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Autore: LadyFel    18/01/2009    4 recensioni
"Mio fratello. Edward." Angel è sicura che la sua famiglia sia morta per la spagnola, ma ancora non sa che suo fratello è ancora vivo, seppure non più umano. In un momento di profonda rabbia e tristezza urla il suo nome e a Forks, Penisola Olimpica, un giovane vampiro si sveglia piangendo, tormentato da strani incubi.
Se vi piace fatemelo sapere! Baciotti ;)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voci dal passato - Triste destino
Voci dal passato

Capitolo 2. Triste destino

"Sveglia ragazze!! E' ora di alzarsi, il vostro primo "ultimo giorno" di scuola vi aspetta! Coraggio fanciulle!" chiamò a gran voce le due figlie Ruth, dalla cucina.
Al piano di sopra, passi di corsa, da destra a sinistra.
"Sono in ritardo, mia cara?" le chiese il marito Jeremia mentre sorbiva il proprio caffè e leggeva il giornale del mattino.
"Quasi...diciamo che se per una volta arrivano in anticipo non farà male.." rispose dolcemente la moglie, mentre rigirava le frittelle.
Un trambusto nel corridio indicò loro che le figlie erano arrivate.
"Buongiorno papà!" esclamarono in coro le due ragazze appena entrate in cucina.
"Buongiorno ragazze, a colazione!" rispose loro il padre, invitandole a sedersi.
"Buongiorno mamà" salutai Ruth, schioccandole un bacio sulla guancia.
"Buongiorno cara...coraggio mangiate che poi vostro padre vi accompagna a scuola"
Un moto di insofferenza ci prese.
"Oh mamma, ma siamo grandi ormai...non sarebbe ora di andare a scuola da sole?" chiese mia sorella, mentre io mi buttavo a pesce sulla frittelle, come al solito ottime.
"Non se ne parla Judith. Anche se siete grandi, non mi va che andate in giro da sole, specialmente in questa stagione...". Quando mia madre diceva qualcosa, quella era l'ultima parola.
Judith si arrese.
Finita colazione, ci mettemmo le giacche, salutammo nostra madre e ci infilammo in macchina, dove nostro padre ci aspettava già.
La scuola non era molto lontana da casa nostra, avremmo potuto andarci da sole. Ma fin da piccole Ruth ce lo proibì.
"Eccoci arrivati, fanciulle. Passo a prendervi alle sei. Buona giornata ragazze!" disse Jeremia lasciandoci sul marciapiede a debita distanza dalla scuola. E' vero che non potevamo andare a scuola da sole, però per lo meno non dovevamo subire l'imbarazzo di scendere dalla macchina proprio davanti all'ingresso.
"A stasera papà, buona giornata!" risposi, salutandolo con la mano quando se ne andò.
Appena la macchina non fu più in vista, Judith si liberò del golfino: sotto aveva una camicetta assai più provocante.
"Jude...e quella da dove arriva?" chiesi sconvolta.
"Ma dai sorellina...me la sono comprata l'altra settimana".
"Mamma l'ha vista?"
"Ovvio che no! Le sarebbe preso un colpo!"
"Lo puoi ben dire..."
"Oh dai Miry, lasciati andare un po'...Ci sono tanti bei ragazzi che ti muoiono dietro...sciogliti sorellina, sei troppo tesa..."
"Oh scusami se io penso prima all'Università che ai ragazzi..." le risposi, lasciandola all'ingresso e dirigendomi direttamente in classe.

"Miry, ti vuoi muovere? Papà sarà già fuori che ci aspetta...spicciati..." ululò Judith, mentre aspettava che io finissi di parlare col professor Frank, quello di biologia. Quando finalmente uscii, vidi arrivarmi incontro Mark, il primo dei miei spasimanti, ossia quello di più vecchia "cotta", che risaliva alle elementari.
"Sorellina buttati...Ti aspetto fuori..." mi sussurrò Jude, togliendomi la pinza dai capelli, che ricaddero sciolti sulle spalle, liberi.
"Ehm...ciao Miriam...." cominciò lui, rosso in viso.
"Ciao Mark..." risposi per cortesia. Non lo avevavo mai potuto soffrire.
"Senti...ehm...domani sera mi chiedevo se eri libera...magari potevamo uscire..."
"Mark lo sai che mia madre non vuole che usciamo la sera..."
"E dai...Vengo a prenderti a casa..."
"Mark...mi dispiace...ma i miei sentimenti per te sono sempre gli stessi...non sei il mio tipo...scusami...ora devo proprio andare..." gli risposi, piantandolo in asso lì su due piedi.
Presi la porta quasi di corsa. E mi bloccai.
Judith non c'era, non era in vista, e nemmeno lo era l'auto dei miei.
"Che siano già andati via, senza aspettarmi, per farmi riaccompagnare da Mark? Se la trovo la distruggo a Jude: prima lo scherzo dei capelli, ora questo..."
Passavano i minuti, e di mia sorella o di mio padre nessuna traccia. Decisi di correre il rischio e mi incamminai verso casa.
Man mano che mi avvicinavo, sentivo nell'aria uno strano odore...dolciastro e nauseabondo. Mi misi a correre.
Quando arrivai a casa mia, rimasi impietrita dall'orrore. Mio padre, mia madre e mia sorella erano tutti e tre lì davanti a me, a terra, mezzi nudi, dissanguati. Morti.

Caddi in ginocchio, e le lacrime uscirono da sole, senza freni. Piansi. Oh, quanto piansi quel giorno. Uno dei vicini chiamò la polizia, e anche l'ospedale.
Ma sapevo che non c'era più niente da fare.
Rimasi accasciata a terra per un tempo infinito, mentre intorno a me si alternavano poliziotti e medici legali.
"Morti. Tutti e tre. Ci sono segni di morsi, sembra che siano stati azzannati dai cani o da qualche altro animale".
"E l'altra figlia?"
"È sotto shock, ma sta bene, fisicamente intendo. Non era in casa al momento dell'accaduto".
Solo allora, un poliziotto decise che era il caso di tirarmi su da terra. Mi fecero sedere sulla lettiga dell'ambulanza, controllando che stessi bene.
Poi un uomo si avvicinò. Sembrava il capo.
"Miriam...puoi dirmi dov'eri questo pomeriggio alle 17.45?"
"Si, ero a scuola e parlavo con un ragazzo. Si chiama Mark Leaders" risposi noncurante, non riuscendo a staccare lo sguardo dai cadaveri dei miei genitori e di mia sorella.
"Tuo padre doveva venirvi a prendere, a te e a tua sorella?"
Annuii.
"Mia sorella mi ha lasciato sola con Mark ed è uscita, dicendo che mi aspettava fuori...Non posso credere che sia successo...non a me...non di nuovo..." risposi scuotendo la testa e scoppiando a piangere.
"Di nuovo?"
"Il mio nome vero è Angel, Angel Masen. I miei genitori e mio fratello Edward sono morti di spagnola, diciotto anni fa. I coniugi Breil mi hanno adottata che avevo pochi mesi" raccontai e ricominciai a piangere.
Il poliziotto si allontanò, tornando verso i suoi sottoposti, due ragazzotti che si stavano occupando di far portar via i corpi.
"Allora, capo?"
"Povera ragazza. Era la sua famiglia adottiva. La sua vera famiglia è morta di spagnola diciotto anni fa" spiegò l'uomo, passandosi una mano sulla fronte, sinceramente dispiaciuto.
"Che triste destino, povera fanciulla..." osservarono i due, altrettando amareggiati.





Note dell'autrice: come noterete, ho cambiato un pochino l'ambiente, per avvicinarlo il più possibile al presente. Anche se i fatti sono rimasti gli stessi.
Ringrazio di cuore le otto persone che hanno inserito la mia storia tra le preferite e tutti coloro che la stanno leggendo.
Grazie a RiceGrain per il commento, leggi questo, vediamo se ti piace.
Grazie anche a Alice Brendon Cullen per il "troppo brava", sono contenta che ti sia piaciuta.
  
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