Voci dal passato
Capitolo 1. Mio fratello
Capitolo 1. Mio fratello
Mio
fratello. Edward. Occhi verde mare, capelli color rame. L'unico ricordo
che ho di lui. Il suo viso dolce che mi guardà dall'alto,
sorridendomi. E io felice, allungo le manine, cercando quel viso dolce
e carico d'amore.
Io, un piccolo angioletto, come mi chiamava mia madre. Capelli color dell'oro, occhi verde acqua, bocca sempre sorridente.
Dopo quel primo ricordo felice, la memoria si fa nebulosa. Un unico sprazzo. Mio fratello chinò sulla mia culla, con le lacrime agli occhi. Mi chiama, piangendo. Mi stanno portando via, per chissà dove.
Non lo avrei mai più rivisto.
Il ricordo successivo mi porta in una stanzetta buia. Io piango, ho fame. Un viso sconosciuto mi sorride, mi prende in braccio e mi sfama. E' dolce quel sorriso, ma mai quanto quello di mio fratello. Altri due visi mi guardano entusiasti. Uno molto simile a quello di mio padre, e tuttavia biondo. L'altro dolce e sorridente, più piccolo di quello di mia madre.
La mia nuova famiglia.
I ricordi della mia infanzia sono sprazzi di coscienza, sempre più frequenti man mano che cresco.
All'età di sette anni chiesi ai miei genitori adottivi chi fossero i miei veri genitori. Mi spiegarono che la mia famiglia era stata colpita dalla spagnola, una malattia terribile. E che probabilmente erano tutti morti. Non piansi. Loro due mi avevano adottata otto mesi dopo la nascita della loro primogenita, mia sorella Judith. Quando ero arrivata da loro, il mio nome era Angel. Loro lo cambiarono, seguendo la loro religione, in Miriam.
Mi hanno allevata con tanto amore, permettendomi di non seguire la loro religione. Dentro di me sentivo uno strano vuoto, come se mi mancasse qualcosa. Judith e io siamo sempre state ottime amiche, vere sorelle. Ci confidavamo l'una con l'altra, e facevamo fronte comune contro chi ci dava contro. A scuola io ero più brava di lei, mentre lei era quella corteggiata da tutti i maschietti, fin dalle elementari.
Non che io non avessi spasimanti, tutt'altro. Ma i ragazzi non mi interessavano più di tanto. Judith mi suggerì per lo meno di provarci, che probabilmente quello che mi mancava era l'amore. Tuttavia preferivo starmene da sola, seduta sul tetto di casa nostra, a leggere o a guardare il tramonto.
A sedici anni ero la prima del mio corso, e Judith la più ammirata e desiderata.
Nonostante questo, i suoi voti erano quasi pari ai miei, e questo rendeva molto orgogliosi i nostri genitori.
Mio padre ripeteva spesso che era una benedizione avere due figlie così studiose e così in gamba.
Non l'ho mai preso troppo sul serio, anche se mi faceva piacere sentirglielo dire.
Quell'anno, il nostro diciottesimo compleanno, si preannunciava spettacolare, in tutti i sensi. Mio padre aveva ricevuto una lauta promozione e mia madre aveva ottenuto la cattedra a cui aspirava da parecchi anni.
Io, un piccolo angioletto, come mi chiamava mia madre. Capelli color dell'oro, occhi verde acqua, bocca sempre sorridente.
Dopo quel primo ricordo felice, la memoria si fa nebulosa. Un unico sprazzo. Mio fratello chinò sulla mia culla, con le lacrime agli occhi. Mi chiama, piangendo. Mi stanno portando via, per chissà dove.
Non lo avrei mai più rivisto.
Il ricordo successivo mi porta in una stanzetta buia. Io piango, ho fame. Un viso sconosciuto mi sorride, mi prende in braccio e mi sfama. E' dolce quel sorriso, ma mai quanto quello di mio fratello. Altri due visi mi guardano entusiasti. Uno molto simile a quello di mio padre, e tuttavia biondo. L'altro dolce e sorridente, più piccolo di quello di mia madre.
La mia nuova famiglia.
I ricordi della mia infanzia sono sprazzi di coscienza, sempre più frequenti man mano che cresco.
All'età di sette anni chiesi ai miei genitori adottivi chi fossero i miei veri genitori. Mi spiegarono che la mia famiglia era stata colpita dalla spagnola, una malattia terribile. E che probabilmente erano tutti morti. Non piansi. Loro due mi avevano adottata otto mesi dopo la nascita della loro primogenita, mia sorella Judith. Quando ero arrivata da loro, il mio nome era Angel. Loro lo cambiarono, seguendo la loro religione, in Miriam.
Mi hanno allevata con tanto amore, permettendomi di non seguire la loro religione. Dentro di me sentivo uno strano vuoto, come se mi mancasse qualcosa. Judith e io siamo sempre state ottime amiche, vere sorelle. Ci confidavamo l'una con l'altra, e facevamo fronte comune contro chi ci dava contro. A scuola io ero più brava di lei, mentre lei era quella corteggiata da tutti i maschietti, fin dalle elementari.
Non che io non avessi spasimanti, tutt'altro. Ma i ragazzi non mi interessavano più di tanto. Judith mi suggerì per lo meno di provarci, che probabilmente quello che mi mancava era l'amore. Tuttavia preferivo starmene da sola, seduta sul tetto di casa nostra, a leggere o a guardare il tramonto.
A sedici anni ero la prima del mio corso, e Judith la più ammirata e desiderata.
Nonostante questo, i suoi voti erano quasi pari ai miei, e questo rendeva molto orgogliosi i nostri genitori.
Mio padre ripeteva spesso che era una benedizione avere due figlie così studiose e così in gamba.
Non l'ho mai preso troppo sul serio, anche se mi faceva piacere sentirglielo dire.
Quell'anno, il nostro diciottesimo compleanno, si preannunciava spettacolare, in tutti i sensi. Mio padre aveva ricevuto una lauta promozione e mia madre aveva ottenuto la cattedra a cui aspirava da parecchi anni.
Ancora
non sapevo che quell'anno la mia vita avrebbe perso e riacquistato il
suo senso in meno di una settimana, che avrei trovato la mia vera via,
il mio vero io.