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Autore: luley0    08/07/2015    2 recensioni
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=eWWi3vaC2bA
Il giorno che si incontrarono Sophia e Zayn non potevano immaginare che si sarebbero inseguiti negli anni
Sophia conosce Zayn quando ha soli tredici anni, da quel momento in poi i due saranno destinati a rincontrarsi più volte nel corso degli anni per brevi ma intensi intervalli di tempo. Arrivata all'età di ventitré anni, sul punto di abbandonare Londra e i suoi sogni nel cassetto, le si presenta l'occasione che può cambiare la vita e diventa l'assistente personale di Harry Styles. Solo successivamente scoprirà che Harry è il migliore amico di Zayn, con il quale - dopo una vita passata a trovarsi e sfuggirsi di nuovo - avrà la propria occasione per restare.
«Se ti avessi incontrato prima, forse… mi sarei innamorata di te»
«Forse»

‘Ma allora ognuno, inconsapevolmente, è artefice del proprio destino oppure è quest’ultimo a riproporti combinazioni e combinazioni fino al suo corretto compimento? ’
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Quando Louis ci invitò all'ennesimo evento mondano a cui avrebbe dovuto partecipare quel mese guardai Emma con aria incredula, alzando un sopracciglio nella sua direzione come a chiederle se lei avesse colto una punta di ironia nella proposta del nostro amico.
Da otto mesi ci eravamo stabilite in un appartamentino nella periferia di Londra, e ogni volta che Louis riceveva un invito per qualche after party, cena di beneficenza o sfilate di alta moda nei posti più esclusivi della capitale britannica lo pregavamo di portarci con lui dimenticandoci anche di avere una dignità.
Ogni volta, però, la stessa storia. Sviava il discorso con frasi della serie 'Sono posti noiosi', 'devo andare per lavoro' e 'non è così divertente come immaginate'.
Sebbene fosse vero che dovesse andarci per dovere e non per piacere, non capivano come fosse possibile non divertirsi nel mentre con tutta la musica, l’alcool, le celebrità e il cibo da cinque stelle Michelin.
Louis lavorava come produttore nella Dreamusic, casa discografica fondata dal nonno negli anni quaranta, motivo per cui tutto questo mondo non gli aveva mai fatto gola. Semplicemente ne faceva parte ed era tra quelli che nutriva di sogni e speranze noi comuni mortali.
«Per caso hai preso una botta in testa?»
Fu la prima cosa che disse Emma sotto lo sguardo perplesso di Louis che solo in quel momento alzò gli occhi dal suo telefono, il quale, a giudicare dal design e soprattutto dall’assenza di graffi o ammaccature, doveva da poco essere uscito dalla confezione. Louis e i telefoni non riuscivano a coesistere indenni nello stesso universo, cioè Louis e qualsiasi oggetto con un grado di vulnerabilità superiore allo zero percento.
«Vi ho appena invitato ad uno degli eventi più attesi della stagione e mi chiedi se ho preso una botta in testa? Voi mi manderete al manicomio prima o poi." Sbuffò per poi ritornare a digitare spasmodicamente Dio sa cosa su quello schermo.
«Scusaci se ci preoccupiamo del tuo fulminante bipolarismo! – fece con fare drammatico la mia amica – Sono mesi che ti imploriamo di procurarci un invito ad uno straccio di festa e ora ci chiedi di venire con te al party di Marc Yoogh, che è in assoluto il mio stilista preferito, con lo stesso tono che useresti per chiederci di accompagnarti a fare la spesa»
«Beh, allora perdonatemi! – sbottò lasciando finalmente perdere il telefono e lanciandolo sul ripiano in marmo della nostra cucina, guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia – la prossima volta lavorerò sul tono per renderlo più piacevole alle vostre orecchie!»
«È il minimo che tu possa fare!»
«Vuoi spiegarci?» presi parola, mettendo fine al botta e risposta tra i due.
«Perché voi due pazze psicotiche non sapete cogliere un’occasione irripetibile senza fare domande? – si mise le mani nei capelli castani e sgranò gli occhi azzurri con fare esasperato – vi rendete conto che non è affatto facile essere inseriti nella lista degli invitati? – fece finta di ripensarci, grattandosi l’accenno di barba che gli incorniciava la mascella –Mi correggo…per la gente normale non è affatto facile, per me è una cazzata»
Louis era arrivato da mezz'ora, vestito come al solito con un pantalone scuro e una camicia di jeans, arrotolata ai gomiti, che lo fasciava perfettamente mettendo in risalto il fisico non eccessivamente allenato ma non per questo spiacevole alla vista. Ovviamente non potevano mancare le sneakers scure ai piedi.
Per lui non era rilevante quale importante appuntamento di lavoro avesse, non prestava affatto attenzione al vestiario - con grande disappunto da parte del padre - perché sapeva di poter contare sul suo carisma. Riusciva a farti pendere dalle sue labbra qualsiasi cosa dicesse, facendosi forza sull’innata capacità di avere sempre la battuta pronta. Anche in quel momento, con noi, stava straparlando per nascondere le sue reali intenzioni, distraendoci dalla questione centrale.
Purtroppo per lui, Emma lo conosceva troppo bene e il suo giochetto non avrebbe retto a lungo. Infatti lo bloccò quasi subito.
«Ti conosciamo Tomlinson, sappiamo che non fai mai niente per niente»
Emma assottigliando gli occhi in modo così buffo da sembrare una caricatura di se stessa con l’intento di metterlo alle strette e, rigettando indietro i suoi lunghi capelli mossi, si mise a pochi centimetri di distanza da un Louis che fingeva di essere irritato ma che in realtà si stava divertendo da morire a tenerci sulle spine.
«Così mi offende, signorina» Si avvicinò ancora di più alla mia amica con la sua faccia da schiaffi, sporgendosi dal bancone, proprio nel momento in cui sentimmo la porta di casa sbattere.
«Louis ha bisogno di una ragazza che l'accompagni»
Reese Tomlinson diede la risposta al grande interrogativo, sorpassando il piccolo ingresso arredato da un solo portombrelli e un mobiletto bianco in perfetto stile inglese, per poi entrare nella cucina-soggiorno e lanciare in malo modo le chiavi che le avevo prestato sull'isola. Mi chiesi cosa avesse fatto di male quel ripiano, tuttavia considerai il fatto che per la famiglia Tomlinson l'avere cura delle cose non era di certo una priorità.
«E' tornata la Stronza.» Cantilenò Louis, alzando gli occhi al cielo.
«Mentre vedo che tu da bravo coglione quale sei non ti sei mosso di un centimetro!» rispose Reese, sedendosi accanto al fratello e di fronte a me che con un mestolo di legno cercavo disperatamente di non far attaccare la pasta.
Doveva essere una serata tranquilla tra amici, tanto vino e una buona cena. Tuttavia conoscendoci, avrei dovuto aspettarmi tutto quel trambusto che stava mettendo a dura prova le mie già pessime qualità di cuoca.
«Uh, mi rincresce che i nostri genitori abbiano educato solo il loro primogenito lasciando crescere la seconda in una tribù di streghe non civilizzate»
«Scusami se ti ignoro, ma tante cazzate tutte in una volta non le reggo!»
Louis e Reese erano i fratelli perfetti. Complici, affiatati e con il giusto pizzico di insofferenza nel sopportarsi.
Nonostante gli svariati battibecchi, noi quattro eravamo un gruppo molto unito sebbene nessuno l'avrebbe mai detto, considerato quanto fossimo diversi.
Louis e Reese, praticamente gli unici eredi del patrimonio milionario dei Tomlinson, appartenevano ad una delle famiglie più ricche dell'intera Europa. Nonostante ciò, quando conobbi Reese tra i banchi di scuola lei non sembrò minimamente guardare i miei vestiti da grandi magazzini e scrollando i suoi capelli lunghissimi color cenere iniziò a parlarmi di quanto fossero ridicole le uniformi da cheerleaders e di quanto fosse un'usanza così americana da sembrare un patetico scimmiottamento. Avevamo tredici anni, e solo un anno più tardi conoscemmo Emma. I suoi ricci color mogano e il suo grande sorriso ci conquistarono non appena si avvicinò a noi per chiederci di entrare a far parte di un gruppo che si occupava del sostegno di ragazze vittime di violenze domestiche. Emma era senza ombra di dubbio la ragazza più dolce e sensibile che avessi mai conosciuto, solo qualche anno dopo scoprimmo l'impensabile, ciò che i suoi, non sempre così sinceri, sorrisi avevano celato in modo eccelso.
Se io e Emma avevamo sempre vissuto a Stockport, vicino Manchester city, per Louis e Reese le cose erano andate diversamente.
A Stockport viveva la loro nonna paterna, Ronda, dalla quale si trasferirono per tutto il periodo della loro adolescenza. Per quanto riuscii a capire, da alcuni discorsi di Ronda, i Tomlinson erano troppo impegnati col lavoro e i continui viaggi all’estero per poter prendersi cura dei figli.
Il primo a lasciare la piccola cittadina fu Louis che andò a studiare all’università di Manchester, perché noi ragazze avevamo davanti ancora qualche anno del liceo. Successivamente Reese seguì il fratello, mentre io e Emma frequentammo l’università di Stockport.
Nel corso degli anni, però, non ci eravamo mai persi di vista; i viaggi tra Manchester e Stockport erano frequenti ed infine, per caso, ci ritrovammo nuovamente insieme a Londra. Reese e Louis abitavano nella zona di Hampstead, uno dei quartieri più ricchi della città, in un loft di cento metri quadri all’incirca, mentre io e Emma condividevamo un appartamento di neanche cinquanta metri quadri a Whitechapel, nell'area orientale.
«Parliamo del fatto che ti serve un accompagnatrice. Cos'è questa storia?» chiesi, bloccando Louis a bocca aperta prima che emettesse qualsiasi suono per controbattere la sorella.
«Devo agganciare il manager di un cantante che vale miliardi di sterline. Il quindici di Novembre scade il contratto con la casa discografica che lo ha lanciato e io devo evitare che lo rinnovino.»
«Perché vuoi che firmi il contratto con la Dreamusic?» chiese Emma.
«Esatto piccola.» Confermò Louis, alzandosi velocemente dallo sgabello da bar su cui sedeva per raggiungerla dall'altra parte dell’alto banco ed intrappolarla da dietro in un abbraccio, con non poche lamentele da parte della ragazza.
«E per la cronaca, a cosa ti servirebbe una accompagnatrice?» chiesi non riuscendo ancora ad arrivare al punto.
«La moglie di Keith Norton, il tizio che devo corteggiare, è un'impicciona di prima categoria e, purtroppo, fonti certe mi hanno avvertito che può avere un'enorme influenza sul marito. Ho bisogno di una falsa fidanzata, qualcuno che la conquisti e che la induca a pensare che Louis Tomlinson è l'uomo giusto con cui fare affari»
«Per farle pensare una cosa del genere ci vorrà molto alcool e l'ausilio di droghe pesanti» scherzò Emma, meritandosi un pizzico sulla pancia dal ragazzo.
«Per questo gli serve una delle due, le modelle di cui si circonda di solito non sanno neanche formulare una frase di senso compiuto», puntualizzò Reese, sottolineando le abitudini del fratello.
«Infatti non le scelgo in base alla loro conoscenza della lingua, mi basta che la sappiano usare bene quando serve!»
Emma gli diede una gomitata nello stomaco approfittando del fatto di essere ancora stretta a lui e non si risparmiò un verso di disgusto.
«Quindi vuoi ingaggiare una di noi e scaricare l'altra?» asserii con tono di rimprovero e intrecciando le braccia sotto al seno.
Era così da Louis.
«Il piano sarebbe questo, ma davvero non ho voglia di passare i prossimi vent’anni a farmelo rinfacciare ad ogni occasione… infatti mi sono procurato due inviti.»
«C'è sotto qualcosa» constatò Emma, alzando gli occhi verso il ragazzo e girandosi lievemente per guardarlo in faccia.
«C'è sicuramente sotto qualcosa» confermai io e Reese mi seguì a ruota, «Puoi giurarci.»
«Ovviamente l'altra sarà il più uno di Oliver» Louis se la rise sotto i baffi lasciando la presa su Emma e attendendo le nostre lamentale, che non tardarono ad arrivare.
Oliver era l'amico storico di Louis.
Un idiota senza precedenti, per essere gentili.
Aveva la stessa età di Louis, cioè tre anni in più di me, Emma e Reese. Peccato che Oliver non dimostrasse per nulla i suoi ventisei anni.
Era un pel di carota, smilzo ed anche antipatico.
Per non parlare del fatto che andava girando vestito di tutto punto, come se fosse perennemente reduce della settimana della moda di Londra, e in modo talmente ridicolo da palesare tutto il suo egocentrismo. Aveva fatto del frequentare locali notturni la sua missione terrena e, purtroppo, Louis gli aveva procurato anche un lavoro alla Dreamusic. Ero convinta del fatto che anche l'addetta alle fotocopie avesse un incarico più importante del suo e per quanto Louis gli volesse bene e non lo ammettesse, in fondo sapeva che avevo ragione. Oliver rappresentava tutto ciò che più odiavo: smania di apparire, ignoranza e presunzione.
E chi sarebbe stato il suo più uno?
«Tu Soph.»
Ovviamente.
Louis aveva un debole per Emma, non nel senso romantico del termine, ma, letteralmente, stravedeva per lei. Le era stato molto vicino negli ultimi anni. Per Emma era un porto sicuro dove potersi nascondere da quella parte della sua vita che aveva cura di non mostrare a nessuno. Lui custodiva tutti i suoi segreti, cose che probabilmente neanche io e Reese sapevamo.
C'era una chimica tra loro, un legame più unico che raro. Louis avrebbe fatto di tutto per Emma, e lo stesso valeva a parti invertite. Forse dall'esterno la cosa avrebbe fatto storcere il naso agli scettici, ma per quanto incredibile sembrasse, anche ai miei occhi e a quelli di Reese, non c'erano doppi fini da ambo i lati.
Negli anni entrambi avevano intrapreso relazioni con altre persone, ma la cosa non sembrava turbare nessuno dei due.
Sapevo che ogni sistema in natura cercasse di stabilizzassi in modo che tutte le parti giungessero ad un unico equilibrio, e in qualche modo era quello che facevano anche Louis e Emma. Il loro equilibrio però era instabile, camminavano in punta di piedi sul filo che faceva da confine tra l'amicizia e l'amore senza rendersene davvero conto.
Tuttavia di lì a poco ci sarebbe stato uno scossone che avrebbe messo tutto in discussione.
Con tale premessa, quindi, era stato fin troppo semplice capire subito che sarei stata io l'accompagnatrice di Oliver. Louis sapeva perfettamente che il suo caro amico fosse un porco e, per l'istinto di protezione nei confronti di Emma non l'avrebbe mai abbandonata a tale viscida compagnia.
In quanto a me, sapeva che me la sarei cavata.
«Reese, tu non vieni?» le chiesi, sperando almeno nel suo appoggio.
«No, ho già un impegno purtroppo… sai che non perderei per nulla al mondo l’occasione di guardare il mio fratellone leccare il culo di qualche potenziale cliente, ma non posso proprio.»
«Almeno io lavoro!»
«Sai che mi occupo solo del lato economico, lascio a te il privilegio da fare da tappetino a quei fanatici arricchiti.»
 
La sera del grande evento arrivò, senza non pochi drammi sul cosa indossare e come sistemare i capelli, ma quando ci sedemmo al tavolo assegnato Emma ed io non riuscivamo quasi a crederci di essere proprio lì.
Quando, insieme nella soffitta della casa dei miei genitori a Stockport, sognavamo la nostra vita da ‘adulte’ ciò che la nostra mente trasmetteva erano immagini di noi vestite con abiti firmati, tacchi altissimi che chiamavamo un taxi per raggiungere il nostro posto di lavoro. Rigorosamente la redazione di una rivista di moda, o l’aula di tribunale in cui avremmo recitato la nostra arringa vincente per il processo evento dell’anno; ma ad ogni unità che si aggiungeva alla nostra età anagrafica le aspettative si facevano più piccole, più grandi le rinunce e maggiore il numero di compromessi. E così mi ero ritrovata a non essere esattamente la protagonista di un romanzo o di una commedia romantica in onda la sera in tv, non correvo nel vento su di un paio di Jimmy Choo. A stento avevo i soldi per arrivare a fine mese e se, per qualche strano allineamento delle costellazioni, avessi posseduto delle scarpe più costose di due dei miei miseri stipendi di certo non le avrei messe per correre.
Piuttosto le avrei esposte nel mio salottino come oggetto di culto.
Il mio sogno di lavorare nel campo della moda, in qualche modo contorto, si era avverato. Peccato che non fosse una rivista di moda, bensì il dépliant delle offerte del supermercato, e che non fossi la redattrice ma soltanto l’addetta alla revisione.
Un lavoro di grandi responsabilità, insomma.
Un solo errore avrebbe causato l’ira di qualche signora, che non si sarebbe vista scontare del trenta percento il pacco di biscotti come promesso dal volantino. A parte gli scherzi, era un lavoro tanto minuzioso quanto noioso e il mio capo era sempre lì ad aspettare che qualcuno facesse un solo piccolo movimento sbagliato per scaricarci addosso le sue frustrazioni.
La laurea in Marketing della moda non aveva fruttato un granché, ma di certo non avevo intenzione di rimanere in quella situazione per troppo tempo. Motivo per cui non facevo altro che andare da una parte all’altra di Londra per sostenere colloqui per qualsiasi lavoro sembrasse anche solo vagamente attinente con ciò che avevo studiato.
Purtroppo le ricerche si rivelarono vane e inconcludenti, era sempre un ‘cerchiamo più esperienza’ o ‘dovresti avere come minimo un master’ e ancora ‘Prendiamo in considerazione il tuo curriculum solo dopo un anno di corsi di formazione a tue spese’.
A quel punto avevo seriamente perso l’entusiasmo iniziale.
Emma invece lavorava in un’agenzia pubblicitaria, mentre studiava per dare l’esame di avvocatura.
La situazione era diventata insostenibile negli ultimi mesi perché i soldi non bastavano più e stavo iniziando ad abituarmi al fatto che di lì a poco sarei dovuta tornare nella mia città Natale.
La sera del party decisi di lasciare da parte i cattivi pensieri e rimandare al giorno successivo la decisione che tanto mi premeva nell’ultimo periodo, se avessi dovuto rinunciare ai miei sogni non avrei sprecato l’ultima occasione per godermi la parte folle di Londra.
Seduta al tavolo che portava il nome ‘Tomlinson’, mi persi ad osservare l’immensità della sala. I tavoli rotondi erano ricoperti da tovaglie color panna e al centro esibivano un grande secchiello pieno di ghiaccio con numerose bottiglie di vino incastrate dentro, contornato a sua volta da fiori blu di cui non avrei saputo indovinare il nome.
Il party era stato concepito come una celebrazione della carriera di Marc Yoogh, infatti la cena prevedeva una sfilata con i capi che avevano riscosso più successo dalle collezioni degli ultimi vent’anni.  Tra un blocco di tavoli e l’altro era stato lasciato uno spazio per far passare le modelle, in modo che queste si muovessero per tutta la sala e fossero visibili a qualsiasi ospite, sotto le luci bianche installate in punti strategici del percorso. La musica era altissima durante la sfilata, quindi approfittavamo delle pause in cui venivano serviti stuzzichini e aperitivi vari.
Louis non si lasciava sfuggire nessuna occasione, bombardando di chiacchiere il povero Norton, mentre con una mano teneva un bicchiere quasi vuoto di vino bianco e l’altra era poggiata sul tavolo stretta a quella di Emma.
Ad essere sincera, Keith Norton era ben diverso da come lo immaginavo. Da uno che aveva scoperto una macchina per far soldi come Niall Horan – per inciso, nella classifica degli artisti più ricchi al mondo – mi aspettavo come minimo un uomo di polso e pieno di sé. Invece mi si presentò davanti un omino sulla cinquantina, con pochi capelli, dimesso, quasi pauroso nel dire anche mezza parola.
Con Louis nei paraggi non aveva scampo. Niall Horan avrebbe firmato per la Dreamusic ancor prima della fine del contratto in corso.
Nadine, la moglie di Norton, aveva una personalità molto più prorompente. Una signora in carne, con dei capelli biondi e ricci raccolti in un’acconciatura abbastanza appariscente.  Forse il lavoro maggiore sarebbe spettato ad Emma, ma per fortuna la donna sembrava gradire la compagnia della falsa fidanzata di Louis.
La serata per me, invece, non aveva preso una buona piega. Oliver non aveva fatto altro che parlarmi per tutto il tempo di quanto fosse stato bravo a organizzare questo incontro con il signor Norton.
Dai suoi racconti, era andato direttamente a casa sua per invitarlo all’evento. In effetti, non mi dava l’impressione di una persona che frequentasse assiduamente questo ambiente.
«Capisci? – rise sguaiatamente – Non era neanche in lista!»
Cercai di fargli segno di abbassare la voce, ma non mi considerò minimamente. Dall’altra parte del tavolo, Louis avendo ascoltato tutto ci fulminò con lo sguardo e prontamente iniziò a parlare con tono molto più alto del normale.
«Insomma, mi sembra un'assurdità. Quel tipo, Niall.. Neil… come si chiama lui, è anche stato testimonial di collezione di biancheria intima disegnata da Marc Yoogh, e quando l’ho nominato Keith non sapeva neanche chi fosse!»
«Che disdetta» lo assecondai, coprendomi la bocca con una mano mentre sbadigliavo.
«Cos’ha Louis? Perché mi guarda male?»
Forse ti guarda perché sei un imbecille, ma questo lo pensai solo.
Quando si concluse la seconda parte della sfilata mi alzai dal tavolo e, cercai con tutta me stessa di non sembrare una pinguino mentre camminavo nel vestito rosso, lungo almeno cinque centimetri sotto il ginocchio, così aderente da non riuscire neanche a fare un passo decente.
Tra gli invitati c’erano molti personaggi famosi, altrettanti volti poco noti e personaggi celebri del panorama londinese che non spiccavano per altri meriti se non la ricchezza o qualche paparazzata su di un giornale scandalistico.
Notai che Oliver si era alzato dalla sedia poco dopo e che con lo sguardo, muovendosi in modo spavaldo, mi cercava tra la folla.
Forse erano passati più di dieci minuti da quando avevo detto di dover andare in bagno.
Per mia sfortuna, la maggior parte degli invitati riprese posto dopo che una voce annunciò che di lì a poco sarebbe ricominciato lo show.
Mi mossi velocemente verso uno dei lati della sala, in modo da sfruttare la poca luce e non farmi riconoscere, ma quando mi trovai con le spalle al muro, Oliver nella mia direzione e ancora meno persone a coprirmi feci la prima cosa che mi venne in mente.
«Scusa, che stai facendo?» una voce calda, leggermente roca mi fece sobbalzare.
«Non muoverti!» sibilai, nascosta dietro al ragazzo più alto che mi ero trovata davanti «sto cercando di scappare da una persona»
Il povero mal capitato si girò verso di me, così ebbi modo di vederlo meglio. Era molto alto. Sebbene io potessi vantare un metro e settanta di altezza e l’aiuto di un paio di scarpe da dieci centimetri, il ragazzo mi sovrastava senza troppi problemi.
Capelli mossi che gli sfioravano il collo, di un colore che non riuscii a definire bene immediatamente data la scarsa illuminazione. Il fisico invece era ben visibile, anzi la penombra ne delineava meglio la sagoma. Ampie spalle e corporatura asciutta, avvolta da una camicia bianca e un completo nero. I primi tre bottoni erano aperti e non potei fare a meno di osservare come dell’inchiostro nero si diramasse in qualche disegno non ben identificato sul suo torace scoperto.
«Per caso soffri di schizofrenia?» mi domandò dopo qualche secondo.
«Eh? Cosa?» alzai di nuovo lo sguardo sui suoi occhi e confusa aspettai una risposta.
«Ti sei lanciata dietro di me con la stessa leggiadria di un ippopotamo, dicendomi di stare fermo e poi ti sei incantata a fissarmi» si portò tre dita sul mento, scrutandomi in modo divertito.
«Prima di tutto io non sono un ippopotamo! E poi non sono una pazza!» dissi alzando la voce di qualche ottava, guardandomi poi intorno per assicurarmi che non avessi dato spettacolo.
«Lo dicono tutti i pazzi»
«Si può sapere chi sei?» alzai gli occhi al cielo frustrata.
Lui mutò la sua espressione da divertita a confusa, poi tornò a ridere strizzando gli occhi contro il pollice e l’indice e notai delle fossette prendere forma al curvarsi delle labbra.
«Tu prima mi aggredisci e poi vuoi sapere chi sono, e ti offendi se ti do della pazza!»
Sorrisi imbarazzata, non sapendo esattamente cosa dire. Infine scelsi di fare la cosa più semplice tra tutte.
«Piacere, Sophia Mills» allungai la mano verso di lui, che prontamente l’afferrò nella sua mettendo ancor più in evidenza la differenza di grandezza. Le sue dita affusolate si trattennero un secondo in più del dovuto sul dorso della mia mano e mi sentii ad un tratto troppo esposta al suo sguardo.
«Il piacere è tutto mio Sophia – lasciò la presa, e in un attimo le luci di scena si accesero riflettendosi nei suoi occhi che finalmente presero colore – Harry Styles»
Lui era Harry.
E mai avrei immaginato che quel verde, da sempre colore della stabilità e dell’equilibrio, rappresentasse solo due degli infiniti pregi che quel ragazzo aveva.
 

Primo capitolo! Ancora nulla di interessante, ma è fondamentale per conoscere bene i personaggi e le loro storie. 
Come avrete ben capito la storia è ambientata in un universo parallelo... dove Louis è un produttore discografico, ha solo una sorella, Reese, e Niall è un cantante molto famoso! Ah, lo stilista che ha organizzato il party non esiste :P
Soph ha conosciuto anche Harry e nel prossimo capitolo si scopriranno molte più cose. Spero di avervi incuriosito un po' di più, se vi va fatemi sapere con un commento :)
   
 
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