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Autore: Bill Kaulitz    07/07/2015    5 recensioni
‹‹Bene, passi nuovamente.›› Bill obbedì senza esitare e, come temeva, suonò ripetutamente. Avvampò di più. Constatò di aver sentito qualcuno ridacchiare. Si voltò ex novo, e vide un ragazzo alquanto strano, ridere sotto i baffi. Avvertendo di essere stato sgamato, fece il vago; guardando da tutt’altra parte e grattandosi dietro la nuca. Bill alzò un sopracciglio e schioccò la lingua.
Voglio proprio vedere se nascosta sotto tutti quei rasta neri, non ci sia della droga.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incest
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- Capitolo 18 -

 

Quando tornò in camera, erano ormai le 05:30 del mattino. Si lasciò cadere sul letto, e pianse tenendo stretto il suo cuscino dove, qualche giorno prima, Tom aveva lasciato il suo profumo. Lo inspirò a pieni polmoni, cercando di memorizzarlo il più possibile, dimodoché potesse ricordarselo per sempre.

Heidi e i suoi genitori, l’avevano sentito, fino ad addormentarsi per quel poco tempo, ma non dissero nulla. Sapevano benissimo che, se avessero provato a parlare, Bill avrebbe risposto male. Molto male. Sorvolarono, anche se, vedere il figlio in quelle condizioni, era molto doloroso.

*

‹‹Heidi, hai preso tutta la tua roba?›› Simone aveva due valigie nella mano destra, un borsone sulla spalla sinistra e uno a destra e un trolley nella mano sinistra.

‹‹Sì, mamma. Quante volte devo ripetertelo? È la seconda volta che me lo chiedi. Qui l’unico problema è come portare i bagagli di Bill fuori di qui. Occuperanno tutto il corridoio.››

Simone lasciò quei bagagli e cercò di aiutare la figlia a portare fuori le valige del fratello.

‹‹Quello stronzo. Solo perché è emotivamente distrutto, non vuol dire che io debba fare tutto il suo lavoro.›› affermò Heidi, con un cenno di sforzo nella voce. Provò a tirar fuori l’enorme valigia di Louis Vuitton da sotto il letto.

‹‹Quella valigia vale più di tutto il mio e il tuo guardaroba messo assieme. Se vai a graffiarla solo un po’, sappi che Bill potrebbe ucciderti molto dolorosamente.›› avvertì Simone, cercando di aiutare la figlia a non combinare nulla.

‹‹Papà poteva anche darci una mano a sistemare la roba, invece di andare beatamente a fare colazione. Non è possibile che tutto il duro lavoro dobbiamo farlo io e te.››

‹‹Siamo le donne di casa, figlia mia. Non puoi dare agli uomini un lavoro che solo una donna può fare.››

‹‹Ma puoi dare ad una donna, il lavoro che può fare un uomo.››

‹‹Questo è vero.›› Sorrise Simone, riuscendo finalmente a togliere la vaglia da sotto il letto. ‹‹Bene, adesso ne mancano solo altre sei.››

*

‹‹Non mangi?›› chiese Gordon, addentando per l’ultima volta quella fantastica brioche che, sicuramente, non avrebbe mai più mangiando in tutta la sua vita. Della crema gli sporcò leggermente l’angolo della bocca. Lo leccò con poca grazia.

Bill non rispose. Portava gli occhiali da sole, nonostante quella mattina, il tempo sembrava essere alquanto minaccioso. Non c’era nemmeno uno spiraglio di luce. Le nuvole erano grigie, dense, e molto compatte fra loro. Un forte odore di pioggia, inebriava l’aria.

Erano ancora in navigazione ma, nel giro di un’ora, sarebbero arrivati a Venezia. Erano già in territorio italiano da quasi due ore. Guardò il uso telefono. Il campo era ancora completamente assente. Stava pensando a Sarah. L’aveva sentita davvero pochissimo. Gli aveva promesso che, al suo ritorno, le avrebbe raccontato tutto. Forse però, ora non aveva più tutta questa voglia di farlo.

‹‹No. Non ho fame.››

Continuava a guardare verso il mare. Le sue guance erano bagnate. Ogni tanto tirava su col naso, asciugandoselo con un fazzolettino ormai del tutto sporco di lacrime.

‹‹È per quel ragazzo, non è vero?››

Disse poi di punto in bianco Gordon, mandando giù l’ultimo boccone di brioche. Bill si girò di scatto e, inaspettatamente, mise gli occhiali sulla fronte. Gordon poté notare i suoi occhi gonfi e rossi, ancora pieni di lacrime.

‹‹No ne voglio parlare okay? Lasciami in pace.›› quasi urlò, alzandosi di scatto dalla panca. Attirò l’attenzione di un paio di francesi che si erano appena seduti al tavolo dietro il loro.

Lasciò Gordon da solo. Spiazzato.

*

‹‹Abbiamo sistemato tutte le valigie fuori dall’ingresso. C’è da dire che, quelle di Bill, hanno occupato gran parte del corridoio. A proposito, non è con te?›› disse Simone, sedendosi accanto al marito. Prese del pane e della marmellata di albicocche, un po’ di burro e del succo di prugna. Iniziò ad imburrare la fetta di toast.

‹‹È corso via quasi dieci minuti fa. Non so dove sia.››

‹‹Povero piccolo. È davvero distrutto. A pensare che non voleva venire, inizialmente.››

‹‹Non credo che la supererà facilmente questa cosa.››

‹‹Conoscendo Bill…››

*

Era sul divano della sala d’accoglienza dove, una settimana prima, era giunto lì per la prima volta. Guardava a destra e a sinistra, nella speranza di poterlo trovare.

Quella stessa notte, dopo che Tom gli aveva confessato che si era innamorato di lui, era scoppiato a piangere. Gli aveva gettato le braccia attorno al collo e gli aveva detto che, molto probabilmente, anche lui provava la stessa cosa. Lo strinse più forte che poté, quasi a toglierli il fiato. Lo supplicò di non andarsene ma, entrambi, sapevano che non poteva accadere una cosa del genere. Videro l’alba sul ponte, insieme, abbracciati, dopo aver fatto l’amore nell’uovo di vimini. Era un posto intimo, tranquillo e assolutamente inesplorato. Raramente salivano lì sopra.

Sarà il nostro posto.

Sì. Il nostro.

Aveva detto Tom. Entrambi, avrebbero voluto che, quel bellissimo momento, non fosse mai finito. Avrebbero voluto che durasse in eterno. Il vento fresco che scompigliava loro i capelli; il leggero albeggiare del sole, sul loro viso; il profumo fresco e pungente del mare. Era davvero una favola quella che stavano vivendo? Con la sola differenza però, che non c’era un lieto fine.

Presto Tom, avrebbe preso un aereo per andare in America; lui, un autobus che lo avrebbe condotto all’aeroporto di Verona, diretto a Berlino.

Tom non c’era. Lo stava aspettando da quasi un’ora. Ma non lo vide arrivare. Non aveva chiuso occhio tutta la notte e, il sonno, cominciava a farsi sentire; e proprio quando decise di distendersi per l’ultima volta su quel divano, lo vide arrivare.

Gli si illuminarono gli occhi e, con uno scatto, balzò in piedi, dirigendosi verso di lui. Gli saltò addosso.

‹‹Temevi che non venissi più?››

‹‹Ad un certo punto l’ho pensato, sai?››

‹‹E non venivo a salutarti?››

Non rispose. Lo prese per mano.

‹‹Mi sono addormentato. Non ho chiuso occhio da quando siamo tornati in camera.››

‹‹Io ho dormito un’ora, forse.›› disse Bill sorridendo, seppure in maniera triste. Si lasciò trasportare.

‹‹Ho dimenticato una cosa in camera. Sali con me. Io tra venti minuti dovrò sbarcare. Il mio aereo parte fra due ore. Siamo già parecchio in ritardo.››

Bill non disse nulla. Lasciò che Tom lo trascinasse con sé verso la sua cabina. Ancora un volta. Per un’ultima volta. Si misero a correre per tutto il corridoio della nave. Passarono per il ponte. Quel ponte. Era come se non fosse successo assolutamente nulla. Tutto era al proprio posto. L’alluvione non c’era mai stata prima.

Salirono dieci piani a piedi, correndo. Quando arrivarono al loro deck, erano stremati e con il fiatone. Bill lasciò la mano del ragazzo e le poggiò entrambe sulle ginocchia, piegandosi leggermente per cercare di riprendere fiato.  

‹‹Giuro…che…se mi hai fatto…salire…inutilmente…ooouufff…ti uccido.›› disse quasi senza fiato, respirando molto lentamente per riprendere aria. Tom non aveva abbastanza fiato per rispondere. Non disse nulla e baciò con un sorriso sul volto il ragazzo biondo.

‹‹Hanno già portato via le mie valigie…›› disse poi lui. Bill dette una fugace occhiata un po’ più infondo al corridoio. Anche le sue valigie non c’erano più.

‹‹Anche le mie…››

Volse nuovamente lo sguardo verso Tom, notando i suoi occhi leggermente velati.

No, non può piangere un’altra volta.

‹‹Tom, ti prego…››

‹‹È davvero finita, quindi?›› Bill non rispose, e attese che Tom aprisse per l’ultima volta la porta della sua cabina. ‹‹Tu aspettami qui. Torno fra un secondo.›› così fece. Bill attese qualche minuto sull’uscio della porta, prima di vedere comparire nuovamente Tom con una fialetta in mano.

Bill la guardò stranito. Cosa poteva essere? Tom lo precedette, rispondendo immediatamente alla domanda che Bill stava sicuramente per porgli.

‹‹È il campioncino del profumo che uso io. Lo porto sempre in borsa con me.›› lo porse al biondo senza indugiare ancora. ‹‹Ah, quasi dimenticavo. Questa è una lettera che ti ho scritto. Devi promettermi che non l’aprirai.›› Il rasta porse entrambe i regali al biondo che, perplesso, afferrò.

‹‹Ma…non capisco. Perché non dovrei leggere la tua lettera?››

‹‹La leggerai quando sarà il momento giusto.››

‹‹Ed io come farò a sapere quando sarà il momento giusto, Tom?›› Tom non rispose. Sorrise e gli baciò le labbra.

‹‹Questo è tuo. Voglio regalarlo a te. Vorrei che ti ricordassi di me, quando un giorno ti sentirai solo. Voglio che non ti dimentichi del mio profumo. In un modo o nell’altro, sarò sempre accanto a te.›› la sua voce era rauca, spezzata, cupa. Gli accarezzò una guancia, delicatamente. ‹‹Non importa quanto lontani saremo; non importa quanto tempo passerà prima di rincontrarci; ma ricordati…non sarà l’oceano a separarmi da te. Tornerò a prenderti, Bill. Mi hai capito?›› afferrò il suo viso con entrambe le mani, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. ‹‹Questa è una promessa. Io tornerò da te.›› lo baciò con così tanta forza che a Bill, quasi gli fece male. Era finita. Era finita per davvero.

Bill avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto gridare tanto era il dolore che stava provando. Aveva trovato una persona che, molto probabilmente, lo avrebbe amato per il resto dei suoi giorni. Perché doveva andare a finire proprio così? In questa maniera? Perché dovevano lasciarsi?

Restarono abbracciati lì, in quel corridoio, per un tempo quasi indefinito. Bill inspirò a pieni polmoni il suo profumo, affondando il viso nell’incavo del suo collo.

‹‹Non dimenticarmi…›› disse poi flebilmente lui, staccandosi controvoglia da quell’abbraccio così intenso. Avrebbe voluto non farlo mai. Frugò nella propria tasca, in cerca di qualcosa da poter regalare a Tom. Qualcosa di molto intimo e personale. Non aveva assolutamente nulla. D’un tratto però, si guardò le mani. Aveva un anello in acciaio, a fascia larga, con scritto il suo nome. Lo regalò suo nonno al compimento dei suoi diciotto anni. Era una cosa molto importante per lui, e avrebbe voluto che Tom l’avesse.

‹‹Tieni, questo è tuo.›› sfilò l’anello dal medio e lo porse al rasta. ‹‹Questo lo affido a te. Me lo ridarai quando tornerai da me.››

‹‹No, Bill. Io…io non posso accettarlo.›› provò a restituirlo, ma Bill oppose resistenza.

‹‹È solo un prestito. Sarà tuo fin quando non ci rivedremo. È una promessa questa.››

‹‹…non sai nemmeno se sarà così, Bill. Potrai perdere quest’anello per sempre.››

‹‹Se così fosse, saprò che è in buone mani, e tu avrai un ricordo di me. E comunque, mi hai appena detto che ci rincontreremo, che tornerai a prendermi. Stai per caso mentendomi?››

Il rasta scosse il capo.

‹‹No, Bill. Non ti ho mentito. Io lo voglio, e ci credo non tutto il cuore. Ma non si sa quando accadrà una cosa del genere.››

Un altro abbraccio; un altro forte ed intenso abbraccio. Era giunta l’ora. Dovevano salutarsi. Nessuno dei voleva staccarsi dall’altro.

‹‹Ti aspetterò, Tom. Ti prometto che lo farò.›› Prima di salutarlo però, stava dimenticando la cosa più importante: il suo numero di cellulare e il suo contatto facebook. ‹‹Tieni Tom, questo è il mio numero e il mio facebook. Metterò tutte le foto che abbiamo fatto; accettami, così ti taggo.›› Bill porse il bigliettino a Tom.

‹‹Va bene, splendore.›› sussurrò il rasta, baciandolo ancora una volta.

D’un tratto apparve Gustav, affannato.

‹‹Ti ho cercato ovunque. Si può sapere che fine hai fatto? Tocca a noi, Tom. Dobbiamo andare.››

Tom non lo ascoltò. Restò nella stessa posizione in cui era pochi attimi fa. Cominciò a sussultare piano. Baciò dolcemente la fronte di Bill, il collo, l’orecchio, lo strinse ancora più forte e, inaspettatamente, gli sussurrò:

‹‹…ti amo!›› si allontanò di scatto e, prima che il biondo potesse reagire, prese a correre verso l’amico, lasciando Bill così, attonito e con la vista appannata. Improvvisamente la testa cominciò a girargli. Aveva sentito bene?

‹‹…Tom…›› bisbigliò nel vuoto ma, quando tornò in sé, era ormai troppo tardi. Tom era già andato via.

*

Aveva la testa poggiata sul finestrino, questa volta non gli importavano tutte le botte che stava prendendo. Il dolore era ben altro. Da quando aveva lasciato la nave, non aveva proferito parola con nessuno. Non aveva avuto nemmeno il pensiero di chiamare la sua migliore amica Sarah. In quel momento, non aveva voglia di fare assolutamente nulla, né tanto meno avere un contatto con qualcuno. Voleva solo tornare indietro da lui. Provò a chiudere gli occhi almeno fin quando non sarebbero giunti all’aeroporto; anche se questo, non avrebbe fatto altro che male. Chiudendo gli occhi, le immagini di Tom scorrevano rapide, innumerevoli, e questo gli faceva ancor più male di quanto avesse immaginato. L’addio, era stato più difficile del previsto, e la lontananza, sarebbe stata ancor peggio.  

*

‹‹Bill, non parli da quando ce ne siamo andati…›› disse Simone, mentre sistemava il suo bagaglio nello stipetto dell’aereo.

Il biondo non rispose. Aveva le cuffiette nelle orecchie e lo sguardo rivolto al finestrino.

‹‹Lascialo stare, tesoro, non sarà stato facile per lui salutare quel ragazzo.›› si intromise Gordon, aiutando la moglie a sistemare i bagagli. ‹‹Vedrai che gli passerà.››

Gordon si sbagliava. Si sbagliava di grosso. Non aveva la minima idea di cosa Tom, gli avesse fatto provare in una sola settimana. Poteva sembrare strano, ma era così dannatamente semplice.

No. Non sarebbe passata facilmente, anzi, non sarebbe passata affatto.

   
 
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