così importante: perché era Fujima; e perché, erano loro due. 
Buona estate a tutti! 
Kana_











 
 
 
  
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