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Autore: Kanako91    18/01/2009    3 recensioni
VERSIONE ABBANDONATA E IN RISCRITTURA
Da millenni, la guerra tra Inferi e Divinità tormenta la Terra dei Cinque Popoli. La vittoria di uno dei due avversari porterebbe gravi conseguenze anche per gli altri Popoli.
Umana e senza capacità magiche, la Regina d'Ovest Alexya decide di guidare un esercito in cui si riuniscono i regni neutrali, per concludere la guerra.
"La Guerra Millenaria, cugina. Io diventerò colei che sarà ricordata in tutto il Mondo Profano, per i secoli a venire, come l'unica ad aver posto fine allo scontro eterno tra Divinità ed Inferi. Già mi ci vedo, in piedi davanti ad Al che mi implora perdono." [Tratto dal capitolo I]
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Grazie a myki, Dark Magician e quigon89.

Per questo capitolo consiglio l'ascolto di Eyes On Fire di Blue Foundation (http://it.youtube.com/watch?v=DTj1cXJEn34) dall'uscita dal Liocorno e Wild Rover di Týr (http://it.youtube.com/watch?v=leVxwYdteJs) per il primo livello di Sung'bar.
Buona lettura ;)


II.
Gli Inferi




Marihus oltrepassò la soglia del Liocorno, lasciandosi alle spalle la porta scorrevole di vetro e pestando un tappeto scarlatto, che attraversava tutta la hall e saliva le scale fin dove giungeva l'occhio. Le luci dorate accoglievano i visitatori in un caldo abbraccio di lusso e luminosità. Il maggiordomo camminò a testa alta nella sala semi-deserta, precedendo la sua signora ed Hanan che perdevano tempo a guardarsi attorno ammirate.
L'uomo si avvicinò al bancone dietro il quale un giovane e due donne trafficavano indaffarati tra plichi di fogli e specchi per le comunicazioni. Marihus poggiò un gomito al piano, con aria superiore, ma si sgonfiò subito quando il ragazzo, il cui nome sul cartellino era Sand, lo accolse con un sorriso smagliante, studiato a perfezione.
«Losdihe, signore! Dite pure», lo accolse Sand, continuando ad impilare fogli. (1)
Marihus assunse un'espressione afflitta davanti a tutta quella cordialità. Il ragazzo sembrava una macchinetta e lui si sentiva uno stupido che parlava ad un giocattolo.
«Beh, dovrebbe essere stata prenotata una camera...»
«A che nome, signore?»
Il maggiordomo roteò gli occhi. Non gli dava nemmeno la possibilità di parlare, che diamine! Prese quel gesto come una sfida e disse la frase successiva a gran velocità, senza che però si capisse una singola parola del suo discorso. Tuttavia, l'espressione di Sand non mutò.
«Scusate la mia disattenzione, potete ripetere?», domandò gentilmente il ragazzo.
Marihus stava per rispondere come avrebbe fatto con un demente, pregustandosi la vittoria, quando sentì una mano artigliargli il braccio con forza disumana. O meglio, poco femminile. Senza nemmeno voltarsi sapeva chi fosse.
«Alexya dei Thenesharum, grazie», replicò al suo posto la regina, continuando a stringergli con forza l'arto. Marihus fece una smorfia sofferente e cercò di liberarsi della mano di Alexya, inutilmente.
«Losdihe, Vostra Grazia» la salutò Sand, allungando la mano verso una scatola divisa in sezioni. Non degnò di uno sguardo la tesserina che prese a colpo sicuro e la porse alla ragazza. «Spero che godiate del vostro soggiorno al Liocorno, milady».
Con un sorriso e qualche frase di circostanza, Alexya si allontanò da sola verso l'ascensore in fondo alla sala, proprio di fianco alle scale di marmo color crema. Sulla parete vi era una mappa dell'albergo che la regina si fermò a consultare, rigirandosi tra le mani la tessera. Marihus le andò incontro, con le braccia dietro la schiena.
«Milady, non vorrei essere scortese, ma le vostre stanze sono nell'ala Sud e per accedervi bisogna uscire dall'edificio, passare da sotto i portici e giungere nella struttura alla destra di questa, giungendo dal cortile», le fece notare casualmente il maggiordomo, parlando veloce.
«Oh, l'avevo capito» ribatté Alexya, con tono acido. «Stavo osservando l'intera mappa per memorizzarla in caso di necessità. Sai che non c'è mai nulla...»
«...che non possa essere imparato, bla bla bla.» concluse Marihus, scocciato. «Ora, se invece di citare vostro padre a tempo perso, vi decidete a recarvi nelle vostre stanze...»
«Giusto», lo interruppe Alexya, annuendo. «Vado a farmi un bel bagno e poi corro al primo livello».
Marihus stava già per iniziare la sua solita serie di lamentele ed Alexya si voltò per uscire dalla hall. Passando davanti al bancone, salutò con un cenno del capo i tre umani che risposero con un coro di “buon divertimento”. Varcarono la soglia della porta scorrevole e svoltarono a sinistra, sotto i portici di pietra di un tenue ocra.
«Hanan dov'è?» domandò Marihus, notando solo allora l'assenza della dama di compagnia della regina. La ragazza fece per rispondere ma si bloccò.
In fondo al colonnato un gruppo svoltò ed avanzò nella direzione di Alexya e Marihus. Un uomo ammantato di rosso sangue procedeva in capo al quartetto e, man mano che si avvicinavano, si distinse alla destra del primo una giovane donna dai capelli color platino, raccolti in un'elaborata acconciatura, con occhi blu e vestita di un elegantissimo abito color borgogna. A seguire, un Elfo dai capelli castano scuro, fermati dietro la nuca, le orecchie lunghe ed appuntite, piene di orecchini ad anello che scintillavano e occhi di colori differenti: il destro era celeste, il sinistro dorato. Infine, un giovane vestito di un'umile mantellina di lana grezza, con la chioma blu notte e due ciocche bianche legate in modo da sembrare orecchie di lupo.
Marihus, non appena riconobbe chi si stava avvicinando, afferrò il braccio di Alexya, che aveva iniziato a decelerare fino a fermarsi, gli occhi spalancati. Un brivido le percorse la schiena nell'incontrare gli occhi penetranti del capogruppo.
«Milady, passiamo dal cortile» le suggerì a mezza voce il maggiordomo. Ma sentì su di sé lo sguardo gelido dell'uomo in rosso e si pentì di aver parlato. Ormai era troppo tardi. Alexya li aveva incontrati, ormai.
Il giovane uomo che precedeva tutti proseguì col suo passo fluido e felino, né troppo veloce né il contrario. I capelli corvini scendevano lunghi, lisci e perfettamente ordinati lungo la schiena e sulle spalle muscolose, che si intravedevano pur nascoste dai vestiti, e nascondevano il lato mancino del suo volto, mentre l'altra metà era sovrastata da una frangia lunga. La sua carnagione era di un candore simile alla neve, i lineamenti del suo viso erano ben definiti ed eleganti. Gli occhi dal taglio allungato avevano le iridi color argento liquido. Il formale vestito nero era corredato da bottoni recanti il simbolo del suo regno, le Terre d'Ombra: un pipistrello nero stilizzato le cui ali si incontravano in aria, seguendo il cerchio argenteo in cui erano contenute.
L'uomo rallentò nell'avvicinarsi ad Alexya e la guardò con attenzione, studiando ogni particolare con la curiosità di un predatore. Schiuse un attimo le labbra sottili, come se volesse dire qualcosa, ma passò oltre, lasciando che i capelli d'ebano ed il mantello cremisi svolazzassero alle sue spalle. Attaccati alle sue orecchie, scintillarono degli orecchini che la regina notò con stupore. Gli anelli d'argento erano trascurabili, non volevano dire nulla, ma i pendenti dalla montatura di avorio, una perla nera sferica ed una allungata grigia,  non facevano altro che ribadire l'identità della creatura misteriosa.
Il resto del gruppo passò affianco ad Alexya e solo la donna bionda le prestò attenzione, lanciandole uno sguardo minaccioso.
Quando il quartetto si fu allontanato, Marihus mollò la presa dal braccio di Alexya e proseguirono, senza parlare fino alla stanza della ragazza. La domanda su Hanan rimase senza risposta, finché l'ancella non raggiunse correndo i due.
«Perdonatemi, ho dovuto dare le indicazioni sui bagagli ai facchini e sono andata in bagno» spiegò ansimando.
Marihus degnò di poca attenzione Hanan, che si lasciò andare sul un divano della suite. Alexya sospirò rumorosamente.
«Quelli erano Inferi», disse la ragazza, con tono incerto, rivolgendo uno sguardo indecifrabile al maggiordomo. Non attese la risposta dell'uomo e proseguì, guardandosi allo specchio dell'ingresso. Si passò le mani sul viso, ricordando con un certo imbarazzo la sua reazione al re Infero. Si voltò verso Marihus. «Quell'uomo...»
«Lord Nicholas» la corresse il maggiordomo, con una certa tensione. Non voleva per nulla al mondo che la ragazza si interessasse tanto a quell'Infero. Era troppo pericoloso, chiunque sano di mente non si sarebbe impicciato troppo di lui.
«So come si chiama, per Niharn!» si lamentò Alexya, tornando al suo comportamento consueto. «Comunque, chi era quella gente con lui? La bionda mi avrebbe squartata sul momento...»
«Eh, quella è Irene, la sua promessa sposa ed è un membro del Clan Canthao, quindi è un demone. Dell'Elfo si conosce solo il nome, che dice tutto a suo riguardo: Vaenihum, il veleno dolce come il miele che uccide nelle più atroci sofferenze. Inoltre, pare che sia il braccio destro di milord. Il piccoletto straccione è un Nobile di Niha, il messaggero Chester» le spiegò Marihus, sedendosi su una poltrona. Si grattò il mento e notò con orrore di aver bisogno di radere al più presto la barba. Era imperdonabile.
Mentre il maggiordomo era perso nei suoi pensieri estetici, Alexya ordinò ad Hanan di prepararle il bagno. Poi fece un rapido giro della suite, notando che vi erano presenti anche delle piccole stanze per la servitù, con spartani letti a castello. L'ala designata a lei era molto lussuosa, più della sua stanza allo Smeraldo. Alexya si consolò pensando che almeno lei aveva cose utili e funzionali in camera. Quando Hanan le annunciò che era tutto pronto, andò nella stanza da bagno e la trovò talmente immensa, che iniziò a rodersi d'invidia, soprattutto alla vista dell'enorme vasca con tanto di idromassaggio.
«Metti in ordine le valigie e vieni a controllare che non sia affogata tra mezz'ora» fu l'ordine di Alexya all'ancella.
Marihus sussultò a quelle parole e si rasserenò subito sentendo la risata della regina. Ma Hanan non si lasciò ingannare. La conosceva meglio di lui. Si appostò vicino alla porta chiusa, allarmata.

Alexya immerse la testa sott'acqua, per bagnarsi di nuovo i capelli, e poggiò la testa al bordo della vasca, giocherellando con le bolle di sapone. Stava cercando in tutti i modi di non tornare con la mente all'incontro di poco prima, ma irrimediabilmente gli occhi argentati dell'Infero le si palesava dinanzi agli occhi, quasi lo vedesse di fronte a sé. Si passò una mano sul volto, soffocando una risata di scherno.
«Sto impazzendo», biascicò.
Lanciò uno sguardo alla sua mano sinistra, sgombera da qualsiasi gioiello. Attorno all'anulare, però, si vedeva un tatuaggio formato da ghirigori di inchiostro nero che si chiudevano attorno ad una runa rappresentante l'iniziale del suo nome. Ogni Regina d'Ovest aveva tale decorazione, che veniva impressa sulla sua pelle appena diventata donna. Solo coloro che possedevano magia conservavano quel marchio, che altrimenti sarebbe svanito dopo alcuni giorni. A lei persisteva, nonostante i grossi dubbi di tutti coloro che la conoscessero, perché lei non aveva mai dimostrato alcuna dote magica. Quella sua mancanza le bruciava dentro da quando aveva visto per la prima volta Helena prendere lezioni di magia. Si sentiva sbagliata, debole, inutile. Così aveva compensato la carenza con la forza e l'abilità combattiva.
Ed ora che le sembrava aver raggiunto un certo equilibrio, aveva incontrato sul suo cammino creature che rappresentavano ciò che avrebbe voluto essere: potente, forte e immortale. Gli Inferi non sarebbero stati gli unici, anche le Divinità erano dotate di grande potere magico, ma queste ultime erano a lei più distanti. Si prese il viso tra le mani, mentre rivedeva lo sguardo di Nicholas fissarla nel profondo.
L'aveva usata, quell'Infero aveva usato la magia su di lei. Le aveva invaso la mente con la Voce e lei non era stata capace di opporre resistenza, si era annullata dinanzi a lui. Non era stata più padrona dei suoi pensieri. Solo ora se ne accorgeva, lontana da quella creatura e dalla sua influenza. Si sentì più impotente che mai e fu quasi tentata di immergersi completamente nella vasca, mettendo fine a quella vita inutile. Tanto non aveva fatto ancora nulla di notevole, aveva solo progetti che sarebbero stati vanificati dalla sua incapacità. Non le serviva vivere senza uno scopo. Si lasciò scivolare in acqua. Non aveva nessun compito da portare a termine, nessuno che dipendesse da lei. Era sempre lei a dipendere dagli altri. Lei era totalmente inutile. La schiuma le solleticò le guance.
Poi, due occhi argentati. Sobbalzò e si mise a sedere di scatto.
In quel momento, Hanan aprì la porta con cautela. «Milady, avete terminato?».
Grazie ad Al è viva, pensò l'ancella vedendo la schiena della sua regina fuori dall'acqua. Quello di prima era stato davvero uno scherzo. Oppure non aveva avuto l'opportunità di attentare alla propria vita. Non era passata ancora mezz'ora, Hanan non ce l'aveva fatta a calmarsi. Sebbene Marihus ne fosse ignaro, altre volte la ragazza era stata estratta dall'acqua prima che smettesse di respirare definitivamente. Nemmeno la regina Helena non era mai stata informata di quei gesti sconsiderati della cugina, ma le serve più vicine ad Alexya avevano imparato a star molto attente ai bagni che la giovane regina era solita fare, soprattutto dopo qualche evento che la lasciava un po' scossa.
«Sì...» fu la risposta esitante di Alexya, che non si voltò a guardare la donna.
Hanan andò a prendere i vestiti puliti da far indossare alla ragazza, già più tranquilla, e guardò Marihus seduto in salotto, con lo sguardo sperso.
«Cos'è successo mentre io non c'ero?» domandò al maggiordomo.
L'uomo la guardò perplesso. «Perché?».
Hanan si mise le mani sui fianchi e sollevò gli occhi al cielo. «Curiosità» mentì. «Allora?»
«Ci siamo imbattuti in Lord Nicholas e la sua combriccola. Perché?» insistette lui, per nulla convinto dalla precedente risposta della donna.
L'ancella fece una smorfia. Ecco perché era strana. Aveva già sentito parlare degli Inferi e, conoscendo la sua giovane padrona, di sicuro dovevano averle lasciato qualche traccia nell'anima. Il genere di segno che le avrebbe fatto venir voglia di un bagno. «Grazie ad Al!» sbottò stringendosi le mani davanti al petto.
Tornò da Alexya, ignorando Marihus che continuava a far domande, non avendo capito il senso dell'esclamazione della serva. Prese un asciugamano e chiese alla ragazza di alzarsi dall'acqua, per poterla coprire.
«Milady, tutto a posto?» le domandò esitante Hanan.
Lo sguardo ferito che le lanciò Alexya non le fu di conforto. «Sono fregata». Quel che aveva appena detto non aveva alcun senso. «Quegli occhi mi hanno fermata, Hanan...» sussurrò la ragazza distogliendo lo sguardo dalla serva.
Hanan trattenne un sorriso. Aveva provato ad uccidersi, ma si era fermata. Avrebbe dovuto ringraziare... «Gli occhi di chi, milady?»
«L'Infero...» Nicholas, pensò Alexya, mordendosi il labbro. Stava parlando troppo dei fatti suoi. Perché si sentiva così annichilita? Non aveva in sé un briciolo di forza.
Quando la regina fu pronta, Marihus notò che Alexya era un po' giù di morale ed assente. E tutto sembrava influenzato dal suo umore nero. Le posò una mano sulla spalla, mentre lei teneva lo sguardo rivolto fuori dalla grande vetrata del salotto.
«Non volevate fare un giro al primo livello?» le ricordò il maggiordomo.
L'espressione di gioia che assunse la ragazza rinfrancò gli animi di Marihus ed Hanan.

Saliti sulla carrozza che li avrebbe condotti al ristorante La Mandragola, gli Inferi rimasero in gelido silenzio per gran parte del tragitto. Vaenihum lanciò un'occhiata al suo signore e lo vide assorto, con un'espressione inconfondibile nei suoi occhi di freddo argento: stava tessendo la sua tela e non fu difficile all'Elfo comprendere chi fosse stata la causa scatenante. Lui sapeva sempre quel che Nicholas voleva e pensava. E faceva di tutto per essergli d'aiuto.
«Nicholas...» lo chiamò Irene, con la stessa espressione ferita di poco prima, quando si erano lasciati alle spalle i due Uomini.
Il re non le rivolse la sua attenzione. Non era di alcuna utilità prestare attenzione alle farneticazioni gelose della promessa sposa. Lanciò uno sguardo a Vaenihum.
«Lady Irene, vostro fratello vi manda i suoi saluti», la informò l'Elfo, per distrarla con chiacchiere oziose, che avrebbero liberato il suo signore dalla donna.
«Come sta?»
Chester fece una smorfia di disgusto. Era così semplice imbrogliare Irene, per Nicholas. Ma lui non si scomodava mai, mandava Vaenihum a fare quel genere di lavoro sporco, che era quasi un'estensione del sovrano. Lui non ne avrebbe tratto nessun vantaggio, solo un po' di tranquillità per i suoi ragionamenti contorti. La mente del re era sempre al lavoro, non poteva perder tempo lanciando l'osso alla sua promessa sposa quando essa diventava petulante.
Era la Regina d'Ovest, alla mano sinistra aveva l'anello. Le parole di Nicholas echeggiarono nella mente di Vaenihum, che non si distrasse dalla conversazione inutile con Irene.
Ma non aveva un briciolo di energia magica, aggiunse l'Elfo.
L'ho notato. Eppure aveva l'anello. È necessario studiarla da vicino, replicò il sovrano. Decise che Irene era stata distratta abbastanza e ruotò il capo verso di lei. Le prese il mento con una mano e la costrinse a guardarlo, mentre si chinava verso il suo viso.
«Dicevi». Premette le labbra fredde su quelle rosse e piene di Irene. La sua voce era carezzevole ed avvolgente, nonostante il tono freddo.
La donna rimase disorientata. Si aggrappò alle spalle di Nicholas, sperando in un approfondimento di quel contatto, ma lui era in attesa di una risposta che non giunse. Improvvisamente Irene non ricordava più cosa la tormentasse tanto.
«Se non era nulla di importante, la prossima volta cerca di non disturbarmi» concluse Nicholas, con un ghigno crudele.
Lui le lasciò il volto ed Irene aggrottò la fronte. Era sicura che fosse qualcosa di importante, ma non ricordava proprio niente. Presa dai suoi pensieri, non notò lo sguardo impietosito di Chester. Quei due non facevano altro che giocare con quella donna. E lei nemmeno aveva la possibilità di rendersene conto.
Vaenihum lanciò uno sguardo di minaccia al messaggero, che fece cenno di aver compreso il messaggio. Chester guardò Nicholas con gli occhi rivolti fuori dal finestrino della carrozza. Cosa aveva in mente il suo re?
Con uno scossone, la vettura di fermò davanti alla Mandragola ed il cocchiere scese dal suo posto guida, per apprestarsi ad aprire lo sportello della carrozza ed abbassare lo scalino. Per prima uscì Irene, reggendosi la vaporosa gonna con una mano, mentre l'altra usava il cocchiere come appoggio per facilitare la discesa. La seguirono Chester e Vaenihum. Nicholas fu l'ultimo a lasciare la vettura e congedò il cocchiere, ordinandogli di posteggiare il mezzo nello spiazzo laterale al ristorante e di tenersi nei paraggi. Dopo di che, l'Infero si avviò verso l'ingresso del locale e, non appena varcò la soglia, il proprietario gli fu incontro, seguito dalla giovane e bella moglie.
«Lord Nicholas, quale onore!» lo accolse l'uomo baffuto, porgendo una mano al sovrano.
Quando Nicholas gli strinse l'arto, il proprietario accennò un rispettoso inchino.
«È il minimo che possa fare per ringraziarti della piacevole accoglienza che mi offri sempre, Arnold», replicò l'Infero con freddezza.
La moglie di Arnold sorrise maliziosa a quelle parole e si fece avanti per salutare Nicholas, con un inchino seguito da rapidi baci sulle guance, non abbastanza veloci da impedirle di parlare al sovrano.
«Vi attendo dopo gli antipasti» gli sussurrò al primo bacio.
«Non credo riuscirò a mangiare con te in mente, Mara» mormorò Nicholas al successivo contatto.
Mara trattenne una risatina eccitata nell'allontanarsi dall'Infero. Irene guardò di traverso la donna che, troppo palesemente, aveva dimostrato di essersi fatta viva solo per accogliere Nicholas. Il demone guardò un attimo Arnold. Anche lui sapeva benissimo cosa significava avere il Re delle Terre d'Ombra alla Mandragola, eppure non aveva mai fatto nulla per impedire quegli incontri. Nessuno avrebbe osato opporsi a Nicholas, nessuno tranne un suicida masochista.
Irene si tormentò le labbra, afflitta. Non le importava nulla delle donne del re, non erano altro che giocattoli lo sapeva. Non provava nemmeno un briciolo di gelosia, dopotutto anche a lei era riservato il loro stesso trattamento. Nicholas non faceva distinzioni, le donne che incontrava sul suo cammino o non gli interessavano o le otteneva immediatamente. Alla promessa sposa tornò in mente la ragazzina umana. Perché allora lei aveva reagito con tanta gelosia davanti a quella mocciosa? Presto avrebbe fatto la fine di tutte, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Ma quel pensiero non la convinceva. L'umana, oltre ad essere una donna, era anche una regina, non una popolana od una nobile come tutte le altre. Era diversa, maledettamente diversa. La ciliegina sulla torta.
Vaenihum lanciò un'occhiata irritata ad Irene. I pensieri di quella femmina lo stavano infastidendo. Non riusciva a contenersi, era inconcepibile per la sua posizione! Rivolse la sua attenzione a Nicholas, che sembrava impassibile come sempre. Lui riusciva ad ignorarla. Quando si accomodarono al loro tavolo, l'Elfo notò lo sguardo mortale dell'Infero rivolto verso la sua sposa. No, anche il suo menefreghismo aveva un limite.
«Irene, controllati» sibilò Nicholas, muovendo appena le labbra.
La donna avvampò e chinò il capo, nascondendosi dietro la frangia liscia. «Perdonami» mormorò, imbarazzata.
Vaenihum, libero dall'ingombro dei trasbordanti pensieri di Irene, si guardò attorno. Alla ricerca di qualcuno.
L'umana non verrà, non qui, lo avvertì Nicholas, mentre scambiava chiacchiere di circostanza con Mentius, il Re del Sud, al tavolo di fianco.
Inizialmente Vaenihum non capì a quale umana si riferisse. Mara o chi? Poi gli tornò in mente la ragazzina, la regina senza potere, ed ebbe le idee ancora più confuse.

Marihus si maledisse infinite volte, mentre si aggirava con Alexya per i vicoli maleodoranti e pieni di gente strana al primo livello di Sung'bar. Hanan si era rifiutata di andare con loro, non tanto per il luogo, quanto per chi avrebbero potuto incontrare. Suo marito faceva parte della guardia reale che aveva seguito la regina in viaggio e non ci teneva a vederlo ubriaco in una taverna, stretto ad una prostituta. Preferiva rimanere nella sua beata ignoranza.
Il maggiordomo, invece, avrebbe venduto l'anima a Fato per restare al Liocorno piuttosto che sentirsi così fuori luogo. Alla fine, era andato con Alexya perché non si fidava a farla andare in giro da sola in tutta quella bolgia. Era pur sempre una ragazza giovane e bella, le avrebbero messo gli occhi addosso persone poco affidabili e lui sarebbe stato in pace con la sua coscienza standole alle calcagna. Quello era un male necessario.
«Ma Johan dove si è cacciato?» brontolò Marihus.
«Te l'ho già detto, se non volevi venire, bastava che restassi a far compagnia ad Hanan» lo rimproverò Alexya, gettandogli uno sguardo seccato da sotto il cappuccio. I suoi occhi verdi brillavano nell'ombra.
Qualcuno andò a sbattere contro la regina che, per tutta risposta, gli tirò una gomitata ringhiando “stronzo”. L'uomo non la udì e lei lo lasciò subito perdere.
«Dov'è Johan?» insistette il maggiordomo, fingendo di non aver visto il gesto della ragazza.
«Oh, ma sei proprio petulante, Marihus! È andato a far uccidere il Myurohon, ecco tutto. Nessuna congiura a tuo danno, contento?» rispose irritata Alexya, facendosi largo a gomitate nella ressa nei pressi di una taverna.
Marihus sbiancò. «Cos'è questa storia? Non lo avete già ucciso?»
«Ma ti pare? Non ho magia, io! Solo con...» Alexya si interruppe, mettendosi in punta di piedi per guardare oltre le teste della gente accalcata davanti alla taverna Il vagabondo selvaggio, da cui si sentivano provenire urla inarticolate e l'inconfondibile suono della lotta. La regina avanzò tra la folla, incuriosita, ed a nulla servirono i richiami di Marihus, che si ritrovò costretto a seguirla.
Quando la ragazza giunse all'interno del Vagabondo selvaggio, scoppiò a ridere. I suoi soldati si stavano azzuffando con alcuni brutti ceffi. Si vedeva che erano Uomini d'Ovest. Probabilmente la rissa era iniziata per sciocchi motivi di orgoglio. Li conosceva bene.
Marihus la raggiunse, giusto in tempo per vedere una strana luce nei suoi occhi. Sapeva cosa voleva dire e ne era inorridito.
«No, no, no!» la pregò il maggiordomo, prendendole un braccio.
«Forza ragazzi!» gridò Alexya, ignorando bellamente l'uomo che cercava di frenarla. Si scrollò di dosso Marihus e gli lasciò il mantello. Poi corse incontro ai suoi soldati, per dar loro manforte. Afferrò il primo energumeno che si trovò tra i piedi, tirandolo per i capelli e gli assestò un pugno in pieno volto, rompendogli il naso. La ragazza fece una smorfia di dolore, realizzando che non aveva alcuna protezione alla mano, ma dovette lasciar perdere le articolazioni che si lamentavano per stendere l'uomo che aveva appena fatto infuriare.
Marihus assistette alla scena sgomento. Era inaudito: una regina che menava le mani in una bettola del deserto! Helena non saprà niente!, giurò a se stesso. Gli si avvicinò un omaccione panciuto e calvo, vestito con un largo e sporco grembiule. Gli mise una mano sulla spalla, facendogli sentite tutta la sua forza.
«Sei con quella ragazza, vero?» gli disse l'uomo. «Io sono Tyr, l'oste, e se quella mi distrugge qualcosa, dovrai pagarmi i danni» concluse con un sorriso bonario.
Marihus non gli fece sapere che anche i soldati erano, in teoria, con lui ed annuì avvilito. Stava per gridare ad Alexya di smetterla, quando gli volò addosso uno degli uomini della rissa. Tyr scoppiò a ridere di gusto, con le mani chiuse a pugno sui fianchi.
«Quella ragazzina è un uragano!» ragliò, porgendo una mano al maggiordomo, caduto a terra.
«Alexya, piantatela!»
Tyr guardò interrogativo Marihus, che gridava contro la ragazza.
Un altro uomo fu scaraventato verso il maggiordomo e la rissa parve placarsi. I nove soldati guardarono la regina, ognuno piuttosto ammaccato ed alcuni stringendo ancora qualcuno degli avversari in una stretta micidiale.
«Vostra Grazia!» gridarono esaltati.
Alexya ridacchiò e si avviò verso Marihus, contenta ed orgogliosa di se stessa. Le aveva fatto davvero bene prendere a botte un po' di gente, l'aiutava a non pensare ed a sfogarsi in caso di bisogno.
«Che volevi? Ti ho sentito gridare qualcosa, o sbaglio?» domandò candidamente la ragazza.
Tyr scoppiò a ridere, mentre il maggiordomo si batteva con forza una mano sul viso, abbattuto. Non era servito a nulla sgolarsi, quando quella ragazzina iniziava a menar le mani staccava il cervello e si concentrava solo sulla lotta.
«Niente, niente...» rispose Marihus con tono cupo. Si rivolse verso l'oste che continuava a ridere. «Quanto?» singhiozzò, infilando la mano in tasca.
Alexya guardò i due uomini perplessa, mentre i soldati le si avvicinavano.
«Quanto cosa
«Il pagamento dei danni, milady...» replicò sconsolato il maggiordomo.
Tyr annuì compiaciuto, iniziando a farsi due conti mentre gli occhi cercavano tutto quel che era stato distrutto dalla rissa o che fosse un po' malandato.
«Cinquemila regi» stimò Tyr, grattandosi una basetta. «Bada che ho chiuso occhio su molte cose» si affrettò a spiegare, prima che Marihus potesse protestare.
Il maggiordomo sospirò disperato. Non aveva tutti quei soldi con sé. Erano decisamente troppi. Alexya fulminò l'oste.
«La prossima volta chiedici di costruirti una nuova taverna» sbottò acida afferrando la borsa tracolla ed estraendo cinque sacchetti di monete d'oro, ognuno contenente mille regi. «Ecco qui. La prossima volta che torno qui, voglio trovare questo postaccio tirato a lucido con tutti i soldi che ti ho dato».
Tyr batté le palpebre, sorpreso, poi gli brillarono gli occhi nel soppesare i sacchi.
«Grazie, milady» la ringraziarono Marihus ed i soldati.
Uscirono dal Vagabondo selvaggio, dissipando la folla che si era accalcata sull'ingresso per assistere alla rissa. Mossero qualche passo tra le viuzze del primo livello, avanzando come un gruppo compatto.
«Ah, voglio cinquecento regi da ognuno di voi» decretò di punto in bianco la regina, fermandosi e costringendo gli altri a fare lo stesso.
«Cosa?» domandò sbigottito un soldato.
La risposta di Alexya fu uno sguardo furbo ed inferocito. «Marihus doveva pagare i miei danni, voi i vostri. Dato che vi ho anticipato i soldi, dovete restituirmeli».
«Ma... milady!» fece Marihus incredulo.
«Su su, tirchioni, i miei soldi!»

Johan legò il cavallo all'esterno di una catapecchia dagli infissi malmessi e bussò alla porta, con delicatezza, temendo di mandarla in frantumi. La cassa sotto il braccio era immobile, quasi al suo interno ci fossero solo degli oggetti, non un essere vivo. Per quanto potesse esserlo uno zombi.
Batté nuovamente le nocche contro il legno, finché qualcuno non gli aprì. Una figura incappucciata lo accolse, con uno scheletro vestito con abiti femminili e con una parrucca arancione sul cranio. Johan aggrottò la fronte. Cos'era quella roba? Sperò di aver seguito le indicazioni giuste. Non voleva diventare parte della collezione di un pazzo maniaco. Né di rimetterci qualche organo. Tutte le dicerie che aveva ascoltato gli ronzarono nelle orecchie, riuscendo quasi a spaventarlo quanto il tunnel di Sung'bar.
«Sì?», domandò burbero il negromante. Dal cappuccio spuntava una treccia nera, le mani erano coperte da guanti con le dita tagliate. Indossava una tunica beige con ampie maniche, infilata in pantaloni di pelle marrone.
«Scusate il disturbo, ma vorrei solo che uccidiate questo Myurohon», dicendo queste parole, Johan batté una mano sul portagioie.
Il capitano delle guardie reali scorse sotto il cappuccio del negromante la bocca piegarsi in una smorfia di disappunto. Iniziò a pregare tutti gli dei esistenti.
«Entrate».
A quell’invito, sollevato, Johan superò l’uscio e si chiuse la porta malandata alle spalle. L’ambiente era buio e maleodorante, l’unica fonte di luce era la tremolante fiamma di una candela di cera nera posta su un tavolo mangiato dalle tarme. Si avvicinarono al piano di legno e l’uomo vi posò la cassetta. La aprì e mostrò al negromante il suo contenuto.
«Guarda, Laila, guarda come questi Uomini rozzi e villani trattano i tuoi fratelli!» disse lo stregone, rivolto allo scheletro al suo fianco. Johan si lasciò sfuggire una smorfia preoccupata. I suoi occhi vagarono nella stanza buia, individuando barattoli dal contenuto dubbio e vertebre unite a cera, candele nuove e pronte all'utilizzo. Voleva andarsene, il prima possibile.
Però, incuriosito dal commento del negromante, il capitano guardò nel baule e vide il Myurohon, che Alexya aveva fatto a pezzi, ricomposto in maniera disgustosa, gli arti attaccati dove non dovevano, il corpo deformato dalla scatola. Possibile che quei morti ambulanti riuscissero a sopravvivere anche in quelle condizioni? L’esercito delle Divinità era temibile, se formato solo ed esclusivamente da quelle creature senz’anima. Johan rabbrividì. Pregò Niharn di uscire vivo da quel luogo.
Il negromante fece sedere lo scheletro che aveva chiamato Laila alla sedia. Dopo di che si tirò su le maniche della tunica e pose le mani sopra il corpo accartocciato dello zombi. Per quante volte lo si riducesse in polvere, non sarebbe mai morto davvero. Incatenato nel Mondo Profano da sentimenti troppo potenti, non sarebbe mai svanito nel nulla. La sua anima doveva essere pacificata. Solo la magia avrebbe potuto liberarlo da quella triste esistenza.
Johan fece scorrere rapidamente lo sguardo dal volto coperto dello stregone al Myurohon nel baule. Era una creatura disgustosa, ma infine se ne sarebbe liberato.
Tre semplici parole e lo zombi divenne cenere.
«Myurohon ya rohon». (2)

.-.-.-.

Minidizionario Maholhan-Italiano:
(1) Losdihe: buongiorno
(2) Myurohon ya rohon: il vendicatore io vendico

Spero sia andata bene la lettura.
Ho consigliato tali canzoni perchè sono quelle che ho ascoltato nello scrivere quei pezzi e li hanno influenzati in un certo qual modo (notato il nome della taverna e dell'oste? hihi).
La storia è già scritta, da più di sei mesi, ma ora mi son decisa di rivederla sul serio, così ho alcuni capitoli da riscrivere per problemi "stilistici" (ho cambiato stile durante la stesura .-.). Ergo, questi primi aggiornamenti non saranno velocissimi. Ma non farò passare un mese, tranquilli. :D
Al prossimo capitolo e, come sempre, per qualsiasi dubbio o curiosità basta chiedere!

Kanako
   
 
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